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Le istanze di composizione negoziata. Dati UnionCamere aggiornati al 15 aprile 2024


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Voto e maggioranze nel nuovo concordato in continuità: una prima lettura con diversi punti interrogativi


Francesco Aliprandi, Emanuel Monzeglio e Alessandro Turchi

Data pubblicazione
06 settembre 2022

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Sommario: 1. Introduzione 2. Il voto dei creditori prelatizi incapienti 3. Il voto dei creditori prelatizi dilazionati 4. Le maggioranze per l’approvazione del concordato: la formazione delle classi 5. Le maggioranze per l’approvazione del concordato: i diversi e graduati meccanismi di “salvataggio” 6. Uno sguardo al trattamento dei crediti tributari e contributivi. 7. Conclusioni


1.        Introduzione

L’entrata in vigore del D. Lgs 12 gennaio 2019, n. 14, noto come Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (di seguito per brevità “CCII”), destinato a riformare l'intera disciplina della crisi d'impresa e delle procedure concorsuali ad eccezione dell’amministrazione straordinaria, è stata oggetto di diversi differimenti alla luce degli effetti prolungati della pandemia da Covid-19. Originariamente prevista per il 14 agosto 2019, è stata spostata prima dal D.L. 23/2020 al 1° settembre 2021, poi al 16 maggio 2022 dal D.L. 118/2021 e, infine al 15 luglio 2022, data nella quale il D.L. 36/2022 ha statuito che la nuova norma entrasse in vigore, nella sua versione completa.

Il concordato preventivo nella sua “variante” in continuità (diretta o indiretta) rappresenta uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza maggiormente rivisitati dalla versione originaria del Codice della crisi e soprattutto dal recente d. lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023 (nota come Direttiva Insolvency)[1]. Quest’ultimo è fortemente intervenuto, partendo proprio dalla rubrica, sull’art. 109 del Codice, che disciplina le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria[2].

Nel nuovo corpus normativo della crisi d’impresa le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria assumono connotati differenti a seconda che si tratti di concordato in continuità, per il quale trova applicazione il comma quinto dell’art. 109, o di concordato liquidatorio, disciplinato invece dal primo comma.

Fermo restando l’interesse prioritario dei creditori seppure declinato come soddisfacimento non inferiore rispetto a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, tale diversità costituisce l’ultimo tassello affinché la continuità aziendale costituisca a tutti gli effetti il nucleo centrale intorno al quale si sviluppa la gestione negoziale della crisi[3].

Nel concordato in continuità aziendale, fortemente incentivato nella nuova disciplina della crisi d’impresa, si punta al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato, ed a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura anche non prevalente dal ricavato (o meglio, dai flussi) dei proventi[4] che derivano dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale diretta o indiretta. Continuità aziendale che nel Codice della crisi non è più finalizzata al miglior soddisfacimento dei creditori previsto nel previgente corpus normativo dall’art. 186 bis della legge fallimentare[5], ma che non può tradursi in uno svantaggio (recte in un pregiudizio) per gli stessi, posto che la proposta deve comunque assicurare un trattamento non deteriore rispetto a quello realizzabile in caso di apertura della liquidazione giudiziale[6].

La tutela dell’interesse dei creditori, che come sopra accennato continua a rappresentare l’interesse prioritario da tutelare, si esplica principalmente attraverso la prestazione del voto, la quale costituisce espressione del consenso rispetto alla proposta concordataria. Sistema della votazione che nel Codice della crisi recentemente entrato in vigore a seguito delle modifiche di recepimento della direttiva unionale, è stato fortemente rivisitato nel concordato in continuità aziendale, introducendo delle novità che evidenziano una forte discontinuità rispetto alla disciplina sia della legge fallimentare che dell’originario d. lgs. n. 14 del 2019.

Stante le novità introdotte dal d. lgs. n. 83/2022 e il ruolo sempre più marginale che assume il concordato con cessione dei beni nell’ambito della disciplina del diritto della crisi d’impresa, il presente elaborato si concentra unicamente sul concordato in continuità aziendale[7], partendo dall’esame delle novità legislative che riguardano il sistema della votazione dei creditori prelatizi incapienti e/o dilazionati per concludere con l’analisi delle nuove maggioranze per l’approvazione della proposta di concordato in continuità aziendale, con uno sguardo al trattamento dei crediti tributari e contributivi.  


2.        Il voto dei creditori prelatizi incapienti

L’art. 84, comma quinto, CCII prevede che “I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente”.

