Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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Articolo

Il nuovo concordato preventivo “in pillole”*


Edgardo Ricciardiello

Data pubblicazione
24 agosto 2022

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Sommario: 1. Profili definitori; 2. Le misure protettive e cautelari; 3. Contenuto del piano; 4. classificazione obbligatoria e facoltativa; 5. La nuova transazione fiscale; 6. Il voto nel concordato


1. Profili definitori

Il travagliato percorso di riforma della legge fallimentare ha visto finalmente il proprio epilogo attraverso il varo del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza che, a distanza di due anni, tra proroghe e ripensamenti su alcuni temi che erano stati proposti nell’originario schema a cura della Commissione Rordorf, ha visto la luce lo scorso 15 luglio 2022[1].

Tuttavia, non tutti i mali vengono per nuocere. Il ritardo nell’entrata in vigore del testo complessivo del CCII (alcune disposizioni del quale erano già in vigore dal 2019 e con anticipazione di principi da parte del D.L. n. 118/2021 in materia di composizione negoziata della crisi) ha consentito, infatti, al legislatore di recepire la Direttiva Insolvency UE/1123/2019 (il cui recepimento è stato prorogato al 17 luglio 2022) ed adeguare l’ordinamento giuridico italiano ai principi ivi delineati.

L’influenza della Direttiva Insolvency sul percorso di riforma intrapreso appare senz’altro centrale: molti principi che erano ritenuti immanenti ed immutabili dell’ordinamento concorsuale sono stati superati e comunque adeguati alla nuova realtà socio economica delle imprese italiane messe duramente alla prova prima dalla crisi finanziaria del 2008 e poi dall’emergenza pandemica Covid-19 e, da ultimo, dagli scenari di instabilità economica dovuti al conflitto bellico Russo-Ucraino.

Basti pensare al principio dell’automatic stay che nel nuovo impianto normativo tende a scomparire a favore di un sistema basato sul principio della domanda del debitore volta alla concessione di misure protettive e cautelari di carattere selettivo e di durata non indeterminata finalizzate a contemperare le esigenze di protezione del patrimonio del debitore, in particolar modo durante la fase delle trattative con i creditori, con il principio della par condicio creditorum.

Anche sul piano soggettivo, la pluralità dei creditori, quale massa indefettibile, appare sfumare a favore di un nuovo concetto di concorso più incline a consentire al debitore una selezione non vincolante dei creditori ai fini del successo dello strumento di soluzione della crisi prescelto, a patto che non siano lesi i diritti dei creditori non aderenti (v. art. 182-bis l.f.)[2].

Lo stesso principio di concorsualità pare subire un adattamento ai tempi in quanto i quadri di ristrutturazione prevedono come eventuale la nomina dell’insolvency practitioner (commissario giudiziale) mentre l’intervento del giudice appare ridimensionato a livello strutturale in quanto esistono procedure per cui la sua presenza non è nemmeno prevista tout court o è limitata, così come si rinvengono fattispecie che non richiedono il giudizio di omologazione.

Il concordato preventivo riformato deve, tuttavia, fare i conti con un sistema, quello concorsuale, profondamente modificato al punto che tale istituto non pare conservare quella centralità assunta in passato quale alternativa alla liquidazione fallimentare: esso appare, infatti, concorrere con altri strumenti che ben potrebbero, come autorevolmente evidenziato, persino contenderne il primato[3].

In effetti, il contemperamento delle esigenze di tutela dei creditori con l’aspettativa del debitore di poter tentare di individuare uno strumento idoneo di soluzione della crisi senza subire la pressione dei creditori “forti” ha portato ad un generale ripensamento della struttura stessa del concordato, certamente non senza perplessità legate ai concetti attuali di “prevalenza” e di “continuità” che vengono rapportati, oggi, ad elementi socialmente rilevanti quali la tutela del lavoro ma che possono costituire ostacolo alla ristrutturazione aziendale.

Di non minore importanza il fatto che le misure protettive (oltre che quelle di natura cautelare già soggette alle regole del codice di procedura civile) siano ora procedimentalizzate secondo un iter a cognizione piena da parte del tribunale a cui è lasciata l’ultima parola non solo ai fini della concessione delle predette misure, ma anche della loro conservazione, modifica o estinzione.

Occorre, tuttavia, segnalare anche quella che può essere considerata un’occasione perduta: ovvero la possibilità secondo il modello del Bankruptcy Act statunitense che la legittimazione all’accesso alla procedura di concordato preventivo venisse attribuita non solo al debitore (come viene ribadito all’art. 37 CCII) ma anche ai creditori sociali come accade anche per la liquidazione.

Le ragioni sottese alla conservazione delle regole di accesso alla procedura sono rinvenibili nella concezione ormai stratificata del concordato come strumento premiale per il debitore che vi acceda tempestivamente e la sua marcata struttura negoziale che, a torto o a ragione, precluderebbe in nuce un atto impositivo da parte dei creditori i quali dovrebbero per di più poi sottostare al principio maggioritario.

In primo luogo, sul piano definitorio, occorre effettuare una nuova classificazione o definizione: il concordato preventivo rientra oggi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 lett.) m-bis) tra gli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza» ovvero “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.

Al di là del mutato lessico – certamente preferibile ai “quadri di ristrutturazione” in sé sconosciuti alla tradizione giuridica italiana - si coglie a livello sistematico la collocazione del concordato tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ovvero quelli che privilegiano la continuità aziendale a scapito della liquidazione che diviene sempre più recessiva e condizionata all’insuccesso di altri strumenti che tutelano la continuità aziendale.

Come è stato correttamente osservato, nel nuovo quadro normativo la continuità aziendale (diretta o indiretta) non rappresenta più il “mezzo” ma il “fine” stesso della procedura che consente, alla stregua dell’amministrazione straordinaria, la prosecuzione dell’attività di impresa in luogo del fallimento (i.e. liquidazione giudiziale) dell’imprenditore [4].

Non di minore importanza appare, inoltre, la collocazione dell’istituto della composizione negoziata della crisi quale presupposto seppure volontario dell’accesso agli strumenti di matrice concorsuale.

A livello strutturale appare certamente rilevante la previsione del concetto di fattibilità (oltre che giuridica) anche economica come elemento attestativo del piano ai fini della sua stessa ammissibilità e omologabilità. Si evidenzia, inoltre, come il giudizio di fattibilità imponga un’indagine del Tribunale sull’idoneità dello strumento prescelto tra i “quadri di ristrutturazione” a consentire una composizione nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[5]; mentre scompare il riferimento al “miglior soddisfacimento dei creditori” a favore di una più generica “soddisfazione dei creditori” e “conservazione dei valori aziendali” per quanto concerne il concordato con continuità aziendale[6]. Mentre per il concordato liquidatorio la fattibilità del piano viene declinata come attitudine del piano a conseguire gli obiettivi prefissati.

