, 29 settembre 2022, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa - 2. L’ambito di applicazione dell’istituto - 3. Il concordato in continuità aziendale - 4. Le offerte concorrenti (cenni) - 5. Le proposte concorrenti - 6. L’obiettivo della disciplina delle proposte concorrenti - 7. La legittimazione dei creditori - 8. E la legittimazione dei soci - 9. I limiti oggettivo / quantitativi alla presentazione delle proposte concorrenti - 10. L’aumento di capitale nelle società - 11. Profili procedimentali anche del voto e il ruolo del commissario - 12. L’esecuzione del piano di concordato – 13. E la revoca dell’organo amministrativo.
1. Premessa
Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, poi convertito in l. 6 agosto, 2015, n. 132 ([1]), aveva, tra le altre cose, ritenuto necessari (e urgenti) interventi rivolti a promuovere la contendibilità delle imprese in concordato preventivo, in modo da incentivare le condotte virtuose dei debitori in difficoltà e favorire esiti efficienti ai tentativi di ristrutturazione ([2]).
La disciplina delle proposte concorrenti ([3]) nel concordato preventivo era contenuta nel capo II del decreto citato, rubricato appunto: «[a]pertura alla concorrenza nel concordato preventivo».
L’intento che si propone il legislatore era (ed è) sicuramente da approvare. L’apertura alla concorrenza del concordato preventivo era allora (nel 2015), come oggi, che si commenta la disciplina entrata in vigore il 15 luglio 2022 ([4]), un’esigenza da soddisfare con la massima attenzione.
E tanto è stato fatto anche confermando nell’impianto del codice della crisi gli istituti delle proposte concorrenti (art. 90 c.c.i.i.), oggetto di questo scritto, e delle offerte concorrenti (art. 91 c.c.i.i.).
2. L’ambito di applicazione dell’istituto
La disciplina delle proposte concorrenti è oggi collocata topograficamente, nel titolo IV, rubricato “strumenti di regolamentazione della crisi”, al capo III, dedicato al concordato preventivo, alla sezione I, dedicata espressamente alle finalità e contenuti del concordato preventivo stesso.
Il concordato preventivo può essere ancora attuato mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma (art. 84 c.c.i.i.).
La disciplina delle proposte trova applicazione con riferimento a tutti i concordati preventivi ivi comprese le procedure di carattere puramente liquidatorio: quelle che hanno necessità di soddisfare i creditori chirografari, e i creditori privilegiati degradati, in misura non inferiore al 20%; e dell’apporto di un quid pluris esterno (art. 84, comma 4°, c.c.i.i.) pari almeno al 10% dell’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda. Un concordato che deve essere ammesso dal tribunale in tutti i casi di non manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati: art. 47, comma 1°, lett. a), c.c.i.i.
La disciplina delle proposte concorrenti non pare invece compatibile con il concordato semplificato incardinato a seguito dell’esito infruttuoso delle trattative condotte durante la composizione negoziata ([5]) di cui oggi all’art. 25 sexies c.c.i.i. per i motivi già evidenziati in passato ([6]). Anche la disciplina del concordato minore (art. 74 ss. c.c.i.i.) non conosce l’istituto delle proposte concorrenti.
Per espressa indicazione normativa la disciplina delle proposte concorrenti (e quella delle offerte concorrenti a cui si farà cenno nel § 4) si applica, invece, anche alla nuova procedura di ristrutturazione denominata “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (artt. 64 bis, 64 ter e 64 quater c.c.i.i.) ovvero a quella procedura, che pare poter essere utilizzata sia per finalità di continuità (diretta o indiretta), sia per finalità liquidatorie ([7]), che consente – è detto in imprecisa sintesi – all’imprenditore che si trovi in stato di crisi o, vera e propria, insolvenza, di prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione degli stessi in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, distribuendo il valore generato dal piano anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle disposizioni che regolano la gradazione delle clausole legittime di prelazione (art. 64 bis, comma 1°, c.c.i.i.); il tutto a condizione che la proposta sia approvata all’unanimità da tutte le classi, nelle quali i creditori devono essere obbligatoriamente divisi ([8]).
3. Il concordato in continuità aziendale
La disciplina delle proposte concorrente sembra però trovare la sua naturale e più efficiente collocazione, anche pratica, non nel concordato liquidatorio, ma nel concordato ([9]) in continuità aziendale ([10]), così come ridisegnato dal recepimento della dir. Insolvency, ovvero dal d. lgs. 17 giugno 2022, n. 83, in vigore dal 15 luglio 2022 ([11]) che ha sicuramente dato maggior enfasi ed importanza alla continuità “di per sé” quale valore da perseguire ([12]).
La continuità aziendale oggi tutela, sì, l’interesse dei creditori ma preserva anche, nella misura possibile, i posti di lavoro (art. 84, comma 2°, c.c.i.i.); i creditori vengono soddisfatti, in misura anche non prevalente, dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta; la proposta di concordato prevede per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata, ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa (nel caso di continuità indiretta).
La continuità aziendale sembra transitata dall’essere funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori ad un vero e proprio obiettivo autonomo del concordato in continuità, ove si consideri che, in sede di ammissione, il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta solo nel caso in cui il «piano [sia] manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali»: art. 47, comma 1°, lett. b), c.c.i.i. ([13]).
Si noti ancora che oggi l’art. 53, comma 5 bis, c.c.i.i. dispone che in caso di accoglimento del reclamo, proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo, se in continuità aziendale, la corte d’appello, su richiesta delle parti, può, in ogni caso, confermare la sentenza di omologazione, se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo - il cui reclamo ovviamente si presuppone, quindi, fondato - il diritto al risarcimento del danno ove si ritenga che debba prevalere l’interesse ad una regolamentazione efficiente della crisi e quindi sia preferibile la stabilità del provvedimento di omologazione rispetto, ovviamente, ad una sua rimozione ([14]); il tutto con meccanismo che ricorda - mutatis mutandis - quello adottato dalla riforma del diritto societario con riferimento all’impugnazione delle delibere assembleari (art. 2377, comma 4°, c.c.), ove la rinuncia dell’ordinamento ad offrire tutela specifica è compensata dal diritto al risarcimento del danno (peraltro difficile da quantificare).
Si noti anche che il reclamo si inserisce già in una situazione particolarmente favorevole perché il tribunale, in caso appunto di continuità, omologa il concordato, se tutte le classi hanno votato favorevolmente, verificando solo che «il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza», e non la crisi: art. 112, comma 1°, lett. f), c.c.i.i.
Per essere ancora più chiari è, allo stato dell’evoluzione normativa, ipotizzabile che la continuità sia diventata, come nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, un valore / fine (e quindi non sia più solo funzionale al c.d. “miglior soddisfacimento dei creditori”, ma sia diventata un valore “di per sé”) ([15]).
Non vale a scalfire questa impostazione del ragionamento la disciplina del voto. Se è vero che il concordato in continuità aziendale deve essere votato da tutte le classi (art. 109, comma 5°, c.c.i.i.), classi che in questo tipo di concordato sono obbligatorie (art. 85, comma 3°, c.c.i.i.), la severità di questa impostazione è subito temperata dal fatto che all’interno di ogni classe il principio di maggioranza è declinato in modo peculiare: in ciascuna classe infatti la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto, oppure, in difetto, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato quelli titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.