Rispetto alla previgente legge fallimentare, e più specificatamente all’art. 160, secondo comma, l’art. 84 CCII nel circoscrivere la soddisfazione dei creditori prelatizi attraverso il raffronto del credito vantato rispetto alle concrete prospettive di un suo effettivo recupero in sede di riparto della liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, precisa che si tenga conto “del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali”. Si tratta di una precisazione utile ma non essenziale, tenuto conto che, a prescindere dalla previsione normativa, lo stimatore deve procedere al calcolo non del ricavo lordo bensì di quello netto, così come accade nella liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 223 CCII (o analogamente nel fallimento, ai sensi dell’art. 111 ter, l. fall.).

Una novità rilevante è stata introdotta dall’ultimo capoverso del comma quinto dell’art. 84 CCII, secondo cui “La quota residua del credito è trattata come chirografario”.

Da un punto di vista del contenuto della disposizione, il legislatore ha attribuito alla norma un tenore differente rispetto alla legge fallimentare, nella quale, ai sensi dell’art. 127, comma 3, era previsto che in caso di soddisfazione non integrale i creditori prelatizi “sono considerati chirografari per la parte residua del credito”.

Da un punto di vista della collocazione della norma, nel previgente corpus fallimentare la disposizione era contenuta nell’art. 127 che disciplinava il voto nel concordato preventivo. Nel Codice della crisi, invece, la norma è contenuta nell’art. 84, che non disciplina il voto nella procedura concordataria (artt. 107-109 CCII), bensì concerne le finalità della stessa. Da qui, soprattutto in vigenza della legge fallimentare, si pone(va) il dubbio se l’equiparazione esplicasse i suoi effetti solo ai fini del voto[8] o anche da un punto di vista sostanziale quanto al trattamento[9].

A parere di chi scrive, oltre al tenore letterale della nuova disposizione (“sono considerati” nella legge fallimentare e sono trattati nel Codice della crisi), la collocazione topografica della stessa all’interno dell’art. 84 CCII che tratta delle finalità del concordato preventivo e non nell’art. 109 CCII che disciplina invece l’espressione del voto e la formazione delle maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, chiarisce ogni dubbio per cui l’assimilazione della parte incapiente del credito prelatizio ai crediti chirografari esplica i suoi effetti non soltanto ai fini del voto, bensì anche da un punto di vista sostanziale quanto al suo trattamento.

Per quanto concerne le norme sulla votazione, le novità introdotte nel Codice della crisi si muovono nel senso che, se è vero che i creditori prelatizi per la parte incapiente sono equiparati ai chirografari anche ai fini del voto (art. 109, comma quarto, CCII), ciò non esclude che gli stessi possano votare anche per la parte capiente. In particolare, come esaminato più nel dettaglio nelle pagine che seguono, l’unica ipotesi nella quale i creditori privilegiati non sono definiti come “parti interessate” e quindi non sono chiamati all’espressione del voto è rappresentata dal pagamento integrale, nei limiti ovviamente della capienza della garanzia, e in denaro entro centottanta giorni dall’omologazione, ovvero trenta giorni in caso di crediti vantati dai lavoratori dipendenti (crediti assistiti da privilegio di cui all’art. 2751 bis, comma 1, n. 1 del Codice Civile). Se non concorrono queste condizioni i creditori, anche se pagati integralmente, devono essere inseriti in classi separate e hanno diritto di voto per l’intero.

In conclusione, stante l’equiparazione posta dall’art. 109, comma 4, CCII tra i chirografari e i prelatizi incapienti, la parte del credito prelatizio che non trova capienza sui beni oggetto della prelazione, come attestato dal professionista indipendente, è equiparata ai chirografari ai fini del voto e, di conseguenza, entra nel monte crediti per il calcolo delle maggioranze e i titolari del credito possono esprimere il voto alla proposta concordataria.  


3.        Il voto dei creditori prelatizi dilazionati

L’art. 186 bis della legge fallimentare disponeva che “il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, secondo comma, una moratoria sino ad un anno [termine portato fino a due anni con il D.L. n. 118/2021, convertito con la L. n. 147/2021] dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”.

Tralasciando i temi discussi all’indomani della pubblicazione del Codice circa la possibilità di prevedere una moratoria oltre i due anni e il conseguente diritto di voto, sui quali è intervenuta la Cassazione anche recentemente[10], il Codice della crisi ha dapprima fornito delle chiare precisazioni (nella sua originaria versione e in quella a seguito del decreto correttivo e integrativo) e da ultimo ha introdotto dei radicali cambiamenti (a seguito delle modifiche introdotte in recepimento della Direttiva Insolvency).

