Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Le attività di liquidazione in esecuzione della proposta di concordato preventivo omologata


Francesco Carelli
Articolo

Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposta di linee guida*


Eugenio Bissocoli e Alessandro Turchi

Data pubblicazione
30 dicembre 2022

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Sommario: 1. Premessa. - 2. Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: gli obblighi di partecipazione alle trattative e le limitazioni all’esercizio dei diritti contrattuali nei confronti dell’impresa. - 2.1 L’importanza della partecipazione dei creditori finanziari alla CNC e la necessità di un diverso approccio alla trattativa per il risanamento. - 2.2. Gli obblighi specifici dei creditori finanziari e il principio di buona fede. - 2.3. Il divieto di revoca degli affidamenti bancari. - 2.4. Le limitazioni all’esercizio dei diritti contrattuali imposte dalle misure protettive e cautelari. - 3. La normativa di vigilanza applicabile ai creditori finanziari in materia di crediti deteriorati. - 3.1 La problematica dei crediti deteriorati. - 3.2 L’IFRS 9: la disciplina contabile dei crediti deteriorati, la divisione dei crediti in categorie e il nuovo impairment test. - 3.3 Il calendar provisioning dei crediti deteriorati. - 3.4 La definizione di default secondo il CRR e gli orientamenti dell’EBA del 2017. - 3.5 Le misure di forbearance ai sensi del CRR e degli Orientamenti dell’EBA. - 3.6 Le esposizioni deteriorate nei confronti di debitori in procedura concorsuale. - 3.7 Le linee guida sulla concessione e sul monitoraggio dei crediti. - 4. Le incertezze e le difficoltà dei creditori finanziari nel rapportarsi alla composizione negoziata. - 4.1 Le incertezze nella classificazione delle esposizioni nei confronti dell’impresa in CNC. - 4.2 L’inopportunità di una classificazione a priori a stage 3. - 4.3 Il presunto disinteresse dei creditori finanziari alle soluzioni della crisi previste dalla CNC. - 4.4 I presunti rischi in cui incorrono i creditori finanziari nel finanziamento dell’impresa nell’ambito della CNC. - 5. Suggerimenti operativi e proposta di linee guida. - 5.1 L’importanza degli advisors. - 5.2 L’importanza del compito dell’esperto durante le trattative con i creditori finanziari. - 5.3 Il ruolo delle banche durante le trattative: casi pratici, criticità e comportamenti virtuosi. - 6. Conclusioni.


1.        Premessa

Il presente contributo esamina il ruolo nella composizione negoziata della crisi d’impresa (di seguito in breve “CNC”) dei creditori finanziari, dalle cui decisioni solitamente dipende l’esito delle trattative per risanamento dell’impresa. Si analizzeranno, in particolare, gli obblighi imposti ai creditori finanziari nelle trattative dalle disposizioni della CNC e dalla normativa di vigilanza prudenziale (queste ultime principalmente in materia di trattamento delle esposizioni deteriorate). Chiarito il quadro normativo di riferimento, si evidenzieranno le difficoltà pratiche che allo stato i creditori finanziari incontrano nella CNC a causa, principalmente, della novità dello strumento e della difficoltà di conciliare la normativa sulla crisi d’impresa con la normativa di vigilanza, caratterizzate da finalità diverse e regole non sempre coerenti tra loro. 

Il contributo si concluderà declinando alcune linee guida elaborate dagli scriventi, distinte per circostanze e diverse ipotesi di risanamento, ipoteticamente applicabili ai creditori finanziari chiamati a partecipare attivamente alle trattative con l’impresa nell’ambito del percorso della CNC.  



