, 04 ottobre 2022, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. I termini della questione; 2. La prova nel procedimento ordinario di cognizione; 3. La pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale; 4. Dichiarazione proveniente dalla banca cedente; 5. Elenco pubblicato in internet; 6. L’estratto notarile; 7. I procedimenti inaudita altera parte; 8. Procedimento esecutivo
1. I termini della questione
La notevole diffusione negli ultimi anni del fenomeno delle cessioni in blocco di crediti bancari ha reso di estrema attualità la tematica degli strumenti di prova della titolarità del credito da parte dei soggetti cessionari.
Partendo dal dato normativo, l’art. 58, comma 3, TUB stabilisce che la banca cessionaria di rapporti giuridici in blocco “dà notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”; il quarto comma chiarisce poi che “nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 producono gli effetti indicati dall’art. 1264 del codice civile”.
In presenza quindi di cessione in blocco di crediti ricorre una deroga alla disciplina ordinaria della cessione di credito stabilita dall’art. 1264 c.c., che prevede che la cessione abbia “effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata”.
Ed infatti la giurisprudenza ha avuto cura di precisare che “ai sensi dell’art. 58, comma 4, TUB, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale vale a impedire l’eventualità di pagamenti liberatori nel caso in cui il debitore ceduto, nonostante la sopravvenuta cessione, versi la propria prestazione nelle mani del cedente. Pertanto, la disposizione riveste carattere “sostitutivo” solo rispetto alla notifica della cessione al debitore ceduto o alla sua accettazione, di cui alla norma dell’art. 1264, comma 2, codice civile” [1]: in tal modo la banca cessionaria è esonerata “dall’onere di provvedere alla notifica delle cessioni alle singole controparti dei rapporti acquisiti” [2] e la pubblicazione in Gazzetta fissa il termine a partire dal quale il pagamento al cedente non è liberatorio.
Ma evidentemente tutto ciò non attiene alla prova della titolarità del credito, quando intervenga una modifica dal lato soggettivo del rapporto obbligatorio: il problema che si pone è in che modo il cessionario possa dimostrare di essere titolare del credito in contestazione, assolvendo così al proprio onere probatorio.
La disamina della questione può partire dall’analisi degli strumenti istruttori nel giudizio ordinario; dopodiché è utile verificare se ricorrano differenze rispetto ad altri procedimenti speciali.
Giova però una premessa generale: il problema dell’onere della prova in caso di cessione di credito si pone solo quando la cessione avvenga prima dell’instaurazione del giudizio.
Se invece il trasferimento avvenga in corso di causa, la causa è stata evidentemente intrapresa dal titolare originario, dal contraente: ma allora si applica l’art. 111 c.p.c. in tema di successione a titolo particolare, cosicché “il processo prosegue tra le parti originarie” (I comma) ed il cessionario può intervenire nel processo o esservi chiamato (III comma). Ma, anche in caso di intervento, nel processo rimane la parte originaria, salvo che le altre parti acconsentano alla sua estromissione: non vi sarà ad esempio consenso se il debitore abbia formulato nei confronti del cedente una domanda riconvenzionale, che non possa essere estesa al cessionario. In ogni caso la sentenza avrà effetto anche nei confronti del cessionario (IV comma): sia che egli partecipi al giudizio sia che resti estraneo allo stesso.
2. La prova nel procedimento ordinario di cognizione
Partendo quindi dal giudizio ordinario, vale ricordare che la questione della titolarità del credito può essere decisa con sentenza a seguito di una cognizione piena, ma può essere anche oggetto di valutazione sommaria in sede di decisione sulla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 648 o 649 c.p.c.: tendenzialmente sulla base di un quadro probatorio più scarno rispetto a quello che uscirà da una completa attività istruttoria.
