Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Un tasso d’inflazione vicino al 10% può incidere sull’attendibilità dei bilanci delle imprese in crisi (e non solo)?


Gianfranco Capodaglio e Vanina Stoilova Dangarska

Data pubblicazione
28 novembre 2022

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Sommario: Premessa; 1. I possibili effetti dell’inflazione sui bilanci delle imprese italiane; 2. Gli effetti dell’inflazione sui bilanci 2022; 3. La lettura dei bilanci 2022 delle imprese italiane; 4. Conclusioni


Premessa

La normativa sulla crisi d’impresa ha, in un primo tempo, delegato al CNDCEC la predisposizione di appositi indicatori, capaci di segnalare la presenza di condizioni comportanti il rischio di crisi economica o finanziaria.

Attualmente,il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), così come modificato da ultimo dal decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, all’art. 3 “Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”, così prevede:

“1. L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.

2. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative.

3. Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:

a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;

b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;

c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2.

4. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3:

a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;

d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1.”

La norma non specifica cosa si debba intendere per “squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario”, ma, a tal fine, si può far riferimento agli indicatori elaborati precedentemente dal CNDCEC.

Il primo di tali indicatori prende in considerazione l’entità del capitale netto, che, se insufficiente o addirittura negativo, segnala il rischio di crisi.

Il secondo prevede la disponibilità di budget o business plan, dai quali poter dedurre attendibili previsioni circa la capacità dell’impresa di far correttamente fronte ai propri debiti.

In mancanza di tali strumenti di previsione, vengono proposti cinque indicatori.

1.         Indice di sostenibilità degli oneri finanziari, in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;

2.         Indice di adeguatezza patrimoniale, in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;

3.         Indice di ritorno liquido dell’attivo, in termini di rapporto fra cash flow e attivo;

4.         Indice di liquidità, in termini di rapporto tra attività a breve termine e passività a breve termine;

5.         Indice di indebitamento previdenziale e tributario, in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo.

Essi sono determinati dal rapporto tra diversi elementi, sia patrimoniali che reddituali, desunti dai bilanci dell’impresa; è evidente che il loro proficuo utilizzo presuppone l’attendibilità e la significatività dei dati utilizzati. Ci siamo pertanto domandati se l’attuale rilevante impennata dei prezzi può avere effetti distorsivi sull’attendibilità dei dati di bilancio.

 

1.      I possibili effetti dell’inflazione sui bilanci delle imprese italiane

In Italia, nell’ultimo ventennio il fenomeno inflattivo si è sempre mantenuto su livelli non preoccupanti, anzi, in taluni anni in sede europea si è cercato di non scendere al di sotto di percentuali (ad esempio il 2%), ritenute fisiologiche.

Nel 2022 le cose sono cambiate sostanzialmente: la ripresa post pandemia e la guerra in Ucraina hanno provocato e provocano – per motivi vari – repentine impennate dei prezzi dell’energia e di talune materie prime, che si riflettono sull’andamento di larga parte di tutti gli altri prezzi.

Le conseguenze di ciò sui bilanci delle imprese si possono rappresentare attraverso un esempio numerico.

Una società immobiliare, neocostituita, acquista nel dicembre 2021, un immobile composto da appartamenti e garage, al prezzo rispettivo di 100 e 20.

Il contratto prevede il pagamento del 50% al rogito e del 50% a un anno, senza interessi.

La società vende nell’ottobre 2022 l’intero immobile, al prezzo di 115 per gli appartamenti e di 25 per i garage, con un totale di 140.

I bilanci relativi agli esercizi 2021 e 2022, in estrema sintesi e semplificazione, possono essere così esemplificati.

 

Bilancio 2021

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Immobili

 

120

Capitale netto

Capitale sociale

Passivo

Debiti

 

60

 

60

Totale

120

Totale

120

 

Conto economico

Ricavi

Costi

0

0

Utile

0

 

Bilancio 2022

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Banca

 

140

Capitale netto

Capitale sociale

Utile

Passivo

Debiti

 

60

20

 

60

Totale

140

Totale

140

 

Conto economico

Plusvalenze

Costi

20

0

Utile

20

 

Come detto, nel 2022 si è verificata un’inflazione di quasi il 10%, per cui ci si pone la domanda: il reddito risultante dal bilancio 2022 si può considerare “reale”?


Per tentare di rispondere a questa domanda, è utile ricordare che l’Italia ha conosciuto nell’ultimo ventennio del secolo scorso dei periodi nei quali la perdita di potere d’acquisto della lira è stata molto rilevante e dovuta principalmente all’emissione di grandi quantità di moneta ed alla crescita del debito pubblico.

