, 03 ottobre 2022, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Un tema che ciclicamente torna di attualità. – 2. Il punto di partenza: le tre sentenze “gemelle” delle SS.UU. del 2006. – 3. Due spunti interessanti ricavabili dalle ordinanze in esame. – 4. La responsabilità della banca: la disciplina di settore. – 5. La valutazione in concreto dell’operato della banca e l’apprezzabile criterio di prudenza suggerito dalle due pronunce. – 6. Breve nota in tema di legittimazione (attiva e passiva). – 7. Un’ultima riflessione in tema di danno.
1. Un tema che ciclicamente torna di attualità.
La ragione del tornare nuovamente sull’argomento, già affrontato in questa stessa convegnistica – e in modo assai brillante – un paio di anni fa dal prof. Fortunato è data dalla novità – peraltro ormai non più recentissima – delle due pronunce della Corte di cassazione del 2021 (ordinanze nn. 18610 e 24725)[1] e dal dibattito che ne è scaturito.
L’estrema ampiezza dell’argomento rende impossibile una trattazione minimamente completa[2]. Mi limiterò, quindi, a qualche breve riflessione-osservazione, suggerita dalle due pronunce e da alcuni contributi dottrinari e, soprattutto, giurisprudenziali del periodo più recente.
2. Il punto di partenza: le tre sentenze “gemelle” delle SS.UU. del 2006.
Una prima osservazione, pur sicuramente elementare, vale la pena di fare.
L’intervento delle SS.UU. del 2006 (sentenze nn. 7029, 7030 e 7031)[3] non è stato richiesto per dare risposta al quesito: “la banca può essere chiamata a rispondere per aver concesso abusivamente credito?”, perché la risposta a questo primo quesito è sicuramente affermativa.
Le SS.UU. sono state piuttosto chiamate a rispondere ad un ulteriore interrogativo, attinente al soggetto che, potendo reclamare il risarcimento del danno conseguente alla concessione abusiva del credito, è il soggetto danneggiato e, quindi, legittimato alla relativa azione.
Quella delle SS.UU. non è una risposta di carattere generale, ma strettamente legata alla natura delle azioni esercitate in quei giudizi.
Rileggendo oggi le sentenze “gemelle” si può notare come esse dedichino una parte rilevante della motivazione (cosa non consueta per pronunce delle SS.UU.) alla ricostruzione della natura della domanda proposta in quei giudizi e, in particolare, del danno di cui la parte attrice reclama il risarcimento.
Le sentenze sono altrettanto chiare nell’affermare che, nel caso esaminato, “il dedotto danno al patrimonio della società non è stato mai allegato autonomamente, ma solo quale indistinto elemento del danno alla massa. Un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita, quale presupposto dell’azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne mai dedotto. La questione, come tale, è nuova perché avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile”.
Orbene, con riferimento a ciò, una prima espressione di adesione alle due ordinanze del 2021 è quella di avere queste fatto definitiva chiarezza sull’argomento, stroncando una lettura non impeccabile che talora ne è stata fornita.
La risposta al quesito sulla legittimazione non può essere data in termini generali, ma è diretta conseguenza del tipo di danno reclamato, perché la concessione abusiva di credito può dar vita – quantomeno - a due distinte voci di danno:
a) il danno cagionato al singolo creditore (ossia quello esaminato dalle SS.UU. del 2006), che, facendo affidamento sull’apparente solvibilità della propria controparte (solvibilità solo apparente e determinata – in tutto o in parte – proprio dalla abusiva concessione di credito) si determini, a sua volta, a concedere credito all’insolvente e subisca, in definitiva un danno che incide direttamente sul proprio patrimonio, consistente nella lesione del proprio diritto di credito (destinato a rimanere insoddisfatto);
b) il danno (di natura del tutto diversa) cagionato al patrimonio della società, che, indebitamente finanziata, prosegue la propria attività altrettanto indebitamente e aggrava il proprio dissesto, maturando ulteriori perdite (la società brucia ulteriore ricchezza, incrementando – di norma - il deficit patrimoniale).