Va poi chiarito che, fermo l’onere del tribunale di effettuare la verifica officiosa in ordine alla titolarità del credito, se il debitore risulti costituito, il problema della prova della titolarità del credito si pone solamente quando la controparte sollevi contestazioni sul punto[3], giacché nel caso in cui la circostanza sia riconosciuta esplicitamente o implicitamente, opera il principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c., in base al quale gli oneri probatori sorgono solamente di fronte a specifica contestazione della circostanza posta a fondamento del diritto preteso.
Nel caso di contestazione, sul cessionario grava quindi l’onere di dimostrare che il credito oggetto della sua pretesa è incluso nell’operazione di cessione in blocco: non è sufficiente dimostrare genericamente che sia intervenuta tra l’originario creditore e l’istante una cessione di ramo d’azienda o di crediti in blocco, ma è necessario dimostrare che detta cessione comprende anche la specifica posizione oggetto di causa[4].
Allo scopo lo strumento di prova più immediato è senz’altro la produzione in giudizio del contratto di cessione: con la precisazione che, se detto contratto richiami elenchi di crediti allegati all’accordo negoziale, l’onere della prova può dirsi assolto solamente se si deposita anche detto elenco, altrimenti il contratto da solo evidentemente non è idoneo a dimostrare che la specifica posizione creditoria sia stata trasferita a chi si dichiara cessionario (nella prassi capita infatti che gli elenchi, pur richiamati dal contratto di cessione di crediti, non vengano depositati oppure che vengano depositati integralmente in bianco anche per la parte relativa alla singola posizione creditoria in discussione).
Sennonché, la giurisprudenza registra una significativa apertura in ordine agli strumenti probatori a disposizione del cessionario del credito, in particolare con riferimento all’efficacia probatoria della pubblicità ai fini della dimostrazione della mutata titolarità del credito: vanno però compresi i presupposti e i passaggi logici del ragionamento per cogliere le condizioni cui detta idoneità istruttoria è sottoposta.
Il presupposto del ragionamento è l’affermazione della Suprema Corte per cui “il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità”[5], così da giungere ad affermarsi che la prova della cessione può essere fornita con ogni mezzo, anche per presunzioni[6].
Vediamo in concreto quali sono gli strumenti di prova alternativi al deposito del contratto di cessione, cui la giurisprudenza ha riconosciuto adeguata efficacia probatoria, ed a quali condizioni.
3. La pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale
In primo luogo, vi è senz’altro la pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta Ufficiale, nonostante sia pacifica la sua funzione meramente informativa e non costitutiva: vediamo quindi a quali condizioni.
Partiamo col considerare che l’art. 58, comma 2, TUB, nell’imporre la pubblicazione della cessione in Gazzetta, non pretende che siano lì indicati i confini dei crediti ceduti. Cosicché detta pubblicazione è stata ritenuta idonea a dimostrare la cessione della specifica posizione creditoria solamente quando indichi “per categorie i rapporti ceduti in blocco” e quando “gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”[7].
In sostanza, ricordato il necessario requisito di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto quale presupposto di sua validità ex art. 1346 c.c., se la pubblicazione in Gazzetta “indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (…) crediti inclusi/esclusi dall’ambito della cessione - detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo “il prudente apprezzamento” del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito”[8]: in sostanza quando emergano con chiarezza criteri di inclusione e di esclusione indicati nell’avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e non emergano circostanze contraddittorie rispetto a dette evidenze.
Ad esempio, questa specificità ricorre se l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale faccia riferimento a “tutti i crediti di cui il cedente sia titolare e derivanti da contratti di finanziamento ipotecario stipulati dal cedente nel periodo tra il 2.1.2000 ed il 31.12.2015”. Se invece l’avviso faccia riferimento “ai contratti di finanziamento in forma tecnica o atecnica” stipulati in un determinato periodo, sarà decisamente discutibile che siano esattamente individuati i criteri di inclusione dei crediti nel perimetro della cessione, atteso che per sua definizione il concetto di finanziamento atecnico non consente il riferimento a specifiche categorie negoziali.