2.        Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: gli obblighi di partecipazione alle trattative e le limitazioni all’esercizio dei diritti contrattuali nei confronti dell’impresa

2.1. L’importanza della partecipazione dei creditori finanziari alla CNC e la necessità di un diverso approccio alla trattativa per il risanamento

È noto che in Italia i creditori finanziari[1] ricoprono generalmente un ruolo essenziale nell’ambito delle soluzioni stragiudiziali per il risanamento delle imprese. La maggior parte di queste ultime è, infatti, costituita da PMI sottocapitalizzate (ossia caratterizzate dalla preponderanza del capitale di terzi rispetto ai mezzi propri) e finanziate esclusivamente da istituti bancari tradizionali. Pertanto, il risanamento presuppone solitamente un accordo con i creditori finanziari finalizzato alla ristrutturazione del debito (tramite il relativo stralcio e dilazione nella maggior parte dei casi, ovvero dilazione e consolidamento in ipotesi di criticità più contenute).

Inoltre, i creditori finanziari hanno da sempre un ruolo chiave nella concessione all’impresa in crisi della “nuova finanza”, che è spesso essenziale per la preservazione della continuità e il buon esito della ristrutturazione. Per lungo tempo, la “nuova finanza” è stata erogata esclusivamente (o quasi) dalle banche originarie finanziatrici dell’impresa. Solo recentemente, si sono aggiunti in tale settore anche altri operatori, quali i fondi di investimento distressed cessionari dei crediti delle banche ovvero banche specializzate nei finanziamenti ad imprese in crisi (c.d. challenger banks) ovvero ancora i veicoli di cartolarizzazione. Peraltro, allo stato attuale, il coinvolgimento di tali nuovi operatori nelle ristrutturazioni di PMI appare ancora limitato.

In generale, il comportamento delle banche nell’ambito delle ristrutturazioni stragiudiziali è spesso stato caratterizzato da atteggiamenti passivi e processi decisionali dilatati che hanno differito nel tempo (a volte anche anni) la conclusione di accordi in esecuzione di piani attestati o accordi di ristrutturazione dei debiti (“ADR”). Tale atteggiamento, da un lato, era, in alcuni casi, giustificato dalla necessità di evitare rischi di responsabilità delle banche per l’esercizio durante le trattative di un controllo “esterno” dell’impresa[2]; dall’altro, più frequentemente, rifletteva l’esigenza delle banche di differire nel tempo gli accantonamenti sui crediti nei confronti dell’impresa per evitare di concentrare la relativa perdita nel medesimo esercizio[3]. Giova, infatti, ricordare che proprio la necessità di evitare il rischio che banche con posizioni creditorie anche ridotte si sottraessero ai tavoli negoziali con gli altri creditori pregiudicando le trattative, ha indotto il legislatore a modificare la disciplina degli ADR, introducendo l’art. 182 septies L.F. che consente, a determinate condizioni, l’estensione forzata degli effetti dell’accordo anche ai creditori finanziari non aderenti.

La CNC, invero, richiede alle banche un cambiamento radicale di approccio alle trattative per il risanamento dell’impresa. Ad oggi, un eventuale atteggiamento dilatorio durante tali trattative sarebbe non solo incompatibile con gli obblighi previsti dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (“CCII”) in capo ai creditori (correttezza, buona fede, celerità, ecc.) ma anche inconciliabile con la durata limitata delle trattative che, ai sensi dell’art. 17, co. 7, CCII, devono concludersi entro 180 giorni, salvo proroga in determinate circostanze. Da qui la necessità che, soprattutto chi sia chiamato a finanziare l’impresa, non assuma atteggiamenti passivi o ostruzionistici. Si aggiunga che, nel caso le trattative non abbiano esito positivo (ma si svolgano comunque in buona fede), l’imprenditore ha la possibilità di presentare una domanda di concordato liquidatorio “semplificato”, caratterizzato dalla mancata previsione di un soddisfacimento minimo dei creditori chirografari e della loro partecipazione al voto (art. 25 sexies CCII). Pertanto, è evidente che nella CNC, almeno nelle intenzioni del legislatore, le banche, ove il risanamento dell’impresa sia effettivamente possibile (e il debitore provi in buona fede a proporre un piano di risanamento), sono sostanzialmente poste di fronte alla scelta di negoziare celermente un accordo per il superamento della crisi, ovvero subire perdite significative del valore delle proprie esposizioni nei confronti dell’impresa in un arco temporale ragionevolmente inferiore ai dodici mesi[4].  