Il danno sub a) è caratterizzato da un vincolo di “stretta parentela” con quel danno (in realtà è quasi coincidente con esso) reclamato dai creditori ex art. 2395 c.c. (art. 2476, 7° comma , c.c., quanto alla s.r.l.) nei confronti degli amministratori che, adottando condotte decettive (di norma: pubblicazione di bilanci falsi, con occultamento delle perdite realmente maturate) li abbiano indotti in errore sulla reale situazione (patrimoniale, economica e finanziaria) della società, portandoli a concederle credito.
Quale la differenza (se c’è) fra le due ipotesi? In quest’ultimo caso l’azione rientra sicuramente nell’ambito delle “azioni di responsabilità” di natura societaria: l’azione è difatti rivolta nei confronti degli amministratori (ed eventualmente dei sindaci); nel caso della concessione abusiva di credito l’azione può essere rivolta, anche esclusivamente, nei confronti della banca finanziatrice (sul punto, vedi infra).
Il danno sub b) è invece danno al patrimonio della società e consiste nella “diminuzione” di quel patrimonio.
Il confronto fra le due voci di danno evoca una distinzione, ormai consolidata in tema fallimento della società e legittimazione alle azioni di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e controllo, secondo cui, nel regime anteriore all’entrata in vigore del CCII:
a) restano affidate a ciascun creditore le sole azioni di danno c.d. diretto, ossia dirette al ristoro di quel danno che incide direttamente sul patrimonio del singolo creditore, che vede immediatamente lesa la propria situazione soggettiva, senza che tale lesione sia conseguenza della diminuzione del patrimonio sociale (si tratta delle azioni disciplinate dagli artt. 2395 e 2476, 7° comma, c.c.);
b) competono esclusivamente al curatore del fallimento, oltre all’azione sociale, le azioni di danno c.d. indiretto, ossia quelle azioni di responsabilità che – semplificando notevolmente – trovano il loro fondamentale presupposto nella violazione dell’obbligo di conservazione del patrimonio sociale (artt. 2394 e 2476, 3° comma, c.c.).
Si aggiungono poi, come noto, le ulteriori azioni di responsabilità per le quali la legge prevede un regime di legittimazione specifico.
È un tema - quello dei principi consolidati in materia di legittimazione alle azioni di responsabilità – che, forse, può autorizzare qualche considerazione critica in ordine alle due pronunce in esame, sul quale tornerò più avanti (tempo permettendo).
3. Due spunti interessanti ricavabili dalle ordinanze in esame.
Alcuni obiter contenuti nelle sentenze del 2006 autorizzavano effettivamente una lettura favorevole al ceto bancario, facendo trapelare una sorta di perplessità di quei giudici quanto alla configurabilità di un danno diretto al patrimonio della società destinataria del finanziamento abusivo.
Mi riferisco soprattutto a quel passaggio, contenuto nell’ultima parte delle sentenze, ove si dubita che la società finanziata possa essere al contempo debitrice per effetto del finanziamento concessole e creditrice per il risarcimento del danno cagionato da quel finanziamento e che, in ogni caso, la società, che è parte del contratto di finanziamento (il rapporto di immedesimazione organica comporta infatti che l’attività negoziale degli amministratori produca i suoi effetti direttamente in capo ad essa), possa essere al contempo: i) concorrente nell’illecito e perciò responsabile; ii) soggetto danneggiato, destinatario del relativo risarcimento.
Entrambe le osservazioni vengono affrontate e superate dalle pronunce in esame.
Invertendo l’ordine dei quesiti: nessuno dubita che il rapporto di immedesimazione organica faccia sì che l’attività dell’organo amministrativo della società sia immediatamente riferibile alla stessa, ma tale fenomeno non esaurisce, sul piano giuridico, la ricostruzione del rapporto amministratore/società.
L’amministratore è difatti legato alla società da un rapporto che ha natura contrattuale ed è fonte di diritti ed obblighi per entrambe le parti (con conseguenti responsabilità); nell’ambito di tale rapporto l’amministratore è quindi la controparte contrattuale della società e nessuno dubita che l’amministratore debba rispondere del danno cagionato alla società anche laddove la sua attività gestoria negligente sia consistita nella stipula di contratti conclusi in nome e per conto della società.