Nell’originaria versione del Codice della Crisi l’art. 86, rubricato “Moratoria nel concordato in continuità”, prevedeva che il debitore potesse usufruire di una moratoria della durata non superiore a due anni, “salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”[11]. Sulla norma è intervenuto il decreto correttivo e integrativo al Codice (d. lgs. 26 ottobre 2020, n. 147), precisando ulteriormente che la moratoria non potesse eccedere i due anni dall’omologazione. Il d. lgs. n. 83/2022 è nuovamente intervenuto, ma non per fornire delle precisazioni, bensì apportando un cambiamento radicale alla disciplina.

Il nuovo art. 86 dispone che la proposta concordataria in continuità aziendale possa prevedere una moratoria senza limiti di tempo, salvo quanto concerne i diritti dei lavoratori. In particolare, la norma dispone che “Fermo quanto previsto nell’articolo 109, il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Per i creditori assistiti dal privilegio previsto dall’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile può essere prevista una moratoria per il pagamento fino a sei mesi dall’omologazione”.

Tale disposizione, al fine di individuare il diritto di voto spettante ai creditori prelatizi nel nuovo corpus normativo della crisi d’impresa, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 109, comma quinto, CCII nella parte in cui dispone che “I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni”. Con quest’ultima disposizione il legislatore indica a quali condizioni i creditori prelatizi usufruiscono del diritto di voto.

In primo luogo, i creditori prelatizi non sono ammessi al voto se la proposta prevede il pagamento integrale e in denaro; il pagamento integrale in denaro è evidentemente richiesto per la parte (o eventualmente la totalità) del credito che trova capienza sui beni oggetto della garanzia secondo la stima del professionista indipendente incaricato, mentre la parte incapiente è degradata a chirografo e fuoriesce dalla previsione di cui al comma quinto dell’art. 109 CCII.

La novità centrale è rappresentata dalle tempistiche dell’adempimento, per il quale, come sopra accennato, il novellato art. 86 CCII non pone più alcun limite, fatta eccezione per i lavoratori, salve le ipotesi di liquidazione del bene su cui insiste il privilegio.

Se, da un lato, il debitore può proporre un pagamento dilazionato senza alcun limite, dall’altro lato, deve confrontarsi con la norma che disciplina il diritto di voto in tale fattispecie. Infatti, il pagamento a favore del creditore prelatizio deve essere effettuato entro centottanta giorni dall’omologazione, affinché sia considerato come adempimento completo che non faccia scattare il diritto di voto. Il debitore, tuttavia, può proporre un pagamento con dilazione maggiore del semestre, ma il creditore recupera il diritto di voto, a prescindere che venga soddisfatto integralmente o parzialmente.

Per i crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751 bis, comma 1, n. 1 del Codice Civile, il termine di centottanta giorni è ridotto a trenta[12], fermo restando che il novellato art. 86 CCII consente una moratoria nel pagamento degli stessi in massimo sei mesi dall’omologazione. Pertanto, laddove la proposta di concordato in continuità aziendale preveda nei loro confronti il pagamento integrale e in denaro entro trenta giorni dall’omologazione del concordato, i lavoratori non hanno diritto di voto, mentre ove la proposta contempli una dilazione maggiore (comunque nei limiti di sei mesi), gli stessi hanno diritto ad esprimere il voto sulla proposta concordataria.

Altra condizione posta dal legislatore affinché i creditori privilegiati non siano considerati parti interessate è che “la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

In conclusione, si cerca di interpretare le nuove disposizioni sul voto nel concordato in continuità aziendale, ricorrendo alle seguenti casistiche di pagamento nei confronti dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca (per semplicità espositiva si considerano soltanto i crediti diversi da quelli con privilegio di cui all’art. 2751 bis, comma 1, n. 1 del Codice Civile, stante le peculiarità dettate dal legislatore, come sopra esposto):

a)        pagamento integrale (nei limiti della capienza della garanzia) e in denaro entro centottanta giorni: il creditore non è considerato quale parte interessata, ossia incisa dal concordato, e pertanto non ha diritto al voto;

b)        pagamento integrale (nei limiti della capienza della garanzia) non in denaro (es. tramite datio in solutum) entro o oltre centottanta giorni: il pagamento non in denaro, ancorché integrale, porta il creditore tra le parti interessate, acquisendo così il diritto di voto;

c)        pagamento integrale (nei limiti della capienza della garanzia) e in denaro oltre centottanta giorni: il creditore, ancorché la proposta concordataria ne preveda il pagamento integrale e in denaro, è considerato quale parte interessata e pertanto ha diritto al voto per l’intero credito vantato;

d)        pagamento parziale per incapienza con pagamento della parte coperta da garanzia oltre centottanta giorni e in denaro (o anche entro centottanta giorni ma non in denaro): il creditore ha diritto di voto in entrambe per l’intero credito vantato.

