Giurisprudenza

Misure protettive atipiche nei confronti del garante


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Articolo

Le finalità del concordato preventivo


Luciano Panzani

Data pubblicazione
10 ottobre 2022

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Sommario: 1. Il concordato preventivo nella legislazione previgente; 2. Le finalità del concordato nel codice vigente; 3. La Direttiva Insolvency; 4. Gli interessi tutelati nell’impresa costituita in forma societaria; 5. Il gruppo societario


 

1. Il concordato preventivo nella legislazione previgente[1].

La visione originaria del concordato preventivo nella legge fallimentare era fondata sull’idea di un accordo tra la maggioranza dei creditori e il debitore diretto alla sistemazione dei debiti nelle due forme del concordato in garanzia e del concordato con cessione dei beni[2]. La procedura, cui era ammesso soltanto l’imprenditore che si trovasse in stato d’insolvenza, si fondava su requisiti di meritevolezza, essendo diretta a premiare l’imprenditore “sfortunato, ma onesto”[3] e comportava il pagamento integrale dei creditori privilegiati e dei creditori chirografari nella misura del 40%. Anche nel caso della cessione dei beni occorreva che la proposta potesse far fondatamente ritenere che i creditori sarebbero stati soddisfatti almeno in tale misura. La proposta doveva essere conveniente per i creditori rispetto al fallimento, che poteva essere dichiarato d’ufficio dal tribunale quando la domanda non avesse trovato accoglimento. Ne derivava che la finalità della procedura era da un lato il soddisfacimento dei creditori secondo modalità e percentuali più favorevoli di quelli propri del fallimento e dall’altro per il debitore la sistemazione della situazione debitoria perché all’omologazione del concordato si accompagnava l’effetto esdebitatorio, allora non previsto in caso di fallimento[4].

Si potrebbe dire che dall’assetto del concordato preventivo nella disciplina originaria della legge fallimentare del 1942 esulava ogni finalità di conservazione dell’impresa. Tale conclusione urta però con le parole del Guardasigilli Grandi nella Relazione al Re[5] che, dopo aver osservato che il fallimento tende alla liquidazione dell’impresa, aggiunge: “…Questo carattere si rivela esorbitante rispetto a quelle crisi economiche che non sono indici di mancanza di vitalità dell’impresa, e che possono essere superate senza arrivare alla liquidazione dell’impresa. La legge del 1903 sul concordato preventivo, correttivo e quasi antidoto al fallimento, ha inteso precisamente far fronte a tali speciali situazioni e l’istituto del concordato preventivo, ormai collaudato da un quarantennio di esperienza, non poteva non essere coordinato con la nuova legge sul fallimento”.

Tra le finalità del concordato vi era dunque anche la conservazione dell’impresa, ancorché vista come evento auspicabile, ma certo non probabile. Del resto lo stesso Guardasigilli, in altra parte della Relazione, confrontando il concordato preventivo con l’amministrazione controllata, allora di nuova istituzione, osservava[6] che nella vita di un’impresa poteva accadere che si determinasse una crisi temporanea che rendeva impossibile l’immediato e regolare soddisfacimento delle obbligazioni senza che si potesse parlare di insolvenza e soprattutto di incapacità dell’impresa a riacquistare il suo normale equilibrio. Per tale ipotesi il concordato preventivo non poteva essere una soluzione conveniente. A questo fine tendeva l'amministrazione controllata, “la quale, rispetto al concordato è come la medicina rispetto alla operazione chirurgica, che non può guarire l'ammalato senza lederne in maggiore o minore misura l'integrità”.

Già prima della riforma Vietti, attuata tra il 2005 ed il 2006, si è registrata sia in dottrina che in giurisprudenza un’evoluzione, diretta a recuperare nel testo normativo esistente, anche in analogia e contaminazione con un processo già evidente in altri ordinamenti, soprattutto negli Stati Uniti, ed in Italia nel nuovo istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi introdotto dalla legge Prodi del 1979, gli spazi utili alla ristrutturazione ed alla conservazione dell’impresa, spazi peraltro che i rigidi vincoli previsti dal legislatore limitavano notevolmente.

Giovanni Lo Cascio aveva rilevato per tempo, sulla scorta di alcuni arresti giurisprudenziali, che il concordato per cessio bonorum poteva essere strumento di conservazione dell’impresa attraverso la continuazione dell’attività in capo ad un soggetto terzo, ancorché mancasse un dato normativo che permettesse di identificare un interesse in tal senso[7]. Lo stesso autore aveva sottolineato, sempre nella vigenza del testo ancora non riformato della legge fallimentare, l’evoluzione della concezione d’impresa, non più da considerare “esercizio di un’attività professionale riservata all’imprenditore, ma …centro di confluenza delle diverse componenti aziendali….anche di equilibrio delle posizioni conflittuali in funzione della sua salvaguardia”[8].

La riforma della legge fallimentare del 2005-2006 introduce profonde modifiche nella disciplina del concordato preventivo, in armonia con l’intera riforma che muove dalla premessa che l’interesse della procedura concorsuale non è più focalizzato sull’eliminazione dell’impresa insolvente, quanto piuttosto sulla ricerca di ogni possibile strumento per salvaguardare il recupero, se possibile, dell’impresa in difficoltà. La riforma si fonda sulla centralità dell’interesse del ceto creditizio, sul contingentamento dei tempi dell’azione revocatoria il cui eccessivo rigore rappresenta un ostacolo al recupero dell’impresa in difficoltà, sull’introduzione di strumenti alternativi per la risoluzione della crisi (il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione). Lo stesso concordato muta natura perché, eliminati i requisiti di meritevolezza, assume caratteristiche del tutto nuove. Il debitore può accedere alla procedura anche quando si trova soltanto in stato di crisi (cui verrà poi affiancato, quale requisito oggettivo, anche lo stato di insolvenza consentendo alle imprese di avviare il tentativo di ristrutturazione quando la loro situazione è già seriamente compromessa). Spariscono i requisiti minimi di soddisfacimento dei creditori. Il contenuto della proposta si deve fondare su un piano a contenuto libero, che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, ivi compresa la cessione delle attività ad un terzo e l’accollo. La suddivisione, facoltativa, dei creditori in classi e la previsione di trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, attenuano i vincoli derivanti dal rispetto del principio della par condicio. La ripartizione dei creditori in classi non consente tuttavia di attenuare il vincolo derivante dall’art. 2740 c.c. Il debitore continua a rispondere delle proprie obbligazioni con tutto il patrimonio, ma sono ammesse differenze di trattamento a livello orizzontale tra le diverse classi di creditori, fermo restando tuttavia il rispetto delle cause di prelazione.

Le finalità della riforma non sono espressamente enunciate nel testo delle norme. Tuttavia esse risultano evidenti dall’esame del disegno riformatore nel suo complesso. Alla tutela dei creditori, che rimane legata alla previsione del requisito della fattibilità del piano, che sarà poi oggetto di approfondimento nel dibattito tra dottrina e giurisprudenza, ed alla tutela dell’interesse del debitore a raggiungere un accordo esdebitatorio con i creditori, si accompagna l’obiettivo del risanamento e della prosecuzione dell’attività, che non è però un requisito vincolante della procedura, posto che il concordato può avere carattere liquidatorio, senza che debba essere necessariamente prevista la prosecuzione in capo ad un terzo acquirente. La riforma è ispirata all’importazione nel nostro ordinamento di modelli stranieri di ristrutturazione dell’impresa, soprattutto il Chapter 11 americano, ma tale obiettivo viene realizzato innestando le nuove regole sul tessuto normativo esistente con il metodo della novellazione.

Il risultato è un sistema ibrido. La ristrutturazione e la prosecuzione dell’attività d’impresa è possibile, ma nel contempo il concordato rimane uno strumento per evitare il fallimento, spogliato dei connotati afflittivi che lo caratterizzavano, ma sempre fonte di preoccupazione per l’imprenditore anche per le possibili conseguenze penali. La possibilità di accedere quando già l’insolvenza è conclamata e di proporre una soluzione liquidatoria, rendono il sistema bivalente. La prosecuzione e la ristrutturazione dell’impresa è una finalità esistente, ma sovente irrealistica. La mancata previsione di un soddisfacimento minimo per i creditori, salvo che per i creditori privilegiati nei limiti della capienza della garanzia che assiste il credito, consente la presentazione di piani dove per i creditori chirografari il vantaggio rispetto all’ipotesi fallimentare è illusorio. La giurisprudenza, applicando il principio della causa in concreto, interverrà a tutelarne gli interessi. Le Sezioni Unite, infatti, sciogliendo il nodo in ordine all’interpretazione della nozione di fattibilità del piano, ed affermando che tale nozione si riferisce alla fattibilità giuridica, non economica, del piano stesso, rimessa quest’ultima all’apprezzamento dei creditori attraverso il voto, affermano che la fattibilità giuridica riguarda anche la realizzabilità della causa in concreto, intesa come “obiettivo specifico perseguito dal procedimento, che non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori (corsivo nostro), da un altro”[9]. La giurisprudenza in seguito confermerà quest’orientamento osservando che la fattibilità giuridica comporta “il riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti”[10].

Il concordato preventivo, pur con questi evidenti limiti, garantisce il ceto creditorio rispetto al modello alternativo, la procedura di amministrazione straordinaria che, introdotta nel nostro ordinamento nel 1979 con la c.d. legge Prodi[11], viene modificata ed aggiornata con il d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 che tiene conto dei vincoli che derivavano dal divieto UE di aiuti di Stato (c.d. legge Prodi bis), e con il d.l. Marzano (d.l.23 dicembre 2003, n. 347 convertito in legge 39/2004).