Non solo: se manca l’unanimità delle classi si può passare ugualmente alla fase dell’omologa, su richiesta del debitore, o con il suo consenso in caso di proposte concorrenti, se, tra l’altro, la proposta è stata approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione: art. 112, comma 2°, lett. d).
Non solo: il concordato in continuità aziendale può essere approvato - sempre ai sensi della medesima disposizione - da parte di una minoranza delle classi, purché vi sia il voto favorevole almeno di una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello della liquidazione ([16]).
Si tenga presente anche che le proposte concorrenti non necessariamente garantiscono il miglior soddisfacimento dei creditori, quantomeno sotto il profilo quantitativo; la contendibilità dell’impresa non ha - in caso di proposte concorrenti - come risultato necessario il maggior soddisfacimento del ceto creditorio, perché la proposta concorrente che prevale è quella che riceve più voti, e non necessariamente quella che paga “di più" i creditori.
La proposta concorrente si pone in competizione con la proposta del debitore - lo si vedrà meglio nel seguito - ma in modo molto diverso dall’offerta concorrente che invece è destinata, quest’ultima sì, ad incrementare (necessariamente) la soddisfazione del ceto creditorio.
4. Le offerte concorrenti (cenni)
La disciplina delle offerte concorrenti è rivolta a trovare un contemperamento tra la libertà del debitore di formulare il piano di risanamento a suo piacimento e quella dei creditori che hanno interesse ad evitare che vengano predisposti piani di risanamento chiusi, tramite pacchetti c.d. “preconfezionati”; anche questo istituto è rivolto, lo si è detto, ad aumentare la concorrenza nel concordato.
Le offerte concorrenti sono oggi descritte dall’art. 91, comma 1°, c.c.i.i. - con formula analoga all’art. 163 bis, comma 1°, l. fall. (anche se la nuova disciplina è molto più ricca nel descrivere la procedimentalizzazione dell’istituto) - che dispone che «[i]l tribunale, o il giudice da esso delegato, esclusivamente quando il piano di concordato comprende un’offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato e avente ad oggetto il trasferimento a suo favore, anche prima dell’omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell’azienda o di specifici beni, dispone che dell’offerta stessa sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti». La medesima disciplina si applica in caso di affitto di azienda e anche quando prima della procedura il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo di azienda o di specifici beni aziendali (art. 90, comma 2°, c.c.i.i.) e quindi ovviamente anche un contratto preliminare.
La disciplina delle offerte concorrenti si applica anche nella fase c.d. “in bianco di accesso” ad uno strumento di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza (art. 44, comma 1°, c.c.i.i.) ([17]).
Più in generale, da un punto di vista sistematico e logico, l’istituto delle offerte concorrenti si differenzia da quello delle proposte concorrenti per il fatto che la disciplina delle offerte concorrenti incide sulla proposta del debitore che, infatti, deve poi essere modificata unitamente al piano in conformità dell’esito della gara (art. 91, comma 9°, c.c.i.i.). Le offerte concorrenti riguardano, nella sostanza, dei beni o complesso di beni (l’azienda prima di tutti) da acquistare dalla procedura, non la procedura in sé.
Le proposte concorrenti, per contro, sono proposte - vuoi che siano fatte dai creditori, vuoi che siano fatte dai soci - alternative a quelle del debitore che tendono quindi a sostituirsi a quella del debitore, prevalendo sulla stessa all’esito del procedimento di votazione. Si tratta della possibilità per i creditori, e per i soci, di fare proposte di concordato preventivo che si sovrappongono a quella già presentata dal debitore stesso e con esso non sono compatibili. Le proposte concorrenti riguardano l’intera proposta di concordato (sia con riferimento all’attivo, sia con riferimento al passivo).
Ancora si può dire che - seppur in modo diverso - sia le offerte, sia le proposte concorrenti aumentano la complessità del procedimento di concordato e, tendenzialmente, ne allungano i tempi.
5. Le proposte concorrenti
Come si è accennato nella premessa, il codice della crisi si pone in una linea di continuità con la disciplina precedente confermando la possibilità di presentazione di proposte alternative a quella del debitore, al fine - lo si vedrà meglio in seguito nel § 6 - di consentire la contendibilità dell’impresa e stimolare la concorrenza nell’interesse del ceto creditorio, oltre che lo sviluppo del mercato dei crediti concorsuali ([18]), e, oggi a seguito dell’introduzione della legittimazione dei soci (art. 120 bis, comma 5°, c.c.i.i.), forse anche del mercato delle partecipazioni delle società soggette a concordato (o che sono in procinto di fare accesso al concordato); gli effetti sulla circolazione delle partecipazioni sociali delle società in crisi della norma appena citata potranno essere verificati solo con lo trascorrere del tempo.
Il legislatore non prevede quindi la possibilità per i creditori, e per i soci, di presentare una domanda autonoma di concordato preventivo, magari in bianco (art. 44, comma 1°, c.c.i.i.), prima che lo abbia fatto il debitore in crisi, “provocandolo” ad affrontare la crisi o invitandolo a dimostrare di non essere, appunto, in crisi; “provocandolo” a depositare una domanda di concordato completa ovvero costringendolo a dimostrare che non ce n’è bisogno e che non c’è neppure bisogno di altro strumento di risoluzione della crisi, come la composizione negoziata. Non introduce quindi un meccanismo analogo a quello previsto nella liquidazione giudiziale, ma si limita a permettere, e solo a determinate condizioni, a fare proposte di concordato preventivo che si sostituiscono a quella già depositata dal debitore.
Il meccanismo è solo analogo a quello previsto nel concordato nella liquidazione giudiziale (art. 240 c.c.i.i); ma in quest’ultimo istituto la situazione è ben diversa da quella in esame. Il concordato nella liquidazione giudiziale interviene solo a liquidazione giudiziale già aperta e quindi in una situazione di esproprio del patrimonio del debitore già avvenuta.
La possibilità che, quando l’impresa non si trovi semplicemente in crisi, ma versi proprio in stato di insolvenza, la procedura di concordato preventivo possa essere promossa da terzi era invece contenuta nel disegno di legge delega ([19]) messa a punto dalla c.d. “Commissione Rordorf”, ove all’art. 6, comma 1°, lett. a), si prevedeva la legittimazione del terzo a promuovere il procedimento nei confronti del debitore «che versi in stato di insolvenza, nel rispetto del principio del contraddittorio e con l’adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore, in caso di successivo inadempimento del terzo» ([20]).
La scelta del legislatore del 2022 è stata invece quella di lasciare che sia il solo debitore l’unico soggetto titolare del potere di rivolgersi alla strada concordataria; e solo ove lui imbocchi questa via si apra la possibilità per i creditori e, per i soci, di presentare eventuali loro proposte.
La disciplina delle proposte concorrenti è uno dei tanti tasselli inseriti nell’ordinamento concorsuale degli ultimi anni rivolti all’emersione anticipata della crisi: la possibilità di presentare proposte concorrenti per le domande di concordato che non assicurino il pagamento del 30% del chirografo, o del 20% nel caso in cui il debitore abbia utilmente avviato la composizione negoziata (art. 90, comma 5°, c.c.i.i.), dovrebbe rappresentare un incentivo per il debitore a fare emergere la propria crisi; incentivo peraltro oggi meno pressate rispetto alla previsione di cui all’art. 163, comma 4°, l. fall. che prevedeva come percentuale quella del 40% (e che ovviamente non derogava per il caso di composizione negoziata).