In altre parole, si può ritenere che nel nuovo concordato in continuità aziendale i creditori ammessi al voto possono essere i seguenti:

·           creditori chirografari ab origine;

·           creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, che abbiano rinunciato in tutto o in parte al diritto di prelazione, per la parte del credito non coperta da garanzia;

·           i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta prevede la soddisfazione integrale o parziale ma con modalità diverse dal denaro, con diritto di voto per l’intero;

·           creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta prevede la soddisfazione integrale e in denaro oltre centottanta giorni (ovvero trenta giorni per i lavoratori), con diritto di voto per l’intero;

·           creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta prevede la soddisfazione non integrale e con pagamento della parte coperta da garanzia oltre centottanta giorni e in denaro (ovvero trenta giorni per i lavoratori), con diritto di voto per l’intero.

·           creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta prevede la soddisfazione non integrale e con pagamento della parte coperta da garanzia entro centottanta giorni e in denaro (ovvero trenta giorni per i lavoratori), con diritto di voto soltanto per la parte incapiente[13].

Le ipotesi esposte trovano il loro completamento nella (obbligatoria) suddivisione in classi, come esaminato nel seguente paragrafo.  


4.        Le maggioranze per l’approvazione del concordato: la formazione delle classi

Con il d. lgs. n. 83/2022 il legislatore ha sancito definitivamente l’obbligatoria suddivisione in classi dei creditori: l’art. 85, comma terzo, primo periodo, CCII dispone che “Nel concordato in continuità aziendale la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria”. Ne discende che nel concordato in continuità aziendale tutti i creditori ammessi al voto sono assoggettati alla classazione, siano essi chirografari che prelatizi. In realtà, questi ultimi sono considerati parti interessate e quindi ammesse al voto anche per la parte coperta da garanzia se non ricorrono le condizioni di cui al quinto comma dell’art. 109 CCII.

Qualora i creditori prelatizi sono soddisfatti integralmente, nei termini e con le modalità indicate nell’art. 109, comma 5, CCII, di cui si è trattato nel paragrafo precedente, non sono considerati parti interessate, non hanno diritto al voto e non devono quindi essere classati. Tale disposizione, infatti, all’ultimo periodo dispone che “Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta”. Pare, in realtà, che il legislatore volesse fare riferimento non alle condizioni di cui al primo e secondo periodo del comma quinto dell’art. 109 CCII che disciplina, come vedremo nel paragrafo che segue, la formazione delle maggioranze nelle classi, bensì al terzo e quarto periodo: pagamento integrale e in denaro entro centottanta giorni, ovvero trenta giorni in caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751 bis, comma 1, n. 1 del Codice Civile.

Dunque, i creditori chirografari, siano essi tali ex lege sin dall’origine o siano divenuti tali per incapienza, e anche i creditori prelatizi per i quali il piano prevede il pagamento non integrale, o non in denaro, o oltre il limite temporale di centottanta giorni dall’omologazione, sono ammessi al voto e devono essere obbligatoriamente divisi in classi.

Anche qui, riprendendo le casistiche sopra esposte (ad eccezione della prima, poiché il creditore non è parte incisa dal concordato ricorrendo le condizioni di cui all’art. 109, comma quinto, CCII) si cerca di integrarle con l’obbligatoria suddivisione in classi:

a)        pagamento integrale (nei limiti della capienza della garanzia) non in denaro entro o oltre centottanta giorni: il creditore ha diritto di voto per l’intero credito vantato e deve essere inserito in apposita classe;

b)        pagamento integrale (nei limiti della capienza della garanzia) e in denaro oltre centottanta giorni: il creditore ha diritto al voto per l’intero credito vantato e deve essere inserito in apposita classe;

c)        pagamento parziale per incapienza con pagamento della parte coperta da garanzia oltre centottanta giorni (o anche entro centottanta giorni ma non in denaro): il creditore deve essere inserito in classi separate (privilegiata e chirografaria) e ha diritto di voto in entrambe per l’intero credito vantato[14].  


5.        Le maggioranze per l’approvazione del concordato: i diversi e graduati meccanismi di “salvataggio”

Ferma l’obbligatoria formazione delle classi nel concordato in continuità, il novellato comma quinto dell’art. 109 CCII dispone che “Il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”. Ai fini dell’unanimità del voto, il legislatore precisa che “In ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto”. Ne discende che ai fini dell’approvazione della proposta di concordato in continuità aziendale è necessario raggiungere in tutte le classi la maggioranza dei crediti inseriti in ciascuna di esse.