L’art. 1 della legge 270/99 indica le finalità della procedura precisando che “L'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali”. Significativamente si parla di conservazione dell’attività produttiva nell’interesse pubblico collettivo, non del patrimonio del debitore nell’interesse dei creditori. Nell’amministrazione straordinaria il legislatore non pone alcun vincolo in favore dei creditori. L’interesse generale alla conservazione della grande impresa, ancorché insolvente, è tuttavia legato, ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge, all’esistenza di “concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali”. Gli artt. 62-63 della legge nel disciplinare l’alienazione dei beni, in particolare l’art. 63, pongono una serie di vincoli che individuano chiaramente una seconda finalità della procedura, il mantenimento dell’occupazione. Ed infatti la valutazione dell’azienda tiene conto della c.d. redditività negativa, vale a dire degli oneri che il cessionario si addossa, impegnandosi a proseguire l’attività per un biennio ed a mantenere i livelli occupazionali per il medesimo periodo. La scelta dell’acquirente è effettuata tenendo conto tra le altre cose, del piano di prosecuzione dell’attività imprenditoriale che questi ha presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali. Sorge quindi spontanea la domanda se nella gestione della procedura i commissari straordinari debbano tener conto dell’interesse dei creditori. Di fatto nella maggior parte delle procedure si assiste alla consumazione dell’attivo, nel gioco perverso dell’accumulo delle perdite di gestione e del maturare di crediti in prededuzione, nel tentativo di proseguire l’attività senza che i creditori ricevano adeguata tutela.

L’art. 55 della legge con riferimento al caso in cui la procedura sia attuata attraverso il programma di cessione dei complessi aziendali, e non tramite la prosecuzione diretta dell’attività (oggi nel linguaggio del codice della crisi si direbbe: per il tramite della continuità indiretta anziché della continuità diretta) prevede che il programma debba salvaguardare l’unità operativa dei complessi aziendali, tenendo conto degli interessi dei creditori. La loro tutela non è dunque l’obiettivo primario[12]. A ciò si aggiunge il fatto che i creditori, a differenza di quanto avviene nel concordato preventivo, non votano e non approvano il piano.

Molte saranno le successive modifiche della disciplina del concordato preventivo che interverranno a correggere ora questo ora quel profilo della riforma Vietti. Il d.l. 30.12.2005, n. 273, come si è detto, affianca lo stato di insolvenza allo stato di crisi quale presupposto oggettivo della procedura. Il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, introduce la procedura con riserva che consente di accedere alla tutela dalle azioni esecutive dei creditori beneficiando di uno spatium temporis per la redazione e presentazione del piano, soluzione questa che darà luogo a incresciosi casi di abuso del ricorso alla procedura a fronte di imprese prive di ogni possibilità di effettivo risanamento. La riforma del 2012[13] aggiunge alla legge fallimentare l’art. 186 bis e quindi il concordato in continuità, espressamente focalizzato sulla conservazione e sulla prosecuzione dell’attività sia direttamente da parte del debitore che attraverso la cessione ad un terzo. Nasce l’istituto della continuità diretta ed indiretta. In tali ipotesi é ammessa la liquidazione delle attività non funzionali alla prosecuzione dell’attività. Ed è prevista una moratoria a carico dei creditori titolari di pegno, privilegio od ipoteca quando i beni oggetto della garanzia non debbono essere liquidati. La tutela dell’interesse dei creditori è affermata con rigore dalla norma perché l’attestatore deve certificare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Il vincolo tuttavia è meno rigoroso[14] di quanto potrebbe apparire a prima vista perché è subito nozione di comune esperienza che la vendita atomistica dei beni determina un calo verticale del valore degli asset, anche in ragione della frequente presenza nell’attivo dei c.d. intangibles, beni immateriali il cui valore di realizzo è strettamente legato al mantenimento dell’impresa in continuità. Il miglior soddisfacimento potrebbe forse essere verificato per il tramite del confronto con altre ipotesi di piano, ma l’istituto delle proposte concorrenti, successivamente introdotto dal legislatore con il d.l. 83/2015, non ha significativa attuazione.

La moratoria sui crediti dei creditori privilegiati relativamente ai beni vincolati alla prosecuzione dell’attività indica tuttavia che la tutela dei creditori incontra vincoli direttamente collegati alla realizzazione del progetto di ristrutturazione.

La riforma del 2015[15] rafforza seriamente le garanzie di soddisfacimento dei creditori, indicando complessivamente la volontà del legislatore di assicurare che questa finalità del concordato non rimanga lettera vuota. Si impone nel concordato liquidatorio l’obbligo per il debitore di corrispondere ai creditori chirografari una percentuale minima del 20% e si prevede che la proposta, anche nel caso del concordato con continuità dove la percentuale minima non si applica, debba indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore. Prevedere tale utilità a favore di ogni creditore equivale a dire che ogni creditore chirografario deve ricevere denaro o altre utilità dal concordato e che quindi non vi possono essere proposte, in continuità o meno, che non riconoscano qualcosa a tutti i creditori. Se non è possibile pagare almeno in percentuale minima tutti i creditori, si deve far luogo al fallimento, sacrificando l’azienda, salvo che il curatore possa ancora cederla in continuità. Questa regola, sia pur attenuata dalla possibilità che l’utilità in favore dei creditori possa derivare dalla prosecuzione di contratti in corso, verrà mantenuta dal codice della crisi, con la conseguenza che il legislatore non si limita a richiedere che ai creditori venga riconosciuto un trattamento non deteriore rispetto a quanto essi potrebbero ottenere in sede di liquidazione giudiziale, ma vuole che ad ogni creditore derivi un vantaggio, economicamente valutabile, e quindi un minimo soddisfacimento dei loro crediti.

Nella prima versione del codice, approvata con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, poi non entrata in vigore per effetto dei successivi rinvii conseguenti alla pandemia e alla necessità di adeguare il testo alla Direttiva Insolvency, il legislatore all’art. 84, comma 2, ult. parte, richiede che la continuità, diretta o indiretta, sia “funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico-finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci”, precisando che nel caso di continuità indiretta la regola si applica, in quanto compatibile, anche nel caso di attività aziendale proseguita da soggetto diverso dall’imprenditore.

Nel testo in vigore del codice il riferimento alla tutela dell’imprenditore e dei soci è scomparso, anche se, come vedremo, non può ritenersi che questi interessi non siano attualmente tutelati.

E’ sparito, salvo che nella disciplina dei gruppi, anche il riferimento, già contenuto nell’art. 186 bis l.fall. sin dal 2012, al miglior soddisfacimento dei creditori cui doveva essere funzionale la prosecuzione dell’attività d’impresa secondo l’attestazione del professionista. Tale requisito era ripreso dall’art. 87, comma 1, lett. f) tra gli elementi che dovevano essere indicati dal piano.

La dottrina[16], ma anche la giurisprudenza[17] non hanno avuto dubbi nel ritenere che il requisito previsto dall’art. 186 bis, che imponeva all’attestatore di accertare che la soluzione concordataria in continuità assicurasse il miglior soddisfacimento dei creditori, implicasse in sostanza il confronto tra le alternative possibili, in particolar modo l’alternativa della liquidazione fallimentare, secondo un criterio sostanzialmente non difforme dal meccanismo del cram down. La prosecuzione dell’attività d’impresa e quindi la sua conservazione era condizionata alla compatibilità di tale scelta con la miglior tutela dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.

Se così stanno le cose, la nuova versione del codice non ha modificato le scelte di fondo del legislatore, perché, come vedremo, la tutela prioritaria dei creditori cui rimane condizionata la possibilità di avvalersi del concordato, permane.

 

2. Le finalità del concordato nel codice vigente.

Veniamo ora alla disciplina vigente, dettata dal codice.

L’art. 4, comma 2, lett. c) CCII prevede che il debitore nel corso dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ha il dovere di gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori. Tale obbligo non copre le trattative che procedono l’accesso, alle quali ai sensi del primo comma della norma, l’obbligo è soltanto di comportarsi secondo buona fede e correttezza.

L’art. 40 regola la domanda nell’ambito del procedimento di accesso. L’art. 44 prevede che nel caso di domanda con riserva, tanto nel caso del concordato preventivo, del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) e della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, il tribunale debba nominare un commissario giudiziale. In tutti questi casi il debitore ha l’obbligo di gestire nell’interesse prioritario dei creditori, mentre l’art. 21 dispone che nel corso delle trattative, in caso di composizione negoziata, l’imprenditore in stato di crisi gestisce in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, mentre se vi è insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento, gestisce nel prevalente interesse dei creditori. Gli obblighi di controllo ed informazione che fanno capo al commissario assicurano che l’interesse dei creditori venga tutelato.

Pertanto in caso di accesso ad una procedura, vi sia già insolvenza o ci si trovi ancora in stato di crisi, la gestione deve rispettare l’interesse prioritario dei creditori, mentre tale interesse, definito come “prevalente”, va tutelato durante le trattative, vi sia stato o meno accesso alla composizione negoziata, soltanto ove vi sia già lo stato di insolvenza. Come si è detto, l’art. 21 richiede che l’insolvenza sia reversibile, in armonia con il requisito fondamentale per l’accesso alla composizione negoziata stabilito dall’art. 12 che risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa[18].