Una dottrina ([21]) ha – prima dell’entrata in vigore del codice della crisi – classificato, in modo ancora attuale, le proposte concorrenti in tre tipi: (a) originali; (b) derivate e (c) parassitarie.
(a) Originale è quella proposta che «per il reperimento della provvista concordataria si affida ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore» e che prevede un esito del concordato del tutto difforme rispetto a quello del debitore; è proposta che ha bisogno dell’attestazione (art. 87, comma 3°, c.c.i.i.); (b) derivata è quella che trae origine dalla proposta e dal piano del debitore e dalle verifiche del commissario; e ha bisogno di attestazione ([22]) solo per gli aspetti “eccentrici” rispetto alla proposta del debitore; è da ritenere che l’attestazione possa essere omessa se, per esempio, si assicura, e si mette a disposizione, semplicemente una somma di denaro per aumentare sic e simpliciter il pagamento della percentuale concordataria anche solo di alcune classi; (c) parassitaria è quella proposta che adotta il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario e che si pone in competizione con il debitore stesso facendo valere la diversa qualità del soggetto che la propone (creditori o soci); è proposta che non ha bisogno di autonoma attestazione e quindi anche per questo con costi di presentazione molto bassi. Si pensi ad altro imprenditore del medesimo settore che sia più benvoluto perché maggiormente “solido” e conosciuto, lo si dice a titolo di solo esempio, per eseguire i pagamenti con regolarità.
L’attestazione dell’esperto, in caso di proposte concorrenti, non deve normalmente comprendere l’attestazione sulla veridicità dei dati aziendali (a meno che il “proponente concorrente” non abbia una diversa “opinione” in tema), perché detta verifica è già oggetto di asseverazione del debitore.
Va altresì detto che il legislatore non pone limiti al numero delle proposte concorrenti che possono essere presentate e non è escluso che diversi creditori e / o soci decidano di depositare una proposta.
Ancora le proposte concorrenti possono differenziarsi tra loro ed essere diverse da quella del debitore: una proposta (e un piano) di concordato in continuità può competere con una proposta (e un piano) liquidatori, e così via.
6. L’obiettivo della disciplina delle proposte concorrenti
L’obiettivo dichiarato dal legislatore con riferimento alle proposte concorrenti – come dice la relazione alla legge di conversione del d.l. n. 83 del 2015 – è quello «di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a disposizione dei creditori concordatari [stessi] una proposta ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore».
Sempre dal medesimo documento si ricava che gli obiettivi che l’istituto vuole raggiungere sono anche: a) quello di «offrire ai creditori strumenti per impedire che il debitore presenti proposte che non rispecchiano il reale valore dell’azienda (appropriandosi, così, integralmente del surplus di ristrutturazione, ossia del maggior valore creato dalla riorganizzazione rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare), anche quando ai creditori non sia offerta l’integrale soddisfazione dei loro crediti, benché riscadenzati»; e b) quello di creare i presupposti perché si formi un mercato dei distressed debt (già da tempo sviluppatosi in altri Paesi tra cui in particolare gli Stati Uniti d’America). Eventuali investitori interessati a compiere un’operazione di acquisto e risanamento dell’impresa per poter presentare una proposta alternativa devono comprare crediti per un valore pari almeno al 10%. E se l’investitore vuole assicurarsi il successo della proposta la percentuale dei crediti deve essere tendenzialmente molto maggiore; nonché c) quello di consentire ai creditori, o ovviamente ad altri imprenditori che acquistino crediti vero l’impresa in crisi, di presentare al ceto creditorio proposte alternative qualora ritengano di poter gestire meglio l’attività e siano disponibili ad immettere nuovi capitali.
Va notato come le medesime finalità
vengono confermate anche nella Relazione illustrativa al codice della
crisi che precisa come la disposizione relativa alle proposte concorrenti, si
pone in una ideale «linea di continuità rispetto alle modifiche alla l. fall.
introdotte con il decreto-legge n. 83 del 2015»; conferma la possibilità di
presentazione di proposte alternative a quella presentata dal debitore,
consentendo così, da un lato, la contendibilità dell’impresa e quindi
stimolando la concorrenza nell’interesse del ceto creditorio e, dall’altro, «lo
sviluppo di
un mercato dei crediti concorsuali tra coloro che intendono liquidare
immediatamente la posizione creditoria e i soggetti interessati a valutare le
opportunità offerte dalla possibilità di acquisizione dell’impresa».
7. La legittimazione dei creditori
Si è già detto che oggi le proposte concorrenti possono essere presentate anche dai soci che rappresentino il dieci per cento del capitale sociale (art. 120 bis, comma 5°, c.c.i.i.) ([23]); la legittimazione dei soci si aggiunge a quella dei creditori prevista dall’art. 90, comma 1°, c.c.i.i.
Il primo comma della norma prevede infatti che colui o coloro che, anche per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato, rappresentano almeno il 10 % dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore, possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo, e il relativo piano, non oltre trenta giorni prima della data iniziale stabilita per la votazione dei creditori.
Nella relazione al codice della crisi, sempre sub art. 90, si legge che «[s]ono legittimati alla presentazione della proposta concorrente e del relativo piano […] coloro che, anche se per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato, rappresentino almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale»; anche da questo passaggio sembra trarsi la conferma del superamento definitivo dell’opinione, già non condivisibile con riferimento alla legge fallimentare, secondo la quale legittimati alla proposizione della proposta concorrente sarebbero solo i creditori che detenevano le percentuali di crediti richieste dalla legge prima della presentazione della domanda di concordato.
Anche oggi si può quindi continuare a sostenere che gli acquisti di crediti che portano alla percentuale richiesta sono anche quelli successivi al deposito della domanda da parte del debitore ([24]).
8. E la legittimazione dei soci
L’art. 120 bis c.c.i.i. introduce una disposizione importante rivolta principalmente a caratterizzare la risoluzione della crisi d’impresa a principi di natura manageriale: «[l]’accesso a uno strumento di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano». Prevede poi, al secondo comma, che - perché il potere degli amministratori non sia contrastato da comportamenti ostruzionistici dei soci ([25]) - gli amministratori possano prevedere nel piano di ristrutturazione qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni del capitale anche con limitazione o riduzione del diritto di opzione e altre limitazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci ([26]), nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.
In questo contesto si inserisce la disposizione secondo la quale i soci ([27]), che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale, sono legittimati alla presentazione di proposte concorrenti, con la precisazione che la proposta debba essere sottoscritta da ciascun socio proponente.
È un diritto dei soci che va ascritto tra quelli che competono agli stessi - normalmente ai soci di minoranza - solo se possiedono una determinata percentuale del capitale sociale; limitando il discorso alla s.p.a. tali sono, nel diritto societario, a titolo di esempio, e senza pretesa di completezza: il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea (art. 2367 c.c.), il diritto di denuncia al collegio sindacale (art. 2408, comma 2°, c.c.); il diritto di cui all’art. 2409 c.c. e il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari invalide (art. 2373, comma 3°, c.c.).