Evidentemente, all’interno di uno scenario normativo che privilegia le soluzioni concordate della crisi che prevedono la continuità aziendale, ferma l’assenza di pregiudizio per i creditori, si tratta di una disposizione che potrebbe pregiudicare l’approvazione della proposta di concordato in continuità.

Conscio della difficoltà di raggiungere la maggioranza in tutte le classi, il legislatore ha introdotto un meccanismo per il quale l’adesione della singola classe (dal quale dipende il consenso unanime richiesto dalla norma) può anche non dipendere dal voto favorevole della maggioranza dei crediti in essa inseriti: in caso di mancato raggiungimento della maggioranza in tutte le classi la proposta è approvata “se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”, così prosegue il primo periodo del quinto comma dell’art. 109 CCII. In virtù di questo meccanismo, che sopperisce la difficoltà di ottenere la maggioranza in tutte le classi richiesta dal primo periodo della disposizione in esame, si ritiene consenziente anche la classe nella quale hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti votanti, purché abbia votato almeno la metà dei crediti della classe medesima.

Non finiscono, tuttavia, qui i meccanismi che potremmo definire “di salvataggio” del concordato in difficoltà in quanto la norma, dopo le previsioni sopra esposte, precisa che “In caso di mancata approvazione si applica l’articolo 112, comma 2”. Per mancata approvazione pare che il legislatore si riferisca alle ipotesi in precedenza esaminate, ossia che non sia stata raggiunta la maggioranza in tutte le classi e che non sia stata ottenuta la maggioranza dei due terzi dei crediti votanti. Qualora nessuna di queste maggioranze sia stata raggiunta, il tribunale, a norma del secondo comma dell’art. 112 CCII, su richiesta del debitore può egualmente omologare il concordato se ricorrono congiuntamente le condizioni indicate dalla norma (c.d. cross class cram down), ossia:

a)        “il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;

b)        il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7;

c)        nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;

d)        la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero al-meno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Tralasciando le nuove regole di distribuzione del patrimonio per le quali si rimanda ad appositi contributi[15], la disposizione di cui alla lett. d) introduce quegli ulteriori meccanismi “di salvataggio” del concordato che fatica a raggiungere le maggioranze.

Se non è stata raggiunta la maggioranza in tutte le classi oppure non è stata ottenuta la maggioranza dei due terzi dei crediti votanti in ciascuna classe, ma la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza di tale maggioranza, da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione (c.d. surplus concordatario), e sono rispettate le disposizioni di cui alle lett. a), b) e c) dell’art. 112, comma 2, CCII, il tribunale può egualmente omologare il concordato.

Anche qui si cerca di interpretare le nuove disposizioni sulle maggioranze per l’approvazione del concordato in continuità aziendale, ripercorrendo alcune casistiche in funzione di quelli che abbiamo definito essere i meccanismi di “salvataggio” del concordato in continuità che fatica a raggiungere le maggioranze “graduate”. In particolare, il concordato può essere (gradualmente) omologato:

a)        a fronte dell’unanimità delle classi, ottenuta in quanto in tutte le classi è stata raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 109, comma 5, prima parte del secondo periodo);

b)        non è stata raggiunta la maggioranza in tutte le classi, ma hanno votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti ammessi in ciascuna classe e la proposta ha ricevuto il voto favorevole di almeno i due terzi dei crediti dei creditori votanti (art. 109, comma 5, seconda parte del secondo periodo);

c)        non è stata raggiunta né la maggioranza di cui al sub a) né di cui al sub b), ma la proposta è stata approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione (art. 109, comma quinto, terzo periodo che richiama l’art. 112, comma 2, con riferimento alla lett. d) prima parte) e ricorrono gli altri requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) del secondo comma dell’art. 112 CCII;

d)        non è stata raggiunta né la maggioranza di cui al sub a) né di cui al sub b) né di cui al sub c), ma la proposta è stata approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione (art. 109, comma quinto, terzo periodo che richiama l’art. 112, comma 2, con riferimento alla lett. d) seconda parte) e ricorrono gli altri requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) del secondo comma dell’art. 112 CCII.  


6.        Uno sguardo al trattamento dei crediti tributari e contributivi

Come noto, nella versione del Codice della crisi entrata in vigore recentemente il trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo è disciplinato dall’art. 88. Il comma 2 bis di tale disposizione disciplina il c.d. cram down fiscale, in base al quale “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria”[16].