Nessuno dubita, ad esempio, che l’amministratore debba rispondere del danno cagionato alla società qualora venda a prezzo vile un bene sociale a un terzo compiacente e mi sembra altrettanto pacifico che, in tali casi, l’azione di responsabilità potrà essere diretta nei confronti dell’amministratore ed, eventualmente, anche del terzo concorrente nell’illecito (o anche solo nei confronti di questi: vedi infra).
In un ambito diverso, d’altronde, la recente Cass. 29252/2021 ha precisato che “in tema di compenso spettante all'amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l'inadempimento o l'inesatto adempimento degli obblighi assunti dall'amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall'atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso”.
Risulta perciò confermato che la pacifica sussistenza del rapporto di immedesimazione organica opera su un piano diverso e non è incompatibile con la responsabilità dell’amministratore (e degli eventuali concorrenti nell’illecito) nei confronti della società per danni che derivino dall’attività negoziale (dell’amministratore) pur direttamente riferibile alla società.
Quanto al secondo argomento, nulla vieta che la banca sia al contempo: i) creditrice per il finanziamento concesso e ii) debitrice per la responsabilità risarcitoria conseguente e la questione andrà risolta secondo le regole del diritto comune, ivi compresa la possibilità, ricorrendone i presupposti, di operare la compensazione fra i due crediti, che hanno pacificamente causa anteriore.
Chiarissime, sul punto, le due ordinanze, che richiamano espressamente la disciplina di cui agli artt. 1341 e segg. c.c. e 56 l.f.
Più complesso il tema della configurabilità, in ipotesi quale quella in esame, del concorso del fatto colposo del creditore, rilevante ex art. 1227 c.c. (la società che ottiene abusivamente credito concorrerebbe a cagionare il danno); tema che potrebbe autorizzare qualche confusione fra i due piani (rapporto di immedesimazione organica e rapporto contrattuale fra amministratore e società) cui prima accennavo.
4. La responsabilità della banca: la disciplina di settore.
La prima parte delle ordinanze è dedicata alla ricostruzione estremamente puntuale della disciplina – nazionale e comunitaria – che regola l’attività bancaria[4] e conclude, condivisibilmente, osservando come la banca debba operare nel rigoroso rispetto delle regole dettate dall’ordinamento a tutela: i) non solo della “salute” del credito bancario; ii) ma anche, e forse soprattutto, dell’intero sistema economico, che è minacciato dal fenomeno dell’insolvenza dell’impresa, cha a volte (come è successo) può comportare, a sua volta, anche l’insolvenza delle stesse imprese operanti nel settore del credito, con riflessi di carattere generale ben più gravi.
Le due ordinanze sono chiare nell’affermare che la responsabilità della banca consegue alla violazione delle norme che regolano l’attività creditizia e non alla violazione della regola generale del neminem laedere.
L’assunto può essere senz’altro condiviso, ma rende opportuna, a mio avviso, una precisazione.
La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito sarà, di norma, responsabilità concorrente con quella degli amministratori che ricorrono abusivamente al credito (è ben difficile che la banca possa concedere credito abusivo a una società senza che gli amministratori della stessa ne siano consapevoli e perciò responsabili).
Sarà perciò possibile configurare, accanto alla responsabilità della banca “per fatto proprio” (ossia per violazione delle regole di corretta erogazione del credito), la responsabilità della banca quale concorrente nell’illecito degli amministratori (che ricorrono abusivamente al credito bancario).
Tale responsabilità concorrente non crea particolari problemi in ipotesi di concessione abusiva di credito, perché, come accennato, la banca che concorra nell’illecito degli amministratori viola, pressoché inevitabilmente, le regole “di settore” di corretta erogazione del credito bancario.
Alcune delle affermazioni contenute nelle ordinanze in esame potrebbero tuttavia comportare qualche “effetto indesiderato” qualora si consideri la posizione di soggetti estranei al sistema creditizio, che potrebbero essere chiamati a rispondere a titolo di concorso con gli amministratori per l’indebita prosecuzione dell’attività sociale con conseguente aggravamento del deficit.