2.2. Gli obblighi specifici dei creditori finanziari e il principio di buona fede nella partecipazione alle trattative per il risanamento

La CNC prevede per i creditori finanziari diverse limitazioni all’esercizio dei diritti contrattuali finalizzate a facilitare l’accordo per il risanamento dell’impresa, nonché l’obbligo specifico di partecipare alle trattative in modo “attivo e informato”[5]. Quest’ultimo obbligo riflette proprio l’esigenza di evitare che i creditori finanziari (in particolare le banche) adottino atteggiamenti dilatori nelle trattative per rinviare la soluzione della crisi e poter così “spalmare” in diversi esercizi la perdita sui propri crediti verso l’impresa debitrice[6].

L’obbligo di partecipazione attiva e informata si aggiunge agli altri doveri previsti per tutte le parti coinvolte nelle trattative (inclusi ovviamente i creditori finanziari), quali la leale e sollecita collaborazione con l’esperto e l’imprenditore, la riservatezza sulle informazioni acquisite nelle trattative e l’obbligo di riscontro “tempestivo e motivato” alle proposte e richieste ricevute[7].  Quest’ultimo, in particolare, non comporta l’accettazione acritica di ogni proposta di soluzione eventualmente prospettata dall’esperto o dal debitore nella composizione negoziata, ma la necessità di una sua valutazione oggettiva e dell’adozione e comunicazione tempestiva della decisione assunta corredata dalla relativa motivazione[8]. Come si evince dalla Relazione Illustrativa al D.L. 118/2021 (che ha introdotta nel nostro ordinamento la CNC), l’obbligo di riscontro «con risposta tempestiva e motivata» è finalizzato proprio a prevenire situazioni di stallo o eccessiva durata delle trattative che possano pregiudicare il risanamento dell’impresa. L’adempimento di tali obblighi presuppone evidentemente la presenza al tavolo delle trattative di rappresentanti dei creditori finanziari (in particolare delle banche) preparati, competenti e in grado di prendere posizione, replicare alle proposte e alle richieste avanzate e decidere in tempi stretti e compatibili con la durata della CNC[9].

Le disposizioni dell’art. 16 CCII costituiscono un’applicazione “rafforzata” del generale principio di buona fede previsto dagli artt. 1175 e 1374 c.c., nonché, indirettamente, dall’art. 2 Cost. (che prevede un dovere di solidarietà nei limiti in cui non comporti un aggravio eccessivo del proprio interesse)[10]. I riferimenti alla buona fede sono diversi nella disciplina della crisi d’impresa[11], ma è proprio nell’ambito della CNC che tale principio assume un ruolo cardine del funzionamento dell’istituto e, conseguentemente, viene declinato in modo specifico e rafforzato per ciascuna delle parti coinvolte[12]. Ai sopramenzionati obblighi dei creditori, infatti, fa da contraltare l’obbligo dell’imprenditore di comportarsi secondo buona fede e correttezza durante la CNC e, nello specifico, di presentare alle parti la propria situazione in modo completo e trasparente, al fine di consentire ai creditori di poter partecipare alla trattativa in modo consapevole e informato (art. 4, co. 1 e 2, CCII)[13].

Al fine di evitare intenti meramente dilatori o abusivi, l’imprenditore, durante le trattative, ha anche l’obbligo di a) gestire l’impresa e il patrimonio salvaguardando gli interessi dei creditori[14]; e b) assumere tempestivamente le iniziative idonee ad individuare le soluzioni per il superamento della crisi[15].

Ulteriore applicazione nella CNC del principio di buona fede si ha, infine, nel fatto che le parti (e quindi anche i creditori finanziari) sono tenute, su invito dell’esperto, a collaborare per rideterminare il contenuto dei contratti pendenti (o riequilibrarne il sinallagma)[16].  

2.3. Il divieto di revoca degli affidamenti bancari

La CNC prevede anche per i creditori finanziari limitazioni specifiche all’esercizio dei diritti contrattuali derivanti dai contratti di finanziamento sottoscritti con l’impresa[17]. L’art. 16, co. 5, CCII prevede infatti che l’accesso alla CNC “non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore”.