Con riferimento ai soci - e tornando ovviamente alla disciplina delle proposte concorrenti - è da chiedersi, in primo luogo, quale sia la ragione della previsione che dispone che la domanda di concordato contenente la proposta concorrente debba essere sottoscritta da ciascun socio proponente ([28]); da un primo esame sembrerebbe che non sia sufficiente che i soci - tutti i soci - deleghino un difensore a presentare la proposta concorrente, ma sia necessaria una loro sottoscrizione di natura “sostanziale” e non solo “processuale” dell’atto.
Altro tema è se legittimanti siano anche i soci per acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato, anche in bianco (art. 44 c.c.i.i.), o siano legittimati solo coloro che erano soci in un momento precedente al deposito della domanda stessa. Il quesito nasce ovviamente dal testo della norma che prevede la legittimazione dei soci, che è diverso da quello che prevede la legittimazione dei creditori.
Considerazioni di ordine sistematico - le proposte concorrenti sono rivolte ad aumentare la competitività nel concordato preventivo (e quindi anche a permettere che presentino proposte concorrenti il maggior numero di soggetti possibili) - fanno ritenere preferibile la soluzione più permissiva e cioè che possano presentare proposte concorrenti anche i soci che tali siano diventati in un momento successivo al deposito della domanda (anche in bianco). Il che ha - oltretutto - l’ulteriore effetto virtuoso, lo si è già accennato, di agevolare il mercato delle partecipazioni delle società in crisi che potrebbero essere trasferite in quanto la loro titolarità permette, anche a chi non è creditore o non riesce a diventare creditore a prezzi convenienti, di presentare proposte concorrenti.
Inoltre è da chiedersi se, anche per i soci, valga la limitazione di cui di cui all’art. 90, comma 5°, c.c.i.i.; ovvero se gli stessi, come i creditori, possano presentare la proposta concorrente solo nel caso in cui la domanda principale non preveda il pagamento di oltre il 30% del ceto chirografario o del 20% nel caso in cui sia stato utilmente avviato il percorso della composizione negoziata di cui all’art. 13 c.c.i.i.; la soluzione positiva sembra preferibile perché non vi sono nella disciplina procedimentale delle proposte concorrenti espresse differenze tra il caso in cui la proposta venga presentata dai creditori e quello in cui venga presentata dai soci.
9. I limiti oggettivo / quantitativi alla presentazione delle proposte concorrenti
Si è già detto che le proposte concorrenti sono sottoposte non solo al limite dei soggetti che possono presentarle (creditori e soci), ma anche ad una serie di limiti oggettivi, se è consentita l’espressione, di carattere quantitativo, che di seguito si provano a riordinare:
a) sono ammissibili proposte di concordato concorrenti o alternative, quando la proposta di concordato del debitore non assicura il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il 30 % dell’ammontare dei crediti chirografari; detta percentuale degrada al 20 % nel caso in cui il debitore abbia utilmente avviato la composizione assistita della crisi ai sensi dell’art. 24 c.c.i.i.; la prima previsione ha quale evidente scopo anche quello di sanzionare proposte di concordato del debitore non appetibili; quella relativa alla composizione negoziata invece è uno dei vari sistemi per promuovere quest’ultimo istituto;
b) la proposta concorrente può essere presentata da uno o più creditori che lo siano diventati anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato completa; la percentuale posseduta dai creditori, che presentano la proposta alternativa, deve rappresentare «almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale» allegata alla domanda di concordato; ai fini del computo del 10% «non si considerano i crediti della società che controlla la società debitrice, della società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo», tanto ovviamente per evitare che la percentuale indicata si traduca, nella realtà delle singole fattispecie, in un ostacolo troppo alto da superare; la proposta concorrente non può essere presentata dal debitore, neppure per interposta persona, dal coniuge, dalla parte di una unione civile tra persone dello stesso sesso o dal convivente di fatto del debitore, da parenti e affini entro il quarto grado e da parti correlate;
c) la proposta concorrente può essere presentata da soci che rappresentano 10% del capitale sociale (anche qui è da ritenere - come si è detto - che la percentuale necessaria possa essere raggiunta tramite acquisti successivi al deposito della domanda del debitore); la soglia del 10% sia con riferimento ai creditori, sia con riferimento ai soci è un sistema con il quale il legislatore vuole anche evitare proposte presentate da soggetti che intendono solo “disturbare” lo svolgimento della procedura.
10. L’aumento di capitale nelle società
La proposta di concordato concorrente può prevedere l’intervento di terzi; ai sensi dell’art. 90, comma 6°, c.c.i.i., se il debitore ha la forma di s.p.a. o s.r.l., la proposta concorrente «può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto di opzione».
Sotto il profilo sistematico nella disciplina dell’aumento di capitale reale, quello con il quale la società intende procurarsi nuovi mezzi finanziari, a titolo di capitale di rischio, ovvero nuovi conferimenti, è quindi confermata una causa di esclusione (o limitazione) del diritto di opzione già prevista dall’art. 163, comma 5°, l. fall. che si aggiunge: a) all’esclusione del diritto di opzione per il caso in cui le azioni debbano essere liberate mediante conferimenti in natura; b) alla limitazione od esclusione «quando l’interesse della società lo esige» (art. 2441, comma 5°, c.c.); c) all’esclusione statutaria in caso di società quotate (art. 2441, comma 4°, c.c.); d) dell’esclusione nel caso in cui le azioni debbano essere sottoscritte da dipendenti ([29]).
Si è osservato, ma prima della recente riforma, in senso contrario a quanto sopra affermato nel testo, che il richiamo all’esclusione del diritto di opzione di cui all’art. 163, comma 5°, l. fall., e oggi di cui all’art. 90, comma 6°, c.c.i.i. non comporterebbe alcuna deroga - recte integrazione - alle disposizioni del codice civile e quindi che l’esclusione (o la limitazione del diritto di opzione sarebbe anche in caso di proposte concorrenti soggetta alle regole del codice (e non si aggiungerebbe alle stesse) ([30]); l’osservazione non convince perché toglie qualsiasi significato alla norma che sarebbe, se così interpretata, inutile (sia nella versione contenuta nella legge fallimentare, sia in quella poi recepita nel codice della crisi).
11. Profili procedimentali anche del voto e ruolo del commissario
a) Nei trenta giorni antecedenti la data iniziale stabilita per il voto è possibile presentare proposte concorrenti;
b) secondo i principi generali, che non vengono derogati, qualora la proposta concorrente preveda diverse classi di creditori, prima di essere comunicata ai creditori stessi, «deve essere sottoposta al giudizio del tribunale che verifica la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi» (art. 90, comma 7°, c.c.i.i.); si deve però ritenere che il tribunale sulla proposta concorrente abbia gli stessi poteri che ha sulla proposta del debitore non avendo senso ipotizzare che possa essere sottoposta al voto una proposta con aspetti di illegittimità solo perché concorrente;
c) i creditori che propongono il concordato ovvero le società da questi controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1°, c.c., possono votare soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe (art. 109, comma 7°, c.c.i.i.); disposizione che pare una deroga a quanto dice l’ultima parte del comma precedente dove dispone che, in linea generale, «sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze (tutti) i creditori in conflitto di interessi»;
d) tutte le proposte di concordato possono essere modificate fino a venti giorni prima della votazione (art. 90, comma 8°, c.c.i.i.).