È una questione che va affrontata con molta prudenza: sancita la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati dalla indebita prosecuzione dell’attività di impresa, potrebbe essere affermata anche la responsabilità concorrente di tutti quei soggetti che, consapevoli dello stato di insolvenza irreversibile in cui versa l’impresa, continuino a collaborare con essa, contribuendo a mantenerla in vita, e, quindi, all’aggravamento del deficit. Soggetti che, alla stregua delle regole generali, potrebbero essere chiamati a rispondere, in concorso con gli amministratori, del danno - spesso assai consistente – conseguente a tale aggravamento.
Non è questo, come ora vedremo, lo spirito di eccessivo rigore che ispira – apprezzabilmente – le due ordinanze del 2021 ed anzi il voler “agganciare” l’affermazione dell’eventuale responsabilità della banca alla violazione di regole specifiche - e non del generale principio del neminem laedere - sembrerebbe proprio diretta a contenere le ipotesi di responsabilità concorrenti di soggetti terzi, estranei al ceto bancario.
5. La valutazione in concreto dell’operato della banca e l’apprezzabile criterio di prudenza suggerito dalle due pronunce.
Le ordinanze in esame, sono chiare nell’affermare che: i) la concessione abusiva di credito può cagionare un danno diretto al patrimonio della società; ii) in tale caso, la legittimazione attiva spetta, in caso di fallimento della società, al curatore del fallimento.
Le due ordinanze non esprimono tuttavia – apprezzabilmente – un atteggiamento “giustizialista”, diretto a ravvisare, sempre e comunque, una responsabilità della banca, ma suggeriscono – opportunamente - la necessità di adottare criteri di estrema prudenza.
Almeno due le chiare indicazioni in tal senso.
La prima è quella della corretta evidenziazione della delicatezza della situazione in cui opera la banca, che, da un lato, potrebbe essere chiamata a rispondere per la concessione abusiva di credito; dall’altro, e in senso diametralmente opposto, per l’abusiva interruzione della erogazione del credito.
È chiaro che il problema si pone, soprattutto, in situazioni quantomeno di crisi del soggetto finanziato (uso il termine “crisi” nella sua accezione più ampia e necessariamente atecnica, comprensiva di tutte quelle situazioni che vanno dalla “pre-crisi” alla “insolvenza irreversibile” vera e propria).
Ed è altrettanto chiaro che, in queste situazioni, l’atteggiamento del sistema creditizio (di maggior o minore rigore) nei confronti dell’imprenditore potrà risultare decisivo per le chances di risanamento dell’impresa.
Di responsabilità della banca si discuterà poi, come ovvio, solo quando il tentativo di risanamento sarà fallito e la difficoltà sarà quindi quella di valutare ex post, ma sulla base di una prospettiva rigorosamente ex ante, se il credito sia stato erogato abusivamente o nel rispetto delle regole di diligenza del “buon banchiere”.
Si tratta, come correttamente precisato dalle due ordinanze, di un accertamento di fatto, naturalmente affidato al giudice di merito e insindacabile in cassazione se correttamente motivato.
Importante un ulteriore principio affermato dalle ordinanze in esame, ribadito nella parte dedicata alle “conclusioni e principi di diritto”: la banca può concedere credito a un’impresa in crisi “ragionevolmente”, e perciò non abusivamente, “pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa”.
La corte afferma pertanto, con apprezzabile chiarezza, che le banche: i) possono supportare finanziariamente anche imprese in crisi; ii) possono farlo anche al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi di impresa; iii) e ciò “sino al limite, tuttavia, in cui tali condotte finiscano per alterare – con colpa o dolo – la correttezza delle relazioni di mercato e a costituire fattori di disinvolta attitudine cd. predatoria rispetto ad altro soggetto economico in dissesto”.
6. Breve nota in tema di legittimazione (attiva e passiva).
Solo un cenno, più che critico, perplesso, sull’approccio al tema della legittimazione attiva.