L’eliminazione del parametro relativo al “miglior soddisfacimento” dei creditori ex art. 47 CCII è confermato, altresì, all’art. 112, comma 3, CCII che, con riferimento al giudizio di omologazione, stabilisce che il tribunale omologa il concordato ogniqualvolta risulti che il credito dell’opponente sia soddisfatto in misura non superiore, ma semplicemente “non inferiore” rispetto a quanto risulterebbe se la società fosse sottoposta a liquidazione giudiziale. [7]

2. Le misure protettive e cautelari

Le misure protettive (art. 2 lett. p) CCII sono definite quali le misure temporanee richieste dal debitore al fine di evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Diversamente, le «misure cautelari» (art. 2, lett. q)) sono i provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza.

Si passa in tal modo dalla automatic stay prevista dalla legge fallimentare senza distinguo tra concordato preventivo e fallimento alla “stay selettiva non automatica” basata sul principio della domanda del debitore.

Ciò significa che le misure protettive non riguardano indistintamente tutto il patrimonio del debitore ma solo quei beni e rapporti giuridici la cui aggressione da parte dei creditori individuali potrebbe compromettere l’esito delle trattative e degli effetti degli strumenti di regolazione della crisi.

Per tale ragione il regime generale stabilito per le misure protettive prevede una loro durata massima anche non continuativa di dodici mesi inclusi eventuali rinnovi o proroghe (art. 8 CCII).

La soggezione delle misure cautelari e protettive ad un procedimento giudiziale a cognizione piena consente al tribunale di valutare compiutamente lo stato delle trattative e le esigenze concrete (non dilatorie) dello strumento di regolazione della crisi attivato dal debitore.

La concessione delle misure protettive non comporterà nella prospettiva del giudice piena discrezionalità qualora le misure richieste appaiano in concreto oggettivamente idonee a garantire il buon esito delle trattative e gli effetti dello strumento di regolazione della crisi prescelto.

Diverso discorso va fatto per le misure cautelari la cui concessione è sempre subordinata alla verifica da parte del giudice dei presupposti processuali del fumus boni juris e del periculum in mora. In tal caso, tuttavia, le condizioni dell’azione cautelare vanno calate nel contesto specifico della procedura concorsuale e degli interessi in gioco, fermo che si assiste ad una contrapposizione tra l’esigenza di protezione del patrimonio del debitore contro l’aggressione individuale dei creditori con la necessità di presidiare la gestione in modo funzionale a non arrecare danno ai creditori ed al valore in sé dell’impresa.

Tant’è che, ai sensi dell’art. 54 CCII, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare temporaneamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza. Le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’articolo 18, comma 1, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’articolo 19. Non si applicano l’articolo 669-octies, primo, secondo e terzo comma, e l’articolo 669-novies, primo comma, del codice di procedura civile.

In ossequio al principio della domanda, l’art. 54, comma 2, stabilisce che se il debitore ne abbia fatto richiesta nella domanda di cui all’articolo 40, dalla data della sua pubblicazione nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con cui viene esercitata l’attività d’impresa. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano e la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata.

Il debitore, peraltro, può richiedere al tribunale, con successiva istanza, ulteriori misure temporanee per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza. Le misure protettive, occorre rammentare, possono essere persino anticipate durante la fase di composizione negoziata della crisi d’impresa.

Appare rilevante contemperare l’accesso alle misure protettive e cautelari con la clausola generale di buona fede e correttezza che è stata finalmente codificata all’art. 4 (doveri delle parti), anche se di essa veniva già fatta applicazione nella prassi interpretativa: essa impone al debitore, sin dalle trattative nella composizione negoziata, che nelle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza di a) illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo tutte le informazioni necessarie e appropriate rispetto alle trattative avviate, anche nella composizione negoziata, e allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto; b) assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori; c) gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori.

Il dovere di correttezza e lealtà nell’accesso alle procedure di composizione della crisi potrà, pertanto, configurare esso stesso elemento ostativo all’ammissibilità della domanda proposta dal debitore ovvero la sua procedibilità qualora tale dovere sia disatteso nel corso del procedimento anche in fase di pre concordato (in analogia alla sanzione di “improcedibilità” prevista dall’art. 161 l.f. in presenza della rilevazione da parte del tribunale di un accesso abusivo allo strumento del concordato in bianco).

La tutela viene in tal modo anticipata persino rispetto alla rilevazione di atti di frode in quanto il principio di buona fede deve permeare la condotta “processuale” del debitore sin dalla fase introduttiva anche stragiudiziale quale quella di accesso alla composizione negoziata della crisi.

L’accoglimento dell’istanza di concessione di misure protettive e cautelari non potrà, pertanto, prescindere da una completa disclosure del debitore nell’ambito dello stesso procedimento di cui all’art. 55 CCII non solo della propria situazione patrimoniale e finanziaria ma anche dello stato delle trattative intraprese con i creditori. In tale contesto il canone di buona fede e correttezza diviene presupposto della stessa procedibilità ed ammissibilità della domanda di accesso allo strumento prescelto.

Il tribunale, omessa ogni formalità non essenziale a garantire il contraddittorio delle parti, procede con atti di istruzione del procedimento al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione delle misure protettive e cautelari, anche inaudita altera parte qualora la convocazione delle parti possa pregiudicare l’attuazione del provvedimento.

Il dovere di correttezza e buona fede assume ulteriore rilevanza in funzione della qualificazione dei crediti dei professionisti sorti nel corso della procedura come prededucibili: una della principali novità introdotte risiede nell’attribuzione della prededuzione, nel limite del 75% del credito accertato, dei crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonché del deposito della relativa proposta e del piano che la correda a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’art. 47 CCII. Regime che permane in caso di consecuzione con altre procedure concorsuali.

Per quanto concerne, invece, l’accesso alla procedura viene confermato l’istituto del concordato in bianco o con riserva (art. 44 Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza con riserva di deposito di documentazione) con la novità che la nomina del commissario giudiziale diviene obbligatoria e non più rimessa alla valutazione del tribunale. Disposizione confermata dal successivo art. 47, comma 2, lett. b) ove si fa riferimento alla nomina (qualora non vi sia la fase in bianco) o alla conferma del commissario giudiziale.

Permangono, viceversa, gli effetti sostanziali conseguenti al deposito della domanda di concordato in quanto ai sensi dell’art. 46 CCII il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale con la previsione che in mancanza di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di ammissione alla procedura.