Le finalità del concordato preventivo sono indicate dall’art. 84 che enuncia tale obiettivo sin dalla rubrica, collegandole alle tipologie di piano che sono individuate nel concordato in continuità aziendale, nel concordato con liquidazione del patrimonio, nel concordato con assuntore e nel concordato in qualsiasi altra forma[19]. Vi è un netto cambiamento di rotta rispetto alla prima versione del codice che nel primo comma dell’art. 84 esordiva affermando che “con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio”, indicando quindi soltanto il concordato in continuità ed il concordato liquidatorio, anche se poi l’art. 85 nell’elencare i requisiti del piano riproduceva il primo comma dell’art. 160 l.fall. considerando anche il concordato con assuntore. Si era quindi affermato che il perimetro del concordato liquidatorio poteva essere definito soltanto per sottrazione rispetto al concordato in continuità, unica fattispecie dettagliatamente disciplinata dal legislatore. Se ne ricavava che dovevano considerarsi liquidatori tutti i concordati che, pur prevedendo la continuazione dell’impresa, non presentassero i requisiti prescritti per il concordato in continuità[20].

Tre forme sono ora predeterminate e disciplinate dal legislatore, mentre la quarta è una forma aperta. Non è detto, però, che con il rinvio ad una forma aperta il legislatore abbia inteso richiamare l’art. 87, comma 1, lett. d). Tale ultima norma si riferisce alle modalità di ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti che possono appunto avvenire “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito”. Tali forme, infatti, sono senz’altro compatibili in molti casi, com’è avvenuto in passato, con il concordato in continuità. La previsione di una forma aperta nell’art. 84 ha una portata più ampia che soltanto la casistica e l’esperienza potranno meglio definire[21].

Resta tuttavia che la specifica disciplina delle modalità di voto e di approvazione del concordato, oltre che di omologazione, previste dagli artt. 109 e 112 e fondate sull’alternativa concordato in continuità e concordato liquidatorio, pongono all’interprete il problema se le eventuali forme aperte, ma anche il concordato con assuntore, debbano essere poi calate nel letto di Procuste[22] del binomio ora visto, come avveniva dopo l’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 186 bis.

Tutte e quattro le tipologie di piano debbono prevedere, come recita l’art. 84, comma 1, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. E’ questo un vincolo di carattere generale che discende direttamente dalla Direttiva Insolvency. L’art. 10 della Direttiva prevede infatti che l’autorità giudiziaria o amministrativa, che in taluni ordinamenti provvede in luogo del giudice, debba verificare se il piano soddisfa il requisito del miglior soddisfacimento dei creditori (best-interest-of-creditors test). L’art. 1, par. 1, n. 6 fornisce la definizione del miglior soddisfacimento dei creditori precisando che esso comporta che “nessun creditore dissenziente uscirà dal piano di ristrutturazione svantaggiato rispetto a come uscirebbe in caso di liquidazione se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale, sia essa una liquidazione per settori o una vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, oppure nel caso del migliore scenario alternativo possibile se il piano di ristrutturazione non fosse omologato”.

Il legislatore italiano ha fatto riferimento soltanto al risultato della liquidazione, tralasciando il riferimento al miglior scenario alternativo possibile. Una scelta che non è perfettamente in linea con le indicazioni della Direttiva, ma che risente della prevalente opinione che si era formata, vigente l’art. 186 bis, sulla corrispondente nozione inserita nella legge fallimentare[23].

La tutela dell’interesse dei creditori è poi ulteriormente articolata in vari precetti. Nel caso del concordato in continuità l’art. 84, comma 3, richiede, come già la disciplina previgente, che la proposta di concordato preveda per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa. Ai creditori, suddivisi in classi, deve essere assicurato il plusvalore da continuità, distribuibile secondo la relative priority rule (art. 84, comma 6), eccezion fatta per i lavoratori subordinati relativamente ai crediti indicati dall’art. 2751 bis.

Nel concordato liquidatorio invece i creditori chirografari ed i creditori privilegiati degradati a chirografo per incapienza debbono percepire almeno il 20% dei loro crediti. Il legislatore pone quindi il vincolo di una percentuale minima di soddisfacimento cui si aggiunge, rispetto alla disciplina previgente, l’onere di un trattamento più favorevole di quello previsto in caso di liquidazione perché l’attivo disponibile deve essere incrementato con risorse esterne che lo aumentino almeno del 10%.

La tutela dei creditori privilegiati comporta che essi vengano integralmente soddisfatti nei limiti di capienza della garanzia, ma con la possibilità di deroga all’ordine delle cause di prelazione secondo la relative priority rule, nel concordato in continuità e con il vincolo che nei limiti di quanto riceverebbero in caso di liquidazione va invece seguita la regola della priorità assoluta, che deve essere rigidamente applicata nel concordato liquidatorio.

Ancora l’art. 112, che disciplina l’omologazione, prevede che il tribunale tanto nel concordato in continuità che in quello liquidatorio debba verificare: a) la regolarità della procedura; b) l'esito della votazione; c) l'ammissibilità della proposta; d) la corretta formazione delle classi; e) la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe. Nel concordato in continuità i controlli, se la proposta è approvata dall’unanimità delle classi, terminano qui. Il rispetto della distribuzione dell’attivo nel rispetto della absolute priority rule e della relative priority rule è condizionato alla presenza di classi dissenzienti, come si evince dal comma 2, dell’art. 112. Di qui la conclusione che il legislatore lascia alla valutazione della maggioranza, se presente in tutte le classi, esprimersi anche sul rispetto delle regole di priorità[24], interesse disponibile come si evince anche dalla disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Il diritto indisponibile è quello del creditore ad un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale.

L’art. 84 non indica il soddisfacimento dei creditori come l’unica finalità del concordato preventivo. Il comma 2 della norma con riferimento alla sola continuità aziendale dichiara che essa tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura del possibile, i posti di lavoro[25].

Si tratta comunque di un interesse sottordinato, chiaramente posposto alla tutela dei creditori[26], sia alla luce della Direttiva che della giurisprudenza della Corte EDU che ha affermato che l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione tutela il diritto di credito quale “bene” da ogni illegittima ingerenza, tutte le volte che il credito goda di una sufficiente base giuridica nel diritto interno idonea a fondare il legittimo affidamento del creditore[27]. In caso di conflitto tra i valori tutelati, è determinante comprendere quale in base al sistema normativo dettato dal codice, dalla Direttiva e dai valori fondanti dell’ordinamento debba prevalere[28].

Non è invece indice della presenza di un ulteriore interesse tutelato il fatto che l’art. 87, comma 1, lett. f) preveda che il piano in caso di continuità diretta debba tener conto tra i costi di quelli relativi al rispetto della normativa in materia di sicurezza del lavoro e di tutela dell’ambiente. Si tratta infatti di un vincolo che grava su qualsiasi impresa, in bonis o meno, e non di un interesse specificamente protetto nell’ambito del concordato.

Sono quindi almeno due gli interessi tutelati dal legislatore: l’interesse dei creditori al soddisfacimento dei loro crediti e la tutela dell’occupazione, con conseguente conservazione dei posti di lavoro, con l’importante precisazione che tale ultimo obiettivo va realizzato nei limiti del possibile.

L’interesse dei creditori può avere caratteristiche più ampie della mera tutela del credito. Come si è accennato, il comma 3 precisa infatti che nel concordato in continuità aziendale l’utilità che i creditori debbono ricevere può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o i suoi aventi causa. L’interesse del creditore non sta quindi soltanto nel soddisfacimento del credito, ma nella possibilità di continuare i rapporti in essere, soprattutto quelli di fornitura che possono essere più importanti in prospettiva del soddisfacimento dei crediti pregressi.

 

3. La Direttiva Insolvency.

Vi è una notevole differenza tra le scarne indicazioni del legislatore contenute nell’art. 84 e le finalità dei quadri di ristrutturazione preventiva, nella cui definizione rientra certamente il concordato in continuità, sia diretta che indiretta, come sono indicate dal Considerando 2 della Direttiva Insolvency. Il legislatore europeo dichiara infatti che i quadri di ristrutturazione dovrebbero consentire ai debitori: a) di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane; b) impedire la perdita di posti di lavoro; c) impedire la perdita di conoscenze e competenze; d) massimizzare il valore per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel miglior scenario alternativo possibile in mancanza di un piano; e) massimizzare il valore anche per i proprietari e f) per l’economia nel suo complesso.

Il legislatore europeo ha quindi avuto presente una serie di obiettivi assai più ampia di quanto espressamente enunciato dal codice, almeno con riferimento al concordato preventivo. Alcune di queste finalità rientrano tuttavia nella disciplina del concordato preventivo, anche se non sono state espressamente enunciate.

La prevenzione dell’insolvenza e il risanamento dell’impresa ancora economicamente viable è certamente uno degli scopi del legislatore italiano. Il piano di concordato infatti deve indicare, nel caso del concordato in continuità, il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria (art. 87, comma 1, lett. e). Ancora ai sensi del comma terzo della norma la relazione del professionista indipendente che deve attestare il piano deve certificare, in caso di continuità aziendale, che il piano è atto ad impedire o superare l’insolvenza, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa.

Va aggiunto che la conservazione dell’impresa ed il ripristino del suo equilibrio economico finanziario non tutela soltanto gli interessi dei creditori e del debitore, ma quello dell’economia in generale. Naturalmente vi sono dei vincoli, connessi alla tutela dei creditori, almeno nei limiti di quanto potrebbero ottenere in caso di liquidazione, e dei posti di lavoro. Tali vincoli, tuttavia, sono previsti anche dalla Direttiva, con una chiara indicazione sia per il legislatore unionale che per quello italiano della priorità della tutela dei creditori nei limiti anzi detti, e, subito dopo, dell’occupazione.