L’inflazione ha avuto allora vari effetti: primo fra tutti la crescita dei tassi correnti d’interesse ed uno spostamento dei flussi di ricchezza dai soggetti dotati di redditi fissi a quelli i cui redditi potevano adeguarsi all’andamento dei prezzi correnti. Per quanto ha riguardato la finanza pubblica, i maggiori costi relativi agli interessi sul debito pubblico furono compensati dalla costante perdita di valore della moneta con cui gli strumenti di tale debito venivano rimborsati.

In sintesi, esisteva una stretta correlazione fra l’andamento dell’inflazione e quello dei tassi correnti d’interesse; essi erano determinati da due fattori: il prezzo di mercato dell’uso del denaro ed un correttivo basato sulla previsione di perdita del potere d’acquisto della moneta. Da ciò derivava che normalmente i tassi d’interesse correnti erano superiori ai tassi d’inflazione previsti e la differenza era costituita dal prezzo corrente dell’uso del denaro, comprensivo – se del caso – di un premio per il rischio corso dal creditore nell’ipotesi d’insolvenza del debitore.

In quei periodi fiorirono molti studi riguardanti la necessità – o meno – di rettificare i valori contenuti nei bilanci delle imprese, allo scopo di adeguarli al mutato valore della moneta con la quale essi erano rappresentati, temendo che, in caso contrario, i bilanci avrebbero fornito informazioni meno significative. In particolare, vi furono due correnti di pensiero: l’una suggeriva di aggiornare gli elementi suscettibili di rivalutazione, utilizzando un unico coefficiente, basato su indici generali dei prezzi; la seconda, invece, proponeva di aggiornare tutti gli elementi del bilancio in base al loro specifico valore corrente (una sorta di fair value ante litteram). Esisteva, però, una terza posizione (decisamente minoritaria), più semplice e quasi banale[1], che partiva dall’individuazione di quale fosse il fine conoscitivo del bilancio, allora inteso esclusivamente come “bilancio d’esercizio”.

Negli anni ’80 in Italia gli standard contabili internazionali (IAS) non avevano ancora pratica utilizzazione nella generalità delle imprese, che adottavano esclusivamente il tradizionale sistema contabile “reddituale”, per cui la principale finalità conoscitiva del bilancio era riconosciuta nell’attendibile stima del reddito d’esercizio, che poteva essere destinato alla distribuzione, compatibilmente con gli obblighi di legge e con l’applicazione del principio di prudenza e di competenza economica.

Ciò posto, gli effetti dell’inflazione sui dati di bilancio andavano ricercati principalmente con riferimento agli elementi del conto economico, dato che lo stato patrimoniale doveva fornire indicazioni relative al c.d. “capitale di funzionamento” (o “capitale di bilancio”), ovvero il capitale netto contabile a fine esercizio, che, confrontato con quello iniziale, consentiva di calcolare il reddito come “variazione del capitale netto per effetto della gestione”. Tale variazione coincideva esattamente con la differenza fra i componenti positivi e negativi di reddito iscritti nel conto economico e non aveva affatto il fine di rappresentare il valore corrente delle attività e delle passività.[2]

Dalle su esposte considerazioni, derivava che la rettifica dei singoli elementi dello stato patrimoniale risultava irrilevante per il fine conoscitivo del bilancio, mentre era necessario individuare un correttivo, che consentisse di tener conto dell’influenza dell’inflazione sul reddito d’esercizio, anche ai fini della sua eventuale distribuzione agli aventi diritto, senza che ciò provocasse un impoverimento dell’azienda.[3]

Per l’ottenimento del correttivo reddituale occorreva partire dalla constatazione che, nell’ipotesi infrequente, ma non impossibile, di un’impresa finanziata esclusivamente attraverso debiti, l’effetto dell’inflazione sulla stima del reddito poteva considerarsi nullo. Infatti, in tale ipotesi la perdita di potere d’acquisto della moneta sarebbe ricaduta esclusivamente sui creditori, i quali, ovviamente, avrebbero fatto pesare tale rischio sulla fissazione contrattuale degli interessi o dei prezzi delle forniture. Pertanto, il reddito risultante dal bilancio sarebbe stato correttamente stimato, perché non inciso da effetti dell’inflazione.