 

3. Contenuto del piano

Una delle novità più significative in materia di concordato preventivo introdotte dal CCII è rappresentata dal fatto che, come sopra anticipato, viene previsto espressamente che (i) il concordato preventivo, ai fini della sua stessa ammissibilità, deve prevedere il «soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale», mentre l’accesso stesso a questo istituto è precluso se l’aspettativa di realizzo dalla continuità aziendale o dalla liquidazione non appaia sufficiente secondo il cram down a rendere l’istituto più idoneo al soddisfacimento dei creditori, rispetto alla liquidazione. Ove non si fa riferimento al miglior soddisfacimento dei creditori ma al soddisfacimento in misura non inferiore a quella realizzabile attraverso la liquidazione[8].

 Già nell’incipit dell’art. 84, comma 1, CCII viene espressa, seppure in modo sotteso, una preferenza per il concordato con continuità aziendale in quanto viene stabilito che «L’imprenditore di cui all’articolo 121, che si trova in stato di crisi o di insolvenza, può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma».

Tale preferenza non si coglie solamente sulla base dell’ordine espositivo delle soluzioni offerte dal legislatore ex art. 84, comma 1; infatti l’art. 84, comma 2, CCII stabilisce che la continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro.

 La continuità può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato; ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo.

In sede di recepimento della Direttiva Insolvency, sulla spinta critica della dottrina che individuava in tale previsione una delle principali criticità ai fini dell’utilizzo del concordato con continuità aziendale, ferma la formulazione relativa alla possibilità di continuità diretta o indiretta, è stata espunta la previsione che faceva riferimento all’obbligo per il debitore di mantenimento o di riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione. Questo avrebbe di fatto precluso al debitore una riorganizzazione dell’impresa basata sugli elementi occupazionali [9].

L’art. 84, comma 3, CCII prevede invece che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengano soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta.

La proposta di concordato prevede che sussista per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.

Per quanto concerne il concordato liquidatorio viene confermata la formulazione per cui l’ammissibilità del piano viene fatta dipendere da un apporto esterno di risorse che incrementi del 10% l’attivo disponibile alla data di presentazione della domanda; questo, tuttavia, non viene più riferito all’ipotesi della liquidazione giudiziale richiedendosi semplicemente un incremento di valore dell’attivo “disponibile”. Il piano liquidatorio deve, altresì, assicurare ai creditori chirografari e quelli privilegiati degradati per incapienza (dei beni sui quali insistono le cause legittime di prelazione) un soddisfacimento non inferiore al 20% del loro ammontare complessivo.

Appare, inoltre, interessante la regola per cui in caso di apporto di risorse esterne, fornite a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione da destinarsi a vantaggio dei creditori concorsuali, esse possono essere allocate anche in deroga alle disposizioni stabilite dagli artt. 2740 e 2741 c.c. ovvero senza tener conto dell’ordine dei privilegi e della cause legittime di prelazione purché entro il limite del 20% (che deve sempre essere assicurato ai creditori chirografari o degradati).

Ulteriore elemento di novità risiede nella possibilità per il debitore di falcidiare i crediti privilegiati a condizione che venga garantito ai creditori sociali un trattamento non inferiore a quello che essi riceverebbero in sede di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la prelazione al netto dei costi di procedura per l’attuazione del diritto medesimo. Così l’art. 84, comma 5, stabilisce che «I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario».

Al fine di rispettare la par condicio creditorum, è previsto che nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione. Con riguardo al valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello riconducibile alle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore. Ciò dovrebbe impedire che dai proventi della continuità aziendale possano avvantaggiarsi classi di rango inferiore a quelle di grado più elevato pur senza precludere tout court una “distribuzione” delle risorse generate dalla prosecuzione dell’attività d’impresa (v. infra).

Viene, infatti, precisato che «I crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione».

 

4. Classificazione obbligatoria e facoltativa

Il nuovo articolo 85 CCII è dedicato alla “suddivisione dei creditori in classi”.

In assonanza con l’art. 160, comma 1, lett. d), esso stabilisce che il piano possa prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

Scompare, viceversa, il riferimento testuale alla suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei di cui all’art. 160, comma 1, lett. c), l.f. Deve ritenersi che non si tratti di una dimenticanza del legislatore sol se si pensi che la classificazione dei creditori per stessa definizione (v. art. 2 CCII) comporta l’inclusione di portatori di interessi omogenei all’interno della stessa classe risultando ultronea la previsione normativa abrogata.

La scelta del legislatore in sede di recepimento della Direttiva Insolvency UE/1023/2019 è stata, piuttosto, quella di lasciare al debitore più ampia libertà nel prevedere la creazione di classi di creditori differenziate senza rendere tuttavia obbligatoria la loro formazione.

Ma, a certe condizioni, il classamento diviene obbligatorio.

Tenuto conto della Raccomandazione contenuta nel considerando n. 44 della Direttiva il legislatore italiano si è adeguato al diritto unionale prevedendo all’art. 85, comma 2, che la classificazione dei creditori divenga obbligatoria in caso di trattamento riservato ai creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento ovvero per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi e per i creditori che non vengano soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e per i creditori proponenti il concordato per le parti ad essi correlate.

Si tratta di una scelta condivisibile, dettata dalla necessità di tenere separate e distinte le posizioni di creditori portatori di interessi del tutto disomogenei quali gli enti previdenziali e tributari; ovvero di creditori che vengono soddisfatti con mezzi diversi dal danaro; ovvero, infine, di coloro che propongono la domanda di concordato e le parti ad esse correlate. Di qui anche la funzione informativa delle classi.

Il Considerando n. 44 della Direttiva stabilisce che «[…] come minimo, i creditori garantiti e quelli non garantiti dovrebbero essere sempre trattati in classi distinte. Gli Stati membri tuttavia dovrebbero poter esigere che siano formate più di due classi di creditori, comprendenti classi diverse di creditori non garantiti o garantiti e classi di creditori con crediti subordinati. Gli Stati membri dovrebbero poter anche trattare in classi distinte altri tipi di creditori che non hanno una sufficiente comunanza di interessi, ad esempio le autorità fiscali o di previdenza sociale. Gli Stati membri dovrebbero poter stabilire che i crediti garantiti possano essere suddivisi in parti garantite e non garantite in base alla valutazione della garanzia reale. Gli Stati membri dovrebbero poter altresì contemplare norme specifiche che promuovono la formazione delle classi qualora tale formazione possa giovare ai creditori non differenziati o altrimenti particolarmente vulnerabili come i lavoratori o i piccoli fornitori».

Importante novità rispetto alla formulazione della norma anteriore al decreto di recepimento della Direttiva Insolvency è che nel concordato in continuità aziendale la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria con la precisazione che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 109, comma 5, sono suddivisi in classi e le imprese minori, titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, sono inserite in classi separate.