La massimizzazione del valore dell’impresa nell’interesse dei creditori è un aspetto specifico della tutela dei creditori che abbiamo visto essere uno dei principi cui è ispirata la Direttiva. Essa si attua con la gestione nel prevalente interesse dei creditori nel caso del concordato in continuità diretta, come abbiamo già visto nel caso del procedimento di accesso allo strumento di composizione della crisi e dell’insolvenza e con la vendita delle attività secondo i principi di trasparenza e pubblicità diretti a favorire la presenza di una pluralità di offerte e la gara tra gli offerenti.

Per quanto concerne il debitore il legislatore, come si è detto, non lo menziona, a differenza di quanto faceva l’art. 84 nella prima versione del codice. Non è dubbio tuttavia che tale interesse del debitore sia tutelato. Permane infatti l’effetto esdebitatorio che segue all’omologazione. Si tratta anzi di un interesse che è sempre esistito ed è sempre stato preso in considerazione sin dalla prima disciplina dell’istituto nell’ambito della legge fallimentare del 1942.

L’interesse del debitore è anzitutto tutelato dal fatto che il solo debitore è legittimato a proporre la domanda di concordato, anche nell’eventualità che essa sia proposta con riserva di presentazione della proposta e del piano.

A tale proposito la Direttiva consentiva scelte diverse. L’art. 4, comma 8, permette infatti agli Stati membri di prevedere che i quadri di ristrutturazione preventiva siano disponibili su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo del debitore, e addirittura di escludere la necessità del consenso di quest’ultimo quando non si tratti di una PMI. Il nostro legislatore non si è avvalso di questa possibilità.

Va tuttavia ricordato che se la domanda può essere proposta soltanto dal debitore, l’art. 90 consente la presentazione di proposte concorrenti da parte di creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti, salvo che la proposta del debitore assicuri almeno il 30% ai creditori chirografari, il 20% nel caso in cui il debitore abbia utilmente avviato la composizione negoziata.

L’interesse del debitore non è però tutelato in via assoluta. Ciò si ricava già dalla Direttiva che precisa, molto chiaramente, che i quadri di ristrutturazione sono riservati alle imprese sane (Consideranda 3-4). Di qui la conseguenza che nei quadri di ristrutturazione il piano deve avere “prospettive ragionevoli di impedire l'insolvenza del debitore e di garantire la sostenibilità economica dell'impresa” (art. 8, par. 1, lett. h). Nella disciplina del codice tanto per il concordato in continuità che nelle altre forme di concordato previste, l’interesse del debitore è subordinato alla sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di omologazione della procedura, come prevede in via generale l’art. 7 in caso di concorso tra domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza. La norma sul versante processuale regola i rapporti tra la domanda di concordato presentata dal debitore e la domanda di liquidazione proposta nei suoi confronti, disponendo che il tribunale esamina in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, enunciando le condizioni cui è subordinato tale esame prioritario[29].

Anche da questa prospettiva risulta evidente che il principale interesse tutelato rimane quello dei creditori, almeno nei limiti di quanto essi potrebbero percepire in caso di liquidazione giudiziale. A tale vincolo rimane subordinata anche la tutela dell’occupazione, come risulta con chiarezza dal disposto dell’art. 84 che richiama tale finalità nel secondo comma, con riferimento alla sola continuità aziendale, precisando che essa tutela l’interesse dei creditori e preserva, nei limiti del possibile, i posti di lavoro.

La Direttiva tutela i diritti dei lavoratori in modo assolutamente vincolante quando è in gioco il diritto alla retribuzione. I crediti di lavoro infatti non possono essere soggetti alla sospensione delle azioni esecutive, come prevedono anche gli artt. 18 e 54 del codice, e debbono essere soddisfatti immediatamente (Considerando 61, art. 6). L’art. 109 del codice prevede tuttavia che i creditori titolari di privilegio ai sensi dell’art. 2751 bis c.c. non siano ammessi al voto – si ritiene cioè che essi non siano incisi dalla proposta di concordato – se soddisfatti in denaro, integralmente, entro trenta giorni dall’omologazione.

L’art. 13 della Direttiva garantisce i diritti all'informazione e alla consultazione previsti dalla direttiva 2002/14/CE, anche sulle decisioni suscettibili di comportare cambiamenti di rilievo in materia di organizzazione del lavoro o di contratti di lavoro al fine di ricercare un accordo su tali decisioni (cfr. Considerando 62) ed anche i vincoli in tema di licenziamento (Considerando 60). In proposito, oltre alla legislazione già in vigore, si consideri la speciale procedura di consultazione sindacale prevista dall’art. 4 del codice in aggiunta alle procedure di informazione e consultazione già esistenti, per le imprese che occupano complessivamente più di 15 dipendenti.

Va però sottolineato che la Direttiva non pone l’accento sulla tutela del debitore in quanto tale, quale “proprietario” dell’impresa, ma sulla “massimizzazione del valore dell’impresa” anche nell’interesse dei proprietari che è concetto diverso, perché può significare che all’esito del piano non vi saranno attribuzioni in favore dei proprietari, ma la massimizzazione del valore sarà comunque anche nel loro interesse perché la ristrutturazione avverrà alle migliori condizioni possibili. L’indicazione che viene dalla Direttiva, tuttavia, riguarda soltanto i quadri di ristrutturazione preventiva. Di conseguenza non si riferisce ai concordati liquidatori o comunque che non si fondano su un piano di ristrutturazione.

 

4. Gli interessi tutelati nell’impresa costituita in forma societaria.

 Per l’ipotesi che l’impresa sia costituita in forma societaria il legislatore ha dettato norme inedite negli artt. 120 bis e ss. Tali norme si applicano, secondo la formulazione del primo comma della norma, agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società. Se possono emergere dubbi sull’applicabilità di queste disposizioni alle procedure diverse dal concordato preventivo, ad esempio agli accordi di ristrutturazione per i quali non è prevista la formazione di classi (arg. art. 120 ter), tali dubbi certamente non riguardano il concordato preventivo in quanto tale.

L’art. 120 bis stabilisce che l’accesso allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano. Rispetto al preesistente art. 161, comma 4, l. fall. che rinviava all’art. 152 della stessa legge la norma ha un’ampiezza maggiore perché riguarda anche le società di persone. Non consente inoltre la deroga statutaria. La Relazione governativa chiarisce che «l’avvio della ristrutturazione, e la determinazione del contenuto del piano, costituiscono esecuzione degli obblighi di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, previsti dall’articolo 2086, secondo comma, del codice civile». L’iniziativa degli amministratori è dunque doverosa perché corrisponde ad un obbligo di legge, sì che rimane giustificata la sottrazione del potere di iniziativa all’assemblea nella società di capitali ed ai soci nella società di persone[30]. Ancora va ricordato che l’art. 19 della Direttiva fa obbligo agli Stati membri di provvedere perché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, gli amministratori tengano debitamente conto: a) degli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; b) della necessità di prendere misure per evitare l'insolvenza; e c) della necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa.

Con la domanda di concordato pertanto il debitore costituito in forma societaria pone in essere un comportamento doveroso e tutela tutti gli interessi che abbiamo sin qui considerato, a cominciare da quello della stessa società debitrice a porre rimedio allo stato di crisi o di insolvenza.

Accanto alla tutela della posizione del debitore costituito in forma societaria gli artt. 120 bis e ss. si occupano anche degli interessi di un’altra categoria di soggetti, che sono i soci della società debitrice.

Perché il potere effettivo degli amministratori non possa essere contrastato da manovre ostruzionistiche dei soci, il secondo comma dell’art. 120 bis dispone che gli amministratori possano prevedere nel piano qualsiasi modifica statutaria ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. L’art. 120 quinquies, dedicato all’esecuzione del piano stabilisce che il provvedimento di omologa del tribunale determina la riduzione o l’aumento del capitale o la modifica dello statuto. Le regole statutarie sono quindi modificate a prescindere dalla volontà di chi è in atto socio e con eventuale compressione dei suoi diritti.

La modifica della governance della società va vista quindi come parte del piano di ristrutturazione ed è soggetta all’approvazione del tribunale con gli stessi limiti e poteri che il tribunale ha con riferimento al piano nel suo complesso. Ne deriva che i soci potranno opporsi all’omologazione. A tale proposito va ricordato che l’art. 48, comma 2, nel regolare il giudizio di omologazione precisa che l’opposizione può essere proposta dai creditori dissenzienti e da qualsiasi interessato.

La modifica statutaria non è soggetta al controllo omologatorio del notaio rogante. Ne deriva che il controllo è devoluto al tribunale, sì che esso va compiuto anche in difetto di opposizioni.

Tale controllo riguarderà l’eventuale lesione dei diritti dei soci nel caso in cui la partecipazione di cui sono ancora titolari abbia un residuo valore, ad esempio nei casi in cui la società non sia insolvente, ma illiquida e sia prospettabile una ristrutturazione da cui possa conseguire l’integrale pagamento dei creditori e un residuo attivo distribuibile ai soci all’esito della liquidazione giudiziale[31]. Si tratta di ipotesi non frequenti, ma non impossibili a verificarsi. Ovvero può trattarsi di casi in cui gli amministratori, espressione della maggioranza dei soci, abbiano predisposto un piano che lede indebitamente gli interessi della minoranza e si possa configurare l’ipotesi dell’abuso del diritto[32].