Per estendere il ragionamento alla generalità delle imprese, caratterizzate dalla presenza in bilancio del capitale apportato dai soci, era sufficiente stimare un costo figurativo corrispondente all’interesse di computo sul capitale proprio (d’apporto). Esso doveva basarsi sui tassi di mercato e comprendere i tre elementi costitutivi, ovvero il prezzo d’uso del denaro, un premio per il rischio d’insolvenza ed il correttivo per l’inflazione. In questo modo, il reddito risultante dal bilancio risultava non inficiato dagli effetti dell’inflazione[4].

 

2.        Gli effetti dell’inflazione sui bilanci 2022

A questo punto, possiamo tentare di rispondere alla domanda in precedenza formulata, ovvero se, in presenza di una forte perdita di potere d’acquisto della moneta, i risultati dei bilanci si possono considerare “reali”.

Seguendo l’interpretazione della prima scuola di pensiero, se nel 2022 si è verificata la perdita del potere d’acquisto della moneta di conto pari al 10%, nel bilancio gli immobili, con riferimento al primo gennaio 2022, dovrebbero essere rivalutati del 10%[5], con la scrittura dare immobili 12, avere riserva di rivalutazione 12.  Di conseguenza, l’esempio sopra ipotizzato dovrebbe essere modificato come segue.


 

Bilancio 2021

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Immobili

 

120

Capitale netto

Capitale sociale

Passivo

Debiti

 

60

 

60

Totale

120

Totale

120

 

Conto economico

Ricavi

Costi

0

0

Utile

0

 

Bilancio 2022

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Banca

 

140

Capitale netto

Capitale sociale

Riserva rivalut.

Utile

Passivo

Debiti

 

60

12

8

 

60

Totale

140

Totale

140

 

Conto economico

Plusvalenze

Costi

8

0

Utile

8

 

Seguendo la seconda scuola di pensiero, invece, se nel 2022 si è verificata la perdita del potere d’acquisto della moneta di conto pari al 10%, nel bilancio gli immobili, con riferimento al primo gennaio 2022, dovrebbero essere iscritti al loro valore corrente. Se l’impresa ha venduto gli immobili al loro prezzo di mercato, la scrittura dovrebbe essere: dare immobili 20, avere riserva di rivalutazione 20.  Di conseguenza l’esempio sopra ipotizzato dovrebbe essere modificato come segue.


Bilancio 2021

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Immobili

 

120

Capitale netto

Capitale sociale

Passivo

Debiti

 

60

 

60

Totale

120

Totale

120

 

Conto economico

Ricavi

Costi

0

0

Utile

0

 

Bilancio 2022

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Banca

 

140

Capitale netto

Capitale sociale

Riserva rivalut.

Utile

Passivo

Debiti

 

60

20

0

 

60

Totale

140

Totale

140

 

Conto economico

Ricavi

Costi

0

0

Utile

0


Infine, nel caso in cui si volesse aderire alla terza interpretazione del fenomeno, come detto minoritaria, si dovrebbe partire dalla considerazione che gli effetti dell’inflazione hanno inciso sia la società, che il venditore dell’immobile; pertanto, la diminuzione del potere d’acquisto della moneta di conto nel 2022 ha riguardato proporzionalmente entrambe le fonti di finanziamento dell’impresa: il capitale d’apporto ed i debiti. In questa ipotesi, non vi sarebbe alcun valore da rettificare al primo gennaio e la scrittura rientrerebbe fra quelle di fine esercizio.

Si dovrebbe iscrivere a conto economico un costo – pari a 6 - relativo alla svalutazione del capitale d’apporto, la cui contropartita dovrebbe essere un debito della società verso i soci che hanno apportato il capitale.

L’esempio dovrebbe essere proposto come di seguito.

 

Bilancio 2021

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Immobili

 

120

Capitale netto

Capitale sociale

Passivo

Debiti

 

60

 

60

Totale

120

Totale

120

 

Conto economico

Ricavi

Costi

0

0

Utile

0

 

Bilancio 2022

 

Situazione patrimoniale

Attivo

Banca

 

140

Capitale netto

Capitale sociale

Utile

Passivo

Debiti vs fornitori

Debiti vs soci

 

60

14

 

60

6

Totale

140

Totale

140

 

Conto economico

Plusvalenze

Svalutazione capitale

20

6

Utile

14

 

3.        La lettura dei bilanci 2022 delle imprese italiane

Per quanto riguarda l’Italia e per i fini in oggetto, gli effetti dell’inflazione possono essere studiati tenendo conto di due fattori: l’adozione dell’euro e l’introduzione degli IAS/IFRS nella normativa e nella prassi contabile italiana.