Il discorso quindi non può essere impostato in modo astratto in ordine all’idoneità o meno della pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario: va in concreto verificato il contenuto dello specifico avviso di cessione.
Di più: va verificato se nel caso concreto, anche in presenza di categorie di crediti indicati in Gazzetta con adeguata specificità, siano presenti in causa gli elementi atti a dimostrare che la posizione creditoria oggetto di lite rientri in quella categoria.
In concreto, se in Gazzetta si dichiarino oggetto di cessione i crediti “non oggetto di contenzioso alla data del 2.1.2015, non provenienti da leasing, relativi a debitori classificati “a sofferenza” alla data del 2.1.2015” o “segnalati alla Centrale dei Rischi”, mentre i primi due presupposti sono facilmente verificabili, con riferimento alla terza circostanza sarà onere del cessionario dimostrare che ad una determinata data il debitore fosse stato già classificato a sofferenza o segnalato alla Centrale dei Rischi.
In presenza di un avviso di cessione che non indichi delle categorie specifiche, il cessionario dovrà ricorrere ad ulteriori mezzi di prova.
4. Dichiarazione proveniente dalla banca cedente.
Nella prassi si registra con una certa frequenza il deposito da parte del cessionario di una dichiarazione dell’avvenuta cessione proveniente dalla banca cedente.
Si è però affermato che questa dichiarazione e sì valutabile secondo il prudente apprezzamento del giudice assieme ad ulteriori elementi univoci che emergano dagli atti di causa, ma non vale in via autonoma a dimostrare l’avvenuta cessione, in quanto riconducibile a mere dichiarazioni di scienza provenienti da un terzo, prive quindi di valore confessorio[9]: cosicché ad esempio le si è attribuito efficacia probatoria dell’avvenuta cessione unitamente al possesso in capo alla cessionaria del titolo esecutivo[10], della documentazione bancaria relativa al conto corrente, della lettera di messa in mora.
5. Elenco pubblicato in internet.
Altra ipotesi è quella dell’inserimento del credito ceduto in un elenco di tutte le posizioni cedute pubblicato ad un determinato indirizzo internet, cui i clienti dell’istituto di credito possono accedere per verificare l’inserimento del loro nominativo nel perimetro della cessione: il raggiungimento della prova della cessione può però affermarsi solo se venga depositata in causa la lista di crediti e non se venga solamente riportato nella memoria di parte il link al sito internet.
Il Tribunale, infatti, non può effettuare in autonomia, senza contraddittorio delle parti, verifiche relative ai presupposti fondamentali della pretesa creditoria: in tal caso cliccando sul link e verificando la veridicità della tesi difensiva (a tacer dell’estrema complessità di rintracciare il nominativo del debitore tra centinaia ed a volte migliaia di posizioni cedute riportate nell’elenco).
6. L’estratto notarile.
Ancora, il cessionario può depositare un estratto notarile dell’elenco dei crediti, da cui emerga l’inserimento nella lista della posizione dello specifico debitore: anche in tal caso, può essere riconosciuta l’efficacia probatoria al documento, a condizione però che si tratti di un effettivo estratto notarile dell’elenco dei crediti oggetto di cessione.
7. I procedimenti inaudita altera parte
Quali sono sul tema le specificità relative al procedimento monitorio?
La differenza fondamentale è data dal fatto che nel procedimento monitorio, poiché evidentemente non vi può essere costituzione del debitore, non può neppure configurarsi la non contestazione ex art. 115 c.p.c.: quindi il ricorrente ha sempre l’onere di dimostrare la titolarità attiva della posizione creditoria così come il giudice ha l’onere di effettuare d’ufficio detta verifica, eventualmente chiedendo ai sensi dell’art. 640 c.p.c. all’istante di integrare la documentazione allegata al ricorso ex art. 633 c.p.c.
La medesima situazione si verifica nei procedimenti ex art. 492 bis c.p.c.: il giudice avrà sempre l’onere di verificare d’ufficio la titolarità del credito in capo al creditore che chieda l’accesso alle banche dati, eventualmente tramite la prova della cessione, senza che possa operare il principio di non contestazione, in assenza della parte debitrice.