Il legislatore ha peraltro configurato un diverso potere di voice in capo ai soci prevedendo nell’art. 120 bis, comma 5, che i soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale sono legittimati alla presentazione di proposte concorrenti ai sensi dell’art. 90 come i creditori titolari del 10% dei crediti. E’ peraltro certamente improbabile che tale facoltà, di fatto raramente utilizzata dai creditori, venga esercitata da una minoranza dei soci.

Senza affrontare funditus la tematica della tutela dei soci vanno ricordate altre disposizioni che sono dirette a tutelare nei limiti del possibile la posizione dei soci della società in concordato nella loro veste di residual claimant, vale a dire di titolari di un diritto di credito alla restituzione del capitale investito. L’art. 120 quater prevede infatti che i soci, organizzati in classe[33], possano partecipare alla distribuzione del valore risultante dalla ristrutturazione, e quindi nel concordato in continuità, non soltanto nel caso in cui i creditori sociali siano stati integralmente soddisfatti, ma anche quando ciò non avvenga. Il comma 2 della norma qualifica come valore riservato ai soci il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma. Può trovare applicazione la regola della relative priority rule, ma a condizione che ove vi siano classi dissenzienti di creditori, esse ricevano un trattamento più favorevole di quello riservato alle classi di rango inferiore, pur conteggiando il valore assegnato ai soci in capo a tali ultime classi. Nel caso in cui non vi siano classi di rango inferiore, il valore assegnato alla classe dissenziente deve essere superiore a quanto riservato ai soci. Il legislatore, in altri termini, non trascura il fatto che i soci sono creditori postergati e che quindi il loro soddisfacimento non può avvenire a danno dei creditori dissenzienti.

Nella sostanza, tuttavia, il trattamento previsto a favore dei soci consente di attribuire loro un ritorno dalla ristrutturazione dell’impresa costituita in forma societaria, coinvolgendoli nella ristrutturazione e nella prospettiva di futuri rendimenti ad impresa risanata. Va tenuto conto che in quanto titolari della partecipazione i soci hanno un orizzonte temporale più ampio rispetto ai creditori, che va oltre l’esecuzione del piano e s’incentra soprattutto sulla riconquistata redditività della partecipazione.

 

5. Il gruppo societario.

Il legislatore ha previsto, ponendo rimedio ad un’inerzia durata sin troppo a lungo, il concordato di gruppo, gli accordi di ristrutturazione di gruppo, il piano attestato di gruppo e la liquidazione giudiziale di gruppo. Prima del codice della crisi la disciplina della ristrutturazione e dell’insolvenza di gruppo era prevista soltanto nell’ambito dell’amministrazione straordinaria con la possibilità, trattandosi di procedura fondata soltanto sullo stato di insolvenza, che l’amministrazione straordinaria venisse estesa con provvedimento del giudice e su istanza dei commissari anche alle altre società insolventi del gruppo.

Nel caso invece della disciplina del gruppo prevista dal codice la procedura nei confronti delle varie società del gruppo può aprirsi invito domino soltanto nel caso della liquidazione giudiziale di gruppo (art. 287) ed a condizione che risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi. In difetto si fa luogo a procedure autonome (art. 288) fatto salvo l’obbligo di cooperazione tra gli organi di gestione per assicurare appunto una gestione efficace.

Quando si tratti di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione o di piani attestati l’art. 284 consente la presentazione di un piano unitario o di piani reciprocamente collegati ed interferenti. Occorre però che si tratti di imprese appartenenti al medesimo gruppo, secondo la definizione che ne dà l’art. 2, comma 1, lett. h). Dalla definizione si ricava che la latitudine della nozione di gruppo è ampia perché essa include l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che ai sensi degli artt. 2497 e 2545 septies c.c. esercitano o sono sottoposti alla direzione e al coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica. Il legislatore detta una presunzione di sussistenza della direzione e coordinamento nel caso di società od ente tenuto al consolidamento dei bilanci oppure quando vi sia il controllo diretto o indiretto da parte di una società od ente, anche nei casi di controllo congiunto.

Non è questa la sede per un’esegesi accurata della nozione di gruppo[34] cui fa riferimento il legislatore, ma si tratta senz’altro di una nozione ampia, che copre la grande maggioranza delle fattispecie più ricorrenti ed anche il caso in cui la direzione e il coordinamento siano esercitati da una persona fisica.

Un ulteriore vincolo, diretto ad evitare i conflitti di giurisdizione con altri ordinamenti, pur se si tratta di soggetti che possono essere sottoposti alla procedura soltanto volontariamente, è che si tratti di imprese aventi il loro COMI in Italia (art. 284, comma 1).

Il concordato di gruppo non determina il consolidamento degli attivi e dei passivi. Ha valenza soltanto procedurale come rammenta l’art. 284, comma 3, che precisa che resta ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive.

La domanda di concordato di gruppo deve contenere l’illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti invece di un piano autonomo per ciascuna impresa (art. 284, comma 4). Inoltre il piano unitario o i piani reciprocamente collegati ed interferenti devono essere idonei a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna.

Sono elementi sufficienti per rilevare che:

a) il concordato di gruppo è in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori di ogni impresa coinvolta. In questa sede il legislatore ha utilizzato nuovamente l’espressione impiegata nell’art. 186 bis l.fall. e che, come abbiamo visto è stata abbandonata nella definizione del concordato preventivo contenuta nell’art. 84, comma 1, dove si parla di soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. Abbiamo però visto che le due espressioni non hanno sostanzialmente significato diverso.

b) il piano o i piani di gruppo debbono assicurare la maggior convenienza della soluzione comune rispetto all’alternativa di procedure autonome, ma fondate sull’obbligo di collaborazione tra i gestori. Tale maggior convenienza è sempre in funzione dell’interesse dei creditori.

c) il piano o i piani debbono essere idonei a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria ed il riequilibrio della situazione finanziaria di ogni impresa del gruppo. E’ quindi evidente che il piano o i piani di gruppo possono dar luogo soltanto ad un concordato in continuità perché altrimenti non vi potrebbe essere risanamento e riequilibrio della situazione finanziaria.

d) il legislatore tuttavia ammette la possibilità che il concordato di gruppo per talune imprese possa assumere carattere liquidatorio (art. 285, comma 1). Il concordato rimane tuttavia un concordato in continuità, avverte il legislatore, quando confrontando i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell’attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulta che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta.

Il legislatore ha mantenuto in questo caso la nozione di prevalenza del soddisfacimento dei creditori per il tramite della continuità, che ha invece espunto dalla disciplina del concordato individuale, modificando l’art. 84 rispetto alla disciplina che ne offriva la prima versione del codice.

e) il legislatore consente che il miglior soddisfacimento dei creditori possa essere realizzato anche per il tramite del trasferimento di risorse da un’impresa ad un’altra del gruppo purché tale trasferimento non leda la situazione patrimoniale dell’impresa cedente per effetto dei vantaggi compensativi che le possono essere assicurati, purché tali vantaggi, conformemente alla giurisprudenza che si è formata sull’argomento, siano conseguiti o fondatamente prevedibili (art. 284, comma 4).

Va sottolineato che i vantaggi compensativi debbono non soltanto essere idonei a mantenere la garanzia patrimoniale in favore dei creditori dell’impresa depauperata, ma debbono anche tutelare la redditività ed il valore della partecipazione dei soci. Il tribunale, infatti, omologa quando esclude anche grazie ai vantaggi compensativi la sussistenza del relativo pregiudizio (art. 285, comma 5).

Sulla base di questi elementi possiamo individuare le finalità del concordato di gruppo. Esse in gran parte coincidono con quelle del concordato individuale. Si tratta anzitutto dell’interesse primario dei creditori cui deve essere assicurato un trattamento non deteriore rispetto a quanto conseguirebbero in caso di liquidazione giudiziale (art. 285, comma 4). Tale interesse primario va attuato per così dire orizzontalmente e cioè per ogni impresa o società, tenendo peraltro conto dei vantaggi compensativi che possono derivare all’impresa che subisca dei trasferimenti nell’interesse di altri partecipanti al gruppo, vantaggi che, com’è noto, si possono tradurre anche nel fatto stesso di essere parte del gruppo, quando ad esempio non sia possibile la ristrutturazione e il recupero al di fuori di una strategia di gruppo.

Il legislatore non menziona espressamente l’interesse dei lavoratori, ma si applica certamente l’art. 84, comma 2, in ordine alla tutela, per quanto possibile, dei posti di lavoro nel caso del concordato in continuità.

Trova certamente tutela l’interesse delle imprese del gruppo al risanamento ed al recupero dell’equilibrio economico finanziario. Si tratta infatti di un vincolo espresso alla disciplina di gruppo.

Sono tutelati anche gli interessi dei soci delle imprese del gruppo in ragione del vincolo, nel caso di trasferimenti infragruppo, a tutelare il valore e l’integrità della partecipazione.

Resta a chiedersi se il legislatore intenda tutelare anche il gruppo in quanto tale. Il dibattito in dottrina, soprattutto con riferimento al diritto societario, sull’esistenza e la possibilità di tutela di un interesse di gruppo in quanto tale, è noto e non è il caso di ripercorrerlo in questa sede. Era peraltro avvertita da tempo l’esigenza di evitare che l’apertura di procedure concorsuali che investano una o più imprese del gruppo faccia venir meno l’unità di direzione e coordinamento che caratterizzava il gruppo finché esse erano in bonis . Se la necessità di garantire la piena tutela dei creditori di ogni società assicurando la separazione delle masse attive e passive rimane un punto fermo, occorre tuttavia che il progetto di ristrutturazione le investa in modo unitario, essendo evidente che altrimenti le possibilità di conservazione dell’impresa risulterà gravemente compromessa, con conseguenze pregiudizievoli proprio per i creditori. Va poi sottolineato che la disciplina dettata dal codice non si riferisce al gruppo come entità autonoma, ma alle imprese secondo l’ampia definizione di gruppo accolta dall’art. 2, comma 1, lett. h) del codice.