Con l’entrata in vigore del Codice della crisi e l’inserimento del predetto comma, il legislatore ha ribadito che i presupposti per l’omologazione forzosa sono i seguenti: (i) la decisività dell’adesione dell’amministrazione finanziaria e (ii) la convenienza del trattamento proposto rispetto a quello che il creditore pubblico otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale.

Detto ciò, il d. lgs. n. 83/2022 ha inserito il seguente incipit al primo comma dell’art. 88 CCII: “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”. Quest’ultimo, come esaminato in precedenza, disciplina il giudizio di omologazione nel concordato in continuità aziendale in caso di una o più classi dissenzienti.

Stante il nuovo incipt della norma, da una prima lettura della nuova disposizione potrebbe desumersi che il trattamento dei debiti erariali disciplinato dall’art. 88 CCII si applichi unicamente al concordato liquidatorio, mentre per il concordato in continuità aziendale troverebbero applicazione esclusivamente le norme recate dall’art. 112 CCII. La medesima interpretazione (frutto di una prima lettura) potrebbe desumersi anche con riferimento alle disposizioni dettate in tema di cram down fiscale di cui al comma 2 bis dell’art. 88 CCII.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale interpretazione risulta contraria rispetto alle note finalità per le quali è stato introdotto il cram down fiscale: se così fosse, infatti, se la proposta concordataria non fosse approvata dalla maggioranza dei crediti a causa della mancata adesione dell’amministrazione finanziaria, applicando unicamente l’art. 112 CCII ed escludendo il comma 2 bis dell’art. 88 CCII al concordato in continuità, l’omologazione risulterebbe preclusa.

Una lettura forse più coerente rispetto alle disposizioni (agevolative) del concordato in continuità contenute nel nuovo CCII e, soprattutto, con la ratio del cram down fiscale è quella di applicare le norme di cui all’art. 112 CCII ad integrazione di quelle di cui all’art. 88 CCII. Da ciò discende che nel concordato in continuità aziendale gli effetti della transazione fiscale si producono se soddisfatti i presupposti di cui all’art. 88 CCII e anche quelli di cui all’art. 112, comma 2, CCII.

Anche qui, in conclusione, si cerca di interpretare le disposizioni ricorrendo alle seguenti casistiche:

a)        mancato voto favorevole di tutte le classi (quindi mancato raggiungimento dell’unanimità di cui all’art. 109, comma 5, prima parte del secondo periodo)[17] e dissenso non determinante da parte dell’amministrazione finanziaria: il cram down fiscale non può trovare applicazione in quanto manca il requisito della decisività, tuttavia, il tribunale può omologare il concordato se la proposta è stata approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione (art. 109, comma quinto, terzo periodo che richiama l’art. 112, comma 2, con riferimento alla lett. d) prima parte)[18] e ricorrono gli altri requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) del secondo comma dell’art. 112 CCII;

b)        mancato voto favorevole di tutte le classi e dissenso determinante da parte dell’amministrazione finanziaria: il tribunale può omologare il concordato soltanto se ricorrono congiuntamente i presupposti per l’applicazione del cram down fiscale di cui al comma 2 bis dell’art. 88 CCII e quelli di cui all’art. 112, comma 2, lett. a), b) e c) CCII.  


7.        Conclusioni

Il concordato rappresenta uno strumento che oggi più che mai, soprattutto a seguito del recente intervento legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023 che ha fortemente inciso, per quanto qui interessa, sulle regole di distribuzione del patrimonio concedendo più flessibilità nella costruzione dei piani e sulla formazione delle maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, può aiutare le imprese nella gestione negoziale della crisi, nella prospettiva della continuità aziendale, sia essa diretta o indiretta.

Le nuove disposizioni introdotte in tema di formazione delle maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria si presentano in forte discontinuità rispetto al passato e richiedono certamente un periodo di tempo necessario per comprenderne l’effettiva portata e potenzialità, stante anche la evidente maggiore complessità tecnica della procedura a seguito dell’ultimo intervento legislativo. La certezza è che tali norme mostrano un altrettanto evidente sostegno alla continuità aziendale, resa molto incerta nell’attuale contesto socio-economico, colpito dalle conseguenze della pandemia e della guerra in corso.    


* Dottore commercialista in Brescia.

* Dottore commercialista in Alessandria.

* Dottore commercialista in Milano.

[1] Per autorevoli e recenti contributi sul tema si v. L. STANGHELLINI, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva", in Ristrutturazioni Aziendali, 21 luglio 2022; S. AMBROSINI, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Ristrutturazioni Aziendali, 17 luglio 2022; V. ZANICHELLI, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in Diritto della crisi, 1° luglio 2022.