Fermo quanto previsto dall’articolo 84, commi 5, 6 e 7 (ovvero la possibilità che i creditori privilegiati non siano soddisfatti integralmente), il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione permanendo il limite stabilito dagli artt. 2740 c.c. e 2741 c.c.

Come è stato puntualmente evidenziato dalla dottrina[10] la facoltà accordata al debitore di suddividere in classi i creditori ha la duplice finalità di concentrazione nel minor numero di classi dei creditori da cui è prevedibile attendersi il dissenso riguardo alla proposta concordataria ma allo stesso tempo di rispettare il principio della par condicio creditorum individuando e concentrando i creditori in gruppi omogenei caratterizzati da specificità del credito e da un soddisfacimento differenziato.

La Direttiva Insolvency individua nella classificazione la necessità di parità di trattamento all’interno di una medesima categoria di creditori affinchè «i diritti che sono sostanzialmente simili ricevano pari trattamento e i piani di ristrutturazione possano essere adottati senza pregiudicare ingiustamente i diritti delle parti interessate».

Il CCII puntualmente definisce all’art. 2, lett. r), la classe dei creditori come l’insieme dei creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei.

Per formazione delle classi si deve intendere, inoltre, il raggruppamento delle parti interessate ai fini dell'adozione del piano in funzione dei loro diritti e del rango dei loro crediti e interessi.

La classificazione ha un ulteriore funzione: impedire che la proposta e il piano siano “ostaggio” di minoranze numeriche espressione di creditori postergati o di grado inferiore che possano pregiudicare o compromettere l’adozione di un piano rispettoso delle clausole legittime di prelazione e dell’ordine dei privilegi. In questa accezione il concetto di classe o classamento evoca la necessità di classificazione dei creditori dissenzienti rispetto alla proposta ed al piano come si evince dalla disciplina sul concordato in continuità aziendale che richiede ai fini della approvazione del piano il consenso di tutte le classi di creditori.

La classificazione deve, quindi, essere coerente con il piano e la proposta concordataria in funzione della sua realizzazione. In questo senso scompare con riferimento al concordato con continuità aziendale la dizione di cui all’art. 177, comma 1, l.f. secondo cui il concordato deve essere approvato dalla maggioranza dei crediti complessivamente ammessi al voto (formulazione che permane all’art. 109, comma 1, CCII per il concordato non in continuità).

Nel sistema riformato viene infatti richiesta l’unanimità delle classi (art. 109 comma 5) con la precisazione che, all’interno di ciascuna classe, deve essere raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto ovvero in mancanza, se hanno favorevolmente votato i due terzi dei crediti dei creditori votanti purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.

In caso di mancata approvazione si applica comunque il meccanismo di cui all’art. 112 comma 2 (v. infra) che consente l’omologazione nonostante il mancato raggiungimento della unanimità di classi (c.d. ristrutturazione trasversale vincolante anche per le classi e creditori dissenzienti).

Nell’elaborazione giurisprudenziale i dubbi in merito ai concetti di “posizione giuridica” e “interessi economici” racchiusi nella formazione (facoltativa o obbligatoria) delle classi sono stati solo in parte dipanati in quanto si sono contrapposte visioni riduttive del significato impresso alla nozione di posizione ed interesse tale da semplificarne a volte la portata alla sola contrapposizione tra creditori privilegiati e creditori chirografari ovvero posizioni idonee a ricondurre la classificazione alla natura oggettiva o soggettiva dei creditori[11].

Il concetto di classe evoca anche il principio di proporzionalità ovvero di attribuzione proporzionale dell’incidenza del voto al “peso” degli interessi coinvolti di cui sono portatori i creditori secondo classificazione omogenea.

In tal senso la Direttiva Insolvency stabilisce che il diritto nazionale dovrebbe fissare le maggioranze richieste, per evitare che una minoranza di parti interessate all’interno di ciascuna classe possa impedire l’adozione di un piano di ristrutturazione che non ne riduce ingiustamente i loro diritti e interessi. Senza una norma sulle maggioranze che vincoli i creditori garantiti dissenzienti, la ristrutturazione precoce non sarebbe possibile in molti casi, ad esempio quando è necessaria una ristrutturazione finanziaria ma l’impresa è comunque sana. Per garantire che le parti abbiano voce sull’adozione del piano proporzionalmente ai loro interessi nell’impresa, la maggioranza richiesta dovrebbe basarsi sull'importo dei crediti dei creditori o delle quote dei detentori di strumenti di capitale di ciascuna classe. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero poter richiedere la maggioranza del numero di parti interessate in ciascuna classe.

Emergono due elementi fondanti: l’omogeneità di appartenenza e la funzionalità della classe agli obiettivi del piano ove al giudizio di omologazione viene attribuita la funzione rilevante di verifica della corretta riconduzione della distribuzione delle risorse derivanti dall’approvazione del piano ai creditori e la compressione dei diritti di credito che discende dalla falcidia del credito affinché essa sia proporzionata alla natura e consistenza delle posizioni creditorie soprattutto in presenza di creditori dissenzienti (cons. n. 48 Direttiva Insolvency)

La classificazione dei creditori pone allora il problema della rilevanza nel nostro ordinamento della regola della absolute priority, ovvero di quella regola che tutela i creditori privilegiati o antergati anche nei processi ristrutturativi garantendoli da un trattamento deteriore che essi subirebbero per effetto della soggezione al principio maggioritario così che la previsione di classi dissenzienti costituirebbe una tutela verso le loro posizioni [12].

Tale regola, come è noto, impedirebbe il pagamento tout court ai creditori di grado posteriore fin tanto che non siano stati soddisfatti integralmente i creditori titolari di diritti anteriori o antergati sulla base dell’art. 2741 c.c. che fonda l’obbligo del rispetto delle cause legittime di prelazione quale principio immanente e inderogabile.

La funzione della absolute priority rule viene ricondotta alla tutela rigida della par condicio creditorum nonché al principio racchiuso nell’art. 2740 c.c. che impone al debitore di rispondere delle proprie obbligazioni con tutto il proprio patrimonio presente e futuro di modo che non sarebbe consentito allo stesso di disporne in modo selettivo e a sé più conveniente al fine di trarre vantaggio dal favorire alcune categorie di creditori a scapito di altre.

La absolute priority costituirebbe in tal senso il maggior vincolo all’estrazione di benefici privati da parte dello stesso debitore e garanzia di tutela dei creditori “privilegiati”.