La disciplina della procedura di gruppo è unitaria nel senso che prevede alcuni requisiti sostanziali comuni alle imprese del gruppo, non soltanto in ordine all’esistenza del gruppo nei termini di cui alla nozione presa a riferimento dal codice, ma anche in termini di risultati previsti per ciascuna delle imprese coinvolte dall’unico piano o dai plurimi piani collegati. Essa è poi unitaria dal punto di vista procedimentale per gli specifici profili che sono considerati dal legislatore (ad esempio l’unicità della domanda, la deroga alle regole ordinarie in tema di competenza, la nomina di un unico organo della procedura). Per il resto però ciascuna procedura è autonoma e valgono, in quanto non derogati, i generali criteri previsti dalla disciplina ordinaria per ciascun tipo di procedura per così dire monistica. Il legislatore del resto ha cura nel terzo comma dell’art. 284 di ribadire, in conformità alla legge delega, che resta ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive delle imprese coinvolte. Mutatis mutandis pertanto il procedimento di gruppo non rappresenta una novità assoluta per il nostro ordinamento, non soltanto perché vi sono i precedenti previsti dalla disciplina dell’amministrazione straordinaria, ma perché un altro punto di riferimento è rappresentato dal procedimento previsto per il fallimento dei soci illimitatamente responsabili dall’art. 147 l.fall. ed ora per la liquidazione giudiziale dei medesimi dall’art. 256 del codice. L’evoluzione giurisprudenziale ci dirà se conclusioni analoghe potranno essere assunte anche per le procedure familiari di risoluzione della crisi da sovraindebitamento aperte su istanza dei membri di una stessa famiglia (art. 66 CCII). La scarna disciplina dettata dal legislatore non permette allo stato di raggiungere conclusioni certe, anche se pure in questo caso la domanda riguarda una pluralità di soggetti e prevede un unico progetto di ristrutturazione della crisi da sovraindebitamento.

Ancora va ricordato che, come abbiamo già sottolineato, la domanda di concordato deve essere proposta da tutte le imprese del gruppo e richiede pertanto che gli amministratori di ogni impresa, società od ente o la persona fisica che fa parte del gruppo manifestino una volontà in tal senso nelle forme previste dall’art. 40 CCII. Ne deriva che, a differenza di quanto è previsto per l’amministrazione straordinaria e per la liquidazione giudiziale di gruppo dall’art. 287, ultimo comma, CCII, non vi può essere un’estensione del concordato di gruppo ad altre imprese che non l’abbiano richiesto.

La scelta di limitare la possibilità di procedura di gruppo alla domanda delle imprese di gruppo, che va ricordato non è soltanto del legislatore delegato, ma della legge delega, è conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento che riserva l’apertura di una procedura di ristrutturazione alla sola volontà del debitore. Per l’amministrazione straordinaria si è optato per soluzione diversa, ma essa risentiva dell’ottica dirigista ed interventista in economia che ha visto la genesi della legge Prodi e delle sue successive modificazioni. Era una scelta, inoltre, che poteva essere legittimamente adottata perché, come si è già osservato, il presupposto oggettivo dell’amministrazione straordinaria è soltanto lo stato di insolvenza. Anche nel caso del Regolamento UE 848/2015 in materia di insolvenza transfrontaliera la disciplina di gruppo porta soltanto ad obblighi di collaborazione ed informazione tra le Corti che hanno aperto le procedure negli Stati membri e gli organi gestori delle procedure. Anche la Uncitral Model Law on Enterprise Group Insolvency prevede una disciplina dell’insolvenza di gruppo, ma il riconoscimento di un piano di gruppo, il c.d. planning proceeding, avviene sempre e soltanto in base alla legislazione dello Stato che effettua il riconoscimento. Il planning proceeding ha in ogni caso compiti di coordinamento ed organizzazione, anche se può portare all’emanazione di provvedimenti ricognitivi ed interdittivi (relief) nello Stato in cui è chiesto il riconoscimento.

La scelta di limitare il concordato di gruppo alle sole imprese che ne fanno domanda si presta a comportamenti opportunistici delle imprese debitrici che potrebbero deliberatamente lasciare alcune imprese al di fuori del perimetro del concordato o dell’accordo. Questa soluzione trova un correttivo nel fatto che il tribunale deve comunque valutare la fattibilità del piano o piani coordinati che debbono portare al miglior soddisfacimento dei creditori. Ove una o più imprese siano state lasciate fuori per salvare delle attività in favore del socio di controllo, il tribunale potrà ritenere leso il principio del miglior soddisfacimento dei creditori e in ogni caso i creditori potranno esprimersi negativamente in sede di votazione sottolineando che il piano o i piani coordinati non sono convenienti.

Le considerazioni che precedono portano a ritenere che il legislatore non abbia inteso tutelare un interesse di gruppo, al recupero ed al salvataggio del gruppo insolvente o comunque in crisi. Se questo fosse stato l’intento del legislatore, la soluzione adottata sarebbe vistosamente inidonea a portare l’intero gruppo nel perimetro della ristrutturazione.

E’ più ragionevole ritenere che, come del resto il legislatore afferma chiaramente, il concordato di gruppo sia soltanto una tecnica di ristrutturazione che muove dalla necessità, con il consenso delle imprese interessate, di ricostruire nei gruppi c.d. integrati l’unità di direzione e gestione che caratterizzava il gruppo prima della crisi, quale presupposto di fatto per poter addivenire più facilmente ad una soluzione che salvaguardi ad un tempo l’interesse di tutte le imprese al risanamento e l’esigenza del miglior soddisfacimento dei creditori.



[1] Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, al Trattato delle procedure concorsuali a cura di M. Arato, G. D’Attorre e M. Fabiani, di prossima pubblicazione per Giappichelli. Il saggio è contestualmente pubblicato su questa Rivista e su Diritto della crisi.

[2] Sull’individuazione degli interessi tutelati nella disciplina del concordato e del fallimento in generale si veda D.Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza, Bologna, 2006.

[3] La celebre espressione deriva da quella di imprenditore “onesto ma sventurato” di A. Candian, Il processo di concordato preventivo, Padova, 1937, 1 ss. con riferimento alla disciplina antecedente di cui alla legge 24 maggio 1903, n. 197, cui fa riferimento anche la Relazione al Re di cui trattiamo in seguito.

[4] E’ sin troppo noto il dibattito sulla natura del concordato, contrattualistica in virtù dell’accordo tra debitore e creditori attraverso il voto o pubblicistica, in ragione della necessità dell’omologazione del tribunale e della possibilità, in caso negativo, che venisse dichiarato il fallimento d’ufficio. Ex multis si vedano R. Provinciali voce “Concordato preventivo”, in Novissimo digesto italiano, III, Torino, 1957, 979 ss.; M.Vaselli, voce “Concordato preventivo”, in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, 1961, 508-509; A.Maisano, voce “Concordato preventivo”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, 1 ss.; G. Ragusa Maggiore , Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, 611 ss.; G.Fauceglia – N. Rocco Di Torrepadula , Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, 319-320; A. Audino Sub art. 160, A. Audino, sub art. 161, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1058, 1049 ss.; T.E. Cassandro, Il concordato preventivo, in U. Apice (diretto e coordinato da), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, III, Le altre procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comunitarie e trasversali, fallimento e fisco, Torino, 2011, 7 e ss.

[5] Relazione al Re, n. 1, in G.U. 6 aprile 1942, n. 81.

[6] Relazione al Re, n. 41, cit.

[7] Cfr. Cass. 12 luglio 1991, n. 7790, in Fallimento, 1991, 1248. G. Lo Cascio, L’esercizio dell’impresa nel concordato preventivo, ivi, 1999, 725.

[8] G. Lo Cascio, Risanamento dell’impresa in crisi ed evoluzione normativa ed interpretativa del sistema concorsuale, in Fallimento, 2000, 42, citato da A. Patti, La soluzione concordataria della crisi nel pensiero di Giovanni Lo Cascio e nel nuovo Codice, ivi, 2020, 1191.

[9] Cass. S.U., 20 gennaio 2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, 149 con nota di Fabiani; in Società, 2013, 442 con nota di De Santis.

[10] Cass. (ord.), 8 febbraio 2019, n. 3863, in Fallimento, 2020, 98, con nota di A. Bottai, La percentuale irrisoria nel concordato è legittima; Cass. 17 ottobre 2014, n. 22045; Cass. 25 settembre 2013, n. 21901. Va sottolineato che all’orientamento della Cassazione, soprattutto in Cass. 3863/2019 si è contrapposto un significativo filone di giurisprudenza di merito orientato a pretendere una percentuale minima: Trib. Roma 16 aprile 2008, Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 732 (per una fattispecie che prevedeva lo 0,03%); Trib.Milano 28 ottobre 2011, in Foro it., 2012, I, 136; Trib. Firenze 27 luglio 2012 (per il 3%), in Ilcaso.it; Trib. S. Angelo L. 7 maggio 2013 (per il 2,14%), expartecreditoris.it; Trib. Modena 3 settembre 2013 (per meno del 5%), in dejure.it; Trib. Rovigo 3 dicembre 2013, in ilcaso.it; Trib.Milano 3 dicembre 2013, in Fallimento, 2014, 343; Trib. Padova 6 marzo 2014 (per il 4,08%), in dejure.it; Trib. Monza 5 novembre 2014, in ilcaso.it; Trib. Pesaro 13 novembre 2014 (per l’1,75%), Ilcaso.it; Trib. Bergamo 4 dicembre 2014 (per meno del 3%), in dejure.it; App. Milano 2 marzo 2015 (per il 4%), in dejure.it. Siamo debitori ad A.Bottai (op.cit.) per l’indicazione di questi precedenti.