Ovviamente la disciplina delle proposte concorrenti non può non occuparsi anche della disciplina dedicata all’organo che ha funzioni di vigilanza ([31]):
a) il commissario giudiziale è tenuto a fornire ai creditori che ne fanno richiesta «le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso»; il tutto valutata la congruità della richiesta medesima e previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza (art. 92, comma 3°, c.c.i.i. e precedentemente art. 165 l. fall.) ([32]). Sarebbe stato più logico che la valutazione sulla congruità / serietà della richiesta dei documenti non fosse rimessa al commissario, ma, previo suo parere, al vaglio dell’autorità giudiziaria; tanto valeva per la disposizione della legge fallimentare così come per quella nuova;
b) l’art. 92, comma 3°, c.c.i.i. impone al commissario obblighi solo nei confronti dei creditori, ma in modo analogo si deve opinare che esistano obblighi nei confronti dei soci che intendano presentare proposta concorrente ai sensi dell’art. 120 bis, comma 5°, c.c.i.i. che quindi si trovano nella condizione di avere due fonti di informazioni: quella di cui al terzo comma della medesima norma e quella del commissario; il che ovviamente pone i soci, quantomeno teoricamente, in una condizione di vantaggio, non facilmente giustificabile, rispetto ai creditori;
c) nel caso in cui vengano depositate proposte concorrenti, nel termine di trenta giorni anteriori all’adunanza, il commissario riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e da comunicare ai creditori (a mezzo posta elettronica certificata: art. 104, comma 2°, c.c.i.i.) entro quindici giorni prima della data fissata per il voto (art. 105, comma 3°, c.c.i.i.); copia della relazione integrativa è trasmessa anche al pubblico ministero;
d) la relazione integrativa del commissario – sulle proposte concorrenti - «contiene [.] la comparazione tra tutte le proposte depositate» (art. 105, comma 4°, c.c.i.i.) ([33]).
Il fatto che il commissario debba depositare la sua relazione “generale” quarantacinque giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori (art. 105, comma 1°, c.c.i.i.) è ovviamente funzionale anche alla possibilità per i creditori e per i soci di presentare una proposta alternativa (avvalendosi pure della relazione del commissario); tanto perché in caso di presentazione di proposte alternative non è previsto lo slittamento del voto.
Con riferimento al voto nel concordato preventivo la disciplina è tutta rimodellata in considerazione del fatto che oggi il voto è espresso con modalità telematiche (art. 107, comma 1°, c.c.i.i.), non è più prevista l’adunanza dei creditori (tutto avviene mediante la trasmissione ai vari attori del procedimento di atti e documenti):
a) fino a dieci giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il debitore, e coloro che hanno formulato proposte alternative, possono formulare osservazioni e contestazioni a mezzo posta elettronica certificata indirizzata al commissario giudiziale (art. 170, comma 4°, c.c.i.i.);
b) ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti (art. 107, comma 4°, c.c.i.i.);
c) il debitore «può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o fattibili le eventuali proposte concorrenti».
Le varie proposte di concordato sono sottoposte al voto seguendo l’ordine temporale del loro deposito, e quindi ovviamente si inizierà sempre dalla proposta del debitore. È ovvio che la presentazione di più proposte non può che portare ad una dispersione dei voti (o dei “non voti”); anche secondo la nuova disciplina: a) quando sono poste al voto più proposte di concordato si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; b) in caso di parità, prevale quella del debitore; c) in caso di parità fra proposte di creditori quella presentata prima; d) quando nessuna delle proposte concorrenti (e quindi non quella del debitore) sia stata approvata con le maggioranze di cui sopra, il giudice delegato (entro 30 giorni dal deposito in cancelleria della relazione sulla prima dichiarazione di voto) rimette al nuovo voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto.
Nel caso di proposte concorrenti le classi di creditori sono praticamente inevitabili, anche perché i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in apposita classe.
Il voto dei creditori si basa ancor oggi sulla regola del c.d. silenzio dissenso, a differenza di quello dei soci che, per contro, sulla regola del c.d. silenzio assenso (art. 120 ter, comma 3°, c.c.i.i.).
12. L’esecuzione del piano di concordato
Il problema dell’esecuzione del piano di concordato è l’ultimo tema del quale è opportuno occuparsi e va tenuto presente che si tratta dell’esecuzione materiale di un piano di concordato diverso da quello predisposto dal debitore e che detto piano, alternativo, del creditore/i o del socio/i che sia, è molto probabile non sia gradito al debitore stesso che, quindi, potrebbe mettere in atto condotte ostruzionistiche.
L’art. 118, comma 3°, c.c.i.i. prevede che «[i]l debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata e omologata»; ovvia la necessità di interpretare la norma anche con riferimento alla proposta concorrente presentata dai soci perché non avrebbe alcun senso immaginare che la proposta di concordato presentata dai soci non possa godere della disciplina descritta nel seguito.
Qualora il debitore non adempia a tale obbligo spontaneamente, il tribunale, su istanza del commissario giudiziale e - sentito il debitore - «può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti».
Parimenti «[i]l soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori può denunciare al tribunale i ritardi e le omissioni da parte del debitore» stesso. Ancora una volta il tribunale potrà attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere, in luogo del debitore, al compimento degli atti a questo richiesti: in caso di trasferimento di beni, il commissario può richiedere al tribunale provvedimento di cancellazione delle formalità iscritte (art. 118, comma 7°, c.c.i.i.) e, in deroga all’art. 2560 c.c. l’acquirente o il cessionario dell’azienda non rispondono dei debiti pregressi (salva diversa previsione del piano concordatario: art. 118, comma 8°, c.c.i.i.).
Il commissario giudiziale quindi si “trasforma” in determinate occasioni da organo di vigilanza ad organo “con funzioni gestorie”; ai suoi “tradizionali” doveri / poteri di vigilanza, di informazione, di consulenza, di impulso (si pensi alla possibilità di richiedere la risoluzione e l’annullamento del concordato: art. 119 e 120 c.c.i.); viene confermata anche dal codice della crisi l’aggiunta (per il commissario) di compiti di “amministrazione attiva”.
La scelta del legislatore del 2015 ([34]), poi confermata dal codice della crisi, non è nuova perché già nell’amministrazione controllata l’art. 191 l. fall. consentiva al tribunale di «affidare al commissario giudiziale in tutto o in parte la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni del debitore, determinandone i poteri»; analoga gestione commissariale è ancora prevista dall’art. 19 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, nella c.d. “fase di osservazione” dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ([35]).
13. E la revoca dell’organo amministrativo
Il coinvolgimento del commissario giudiziale può avvenire - lo si è detto - a seguito di denuncia al tribunale, presentata dal soggetto che si sente pregiudicato, dei ritardi ed omissioni da parte del debitore con la quale si chiede all’autorità giudiziaria di attribuire al commissario i poteri di cui si è detto sopra.
Il medesimo soggetto può chiedere anche al tribunale di revocare l’organo amministrativo, se si tratta di società, nominando un amministratore giudiziale ([36]). Nonostante il tenore letterale della norma (art. 118, comma 5°, c.c.i.i.) non pare corretto ritenere che quest’ultima istanza sia alternativa a quella di attribuzione dei poteri al commissario essendo ben possibile che entrambi i provvedimenti in determinate situazioni siano, contestualmente, utili all’esecuzione del piano di concordato ([37]): si pensi, ad esempio, ad un concordato c.d. misto in cui possa essere utile per il “settore liquidatorio” l’attribuzione di compiti al commissario e per il “settore della continuità” la revoca dell’organo amministrativo.