Vale la pena osservare, tuttavia, che il principio della absolute priority appare mitigato nella misura in cui tale regola non si estende alle risorse c.d. esterne non apportate dal debitore ma da terzi: in tal caso sarebbe possibile allocare dette risorse a favore di creditori diversi senza seguire l’ordine delle priorità stabilito ex lege fino al punto da poter persino soddisfare i soci quali residual claimants, per definizione non titolari di alcuna posizione creditoria.

La relative priority rule sembra consentire, viceversa, il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di pagamento integrale dei creditori di rango superiore, purché il pagamento accordato sia comunque di misura inferiore, e che dunque il trattamento complessivo dei creditori appartenenti alle diverse classi rispetti comunque l’ordine delle prelazioni.

La ragione dell’aperto favor per la regola della priorità relativa risiede proprio nell’incentivo, attraverso la c.d. ristrutturazione trasversale, di coinvolgere nel processo ristrutturativo tutti i portatori di interessi potenzialmente ostativi all’adozione del piano (creditori anteriori e non nonché i soci e titolari di strumenti finanziari).

In tal senso riceve una rivitalizzazione il ruolo dei soci i quali vengono incentivati dal sistema prefigurato ad investire nell’impresa insolvente o in crisi al punto da poter essere inseriti in classi di “creditori” e poter contendere il “controllo” della ristrutturazione attraverso il dissenso.

L’art. 120-ter CCII, con soluzione del tutto inedita nel nostro ordinamento, prevede espressamente che lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (quindi anche il concordato) possa prevedere la formazione di una classe dei soci o di più classi di soci se lo statuto anche a seguito delle modifiche apportate al piano accorda diritti diversi (estendibile anche ai soci di s.r.l. titolari di diritti speciali ai sensi dell’art. 2468 c.c.). In questo senso la norma attribuisce una connotazione positiva del classamento dei soci quale fattispecie volta ad incentivare la partecipazione attiva al risanamento che presuppone da parte dei soci medesimi interventi sul capitale con o senza diritti di opzione.

A ciò si aggiunga che il comma 2 dell’art. 120-ter stabilisce, altresì, che il classamento dei soci divenga obbligatorio se il piano preveda modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il classamento in tal ultimo caso acquisisce un’accezione negativa in quanto consente ai soci o ai portatori di strumenti finanziari quotati di essere inquadrati quale categoria omogenea potenzialmente lesa dal piano, attribuendo una voice determinante o potenzialmente tale ai fini della approvazione del piano poiché tale regola presuppone il dissenso dei titolari di tali posizioni.

In tale situazione “il peso” creditorio del socio corrisponde alla quota del capitale detenuta anteriormente alla presentazione della domanda di concordato. Se il socio non esprime il proprio dissenso si considera consenziente. In questo modo la posizione del socio non può essere di vantaggio conseguibile ex post a fronte di una nuova immissione di capitale sociale in quanto in tal caso la nuova finanza seppure in equity avvantaggerebbe gli stessi a scapito dei creditori anteriori al deposito della domanda e porrebbe un problema di ordine delle cause legittime di prelazione.

La questione relativa alla distribuibilità delle risorse appare senza dubbio centrale nel contesto del concordato con continuità aziendale in quanto la prosecuzione dell’attività d’impresa genera risorse ulteriori (esponendo ad un potenziale aggravamento del dissesto gli stessi stakeholders) a quelle esistenti nel patrimonio del debitore al momento dell’accesso alla procedura concordataria. Ci si interroga, quindi, se la continuità aziendale possa costituire discrimen rispetto al libero impiego delle risorse a favore di alcune categorie di creditori (inclusi i soci) che vorrebbero trarre utilità dal c.d. rilancio dell’attività d’impresa[13].

Per le ragioni sopra esposte non è possibile che i soci si avvantaggino delle c.d. sopravvenienze attive derivanti dalla continuità aziendale in pregiudizio dei creditori anteriori alla domanda di concordato.

Il tema appare centrale nel contesto della riforma in quanto la regola della priorità assoluta sembra oggi cedere il passo ad un sistema che agevola la distribuzione delle risorse a favore di più categorie di creditori che, viceversa, si troverebbero escluse dai benefici del piano concordatario in quanto postergati ad altri creditori in base all’ordine delle cause legittime di prelazione.

A ben vedere, già la legge fallimentare conosceva all’art. 182-ter l.f. una regola di priorità relativa laddove consentiva contemporaneamente la falcidia dei crediti tributari e delle agenzie fiscali ed il pagamento di categorie di creditori inferiori purchè il trattamento riservato a tali creditori non fosse inferiore al valore ricavabile dalla liquidazione dei beni o diritti sui quali insiste il privilegio e purchè l’esperto indipendente attestasse il miglior trattamento riservato.

Non vi è dubbio che la regola della priorità relativa agevoli l’approvazione dei piani di risanamento in quanto consente al debitore di liberare risorse a favore di categorie dissenzienti rispetto all’approvazione del piano in quanto potenzialmente escluse dalla possibilità di trarre benefici; l’applicazione di tale regola consentirebbe persino al debitore ed ai soci di maggioranza di preservare un valore nel contesto del piano e di recepire utilità. Questione che ha posto il dubbio sulla ammissibilità e compatibilità di una regola simile con il principio sancito dall’art. 2740 c.c.[14].

Il nostro ordinamento, già in epoca anteriore all’entrata in vigore della Direttiva Insolvency, invero, aveva optato per la regola della priorità relativa: la lettura dell’art. 160, comma 2, l.f conferma che era ammissibile che il piano concordatario (o di ristrutturazione dei debiti) prevedesse il pagamento non integrale dei creditori muniti di privilegio[15]. Tuttavia, ciò era ammesso a condizione che il piano non avesse previsto un soddisfacimento di tali creditori (privilegiati) in misura inferiore a quella che essi avrebbero realizzato grazie alla collocazione preferenziale dei propri crediti sui beni gravati da diritti di prelazione nell’ipotesi liquidatoria.

Tale previsione è nella sostanza confermata all’art. 84, comma 5, CCII con l’ulteriore precisazione che il trattamento riservato non deve, in ogni caso, risultare inferiore al valore realizzabile in sede di liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione «al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o al diritto e della quota parte delle spese generali attestato da professionista indipendente».

La comparazione tra attivo realizzabile a favore dei creditori privilegiati rispetto all’ipotesi liquidatoria va, tuttavia, effettuata non già rispetto al singolo bene su cui insiste il privilegio, ma su tutta la massa mobiliare dovendo complessivamente risultare che il trattamento riservato ai creditori privilegiati non sia inferiore rispetto al valore aggregato realizzabile degli assets in sede liquidatoria non potendosi, in ogni caso, soddisfare i creditori chirografari prima di aver messo a disposizione dei privilegiati tutto il patrimonio presente e futuro del debitore[16].