Le ordinanze in esame affrontano il tema della legittimazione del curatore fallimentare provvedendo a chiarire la nozione della “azione di massa” sul solco degli spunti già offerti dalle “sentenze gemelle” del 2006.
Al riguardo mi domando: era indispensabile?
Affermato che, in taluni casi, la concessione abusiva di credito può cagionare un danno diretto al patrimonio della società, la legittimazione del curatore non deriva, direttamente, dal disposto dell’art. 43 l.f. (oggi art. 143 CCII)?
E ciò, a maggior ragione, se la responsabilità della banca verso l’impresa, come peraltro precisato proprio dalle ordinanze in esame, ha natura precontrattuale o contrattuale, a seconda che il finanziamento all’impresa decotta sia concesso o mantenuto. L’azione, preesistente nel patrimonio della società, spetta difatti – naturalmente - al curatore in luogo del fallito/liquidato spossessato.
Analogamente, quanto all’azione dei creditori sociali, posto che la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito è normalmente concorrente con quella degli amministratori, non è sufficiente il disposto dell’art. 146, 2° comma, l.f. (oggi art. 255 CCII)?
Il punto che – a mio modo di vedere – va ribadito è che la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito nei confronti della società trova il suo presupposto indefettibile nel danno cagionato al patrimonio della società (e non del singolo creditore indotto a concederle credito) e che l’azione per il ristoro di tale voce di danno spetta naturaliter al curatore, quale sostituto del fallito/liquidato spossessato.
Né si può sostenere che a capitale sociale completamente perso (e perciò con patrimonio netto già negativo) gli unici soggetti danneggiati dall’aggravio del deficit sono i creditori, che vedono ulteriormente ridotte le loro prospettive di soddisfazione.
Anche al di fuori del contesto della procedura concorsuale (pensiamo al caso di una liquidazione negativa di una società “non fallibile”) è indubbio che il liquidatore debba realizzare nel modo più conveniente ogni attività che rientra nel patrimonio sociale.
E perciò esperire eventuali azioni risarcitorie anche quando l’esito vittorioso di tali azioni conduca al risultato di una mera riduzione del deficit patrimoniale e – quindi - di una migliore soddisfazione dei creditori, che resterà comunque solo parziale (la liquidazione consentirà, in altre parole, il pagamento parziale dei creditori, senza che residui alcun attivo da destinare alla soddisfazione pro quota dei soci).
Il credito risarcitorio (per violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale) è perciò sempre credito che preesiste nel patrimonio sociale all’apertura della procedura concorsuale e, come detto, è necessariamente affidato alla legittimazione del curatore secondo la regola generale dello “spossessamento processuale”.
Resta quindi, unicamente, l’ipotesi del creditore sociale anteriore, che veda leso il proprio credito (già maturato) per effetto della condotta successiva degli amministratori (o della banca) che, depauperando il patrimonio sociale, lo rendano insufficiente.
Si tratterà tuttavia di ipotesi nella quale la responsabilità della banca si aggiungerà, per le ragioni indicate, a quella degli amministratori, con conseguente legittimazione esclusiva del curatore del fallimento (o della liquidazione giudiziale) in virtù delle regole generali di legittimazione alle azioni di responsabilità per “danno indiretto”.
Diverso è il caso in cui il fallimento (o la liquidazione giudiziale) non siano dichiarati, in cui la legittimazione all’azione spetterà, inevitabilmente, ai creditori sociali.
Del tutto condivisibile è, infine, il principio affermato dalle due ordinanze, secondo cui l’azione risarcitoria può essere proposta anche nei confronti della sola banca, senza necessità di coinvolgimento degli amministratori (e/o sindaci) concorrenti nell’illecito: principio senz’altro coerente con le regole generali in tema di legittimazione passiva nel caso di azione risarcitoria che può – e non deve – essere promossa nei confronti di più coobbligati in via solidale.
7. Un’ultima riflessione in tema di danno.
Le ordinanze del 2021 non affrontano un’ulteriore questione, acutamente sollevata da parte della dottrina[5].