A seguito dell’istanza, il tribunale – accogliendo la domanda e dopo aver sentito il debitore ed il commissario giudiziale (art. 118, comma 6°, c.c.i.i.) - può nominare un amministratore giudiziario, stabilendo la durata dell’incarico e i poteri che gli vengono attribuiti, ivi inclusi se la proposta «prevede un aumento di capitale sociale della società debitrice o altre deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci, la convocazione dell’assemblea avente ad oggetto tali deliberazioni e l’esercizio del diritto di voto nelle stesse per le azioni o quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza» ([38]).
Si noti come l’art. 118, comma 6°, c.c.i.i., nella sua ultima versione, permetta al tribunale di dotare l’amministratore giudiziario del potere di convocare l’assemblea dei soci a qualsiasi scopo.
L’art. 118, comma 5°, ultima parte, c.c.i.i. - già prima del recepimento della dir. Insolvency - prevedeva la salvezza dei diritti di informazione (è da ritenere in sede assembleare) e di voto dei soci di minoranza; con disposizione, che pare molto diversa dal contenuto dell’art. 118, comma 5°, c.c.i.i., l’art. 120 bis, comma 3°, c.c.i.i. non menziona la funzionalità dell’informazione al diritto di voto e quindi fa pensare, come si è già detto ([39]), ad un diritto di informazione dei soci extra-assembleare, anche funzionale quindi al deposito delle proposte concorrenti di concordato.
La figura dell’amministratore giudiziario riporta alla mente ovviamente quella disciplinata dall’art. 2409 c.c. e, per quanto compatibili, si può ipotizzare che anche all’amministratore giudiziario di cui all’art. 118, comma 5°, c.c.i.i. siano applicabili il disposto di cui all’art. 2409, comma 6°, c.c., nonché l’art. 92, comma 5°, e l’art. 94 disp. att. c.c. che ne disciplinano il compenso, il rendiconto, la responsabilità e la revoca.
La disposizione di cui all’art. 118, comma 5°, c.c.i.i. non è oggi l’unica però che permette di “imporre” l’esecuzione “coatta” del provvedimento di omologazione di un concordato preventivo - e quindi per quanto qui interessa di una proposta concorrente - dato che il codice della crisi, nella sua ultima versione, si è arricchito di sezione dedicata agli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza delle società (artt. da 120 bis a 120 quinquies c.c.i.i.) e cioè di una sezione VI bis collocata alla fine del capo III, del titolo IV, dedicata quindi al solo concordato preventivo, che si occupa, tra l’altro, anche dell’esecuzione dei provvedimenti di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 120 quinquies c.c.i.i.).
La topografia del codice della crisi sarebbe stata più coerente se, al titolo IV, dedicato agli strumenti di regolamentazione della crisi, fosse stato aggiunto un capo IV, dedicato, appunto, agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, per la ragione che le norme di cui si sta dicendo non si applicano al solo concordato preventivo (a cui è dedicato il capo III in cui sono inserite), ma a tutti gli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza (si veda al proposito l’incipit di quasi tutte le norme sopra citate che non si riferisce al solo concordato preventivo). Il che avrebbe anche dato forse maggior rilievo, quantomeno per gli addetti ai lavori, ad un intervento, quello della disciplina della posizione dei soci nelle ristrutturazioni ([40]), che era senz’altro necessario e va di per sé - al di là del suo specifico contenuto - salutato con favore. Oggi quantomeno si hanno disposizioni di riferimento sulle quali iniziare a ragionare di un tema molto delicato.
In ogni caso va qui detto che l’art. 120 quinquies c.c.i.i. dispone che il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza determina la riduzione e l’aumento del capitale (e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano) demanda agli amministratori l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione. In difetto, il tribunale può nominare, questa volta su richiesta di qualsiasi interessato e sentito l’organo gestorio, un amministratore giudiziario, attribuendogli i poteri necessari a provvedere, in luogo di costoro, agli adempimenti e disporre la revoca per giusta causa degli amministratori stessi.
Quest’ultima disposizione adottata per recepire l’art. 12 della dir. Insolvency, con lo scopo di impedire atteggiamenti ostruzionistici dei soci nell’esecuzione di un piano di ristrutturazione omologato, si sovrappone, parzialmente, a quanto dispone l’art. 118 c.c.i.i. in tema di concordato; stupisce l’assenza di coordinamento sulla quale bisognerà interrogarsi con attenzione ([41]).
Il tema ovviamente riguarda da vicino la disciplina delle proposte concorrenti (art. 90, comma 6°, c.c.i.i.) che nella versione contenuta nel codice della crisi sembra essere destinata a suscitare addirittura maggiori interrogativi di quelli che poneva la disciplina contenuta nella legge fallimentare.
(*) Lo
scritto è destinato, con eventuali modifiche, a un volume collettaneo a cura di
Stefano Ambrosini per i tipi della Zanichelli.
([1]) In
argomento si consulti S. Ambrosini,
Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle
prospettive di riforma, ne Ilcaso.it, 30 novembre 2015; Id., Il nuovo concordato preventivo
alla luce della ‘miniriforma’ del 2015, in
Dir. fall., 2015, I, p. 374 ss.
([2]) Le modifiche alla disciplina del fallimento introdotte dal decreto citato nel testo erano varie e tutt’altro che omogenee: riguardavano i requisiti per la nomina del curatore (art. 28 l. fall.), il programma di liquidazione (art. 104 ter l. fall.), le modalità delle vendite (art. 107 l. fall.), la chiusura del fallimento (art. 118 l. fall.), gli effetti della chiusura del fallimento (art. 120 l. fall.) e la disciplina dell’esdebitazione (art. 142 l. fall.). Va qui solo segnalata l’aggiunta all’art. 28 l. fall. secondo la quale «[n]on può essere nominato curatore chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il medesimo debitore, nonché chi sia unito in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione». Si trattava di una norma di carattere generale; indicava che non può essere nominato curatore chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale anche con riferimento a “precedenti” procedure di concordato che riguardano la stessa impresa. L’ipotesi nella quale la norma avrebbe potuto trovare applicazione più spesso - se fosse stata conservata in sede di conversione - era quella del caso di dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo e contestuale dichiarazione di fallimento ovvero di “trasformazione”, l’espressione è ovviamente “atecnica”, del concordato in fallimento. La ragione era evidente. Evitare che il commissario giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo sia inutilmente pressante, ovvero invogliato ad esprimere valutazioni negative sulle varie istanze del debitore e sull’ammissibilità del concordato stesso. Il tutto ovviamente con l’obiettivo di non far votare il concordato, di vederlo revocato o ancora non omologato e di vedersi quindi nominato anche curatore (incrementando, tra l’altro, presumibilmente il proprio compenso). L’inopportunità di doppia nomina - in determinati casi pratici evidente - veniva elevata a vera e propria regola generale. La norma era, nella sostanza, da condividere perché chiara e perché avrebbe potuto essere letta come un ulteriore tassello in favore delle procedure concordatarie anche in considerazione del fatto che proponeva una netta separazione di ruoli all’interno della procedura. Avrebbe inoltre permesso al nuovo curatore di verificare l’opera del precedente commissario: in questo ordine di idee già R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare (d.l. 27 giugno 2015, n. 83): le modifiche alla disciplina del fallimento e le disposizioni dettate in tema di proposte concorrenti, ne Ilcaso.it, 24 luglio 2015.