Il che aprirebbe la strada, come è stato osservato, ad un utilizzo parziale della massa immobiliare a favore dei creditori chirografari nella (sola) ipotesi di ultra capienza del valore dei beni su cui insistono i privilegi; col che i creditori chirografari potrebbero soddisfarsi solo de residuo dal valore di tali beni che non siano destinati al soddisfacimento di creditori privilegiati o risorse esterne purché tali apporti siano “neutri” rispetto alla situazione patrimoniale di partenza del debitore[17]

A chiarire la portata innovativa della disciplina di recente conio si pone la Direttiva Insolvency che all’art. 11, par. 1, lett. c) prevede, come regola generale, in caso di ristrutturazione con più classi di creditori (c.d. ristrutturazione trasversale o cross class cram donw)[18], quella della priorità relativa, secondo cui le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevono «un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori».

Il che apre la strada a ristrutturazioni favorevoli persino ai titolari di posizioni equity (o se sei preferisce di residual claimants) quali i soci che potrebbero usufruire, pur sempre nel rispetto del trattamento migliore delle classi antergate, altresì di un soddisfacimento. Infatti, l’articolo 120-quater CCII prevede proprio la possibilità di distribuzione del plusvalore concordatario ai soci.

Il nuovo art. 120-quater, primo comma, stabilisce del resto che «Fermo quanto previsto dall’articolo 112, se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda, il concordato, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Se non vi sono classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci».

La ratio dell’intervento normativo, che appare senza dubbio quello di più grande respiro, risiede nel potere di incentivare in special modo i titolari del capitale sociale o di partecipazioni munite di diritti speciali ad investire nella prosecuzione dell’attività d’impresa attraverso interventi sul capitale. Ciò che appare davvero dirompente rispetto al passato è che ora anche i soci, quali titolari del capitale sociale o di strumenti finanziari partecipativi, potranno essere incentivati ad investire sulla continuità aziendale ricevendo valore dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nell’ambito dell’utilità ritraibile dalla prosecuzione dell’attività di impresa.

Del resto, a differenza dello strumento della finanza prededucibile che genera ulteriore debito verso il finanziatore il legislatore prende atto della posizione di naturale postergazione dei soci che consegue a situazioni di insolvenza attuale o prospettica in cui essi avrebbero dovuto intervenire spontaneamente ante tempo proprio sul patrimonio netto in funzione preventiva della crisi. Ad essi viene data la possibilità attraverso il classamento di intervenire salvaguardando la prosecuzione dell’attività d’impresa.

La relative priority consente, invece, ai soci ai quali “naturalmente” non spetterebbe nulla di poter “governare” la ristrutturazione dell’impresa. Il potere ad essi conferito, seppure a contrariis mediante il dissenso classato, appare peraltro significativo della volontà legislativa di non voler prescindere dai titolari del capitale sociale.

Il secondo comma sottrae alle regole in materia di distribuzione del valore, e alle conseguenti limitazioni, il mantenimento di una partecipazione dei soci che sia conseguente a nuovi conferimenti e, solo nel caso di imprese minori, anche di nuovi apporti dei soci in forma diversa da quella del conferimento o del versamento a fondo perduto, come previsto dal Cons. 59 della direttiva.

 Occorre evidenziare, inoltre, che il terzo comma attribuisce ai soci la tutela del c.d. “diritto di proprietà”, sotto forma di diritto al mantenimento dell’eventuale valore di liquidazione della partecipazione: è previsto, infatti, che essi possano opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria. Il comma 4 dà quindi attuazione all’articolo 2, par. 1, n. 9) della direttiva, che consente l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva a tutti gli “imprenditori”, per tali tuttavia intendendosi tutte le persone fisiche che esercitano “un'attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale”. Come è stato osservato in dottrina non pare compito agevole individuare cosa debba rappresentare “trattamento più o meno favorevole” rispetto a classi di creditori in quanto i soci per definizione non sono titolari di un diritto di credito[19].

L’art. 120-quater, secondo comma, dispone a tale riguardo che Per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma.

Il che conferma che il valore riservato ai soci non può derivare dall’incremento patrimoniale che si sia realizzato a seguito di interventi sul patrimonio effettuati dai soci stessi; bensì dal surplus concordatario nella sua accezione più ristretta quale incremento dovuto alla (sola) prosecuzione dell’attività d’impresa. A tal riguardo assumerà rilevanza il valore di produzione al netto dei costi maturati nel periodo successivo all’accesso alla procedura in continuità.

 La Relazione illustrativa fornisce, peraltro, una sorta di interpretazione autentica stabilendo che, «occorre dunque “misurare” il trattamento riservato ai soci, tenendo conto che l’obiettivo della normativa è quello di permettere che il tribunale possa omologare il quadro, nonostante il dissenso di una o più classi, se il valore di liquidazione del patrimonio è distribuito tra i creditori secondo la regola di priorità assoluta e il plusvalore da continuità è assegnato, ai creditori ed eventualmente ai soci, in una misura tale che il trattamento riservato a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno pari a quello delle classi di pari rango e più favorevole di quello riservato alle classi inferiori».

Come è stato efficacemente evidenziato[20], tale criterio risulta, tuttavia, inapplicabile in caso di dissenso dell’unica classe di creditori collocata al rango immediatamente superiore a quello dei soci in quanto l’ammissibilità di una classe di soci a cui vengono destinate risorse generate dalla continuità aziendale dipende essenzialmente dal fatto che le categorie di creditori anteriori in grado siano soddisfatte in tutto o in parte e nel secondo caso che la loro soddisfazione sia superiore a quella riservata ai soci medesimi; per tale ragione, nell’ultimo periodo del primo comma si prevede che, in questo solo caso, al fine di verificare il rispetto delle suddette regole, il valore assoluto destinato a tale classe debba essere superiore a quello riservato ai soci.

Infine, va ricordato che l’articolo 120-ter prevede la possibilità del classamento dei soci, rendendolo obbligatorio nel caso in cui vengano incisi direttamente i loro diritti e in ogni caso per le grandi imprese e per le società a capitale diffuso: in presenza di diritti diversi riconosciuti ai soci dallo statuto originario o come modificato a seguito della ristrutturazione, il classamento richiede la formazione di una pluralità di classi corrispondenti. La formazione delle classi consente ai soci di esprimere il diritto di voto sulla proposta, in misura proporzionale alla partecipazione al capitale e indipendentemente dai diritti di voto loro riconosciuti dallo statuto. I soci votano secondo le regole previste per l’espressione del voto da parte dei creditori, con l’unica differenza che, con riguardo ai soci e in relazione al loro possibile e razionale disinteresse, opera un meccanismo di silenzio assenso.