Il divieto di revoca e di sospensione degli affidamenti è chiaramente finalizzato a preservare la continuità dell’impresa durante le trattative e, quindi, la possibilità di un buon esito delle stesse. Trattasi di un punto cardine di ogni ristrutturazione, condiviso nelle diverse giurisdizioni al punto da essere fatto proprio dal legislatore comunitario. La Direttiva (UE) 2019/1023 (considerando 41 e art. 7, par.4), prevede infatti che ai creditori (tra cui le banche) non sia consentita la sospensione, revoca o qualunque altra modifica a danno del debitore in forza di una clausola contrattuale che preveda tali misure in ragione di una richiesta di apertura di una procedura di ristrutturazione[18]. 

Il termine “revoca” dell’art. 16 del CCII deve ragionevolmente intendersi in senso “atecnico” e includere nel suo significato tanto la “risoluzione” che il “recesso” del contratto di finanziamento. La disposizione ha evidentemente la finalità di evitare che l’imprenditore sia costretto a rimborsare alla banca l’intero debito residuo (originariamente erogato a titolo di mutuo o anticipazione bancaria) incorrendo in una crisi di liquidità che finirebbe per aggravare la crisi e rendere oltremodo difficile il risanamento.

Dubbi, invero, sono stati espressi con riferimento alla possibilità di includere nel “divieto di revoca e sospensione” anche le prestazioni “ancora da eseguire” al fine di consentire all’impresa di utilizzare, ad esempio, eventuali linee accordate ma non ancora (interamente) utilizzate alla data di ammissione alla CNC ovvero “linee autoliquidanti” o “rotative” che diventassero nuovamente utilizzabili a seguito dell’incasso, durante la CNC, di fatture e riba emesse prima dell’ammissione alla CNC[19]. Sul punto, è intervenuto il Tribunale di Parma con ordinanza del 10 luglio 2022, la quale ha statuito l’ammissibilità, in presenza delle condizioni di legittimità del percorso di composizione negoziata, della concessione nei confronti degli istituti di credito della misura cautelare atipica della sospensione di contratti bancari di affidamento e di finanziamento su fatture. In particolare, il provvedimento ha sancito il divieto per detti istituti di estinguere, in qualsiasi forma contrattuale prevista, la propria posizione creditoria, allorquando la misura richiesta sia funzionale allo svolgimento delle trattative ed al risanamento dell’impresa e, in via mediata, alla tutela della massa dei creditori. Secondo il Tribunale, infatti, l’interesse particolare del singolo creditore, controparte contrattuale dell’impresa, ben può essere temporaneamente limitato a tutela del superiore interesse della continuità dell’impresa e, in generale, del ceto creditorio[20].

Durante la vigenza del DL 118/21 è stato, inoltre, evidenziato che l’obbligo assoluto per le banche di mantenimento delle linee di credito nelle situazioni di crisi può comportare delle criticità e dei conflitti con la normativa di vigilanza prudenziale.  Nel recepimento nel CCII, si è quindi temperato il divieto in questione prevedendo la possibilità per la banca di revocare o sospendere le linee nel caso tale revoca o sospensione sia resa obbligatoria dalla “normativa di vigilanza”. L’esercizio di tale deroga presuppone che la banca dia contezza per iscritto delle ragioni della propria scelta[21].