([3]) Sulla disciplina delle proposte concorrenti prima dell’entrata in vigore del codice della crisi si possono consultare, in ordine alfabetico, senza pretesa di completezza: N. Abriani, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere della società di adempiere agli obblighi concordatari, in Gius. civ., 2016, p. 365 ss.; Id., Sulla legittimazione alla presentazione della proposta concorrente di concordato preventivo, in Dir. crisi, 2021; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo. Le proposte e le offerte concorrenti, Torino, 2019; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in Fallimenti e Società.it, 2015; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, p. 1163 ss.; R. Fava, L’iniziativa dei creditori nella ristrutturazione dell’impresa in crisi fra passato, presente e futuro, in Dir. fall., 2022, p. 33 ss.; F. Pacileo, Cram down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, in Riv. dir. comm., 2018, p. 65 ss.; G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa dei terzi, in M. Arato e G. Domenichini (a cura di), Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, p. 91 ss.; R. Ranalli, Gli ostacoli normativi e culturali alle proposte concorrenti nel concordato preventivo in continuità, in Fall., 2021, p. 5 ss.; M. Ranieli, Proposte di concordato preventivo concorrenti, trasferimento del controllo ed esenzione dall’obbligo di opa per salvataggio “ostile”, in Riv. dir. banc., 2017, p. 59 ss.; A. Rimato, Proposte concorrenti e mercati delle proposte nel nuovo concordato preventivo, in Fallimenti e Società.it, 2015; G. Trimarchi, La ricapitalizzazione delle società (di capitali) in crisi e disciplina del concordato preventivo, in Nuovo dir. soc., 2018, p. 1663 ss.; P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, ne Ilcaso.it, 2 febbraio 2016; M.L. Vitali, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella “nuova” disciplina di concordato preventivo, in Riv. soc., 2016, p. 870 ss.
([4]) L’ultima modifica al codice della crisi nel momento in cui si scrive è quella della l. 4 agosto 2022, n. 122, di conversione, con modificazioni, del d.l. 21 giugno 2022, n. 73, (c.d. “decreto semplificazioni”) che è ulteriormente intervenuta sull’art. 25 novies c.c.i.i. relativo alle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati.
([5]) Sull’istituto si consulti, se si vuole, S. Bonfatti e R. Guidotti (a cura di), Il ruolo dell’Esperto nella Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa, Giappichelli, Torino, 2022; nonché M. Irrera e S.A. Cerrato (diretto da) e F. Pasquariello (coordinato da), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento – d.l. 118/2021 con. in l. 147/2021, Bologna, 2022.
([6]) R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristr. aziendali, 8 settembre 2021, p. 24; Id., Di alcune possibili modifiche al disegno di legge 2371 relativo alla conversione del decreto 24 agosto 2021, n. 118, sulla disciplina della crisi d’impresa, ivi, 5 ottobre 2021, p. 10.
([7]) Contra G. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dir. crisi, 7 giugno 2022, p. 6 – 7.
([8]) Si consultino in argomento: S. Ambrosini, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa, in Ristr. aziendali, 18 agosto 2022; nonché S. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dir. crisi, 15 agosto, 2022; L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Ristr. aziendali, 26 agosto 2022; S. Pacchi, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in S. Pacchi e S. Ambrosini (a cura di), Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, p. 156 ss.
([9]) In argomento v., da ultimo, E. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in Ristr. aziendali, 25 agosto 2022.
([10]) In questo senso già, prima della riforma, A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in S. Ambrosini (a cura di), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, Bologna, 2017, p. 300 ove precedentemente (a p. 292) anche la distinzione tra proposte: a) originali; b) derivate e c) parassitarie di cui si dirà oltre nel testo.
([11]) In argomento si consulti, tra gli altri: L. Stanghellini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della Direttiva europea in materia di quadri di ristrutturazione preventiva, in Ristr. aziendali, 21 luglio 2022.
([12]) Per una recente indagine, su un aspetto parallelo, degli interessi che devono essere perseguiti nel diritto delle ristrutturazioni v. S. Pacchi, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Ristr. aziendali, 3 settembre 2022.
([13]) A questo si può aggiungere che il concordato preventivo si iscrive, infatti, nel perimetro del nuovo art. 2, lett. m-bis), collocandosi fra i quadri di ristrutturazione preventiva”, nozione inclusiva delle misure e delle procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale: cfr. S. Leuzzi, Appunti sul Concordato preventivo ridisegnato, in Dir. crisi, 5 maggio 2022.
([14]) Cenni in argomento si rinvengono anche in I. Pagni e M. Fabiani, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in Dir. crisi, 31 agosto 2022, ove alla p. 25 s. l’osservazione secondo la quale questo tipo di arretramento della tutela specifica sarebbe analogo a quello previsto dall’art. 124 del codice del processo amministrativo.
([15]) Il tema solo accennato nel testo, e che meriterebbe ovviamente ben altro approfondimento, è recentemente stato affrontato da S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Nuove leggi. civ. comm., 2022, p. 479 ss.
([16]) E vedi G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, p. 149 che precedentemente definisce il sistema di approvazione del concordato in continuità regolato da disposizioni “controintuitive” (p. 147).
([17]) Anche sotto questo profilo va marcata la differenza dalla disciplina delle proposte concorrenti. Non c’era nella legge fallimentare, né c’è nel codice della crisi, un divieto espresso alla presentazione delle proposte di concordato preventivo (concorrenti) durante la fase c.d. “in bianco”; il quesito è però quello di verificare se i creditori o i soci possano durante la fase di cui all’art. 44, comma 1°, c.c.i.i. presentare una domanda di concordato giocando “d’anticipo” o “parallelamente” al debitore. L’asimmetria di accesso ai dati (c.d. “informativa”) che c’è tra l’organo amministrativo (che ha accesso “a tutto”) ed i creditori o i soci rende probabilmente il quesito privo di rilevanza pratica anche nel caso in cui si volesse sostenere l’ammissibilità delle proposte concorrenti nella c.d. “fase in bianco” di accesso ad uno strumento di regolamentazione della crisi o dell’insolvenza: non è questa la sede per approfondire l’argomento. Sembra più probabile però che la risposta negativa si lasci preferire allo stato dell’evoluzione della legislazione.
([18]) E v. G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), Torino, 2021, p. 89.
([20]) Di recente la tesi della legittimazione del terzo a presentare la domanda di concordato preventivo è stata ripresa da S. Ambrosini, L’emersione tempestiva della crisi e il concordato preventivo del terzo: dall’idea del “progetto Rordorf” alle previsioni del legislatore europeo, in Ristr. aziendali, 27 giugno 2021; salvi errori in Italia la tesi risale allo scritto di A. Jorio, La legge fallimentare: pregi e difetti delle nuove regole, in Giur. Comm., 2013, I, p. 712; l’opzione sarebbe perfettamente compatibile con la dir. Insolvency che all’art. 4, comma 8°, dispone che gli stati membri possano «prevedere che il quadro di ristrutturazione preventiva previsto a norma della presente direttiva sia disponibile su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo del debitore».