È comunque consentito allo Stato Membro di esercitare l’opzione a favore della priorità assoluta, prevedendo «che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione” (art. 11, par. 2).

Si tratta di una disposizione importante che consente di stabilire la condizione di equivalenza sostanziale tra priorità assoluta che presuppone il soddisfacimento integrale delle classi superiori con la possibilità di soddisfacimento anche di classi inferiori purchè gli antergati vengano soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti (rispetto a quelli destinati alle classi inferiori), ferma restando per il concordato in continuità aziendale la possibilità di usufruire di elementi dell’attivo generati dalla gestione dell’impresa (c.d. surplus concordatario) che non preesistevano nel patrimonio del debitore alla data di proposizione della domanda ma che si generano per effetto della prosecuzione dell’attività di impresa in via diretta o indiretta.

Nell’impianto del CCII il rispetto delle disposizioni normative relative alla classificazione dei creditori ai fini della formazione delle classi appare ancora configurare condizione di ammissibilità della domanda (art. 160, comma 2, l.f.; art. 85 comma 6 CCII) con la conseguenza che il suo rispetto non costituisce effetto del voto maggioritario ma si colloca ex ante quale elemento pregiudiziale di valutazione di ammissibilità della proposta stessa da parte del tribunale. Non trattandosi di diritto disponibile (quello di accettare la falcidia del privilegio) da parte della maggioranza la sua deroga presuppone il consenso dei singoli creditori che sono interessati dalla proposta di falcidia[21].

Riepilogando in sintesi: nel concordato con continuità aziendale la formazione delle classi è obbligatoria ed è richiesto ai fini della approvazione del piano e della proposta il consenso unanime di tutte le classi (art. 112, comma 1, lett. f) CCII); tale regola può tuttavia essere mitigata a favore della regola maggioritaria per classi allorché, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, ancorché vi siano una o più classi dissenzienti, qualora ricorrano congiuntamente le condizioni stabilite dall’art. 112 comma 2 lett. a), b), c) e d) ovvero il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; il valore eccedente quello della liquidazione è distribuito in modo che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore (fermo l’ordine dei privilegi stabiliti dall’art. 2751-bis come richiamato dall’art. 84, comma 7, CCII); nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi purchè almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione oppure in mancanza la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Il nuovo sistema per come delineato consente attraverso l’unanimità di derogare completamente all’ordine dei privilegi stabilito dal codice civile ed anche la formazione delle classi consente di attribuire valore a creditori che in forza dell’ordine dei privilegi e delle cause legittime di prelazione non avrebbero alcun titolo a ricevere utilità.

In ogni caso il tribunale può omologare nonostante l’opposizione di un creditore dissenziente il concordato in continuità aziendale quando secondo la proposta e il piano il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

 

5. La nuova transazione fiscale

La nuova disciplina della transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter l.f., è confluita nell’art. 88 del CCII con l’importante novità prevista dal comma 2-bis introdotto, ancora una volta, in sede di recepimento della Direttiva Insolvency ai sensi del quale il «tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”; l’altra concerne l’incipit del citato articolo 88, in base al quale le disposizioni in esso previste si applicano “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, […]».

La nuova formulazione della disciplina del concordato con transazione fiscale prevede che il tribunale omologhi il concordato anche in assenza di adesione (eliminato l’originario riferimento al voto che avrebbe imposto una dichiarazione di volontà che si voleva viceversa evitare alla luce della prassi applicativa che vedeva di sovente l’amministrazione finanziaria silente) quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza dei crediti ammessi al voto e sulla base della relazione dell’attestatore risulta che la proposta di soddisfacimento della amministrazione finanziaria o degli enti gestori della previdenza “è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”.

Il cram down si fonda, pertanto, su di un giudizio non di miglior soddisfacimento ma, al contrario, di non minore convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria.

La stessa ratio ispira anche il comma 2 del medesimo art. 88 che stabilisce che «L’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore».

Alcune criticità si evidenziano dal tenore letterale della norma poiché riguardo all’attestazione, è previsto che la valutazione della proposta in base al criterio del trattamento non deteriore rilevi solo per il concordato in continuità senza pur tuttavia precisare rispetto a quale parametro o elemento di comparazione la non deteriorità dovrebbe essere valutata.

Dubbi analoghi derivano dalla disciplina in materia di omologa ove viene stabilito che il presupposto del trattamento non deteriore dei crediti tributari e contributivi va valutato rispetto al trattamento a essi spettante in caso di liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto per il criterio della convenienza ma non viene precisato se tale criterio valga solo per il concordato in continuità.

 

6. Il voto nel concordato

Scompare dal tessuto normativo in materia di concordato preventivo qualsiasi riferimento all’adunanza dei creditori quale sede ideale deputata alla manifestazione del voto da parte dei creditori.

Come avverte la dottrina puntualmente[22] non si tratta di una svista da parte del legislatore in quanto l’adunanza dei creditori già nella prassi applicativa aveva subito un processo di svalutazione assimilabile a quello dell’assemblea delle società di capitali sempre più esposte a decisioni extra assembleari dei soci di controllo che rendono superfluo il confronto dialettico in una adunanza.

Il legislatore ispirandosi al sistema normativo previsto per il concordato fallimentare ha stabilito all’art. 47, comma 1, CCII lett. c), che con il provvedimento di apertura il tribunale “stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori”; inoltre l’art. 104- che, come opportunamente rilevato, impropriamente ha conservato la rubrica dell’art. 171 l. fall. di “convocazione dei creditori” - dispone che il commissario giudiziale, effettuata la verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori, provvede a comunicare ai creditori «un avviso contenente la data iniziale e finale del voto dei creditori, la proposta del debitore, il decreto di apertura».

Forse come è stato opportunamente osservato non si tratta solo di una misura di semplificazione procedurale (peraltro estesa anche ad altre procedure quali la composizione negoziata della crisi, la composizione della crisi da sovraindebitamento) a cui fa da pendant la possibilità di espressione del voto in via telematica ma dall’eliminazione della adunanza dei creditori potrebbero derivare effetti avversi dovuti alla mancanza di collegialità e dal confronto tra le parti. Sistema che potrebbe acuire i contenziosi invece che disincetivarli grazie al confronto diretto e ai chiarimenti che possono essere forniti.

Certo è che il legislatore ha puntato sulla manifestazione di voto espressa da comunicarsi a mezzo posta elettronica certificata al commissario giudiziale (norma che colma una lacuna esistente nella legge fallimentare in cui non era previsto in realtà il meccanismo di manifestazione di voto ed il soggetto destinatario).