[2] Per maggiori approfondimenti sulle modifiche apportate dal d. lgs. n. 83/2022 al concordato preventivo si rimanda a E. RICCIARDIELLO, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in Ristrutturazioni Aziendali, 24 agosto 2022; S. LEUZZI, Appunti sul concordato preventivo ridisegnato, in Diritto della crisi, 5 maggio 2022.

[3] Sul tema v. P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Diritto della crisi, 18 febbraio 2022.

[4] Prima del definitivo recepimento della Direttiva Insolvency v. S. AMBROSINI, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro ‘tabù’ da sfatare nel concordato preventivo che verrà, in Ristrutturazioni Aziendali, 7 marzo 2022, p. 3. L’autore suggerisce l’introduzione di un principio fondato “sull’assunto che nel concordato in continuità aziendale sia possibile soddisfare i creditori dal ricavato della continuità aziendale in misura non necessariamente prevalente rispetto alle ‘altre componenti attive’”, realizzando così “effettivamente il favor legis per la continuità aziendale” (sul punto, v. novellato art. 84, comma 3, CCII).

[5] Va altresì ricordata un’ipotesi di prevalenza dell’interesse generale su quello, particolare, del singolo creditore introdotta, a seguito del d. lgs. n. 83/2022, al comma 5 bis dell’art. 53 CCII. In base a quest’ultimo, “In caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d’appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno”. Tale norma è stata prevista soltanto in sede di reclamo, mentre analoga disposizione non è stata introdotta nel giudizio di omologazione del concordato. 

[6] Sul nuovo concetto di fattibilità del piano di concordato in continuità e trattamento non deteriore si rimanda ad autorevole contributo che offre anche ampi spunti di riflessione S. AMBROSINI, Il nuovo concordato preventivo: fattibilità del piano e criterio di non deteriorità, in G. ACCIARO-A. DANOVI (a cura di), Il concordato preventivo, Collana Nuovo Codice della crisi d’impresa Vol. V, Milano, 2022, in fase di pubblicazione. L’autore parla, tra gli altri, dell’introduzione di un “principio che può essere definito in termini di equivalenza o non deteriorità del trattamento”, che coincide con la “mancanza di effetti pregiudizievoli per i creditori”. V. anche S. AMBROSINI, Brevi appunti sulla nuova ‘sintassi’ del concordato preventivo, in Ristrutturazioni Aziendali, 9 giugno 2022, pp. 4 e ss. Prima del definitivo recepimento della Direttiva Insolvency, sul tema della fattibilità economica come oggetto di diretto scrutinio giudiziale e della sua “rinunciabilità”, v. S. AMBROSINI, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro ‘tabù’ da sfatare nel concordato preventivo che verrà, op. cit., pp. 4-5; l’autore suggerisce che “dal momento che il concetto di manifesta inattitudine del piano al conseguimento dei suoi obiettivi può ormai dirsi, appunto, consolidato, non si vede perché non attingere a esso per soppiantare quello di fattibilità economica, che potrebbe in tal modo essere serenamente abbandonato, senza rimpianti di sorta” (sul punto, v. novellato art. 47, comma 1, CCII)..

[7] Per un approfondimento sulle maggioranze per l’approvazione anche del concordato liquidatorio si rimanda a G. BOZZA, Le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, in Diritto della crisi, 3 agosto 2022.

[8] Così App. Torino, 23 Aprile 2010, in Il Caso.it

[9] Così App. Napoli, 25 Giugno 2014, in Il Caso.it

[10] Cass. 18 giugno 2020, n.11882, in Il Caso.it

[11] Prima del definitivo recepimento della Direttiva Insolvency v. S. AMBROSINI, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro ‘tabù’ da sfatare nel concordato preventivo che verrà, op. cit., pp. 6-7. L’autore, evidenziando la necessità di evitare, per quanto possibile, l’introduzione di “norme di ulteriore favore a beneficio dei creditori privilegiati”, scrive che “è ben vero che il criterio di calcolo per l’attribuzione del diritto di voto dei privilegiati interessati dalla moratoria fino a due anni, ai sensi dell’odierno art. 86, risulta un po’ macchinoso, ma – come segnalavo in altra sede – l’alternativa consisterebbe nel riconoscere il voto in misura pari all’intero credito, con un rimedio verosimilmente peggiore del male” (sul punto, v. novellato art. 86 e art. 109, comma 5, CCII).