Le ipotesi in cui la “vigilanza prudenziale” può richiedere espressamente la “sospensione” o la “revoca” degli affidamenti possono essere ragionevolmente duplici. Da un lato, tale sospensione o revoca può, in linea di principio, essere disposta mediante provvedimento (decisione, circolare, ecc.) di carattere generale e con finalità “macroprudenziali” previsti dall’art. 53-bis del TUB[22].  Tali provvedimenti sono quindi applicabili indistintamente a tutti i soggetti vigilati, ovvero ad una platea di soggetti vigilati rientrante nei criteri eventualmente dettati all’interno di tali provvedimenti. Dall’altro, l’obbligo di sospensione o revoca potrebbe essere disposto a seguito di un provvedimento adottato dall’Autorità di Vigilanza nei confronti di uno specifico soggetto vigilato e, quindi, avente finalità essenzialmente “micro-prudenziali”. All’interno di tale categoria dovrebbero ragionevolmente rientrare le decisioni assunte in sede di processo di revisione e valutazione (“Supervisory Review and Evaluation Process” o “SREP”).  Una delle fasi principali dello SREP consiste infatti nell’analisi dell’esposizione a tutti i rischi rilevanti assunti e dei presìdi organizzativi predisposti per il governo, la gestione e il controllo degli stessi e, nell’ambito dello SREP, è pertanto verosimile che possano essere richiesti provvedimenti di sospensione o revoca di affidamenti[23].  Parimenti, appare ragionevole che possano rientrare nell’eccezione “regolamentare” dell’art. 16, co. 5, CCII, le “sospensioni” e le “revoche” di affidamenti poste in esecuzione di un piano di risanamento predisposto dall’organo amministrativo della banca (e approvato da Banca d’Italia) ai sensi delle disposizioni rilevanti previste nel TUB, TUF e normativa unionale[24]. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui la banca decida di revocare o sospendere gli affidamenti nei confronti di un’impresa che accede alla CNC in attuazione delle misure previste dal piano di risanamento proprio per rimediare agli squilibri patrimoniale o finanziari della banca che rendono necessario il ricorso alle misure di salvaguardia previste da tale piano.

Allo stato, attesa anche la recente entrata in vigore del CCII, non si ha notizia di provvedimenti dell’autorità di vigilanza che richiedano espressamente, ex art. 16, co. 5, CCII, la revoca o sospensione degli affidamenti nei confronti di un’impresa in CNC. 

In ogni caso, l’interpretazione dell’ampiezza della deroga per motivi di vigilanza prudenziale al divieto di sospensione e revoca degli affidamenti sarà di importanza fondamentale per il buon esito delle trattative e il corretto funzionamento della CNC. Un’eventuale interpretazione di tale deroga che consenta un’eccessiva discrezionalità da parte delle banche, accompagnata da una motivazione generica (ad es. un riferimento generico all’interesse alla “sana e prudente gestione” del credito), potrebbe di fatto “svuotare” di significato il divieto di revoca e sospensione degli affidamenti ex art. 16, co. 5, CCII. È evidente, infatti, che le banche, almeno nel caso di ricorso alle misure protettive e cautelari, hanno, in linea di principio, l’interesse ad evitare di incorrere nei rischi (contabili e finanziari) derivanti dall’obbligo di mantenimento durante le trattative delle linee di credito a favore dell’impresa[25].  

2.4. Le limitazioni all’esercizio dei diritti contrattuali imposte dalle misure protettive e cautelari

Nel caso l’imprenditore si avvalga delle misure protettive (e queste siano confermate dal Tribunale competente) le banche, al pari degli altri creditori, saranno soggette alle limitazioni dell’esercizio unilaterale dei diritti derivanti dai contratti di finanziamento ai sensi dell’art. 18, co. 5, CCII[26].  Tali limitazioni impediranno alle banche di avvalersi dei rimedi contrattuali quali la risoluzione, il recesso, la decadenza del beneficio del termine, o l’eccezione di inadempimento, ogniqualvolta questi traggano il proprio fondamento nell’inadempimento da parte del debitore ammesso alla CNC agli obblighi di pagamento previsti nei contratti di finanziamento[27].  Tra i “contratti pendenti” cui la norma fa riferimento devono ragionevolmente essere compresi anche i “contratti bancari autoliquidanti” in quanto espressamente contemplati nell’art. 97, co. 14, CCII, norma che appunto disciplina i contratti pendenti nell’ambito del concordato preventivo.

Il disposto dell’art. 18, co. 5, CCII è evidentemente fonte di preoccupazione per le banche in quanto, nel caso l’impresa si avvalga delle misure protettive a partire dalla pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza di nomina dell’esperto, esse sono obbligate a continuare ad erogare il credito (e quindi ad incrementare l’esposizione) nei confronti di un debitore verosimilmente in crisi o insolvente con evidenti criticità sia finanziarie che regolamentari[28].