Come detto, in passato la perdita di potete d’acquisto della lira era causata anche dalla quantità di moneta circolante ed influenzava pesantemente il livello dei tassi d’interesse di mercato. Ovviamente, anche il tasso ufficiale di sconto risentiva del fenomeno. Con l’entrata in vigore della moneta unica europea l’Italia ha rinunziato al diritto di “battere moneta”, una delle caratteristiche degli stati sovrani.

Negli ultimi anni, soprattutto dopo la crisi del 2008, la BCE è intervenuta efficacemente per evitare le manovre speculative sui tassi di rendimento dei titoli pubblici nella zona euro, per cui anche i tassi correnti di mercato si sono mantenuti su livelli molto bassi.

Tutto ciò ha avuto sicuramente degli effetti benefici sull’equilibrio economico generale, ma ha modificato talune regole di mercato: in economia aziendale l’uso del denaro altrui è da sempre considerato un fattore della produzione, alla stessa stregua dell’uso di altri beni non di proprietà, come l’affitto d’immobili o il noleggio di altri beni strumentali. Il prezzo di tale uso è appunto l’interesse ed il suo tasso rappresenta il prezzo per l’uso di un’unità di moneta per un’unità di tempo. Se esso scende al di sotto di determinati livelli, come ad esempio il tasso d’inflazione, si giunge al paradosso che un fattore della produzione ha un costo negativo, per cui è il cedente che sostiene il costo del servizio ceduto, anziché il cessionario.

Questa apparentemente incredibile contraddizione può essere spiegata ricordando quali sono le componenti del tasso d’interesse: il prezzo d’uso del denaro, il correttivo per l’inflazione ed il premio per il rischio d’insolvenza del debitore. Ad avviso di chi scrive, è proprio questa terza componente a creare l’apparente contraddizione: in periodi “turbolenti”, nei quali il rischio d’insolvenza è particolarmente elevato, ma i tassi d’interesse vengono mantenuti artificialmente bassi ed esistono notevoli disponibilità liquide, chi possiede tali disponibilità è portato a sottoscrivere investimenti ritenuti “sicuri”, anche con sacrificio nei rendimenti, che possono divenire addirittura negativi.

In altre parole, in questi casi il contratto di prestito deve essere visto come la sintesi di due contratti: l’uno di cessione dell’uso del denaro e l’altro di “custodia del denaro”, oppure una sorta di polizza assicurativa sul rischio d’insolvenza del debitore, per la quale si paga un premio.

Nei primi anni di questo secolo si è avuto anche l’altro fenomeno in precedenza indicato: in base ad un regolamento europeo, una parte delle società italiane ha dovuto adottare gli standard contabili internazionali, sia per i bilanci consolidati di gruppo, sia per quelli d’esercizio; inoltre, i principi contabili nazionali emanati dall’Organismo italiano di contabilità (OIC), adottati dalle altre imprese, sono stati interessati da modifiche tendenti ad un progressivo avvicinamento agli IAS/IFRS.

Questo fenomeno costringe gli interpreti a riflettere su quale sia ora il fine conoscitivo del bilancio: in particolare, si può escludere che per il bilancio consolidato il fine conoscitivo sia la stima del reddito secondo il principio di prudenza, anche perché, con riferimento al gruppo, non esiste un “reddito distribuibile”.  Peraltro, anche con riguardo al bilancio d’esercizio, si nutrono seri dubbi sulla possibilità che l’obiettivo del bilancio continui ad essere la corretta stima del risultato economico: ciò è evidente per le imprese che adottano gli IAS/IFRS per il “bilancio separato”, in quanto in essi i criteri di valutazione normalmente previsti si riferiscono a valori correnti, fra i quali prevale il fair value.

In precedenza esisteva il “Framework for the Preparation and Presentation of Financial Statements”, che, pur non essendo un principio contabile internazionale omologato dall’Unione europea, è stato utilizzato ai fini dell’applicazione ed interpretazione dei diversi standard emanati dallo IASB. Esso è stato sostituito dal “Conceptual Framework for Financial Reporting”[6].

Nel titolo del nuovo documento non appare la parola “bilancio” (financial statement), ma il financial reporting: ciò va a completare l’abbandono dei riferimenti alla contabilità generale (accountig)[7], spostando sempre di più l’orizzonte temporale ed abbandonando definitivamente il significato di “rendiconto” tradizionalmente attribuito al bilancio, sostituito da qualcosa di molto simile al budget.