8. Procedimento esecutivo
La questione della prova della titolarità del credito può porsi anche in sede esecutiva: sulla base del combinato disposto degli articoli 475, comma 2, e 477 c.p.c., la giurisprudenza ha affermato che la sentenza, pronunciata tra le parti originarie perché il trasferimento del diritto è avvenuto in pendenza della causa di merito, è eseguibile anche a favore del successore particolare[11]: con la precisazione che il creditore che subentri nel procedimento coattivo non ha necessità di ottenere la spedizione in forma esecutiva del titolo a proprio favore[12].
Si pone quindi anche nei confronti del creditore procedente cessionario il problema della dimostrazione dell’intervenuta acquisizione del credito.
Anche nel procedimento esecutivo, cui spesso non partecipa il debitore esecutato, il giudice ha l’onere di verificare d’ufficio la titolarità del credito in capo al creditore procedente, se soggetto diverso da colui a favore del quale il titolo giudiziale è stato pronunciato, e costui dovrà eventualmente provare l’intervenuta cessione del credito; se invece il debitore sia costituito nel procedimento, potrà nuovamente operare il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.
Qualora la titolarità del credito in capo al creditore cessionario sia invece contestata, il debitore potrà sollecitare il controllo officioso da parte del giudice dell’esecuzione o financo avviare un giudizio di opposizione all’esecuzione: scatta a questo punto l’onere dell’opposto o comunque del creditore procedente di allegare e dimostrare che si verte in un’ipotesi di estensione dell’efficacia soggettiva del titolo esecutivo[13].
Nel diverso caso di cessione del credito nel corso del processo esecutivo, trovano applicazione ancora una volta sia il primo che il terzo comma dell’art. 111 c.p.c..
È infatti consolidato l’orientamento per cui “in pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c. - dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo - continua tra le parti originarie; pertanto, in caso di cessione del diritto di credito per il quale è stata promossa espropriazione forzata, il cedente mantiene la legittimazione attiva (“ad causam”) a proseguire il processo, salvo che il cessionario si opponga” [14] e salvo comunque l’onere del cessionario di dimostrare l’acquisto del credito in caso di contestazione, dimostrazione che evidentemente rimarrà necessaria in caso di estromissione del creditore cedente, come nel caso esaminato dalla Cassazione nella decisione n. 7780/2016.
Ne consegue – quale ultima considerazione - che il trasferimento del credito nel corso del processo esecutivo non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio pendente di opposizione agli atti esecutivi: il processo esecutivo infatti prosegue, cosicché vi è tutto l’interesse dell’opponente ad ottenere la dichiarazione di illegittimità degli atti di esecuzione compiuti[15].
[1] Cass. civ. n. 5617/2020 e n. 22151/2019; nel merito Tribunale Avezzano, 29 ottobre 2020, in www.ilcaso.it.
[2] Cass. civ. n. 20495/2020.
[3] Cass. civ. n. 24798/2020.
[4] App. Ancona, 3 maggio 2022 in www.ilcaso.it, Trib. Napoli 22 aprile 2021 ibidem, Cass. civ. n. 24798/2020.
[5] Cass. civ. n. 5617/2020 in motivazione.
[6] Trib. Verona, 14 novembre 2020 in www.ilcaso.it.
[7] Cass. civ. n. 31188/2017, Cass. Civ. n. 17110/2019.
[8] Cass. civ. n. 5617/2020.
[9] Cass. civ. n. 31588/2021, Cass. Civ. n. 16711/2016.
[10] Cass. civ. n. 10200/2021 in motivazione.
[11] Cass. civ. n. 11583/2005.
[12] Cass. civ. n. 14096/2005.
[13] Cass. civ. n. 7780/2016.
[14] Cass. civ. n. 15622/2017.
[15] Cass. civ. n. 9060/2018.