Il tribunale nel sistema del CCII deve fissare un termine inziale e finale per l’esercizio del voto in modo da impedire, a salvaguardia del voto consapevole, che i creditori possano esprimere il voto prima del deposito della relazione del commissario giudiziale Eliminata, infatti, l’adunanza dei creditori viene evidentemente esclusa anche la possibilità di esprimere il voto nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza, ammessa dal vigente quarto comma dell’art. 178 l.f. e il nuovo legislatore, per sopperire alla soppressione di questa facoltà, ha, oltre ad una data iniziale, richiesto che sia fissata anche una data finale entro cui far pervenire il voto.



[1] Il Consiglio dei Ministri ha approvato con d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 il testo definitivo del CCII, in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 del Parlamento europeo (che per la prima volta ha imposto delle regole sostanziali comuni agli Stati membri sul presupposto di agevolare la creazione di un mercato unico dei capitali europeo) e del Consiglio del 20 giugno 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022 che tiene conto dei pareri espressi dal Consiglio di Stato del 13 maggio 2022 n. 832/2022 e dalle Commissioni parlamentari. Più recentemente, il CCII era stato oggetto delle rivisitazioni di cui al d.lgs. n. 118/2021che ha introdotto, tra l’altro, l’istituto di composizione negoziata della crisi.

V. S. AMBROSINI, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in www.ristrutturazioniaziendaliilcaso.it 2022; V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in www.dirittodellacrisi.it, 1° luglio 2022

 

[2] V. P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, inwww.dirittodellacrisi.it, 2022. Possono infatti essere considerate procedure concorsuali anche quelle che riguardino i soli creditori finanziari come accade nel 182-septies l.f. ante riforma purchè abbiano l’obiettivo del salvataggio dell’impresa.

[3] V. N. ABRIANI, Concordato preventivo e ristrutturazione dell’impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?, in www.dirittodellacrisi.it, 2022. L’Autore parla apertamente di “concorrenza sleale” da parte del concordato semplificato e degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, istituto quest’ultimo che è destinato a prendere la scena nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali che preservino la continuità aziendale per gli innumerevoli vantaggi che arreca.

[4] V. P. VELLA, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 2019/1023 e nel diritto nazionale, in Fall., 2020, 1034.

[5] Sia consentito rinviare altresì a E. RICCIARDIELLO, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Giuffré, 2020.

[6] v. S. AMBROSINI, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in www.ristrutturazioniaziendalilcaso.it 9.05.2022. v. anche A. PALUCHOWSKI, Giudizio di fattibilità e “ ragionevole probabilità di impedire l’insolvenza ”. Ruolo del giudice e poteri dei creditori, in www.dirittodellacrisi.it, 2022; ove ampi richiami alla giurisprudenza tra cui Cass. 7.4.2017 n. 9061, est. Terrusi, www.ilcaso.it e Cass. 27.09.2018 n. 23315, est. Di Marzio, www.Ilcaso.it, ambedue in tema di concordato in continuità V. anche S. LEUZZI, Appunti sul concordato preventivo ridisegnato, in www.dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022.

[7] V. sempre S. AMBROSINI, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, op. cit., il quale correttamente evidenzia come “la domanda di concordato approvata dai creditori, quindi, non deve superare, ai fini dell’omologazione, il test di convenienza, ma (almeno) quello di “neutralità” degli effetti per i creditori opponenti in rapporto allo scenario alternativo indicato dalla legge”.

 

[8] S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 maggio 2022.

[9] V. S. AMBROSINI, Concordato preventivo fra vecchio e nuovo: continuità normativa, interessi protetti e soddisfacimento dei creditori, inwww.ristrutturazioniaziendali.it, 2021.

[10] V. sul tema ampiamente

G. D’ATTORRE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fall., 2020, 1071; G. BALLERINI, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 62 G. PARISI, Classi creditorie nel concordato preventivo, strumenti di tutela e non applicabilità della c.d. “doppia conforme” al reclamo fallimentare, in Dir. fall, 2018, 938 ss.; P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, cit., in www.ilcaso.it, 1° gennaio 2022.

[11] Cfr. Cass., 26 luglio 2012, n. 13284, in Corr. giur., 2013, 655 con nota di Pellegrinelli; Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, in Dir. fall., 2009, II, 99 ss; Trib. Modena, 9 ottobre 2009, in Fall., 2010, 121 ss.

[12] V. S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in www.dirittodellacrisi.it, 2022.

[13]V. G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in www.dirittodellacrisi.it, 2022; G. BALLERINI, The priorities dilemma in the EU preventive restructuring directive: Absolute or relative priority rule?, in Insolvency Review, https://0-doiorg/10.1002/iir.1399, 2020,1 ss.

[14] Ma v. le considerazioni di G. Ferri jr., La struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. dir. soc., 2012, 477 ss.; G. D'Attorre, Le utilità conseguite con l'esecuzione del concordato spettano solo ai creditori o anche al debitore?, in Fall., 2017, 316 s.

[15] Sulla criterio di valutazione del patrimonio ai fini della falcidiabilità del credito privilegiato nel senso del patrimonio c.d. statico o c.d. dinamico (derivante dai flussi generati dalla continuazione dell’attività d’impresa v. G. BALLERINI, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, cit., in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625.; D’ATTORRE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, cit., in Fall., 2020, 1071, e rif. ivi.

[16] Per una applicazione rigida della regola della priorità cfr. ex plurimis Trib. Monza, 23 settembre 2020, in Fallimento, 2021, 278; Trib. Milano, 22 dicembre 2020, in Fall., 2021, 279 Trib. Padova 24 gennaio 2019, in Dir. fall., 2020, 865; in termini analoghi v. ex multis Trib. Rimini, 10 maggio 2018, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Belluno, 17 febbraio 2017, in www.ilcaso.it; App. Venezia 12 maggio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo ,26 settembre 2013, in www.ilfallimentarista.it; Trib. Milano, 4 ottobre 2012, in www.ilcaso.it.

[17] A. BASSI, La «finanza esterna» nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, cit., in Giur. Comm., 2019, 181.

[18] V. G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in www.dirittodellacrisi.it, 2022.

[19] V. G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, op. cit.

[20] P. MACAGNO, op. cit.

[21] Nonostante la dottrina abbia colto un elemento di differenziazione rispetto alla Direttiva Insolvency la quale prevede alla stregua del Chapter 11 come la regola distributiva rappresenti invece una forma di tutela di classe collettiva, e costituisca un limite inderogabile solo nel caso in cui una classe di creditori non approvi il piano, così essendo disponibile da parte della maggioranza (nella forma dell'approvazione di tutte le classi interessate) v. in tal senso G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, op. cit.

[22] Sul tema in senso critico v. G. BOZZA, Il sistema delle votazioni nei concordati tra presente e futuro, in www.ristrutturazioniaziendali.it, 2022.