A tutela dei creditori sottoposti al predetto obbligo, nel recepimento nel CCII, rispetto all’art. 6, co. 5, D.L. 118/21, è stato precisato nell’art. 18, co. 5, CCII, che: 1) l’inibizione si applichi non più nei confronti dei “creditori interessati” dalle misure protettive, ma dei “creditori nei cui confronti operano” tali misure (escludendo così eventuali creditori estranei all’applicazione delle misure); e 2) tali creditori siano comunque liberi di sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 fino alla (eventuale) conferma delle misure richieste da parte del Tribunale.

Nella pratica, è ragionevole attendersi che un’impresa che decida di avvalersi delle misure protettive (e quindi delle limitazioni di cui all’art. 18, co. 5, CCII) nei confronti delle banche, chieda anche la concessione da parte del Tribunale delle misure cautelari finalizzate a preservare l’utilizzo durante le trattative delle linee di credito a garanzia dell’integrità del valore dell’impresa e della continuità aziendale (v. supra sub 2.3. e in particolare note 15 e 16).  


3.        La normativa di vigilanza applicabile ai creditori finanziari in materia di crediti deteriorati

3.1. La problematica dei crediti deteriorati

È noto che l’attività di intermediazione creditizia e, in generale, l’operatività di una banca sia fortemente condizionata dal livello delle esposizioni classificate come crediti deteriorati. Un eccessivo (recte non previsto) incremento di queste ultime determina una diminuzione dei ricavi dell’attività di erogazione (nel caso di inadempimento agli obblighi di restituzione del capitale e degli interessi) e un incremento dei costi gestionali e organizzativi della banca[29] (). Inoltre, un eccesso di crediti deteriorati non adeguatamente coperti dalle “perdite attese”[30] e dai ricavi generati dalla banca (in particolare degli interessi) determina potenzialmente uno squilibrio finanziario e reddituale per la banca, riduce le risorse utilizzabili per l’erogazione del credito (a causa dell’erosione degli indici patrimoniali)[31] e, alla lunga, crea anche un rischio “reputazionale” per la banca stessa[32]. 

La problematica dei crediti deteriorati non limita i suoi effetti alle sole banche ma impatta sull’economia in generale. La riduzione delle risorse utilizzabili per l’erogazione del credito finisce, infatti, per limitare lo sviluppo dell’economia, creare un potenziale effetto recessivo e una distorsione delle politiche creditizie. L’esperienza dimostra che, nelle situazioni di difficoltà, le banche spesso preferiscono continuare a finanziare i debitori inadempienti nella speranza che tornino in bonis (e quindi di recuperare i loro crediti) e, conseguentemente, sono riluttanti a finanziare (o finanziano a condizioni molto onerose) le nuove imprese, anche se meritevoli[33].

In generale, l’eccesso di crediti deteriorati nel bilancio di una banca può essere determinato da cause macro-economiche (recessioni, eventi imprevedibili che possono in linea di massima essere considerate “cause di forza maggiore”, quali pandemie o guerre) ovvero cause specifiche del settore bancario (o delle singola banca), quali carenze nel processo di erogazione o monitoraggio del credito, ovvero errata o negligente valutazione del rischio di credito del singolo debitore (o del settore in cui opera) che determina la sopra-valutazione delle capacità di rimborso del singolo prenditore o di un progetto di sviluppo, o un’errata politica di prezzo o un’eccessiva concentrazione dell’erogazione del credito in un dato settore (ad es. immobiliare), il tutto spesso amplificato dall’errata previsione (o sottovalutazione) dei mutamenti del ciclo economico (ad es. la fine della fase espansiva)[34].