Al di là delle asprezze interpretative, oggi superate dal nuovo testo del codice della crisi, ciò che rileva ai fini della nostra indagine è l’orientamento a pretendere comunque il riconoscimento di un soddisfacimento, pur minimo, di tutti i creditori.

[11] Legge 3 aprile 1979, n. 95.

[12] In questo senso si è espressa in passato anche la giurisprudenza. App. Torino, 20 gennaio 2012, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7422p - pubb. 01/07/2010: La valutazione relativa all'ammissione o meno di una società alla procedura di amministrazione straordinaria non è ispirata al principio dispositivo di parte bensì ad interessi di ordine generale e di rilevanza pubblicistica, i quali consentono di travalicare lo specifico interesse della società debitrice e dei suoi creditori. Cass. S.U. 27 maggio 2009, n. 12247, in Fallimento, 2010, 302 con nota di F. Marelli; in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3139 - pubb. 01/08/2010: « gli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1999, disciplinando le attività preparatorie ed autorizzatorie, pongono al commissario straordinario ed al Ministro dello Sviluppo Economico una serie di vincoli diretti a salvaguardare una pluralità di interessi, tra cui quello dei creditori, dei lavoratori, nonché quello generale alla salvaguardia delle unità produttive». Si veda anche Cass. S.U., 24 novembre 2015, n. 23894, in Fallimento, 2016, 415 con nota di M. Montanari, Giurisdizione in tema di vendite nell'Amministrazione straordinaria, secondo la quale nell’amministrazione straordinaria i diritti soggettivi dei creditori, accertati in sede di verifica dello stato passivo, possono essere degradati ad interessi legittimi a fronte di valutazioni discrezionali delle autorità competenti circa la decisione di vendere i cespiti e la scelta degli acquirenti.

[13] Art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

[14] S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità nelle procedure concorsuali, in Nuove leggi civ. comm., 2022, p. 496 s.; M. Greggio, Finalità e tipologie di piano concordatario: prime osservazioni al “nuovo” art. 84 del Codice della Crisi, in Diritto della crisi, Speciale, 6 del dattiloscritto.

[15] D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132. In particolare qui si fa riferimento all’art. 4 del d.l., modificato in sede di conversione.

[16] S. Ambrosini, Concordato preventivo con continuità aziendale: problemi aperti in tema di perimetro applicativo e di miglior soddisfacimento dei creditori, in Ilcaso.it, 25 aprile 2018; Id., Concordato preventivo: interessi protetti, soddisfacimento dei creditori e continuità aziendale tra vecchia e nuova disciplina, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa a cura di S. Ambrosini, Torino, 2022, 6; M. Vitiello, Le soluzioni concordate della crisi di impresa , Milano, 2013, 8; D. Galletti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: brevi note sui principi generali e sugli interessi tutelati, in Il fallimentarista, 28 febbraio 2019; M. Arato, Il concordato con continuità nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, p. 855 ss.

[17] La giurisprudenza ha sovente affrontato il tema della necessità che il confronto tra la prospettiva della prosecuzione dell’attività e l’ipotesi liquidatoria tenga conto dei possibili proventi derivanti dalle azioni revocatorie e dalle azioni di responsabilità e più in generale di tutto ciò che può provenire in favore dei creditori dalla liquidazione concorsuale: Trib. Nola, 12 aprile 2022, in Leggi d’Italia; Trib. Rimini, 3 dicembre 2021, in Leggi d’Italia; Trib. Bologna, 5 luglio 2021, in Leggi d’Italia; Trib. Brescia, 8 aprile 2021, in Ilfallimentarista, 4 giugno 2021; Trib. Monza, 26 luglio 2019, in Leggi d’Italia; Trib. Rovigo, 2 maggio 2018, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20141 - pubb. 10/07/2018; Trib. Ravenna, 29 maggio 2020, in Leggi d’Italia.

L’art. 87, comma 1, lett. c) richiede ora che il piano indichi il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale. Si veda anche il decreto dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021, che con riferimento alla composizione negoziata nell’ambito del protocollo di gestione del procedimento, indica al punto 13 l’opportunità che l’esperto proceda alla stima delle risorse derivanti dalla liquidazione dell’intero patrimonio.

Si veda anche Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324, in Fallimento, 2016, p. 791, che ha affermato che “il criterio della “migliore soddisfazione dei creditori […] individua […] una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato (ivi compreso quello meramente liquidatorio, mediante cessione dei beni aziendali […]) […]”.

[18] Va poi ricordato che l’art. 19 della Direttiva UE 1023/2019 prevede che “… qualora sussista una probabilità di insolvenza, i dirigenti (rectius gli amministratori n.d.r.) tengano debitamente conto come minimo dei seguenti elementi: a) gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; b) la necessità di prendere misure per evitare l'insolvenza; e c) la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa. Il legislatore unionale non ha graduato questi interessi, sì che la norma in concreto aggiunge poco alla disciplina italiana. Sul tema si veda L. Benedetti, L’organo gestorio fra interesse dei soci e interessi altri: i principi della direttiva sui preventive restructuring frameworks a confronto con gli ordinamenti nazionali, in corso di pubblicazione, che ho potuto consultare grazie alla cortesia dell’A.

[19] Il contrasto tra la rubrica dell’art. 84 e il testo del primo comma della norma che enuncia quale obiettivo della procedura soltanto il soddisfacimento dei creditori è stato messo in luce da S. Ambrosini, Concordato preventivo: interessi protetti, soddisfacimento dei creditori e continuità aziendale tra vecchia e nuova disciplina, cit., che ha osservato che il legislatore si è avvalso, tra le varie figure retoriche, della sineddoche, non essendo dubbio che gli interessi tutelati dalla disciplina di legge sono più d’uno. Tale rilievo conserva validità anche con riferimento al nuovo testo del primo comma dell’art. 84 dettato dalla versione oggi vigente del codice.

Sul tema cfr. da ultimo M. Greggio, Finalità e tipologie di piano concordatario: prime osservazioni al “nuovo” art. 84 del Codice della crisi, in Studi sull’avvio del codice della crisi, in DCC, numero speciale, settembre 2022, 90 e ss.

[20] G. Bozza, Il concordato liquidatorio, in Fallimento, 2020, 1228; V. Pinto, Le fattispecie di continuità aziendale nel concordato nel Codice della crisi, in Giur.comm., 2020, 389. In senso contrario A. Zorzi, Il concordato “atipico” nel Codice della crisi, tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio, in Ilcaso, 4 novembre 2019.

[21] Sul tema, con particolare riferimento ai concordati transtipici si veda ora M. Fabiani, Un affresco sulle nuove 'milestones' del concordato preventivo, in Diritto della crisi, 6 ottobre 2022.

[22] Nel vigore della legge fallimentare dottrina e giurisprudenza prevalente hanno ritenuto l’inammissibilità di soluzioni concordatarie parzialmente liquidatorie. Siffatti concordati violerebbero il disposto dell’art. 2740 c.c. che vieta limitazioni convenzionali della responsabilità patrimoniale universale. In giurisprudenza si vedano Cass., 17 ottobre 2018, n. 26005, in Fallimento, 2019, 489, con nota di L. Benedetti, Il concordato con cessione parziale dei beni nell’ambito del gruppo in crisi fra passato e futuro, secondo la quale «il concordato con cessione solo parziale dei beni realizza[a] una violazione dell’art. 2740 cod. civ., in quanto l’effetto esdebitatorio presuppone la messa a disposizione dei creditori di tutte le attività del debitore». Cfr. anche Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, in IlCaso.it; Cass., 19 settembre 2006, n. 20259, in Pluris on line; Cass., 18 marzo 2008, n. 7263, ivi, riguardanti però il disciplina concordato nella l.c.a. Nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Fallimento, 2011, 225, con nota di N. Nisivoccia, Concordato preventivo e continuazione dell’attività aziendale: due decisioni dal contenuto vario e molteplice; Trib. Roma, 25 luglio 2012, ivi, 2013, 748, con nota di C. Trentini, Cessione parziale dei beni nel concordato preventivo e attestazione condizionata; Trib. Roma, 18 aprile 2013, in IlFallimentarista.it; App. Roma, 5 marzo 2013, in IlCaso.it; Trib. Ravenna, 29 ottobre 2015, in IlCaso.it; Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in Dir. fall., 2016, II, 1003, con nota di G. Rugolo, Il «nuovo» concordato in percentuale: tra precedenti storici e prospettive di riforme. Profili applicativi; Trib. Torino, 23 dicembre 2010, in IlFallimentarista.it, con nota di N. Bottero, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con parziale cessione dei beni; Trib. Arezzo, 8 novembre 2011, in IlFallimentarista.it, con nota di M. Vitiello; Proposta di concordato con cessione parziale dei beni del debitore con e senza continuità; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, in IlCaso.it.; Trib. Trento, 10 giugno 2016, ivi; Trib. Rovigo, 27 luglio 2018, ivi.; Trib. Padova, 24 gennaio 2018, in Dir. fall., 2020, II, 865, con nota di D.Manente, Due provvedimenti sulla destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale: tesi e antitesi.