Alcuni autori hanno difatti osservato che, nel caso di danno da aggravamento del deficit per prosecuzione indebita dell’attività di impresa consentita proprio dalla concessione abusiva di credito, la società ben difficilmente potrà lamentare un danno per lesione del proprio patrimonio che possa ritenersi conseguenza immediata e diretta dell’illecito contestato alla banca.
Si osserva infatti che la banca che conceda – pur abusivamente – credito non provoca, di norma, un’effettiva lesione del patrimonio della società, il cui depauperamento consegue non già all’erogazione del finanziamento, ma al cattivo impiego delle somme ricevute da parte degli amministratori.
Il danno esaminato dalle ordinanze del 2021 non costituirebbe quindi, come accennato, conseguenza immediata e diretta dell’illecito contestato alla banca (che potrebbe rispondere, al più, di voci di danno diverse e più modeste: costi sopportati per l’accesso al credito, oneri finanziari, ecc.), ma piuttosto dell’ulteriore illecito commesso in via autonoma dagli amministratori.
L’osservazione, che credo costituisca espressione di quella comprensibile perplessità cui già accennavo in precedenza, appare tuttavia superabile.
La banca che, concedendo abusivamente credito, consente all’impresa di sopravvivere e di operare sul mercato, proseguendo indebitamente in un’attività caratterizzata da risultati economici fortemente negativi (questi ultimi indispensabili, in sostanza, perché si possa ipotizzare la sussistenza di un danno al patrimonio sociale astrattamente risarcibile) realizza una condizione, quantomeno concorrente, che contribuisce causalmente alla verificazione del danno.
Né si può ritenere che l’attività degli amministratori, che accedendo abusivamente al credito proseguono indebitamente nell’attività di impresa aggravando il deficit, costituisca fatto eccezionale, avente natura assorbente sul piano dell’efficienza causale.
Di qui, in definitiva, la necessità di ritenere che tale voce di danno (per aggravamento del deficit) costituisca comunque conseguenza immediata e diretta anche dell’illecito – eventualmente concorrente – contestato alla banca.
* Le considerazioni di cui al presente contributo riflettono quelle che sono state svolte in occasione del convegno “La crisi d’impresa: le prospettive della riforma e il punto sulla gestione quotidiana”, che si è tenuto il 30 settembre e il 1° ottobre a Villa Fenaroli, Rezzato (BS).
[1] Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, in Ilcaso.it; Cass. 14 settembre 2021, n. 24725, ivi.
[2] Per limitarsi alle monografie v. A. Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004; F. Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2005; M. Di Rienzo, Concessione del credito e tutela degli investimenti. Regole e principi in tema di responsabilità, Torino, 2013; L.A. Bottai – A. Gallotta, Finanziamenti alle imprese in crisi, Milano, 2021 (nonché, con specifico riguardo al credito al consumo, R. Santagata, La concessione abusiva di credito al consumo, Torino, 2020). Sempre in dottrina cfr. anche S. Fortunato, La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2009, pp. 65 ss.; B. Inzitari, Le responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, pp. 266 ss.; A. Franchi, La responsabilità delle banche per concessione «abusiva» del credito, in Dir. comm. int., 2003, pp. 561 ss.; L. Balestra, Crisi dell’impresa e abusiva concessione del credito, in Giur. Comm., 2013, pp. 111 ss.; F. Di Marzio, L’abuso nella concessione del credito, in Contr. e impr., 2015, pp. 318 ss.; L. Balestra, Concessione abusiva del credito e legittimazione del curatore: sulla non facile delimitazione perimetrale, in Fallimento, 2017, pp. 1159 ss.; M. Robles, Erogazione “abusiva” di credito, responsabilità della banca finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, pp. 280 ss.; F. Lamberti, La concessione abusiva del credito nell’attuale contesto emergenziale alla luce degli interventi legislativi per contrastare la crisi economica legata al Covid-19, in Riv. dir. del risparmio, 2021, pp. 2 ss.
[3] Cass. SS.UU., 28 marzo 2006, nn. 7029, 7030 e 7031, in Foro it., 2006, XII, pp. 3417 ss.
[4] In luogo di altri, R. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012.
[5] V., anche per riferimenti, B. Inzitari, L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, in dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021, pp. 8-9.