Quanto sopra risulta chiaramente dalle caratteristiche attribuite agli elementi del bilancio; in particolare, le attività sono così definite: «4.3 An asset is a present economic resource controlled by the entity as a result of past events. 4.4 An economic resource is a right that has the potential to produce economic benefits».

Ciò fa prevalere, come finalità conoscitiva, il valore corrente attribuibile al patrimonio netto, piuttosto che al reddito.

 

4.        Conclusioni

Le soluzioni proposte in passato dalla dottrina per l’eventuale necessità di apportare correttivi ai bilanci per gli effetti dell’inflazione non sembrano più in linea con le attuali condizioni normative, di prassi e di mercato; rimane costante, però, il fatto che l’inflazione, soprattutto se repentina come quella verificatasi nel 2022, riduce il valore reale dei crediti e quello dei debiti – anche con scadenze inferiori all’anno - iscritti in bilancio.

Se l’entità e la scadenza media dell’insieme dei crediti non si discostano in modo significativo da quelle dell’insieme dei debiti, è probabile che, sia il capitale netto, sia il risultato economico risultanti dal bilancio possano considerarsi “reali”; in caso contrario, sarebbe forse opportuno fornire al lettore maggiori informazioni in nota integrativa.



[1] Cfr. Gianfranco Capodaglio, Autofinanziamento, investimenti e variazione dei prezzi, CLUEB, Bologna, 1988 e la prefazione di Costantino Campanini.

[2] Per comprendere bene il concetto di “capitale di funzionamento”, notiamo che l’importo delle voci relative alle immobilizzazioni tecniche, materiali ed immateriali ha la natura di costo sospeso, in quanto da confrontare con i ricavi futuri ottenibili anche con l’utilizzo di tali immobilizzi, in senso analogo alla funzione di altre attività, come le rimanenze di magazzino, i risconti attivi, ecc., anche se caratterizzate da scritture contabili diverse. Di estrema importanza è rendersi conto che la gestione aziendale, dalla quale promana il risultato economico, si svolge nel continuo e la sua distinzione in esercizi è puramente teorica e convenzionale. «Osservata in qualsiasi istante del suo fluire, la gestione si profila continuamente proiettata nel futuro, anche se ritrova nel presente e nel passato l’origine economica del ciclo, sempre incompiuto, attraverso il quale essa si esplica. Ciò vuol dire che il fluire della gestione nel tempo è continuo, e che, in qualunque momento, nell’impresa in funzionamento, è sempre possibile percepire una gestione in atto, destinata a futuro compimento.

Ad esprimere questa «gestione in corso» al termine di ogni periodo amministrativo, inteso come riferimento temporale per la determinazione del reddito d’esercizio, concorrono, nel loro complesso, le inevitabili “rimanenze di gestione incompiuta”: questo complesso di “rimanenze di esercizio” definisce appunto il capitale di gestione rilevabile, al termine dell’esercizio medesimo, negli elementi attivi e passivi che lo compongono. Sono rimanenze di scorte liquide in attesa d’impiego, sono residui di trascorsi investimenti in attesa di futuro realizzo, sono rimanenze passive di varia origine formatesi in passato.» (Giovanni Ferrero, La valutazione del capitale di bilancio, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 10 - 23).

[3] Il fatto che un cespite, rilevato in contabilità al costo storico, ora, anche tenuto conto dello stato d’uso, sarebbe teoricamente cedibile ad un prezzo superiore al valore netto contabile, non ha nulla a che vedere con il concetto di “reddito realizzato” e, quindi distribuibile.

[4] Secondo dottrina prevalente, però, in bilancio non si potevano iscrivere costi figurativi, per cui sarebbe stato opportuno imputare soltanto il corrispettivo per l’inflazione e non le altre componenti dell’interesse figurativo; l’inflazione, infatti, provocava una reale svalutazione del capitale d’apporto.

[5] L’esempio distingue gli immobili fra appartamenti e garage, che hanno delle dinamiche di prezzi di mercato differenti. Ciò non è in linea con l’ipotesi di rivalutarli entrambi con il medesimo tasso di inflazione.

[6] Capodaglio G., Dangarska V., Semprini L., Il Conceptual Framework for Financial Reporting e la sua influenza sul nuovo IFRS 15, Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale (RIREA), nn. 1, 2, 3 e 4 del 2019, pp. 109-115.

[7] Anche con riferimento al titolo dei principi contabili internazionali, quelli emanati in precedenza si chiamano International accounting standars (IAS), mentre i nuovi vengono intitolati International financial reporting standards (IFRS), con il definitivo abbandono del riferimento alla contabilità (accounting), sostituita dal reporting.