([22]) Per una interessante fattispecie in cui il tribunale ha, tra le altre cose, dichiarato inammissibile una proposta concorrente c.d. “derivata” per assenza ab origine di attestazione si consulti Trib. Reggio Emilia, 9 giugno 2022, in Dir. crisi e in Diritto bancario, ove anche la nota redazionale di S. Bonfatti, Proposte concorrenti di concordato preventivo: presupposti di ammissibilità.
([23]) L’art. 120 bis c.c.i.i. disciplina l’accesso ai quadri di ristrutturazione chiarendo che l’avvio della ristrutturazione, e la determinazione del contenuto del piano, costituiscono esecuzione degli obblighi di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, previsti dall’art. 2086, comma 2°, c.c. In quest’ottica è stata soppressa la possibilità di deroghe statutarie alla competenza degli amministratori ai quali è devoluta in via esclusiva la scelta di accedere ad uno strumento di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza. L’art. 120 bis c.c.i.i. chiarisce poi che, anche in assenza di una deliberazione dei soci, il piano di ristrutturazione può modificare la struttura finanziaria della società, e dunque prevedere la cancellazione di azioni e quote, l’emissione di azioni, quote e strumenti finanziari, anche con limitazione o esclusione del diritto d’opzione, operazioni di fusione, scissione e trasformazione. Si tratta di una norma di natura manageriale che si è già rilevato non pare essere in contrasto con la disposizione di cui 37 del d.lgs. n. 5 del 2003 disciplina la risoluzione dei contrasti sulla gestione delle società: e v., in argomento: R. Guidotti e G. Raffaelli, La risoluzione dei contrasti sulla gestione,in R. Guidotti e E. Pederzini (a cura di), La governance della società a responsabilità limitata, Milano, 2022, in corso di pubblicazione, ma precedentemente La risoluzione dei contrasti sulla gestione nella s.r.l. (dopo l’entrata in vigore del codice della crisi),in Ristr. aziendali, 15 agosto 2022, p. 17 ss.
([24]) In questo senso vedi prima dell’entrata in vigore dell’art. 90 c.c.i.i. già N. Abriani, Sulla legittimazione alla presentazione della proposta concorrente di concordato preventivo, in Dir. crisi, 14 giugno 2022;Id., Proposte concorrenti, operazioni straordinarie, cit., p. 365; Id., Proposte e domande, cit., p. 269; G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, cit., 15; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1163; A. Rossi, Il difficile avvio delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Fallimento, 2019, p. 87.
([25]) Che peraltro ai sensi dell’art. 120 quater c.c.i.i. possono opporsi all’omologazione ai fini di far valere il pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria.
([26]) Se si conviene che in linea di principio – ma in caso di parità in tema di voto si prevede che prevalga la proposta del debitore – v’è una sorta di equivalenza tra la proposta principale (quella del debitore) e la proposta concorrente (presentata dai creditori o dai soci) deve ritenersi, si è sostenuto (A. Rossi, I soci nella regolamentazione della crisi della società debitrice, in Società, 2022, p. 945 ss. ivi alla p. 947), che la facoltà di incidere direttamente sui diritti dei soci, non attenga ai poteri degli amministratori, ma riguardi le caratteristiche del piano; e tanto – se ben si è compreso il pensiero dell’a. – perché i diritti dei soci possono essere “sacrificati” anche da una proposta concorrente. Posto però che ai sensi dell’art. 120 bis, comma 1°, c.c.i.i. il contenuto della proposta e del piano della società debitrice è esclusivo appannaggio degli amministratori la tesi lascia perplessi o meglio la distinzione non pare avere rilevanza pratica; si deve semplicemente ritenere che la facoltà di incidere direttamente sui diritti dei soci è appannaggio degli amministratori per quanto riguarda la proposta di concordato del debitore.
([27]) Sulla posizione dei soci in linea generale, dopo l’entrata in vigore del codice della crisi, si può consultare A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi, cit., p. 945 ss.; precedentemente, tra gli altri, S. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Riv. dir. soc., p. 239 ss.
([28]) In linea generale l’art. 120 bis, comma 3°, c.c.i.i. prevede che gli amministratori siano tenuti a informare i soci dell’avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza e a riferire periodicamente del suo andamento (ai soci stessi). La disposizione non precisa quali siano le modalità con le quali gli amministratori sono tenuti ad adempiere a quello che sembra essere un loro vero e proprio dovere, né quali possano essere le conseguenze del loro inadempimento. Si può ipotizzare che il legislatore abbia voluto introdurre nel nostro ordinamento un vero e proprio diritto soggettivo dei soci ad essere informati, come tale tutelabile dai soci stessi anche ex art. 700 c.p.c.; diritto soggettivo funzionale, ma non solo, anche alla presentazione di eventuali proposte concorrenti; il tema merita di essere approfondito anche in considerazione del fatto che la tecnica legislativa adottata dal legislatore prevede, almeno nelle ipotesi fisiologiche, l’assenza di una istanza del socio che però si renderà necessaria, per l’esercizio del diritto, in caso di omissione da parte degli amministratori: l’argomento ovviamente ha maggior interesse pratico nella s.p.a. dove non esistono gli ampli diritti di controllo (informazione e ispezione) dei soci che non partecipano all’amministrazione come nella s.r.l.: da ultimo: R. Guidotti e L. Orciani, Sui diritti di controllo del socio nella s.r.l. aperta, in Riv. dir. soc., 2022, in corso di pubblicazione.
([30]) A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), ne IlCaso.it, 23 novembre 2015, p. 20.
([31]) In argomento con riferimento alla l. fall. si può consultare: P. Riva, Interazione tra commissario e altri professionisti del risanamento. Le criticità in caso di proposte concorrenti: una metamorfosi giuridica?, ne IlFallimentarista.it, 24 giugno 2021; e precedentemente R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare, cit., p. 15 ss.
([33]) Il disposto di cui all’art. 172, comma 2°, l. fall. è parzialmente diverso perché prevede che la relazione integrativa contenga «di regola, una particolareggiata comparazione».
([34]) Nella relazione presentata alla Camera dei Deputati al disegno di legge di conversione n. 3201 del d.l. 83 del 2015, a p. 8, sono indicati gli istituti analoghi in Germania, Francia e Spagna ai quali il nostro legislatore si è ispirato.
([35]) In argomento si consulti, se si vuole, R. Guidotti, sub art. 19, d. lgs. 8 luglio 1999, in A. Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve al Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in corso di pubblicazione per i tipi della Cedam.
([36]) M. Aiello, Concordato preventivo e proposte concorrenti: i casi di nomina dell’amministratore giudiziale e dell’aumento del capitale, in Ristr. az., 26 gennaio 2022.
([37]) Contra, ma prima dell’ultima riforma, G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, p. 1179.
([38]) Possono essere attribuiti al liquidatore (art. 84, comma 4°, c.c.i.i.), se nominato, i compiti di amministratore giudiziario; si tratta ovviamente dei casi di concordato liquidatorio o con aspetti liquidatori.
([40]) In argomento: L. Benedetti, La posizione dei soci nel risanamento della società in crisi: dal potere di veto al dovere di sacrificarsi (o di sopportare) (Aufopferungs o Duldungspflicht)?, in Riv. dir. soc., 2017, p. 725 ss.; cfr. anche: A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi d’impresa, in Riv. dir. comm., 2018, p. 335 ss.