[12] Si tenga presente che il termine di trenta giorni dall’omologazione coincide – così ci pare – con il termine dettato dall’art. 51 CCII per l’impugnazione della sentenza di omologazione del concordato. Pertanto, salvo che la proposta non preveda l’ammissione al voto dei lavoratori dipendenti, i pagamenti favore degli stessi dovrebbero avvenire ancor prima dell’esito circa l’intervenuta definitività o meno dell’omologazione. Ciò nella pratica potrebbe costituire una criticità non irrilevante qualora la proposta concordataria si basi sull’apporto di nuove risorse finanziarie o su un’operazione di trasferimento aziendale condizionati alla definitività del provvedimento di omologazione (ipotesi tutt’altro che rara).

[13] Per un autorevole orientamento differente si veda Nota 14.

[14] Di diverso avviso, ossia che in tale evenienza i creditori prelatizi, inseriti in due diverse classi, possono esercitare il diritto di voto per entrambe anche se per quella prelatizia il pagamento viene proposto entro 180 giorni e in denaro, si v. G. BOZZA, op. cit., pp. 34-35. Sul punto, preme precisare che la Relazione Illustrativa allo schema recante modifiche al CCII in attuazione della Direttiva Insolvency, riporta che “In caso di pagamento parziale per incapienza con pagamento della parte coperta dalla garanzia a condizioni diverse da quelle indicate nella norma, essi saranno inseriti in classi distinte (privilegiata e chirografaria) ed eserciteranno il diritto di voto in entrambe”. Si ritiene che la dicitura “a condizioni diverse da quelle indicate nella norma” richiami proprio il termine di centottanta giorni e la modalità in denaro. Ne conseguirebbe che la parte del credito coperta dalla garanzia pagata in denaro entro centottanta giorni non debba essere inserita in apposita classe e non partecipi al voto.

[15] Si v. S. PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni Aziendali, 6 gennaio 2022; G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa, in Diritto della Crisi, 25 febbraio 2022; G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Diritto della Crisi, 6 aprile 2022; G. ACCIARO, A. TURCHI, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ristrutturazioni Aziendali, 16 aprile 2022.

[16] Tra i vari contributi si rimanda a G. ANDREANI, Le nuove norme della legge fallimentare sulla transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. GAMBI, Questioni aperte sul cram down nella transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. CALO’, La transazione fiscale e contributiva in mancanza di adesione da parte dell’Agenzia delle entrate e degli istituti previdenziali, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. GAMBI, Alcune note sul nuovo cram down nella transazione fiscale e contributiva, 13 gennaio 2021, in ilcaso.it; E. DE MITA, Con la nuova transazione al centro l’interesse fiscale, in Norme & Tributi de Il Sole 24 ore, febbraio 2021; G. ANDREANI, F. CESARE, Il voto espressamente negativo come presupposto del cram down fiscale, in www.ilcaso.it, 2 marzo 2021; D. GIUFFRIDA, A. TURCHI, Cram down fiscale e voto negativo dell’amministrazione finanziaria: Tribunale di Forlì, 16 marzo 2021, in ilcaso.it; F. SANTANGELI, Note sul nuovo ruolo del tribunale come giurisdizione di merito nel trattamento dei crediti tributari e contributivi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza ed in più recenti disposizioni legislative, 18 marzo 2021, in ilcaso.it; D. GIUFFRIDA, A. TURCHI, Diniego di transazione fiscale e cram down tra dottrina e giurisprudenza, in Diritto della crisi, maggio 2021; L. GAMBI, Il cram down è applicabile anche al diniego erariale espresso, 17 giugno 2021, in www.ilcaso.it; M. MONTELEONE, S. PACCHI, Il nuovo “cram down” del tribunale nella transazione fiscale, in www.ilcaso.it, febbraio 2021; L. DE BERNARDIN, Brevi note a prima lettura sull’omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari o contributivi, in www.ilcaso.it, 2 gennaio 2021; M. GREGGIO, F. GREGGIO, Much ado about nothing: il cram down fiscale dopo la novella del D.L. 118/21, in www.ilcaso.it, ottobre 2021; G. ACCIARO, A. TURCHI, Il cram down fiscale dopo il D.L. 118/2021 e le prime pronunce di merito, in Diritto della crisi, 16 dicembre 2021; B. RICCIO, Se la falcidia del cram down libera i fideiussori ed i coobbligati solidali nel seno della ristrutturazione del debito, ex art. 182 bis, in Diritto della crisi, 12 luglio 2022.

[17] Oppure mancato raggiungimento in ciascuna classe del voto favorevole dei due terzi dei creditori votanti (quindi mancato raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 109, comma 5, seconda parte del secondo periodo).

[18] Oppure la proposta è stata approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione (art. 109, comma quinto, terzo periodo che richiama l’art. 112, comma 2, con riferimento alla lett. d) seconda parte).