In dottrina si vedano ex multis G. Nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo sui creditori, Milano, Ipsoa, 2011, XVIII. D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, 343 ss. Id., Concorso ed autonomia privata nel concordato preventivo di gruppo, in Dir.banca merc. fin., 2012, I, 385; Id., La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, 865 ss.; A. Rossi, Le proposte “indecenti” di concordato preventivo, in Giur.Comm., 2015, I, 346; E. Barcellona, L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: legittima-zione del liquidatore giudiziale o necessità di previa deliberazione assembleare?, ivi, 2018, II, 166 ss.

La soluzione è opposta nel concordato in continuità aziendale. Si vedano in dottrina M. Campobasso, Nuovi principi e vecchi problemi nel concordato preventivo con “continuità aziendale”, in Il diritto dell’impresa in crisi fra contratto, società e procedure concorsuali, a cura di Barachini, Torino, Giappichelli, 2014, 31 ss.; C. Costa , Il concordato preventivo con cessione dei beni, in Il diritto dell’impresa in crisi fra contratto, società e procedure concorsuali, cit. 63 ss.; L. Panzani , Sorte della partecipazione dei vecchi soci in caso di ristrutturazione di società insolventi, in Società, 2014, I, 91; G. Ferri Jr ., La struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. dir. soc., 2012, 486; G. D’attorre, Le utilità conseguite con l’esecuzione del concordato in continuità spettano solo ai creditori o anche al debitore?, in Fallimento, 2017, 317 ss.; Id., Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. soc., 2015, 19 ss.; Id ., Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, in Fallimento, 2017, 1016 ss.; Id., La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallimento, 2020, 1078 s.; M. Arato , La domanda di concordato preventivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso, Panzani, III, Torino, Utet, 2016, 3462 ss.; G. Terranova, Concordati senza consenso: la posizione dei creditori privi di voto, in Riv. dir. comm., 2016, I, 224; A. Rossi , Il migliore soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fallimento, 2017, 647; Lolli , Il concordato con continuità aziendale mediante l’intervento di terzi nel processo d risanamento: alcune considerazioni, in Contr. impr., 2013, 1087; C. Trentini , Cessione parziale dei beni nel concordato preventivo e attestazione condizionata, in Fallimento, 2013, 760; M. Fabiani , Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca della legge fallimentare, Bologna, Zanichelli, 2014, 178 ss.; Id., La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in IlCaso.it, 7 s.; Id., La proposta ostile con aumento di capitale esterno nel concordato preventivo, in Id., La struttura finanziaria del concordato preventivo prima e dopo il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, Zanichelli, 2019, 216 ss.; F. Brizzi , Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, Giappichelli, 2015, 308; R. Santagata , Concordato preventivo “di gruppo” e «teoria dei vantaggi compensativi», in Riv. dir. imp., 2015, 221 ss.; S. Ambrosini , Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in IlCaso.it, 22,; F. Pacileo , Cram down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, in Riv. dir. comm., 2018, I, 112 ss.; L. Benedetti , Il concordato con cessione parziale dei beni nell’ambito del gruppo in crisi fra passato e futuro, in Fallimento, 2019, 494 ss.; A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d’interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Fallimento, 2019, 1097; A. Bassi , Concordato liquidatorio con offerta solo parziale dei beni del debitore, in Giur. Comm., 2019, II, 1028 ss.; G. Cabras , Scissione di società e concordato preventivo: un patrimonio “nuovo” per le imprese dopo la crisi, in Rivista ODC, 2019, 658. Da ultimo per una visione parzialmente ricostruttiva del sistema S. Orsi, Il concordato preventivo parzialmente liquidatorio, in Giur.comm., 2021, I, 324 e ss.

[23] Si è osservato che nel sistema vigente l'alternativa da prendere in considerazione é rappresentata esclusivamente dalla liquidazione giudiziale, mentre non rilevano altre, ipotetiche, modalità di soluzione negoziata della crisi (tipicamente, il concordato liquidatorio), in quanto concretamente non volute dall'unico soggetto - il debitore - cui spetta la decisione in proposito. Così S. Ambrosini, Concordato preventivo con continuità aziendale: problemi aperti in tema di perimetro applicativo e di miglior soddisfacimento dei creditori, cit.

[24] V. Zanichelli, Il giudice nella ristrutturazione, in Diritto della crisi, speciale, 11 dattiloscritto.

[25] S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in Studi sull’avvio del codice della crisi – DCC, numero speciale settembre 2022, 12 e ss. fa riferimento alla sostenibilità economica come baricentro della nuova disciplina, come si coglierebbe già nell’art. 3 CCII con riferimento al tema dell’adeguatezza degli assetti. Mi pare peraltro evidente che la sostenibilità economica non è un valore in sé, ma un valore mezzo in vista della garanzia di prosecuzione dell’impresa attraverso la continuità diretta ed indiretta.

[26] In questo senso si veda chiaramente M. Fabiani, Un affresco sulle nuove milestones, cit.

[27] Cfr. CEDU, 15 aprile 2014, causa Steffanetti c. Italia; CEDU, 3 settembre 2012, causa M.C. e altri c. Italia;

[28] M. Fabiani, L’avvio del Codice della Crisi, in Diritto della crisi, 5 maggio 2022.

[29] Occorre che a) la domanda non sia manifestamente inammissibile; b) il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati; c) nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni della assenza di pregiudizio per i creditori. Si vedano anche i commi 9 e 10 dell’art. 40.

[30] Va ricordato che, vigente la legge fallimentare, si poneva il problema se gli amministratori ed i liquidatori di società fossero legittimati a presentare istanza di fallimento in proprio per conto della società. L’art. 6 l.fall. prevedeva infatti che il fallimento fosse dichiarato su ricorso del debitore, senza chiarire se nell’impresa collettiva si trattasse di un potere-dovere autonomo degli amministratori/liquidatori. E, con riferimento ai liquidatori si poneva il problema della corretta esegesi degli artt. 2487 e 2489 c.c. non essendo chiaro se il deliberato dell’assemblea avesse l’effetto di conferire i poteri al liquidatore o invece di circoscriverli. Sul punto Cass. 1 giugno 2017, n. 13867, in Giur.It., 2017, 1875 con nota di M.Spiotta, Un'ulteriore puntualizzazione (o un revirement?) sui poteri dei liquidatori; aveva affermato che ove l’assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore non abbia determinato i poteri attribuiti a quest’ultimo alla stregua delle indicazioni contenute nell’art. 2487, comma 2, c.c., il liquidatore è investito, giusta l’art. 2489, comma 1, c.c., del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società.

Il problema continuava a porsi per le società di persone, dove la previsione dell’art. 152, comma 2, l.fall., richiamato dall’art. 161, comma 4, attribuiva il potere di presentare la domanda di concordato agli amministratori della società di capitali, ma non a quelli della società di persone, lasciando il relativo potere in capo alla maggioranza dei soci. Nella prima versione del codice della crisi l’art. 265 per il concordato in caso di liquidazione giudiziale, richiamato dagli artt. 44, comma 5, e 314, comma 1, aveva lasciato la disciplina immutata sia per la domanda di concordato preventivo che di omologazione degli accordi di ristrutturazione.

Sul tema si vedano: M. Spiotta, Legittimazione dei liquidatori a presentare ricorso per la dichiarazione di fallimento della società, nota a App. Catanzaro, 21 novembre 2018, in Giur.It., 2019, II, 868; M. Fabiani, sub art. 6, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A.Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2006, 114 e ss.; C. D’Arrigo, L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, Torino, 2016, I, 446; G.D. Mosco, L’amministrazione delle società di persone dopo il codice della crisi, in Giur.comm., 2021, I, 605.

[31] Va ricordato che, come meglio si vedrà nel paragrafo seguente, nel concordato di gruppo l’art. 285, ult. comma, prevede che i soci possono proporre opposizione all’omologazione nel caso di pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dal piano o dai piani di gruppo, nel caso di trasferimenti infragruppo o di decisione di liquidare alcune imprese del gruppo. L’apertura del concordato in linea di principio non è incompatibile con la tutela della partecipazione.

[32] Su queste problematiche si veda E. La Marca L. Panzani, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte con l’attuazione della direttiva insolvency, in Nuovo Dir.Società, 2022, 1469.

[33] Si veda in proposito l’art. 120 ter che regola il classamento dei soci. Il classamento è obbligatorio se il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Va ricordato che l’art. 12 della Direttiva attribuisce agli Stati membri la facoltà di privare i soci del diritto di voto sul piano di ristrutturazione. Gli Stati membri ai sensi del par. 2 della norma provvedono affinché ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire od ostacolare irragionevolmente l’attuazione del piano di ristrutturazione.

[34] Si veda, con riguardo alla prima versione del codice, L. Panzani, Il concordato di gruppo, in Fallimento, 2020, 1342; G. Meo L. Panzani, Procedure unitarie "di gruppo" nel codice della crisi. Un "contrappunto" di Giorgio Meo e Luciano Panzani, in Ilcaso.it, 2019. Si veda ora N. Abriani, La disciplina dei gruppi nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Studi sull’avvio del codice della crisi, in DCC – Numero speciale Settembre 2022, 178 e ss.