Per fare fronte alla problematica dei crediti deteriorati, le banche a partire dal 2013 sono state destinatarie di diversi provvedimenti legislativi e orientamenti delle autorità di vigilanza che hanno contribuito a rendere particolarmente complesso il quadro normativo entro cui le banche devono gestire la problematica dei crediti deteriorati (e più in generale esercitare l’attività di erogazione e gestione del credito).  Nei paragrafi seguenti sono riassunti, senza pretesa di esaustività ma ai soli fini del presente contributo, i principi contabili e regolamentari rilevanti che, tanto, le banche (e i creditori finanziari) quanto le altre parti interessate da una CNC, devono necessariamente tenere in considerazione nel negoziare la ristrutturazione del debito e il risanamento dell’impresa.  

3.2. L’IFRS 9: la disciplina contabile dei crediti deteriorati, la divisione dei crediti in categorie e il nuovo impairment test

La classificazione dei crediti vantati da banche e intermediari finanziari è disciplinata dal principio contabile internazionale IFRS 9 (International Financial Reporting Standard 9)[35] che nella versione attualmente in vigore – c.d. anche modello a “Three-Bucket” - distingue tre categorie (o stage) di crediti, da individuare sulla base di una valutazione (c.d. “impairment”) dell’eventuale incremento del rischio di credito rispetto al momento di erogazione.

Nello specifico, l’attuale principio contabile IFRS 9[36] è in vigore dal 1° gennaio 2018 e si distingue dal previgente IAS 39 essenzialmente – per quanto qui rileva – in termini di approccio valutativo (ossia di criteri di impairment): mentre il quadro previgente si basava sul modello c.d. “incurredloss” (i.e. “perdita subita”), il nuovo principio è incentrato sull’approccio c.d. “expectedloss” (i.e. “perdita attesa”)[37].

Il principio contabile IFRS 9 distingue, come anticipato, i seguenti stage (ai quali corrispondono diverse metodologie di calcolo delle perdite da rilevare):

a)        lo stage 1, che comprende i crediti “in bonis” o “performing”, per i quali si prevede una valutazione in bilancio con una “perdita attesa” calcolata entro un orizzonte temporale di 12 mesi e interessi calcolati sul valore lordo dell’imposizione;

b)        lo stage 2, che comprende i crediti “underperforming”, ossia i crediti che hanno subito un significativo incremento del rischio di credito rispetto alla rilevazione iniziale (a fronte del verificarsi di determinati eventi quali il verificarsi di past due inferiori a 30 giorni[38], oppure un peggioramento del rating o della c.d. “probability of default”, oppure eventuali misure di concessione anche in bonis, che non sono, tuttavia, così significativi da rendere il credito “deteriorato” o “non performing” (ai fini dello stage 3)[39]; in questo caso, la “perdita attesa” deve essere misurata, su base “collettiva”, sull’intera durata del rapporto di credito e l’interesse deve essere calcolato sul valore lordo dell’esposizione;

c)        stage 3: crediti “non performing”, ossia i crediti che hanno subito un deterioramento (impairment) a seguito di eventi che hanno inciso negativamente sui flussi di cassa stimati futuri (quali ripetuti inadempimenti da parte del debitore o, addirittura, la cessazione dei pagamenti – dunque, il default – o l’intervenuta insolvenza del debitore o l’accesso da parte dello stesso a procedure concorsuali). In questi casi, la perdita attesa è calcolata, su base “individuale” (ossia tenendo conto della previsione di incassi della singola esposizione), con riferimento all’intera durata residua del rapporto e gli interessi sono calcolati sul valore netto dell’esposizione. A loro volta, i crediti non performing o deteriorati ai sensi della normativa europea[40] si suddividono in ulteriori sottocategorie nell’ambito della normativa secondaria nazionale[41]:

(i)“sofferenze” o “non performingloans” o “NPL”: esposizioni nei confronti di un debitore in stato di insolvenza (anche laddove non accertata in via giudiziale) o in situazioni sostanzialmente analoghe[42].

(ii)“inadempienze probabili” o “unlikely to pay” o “UTP”: esposizioni per le quali il creditore stima improbabile che siano rimborsati integralmente (per capitale e/o interessi) senza il ricorso all’escussione delle garanzie prestate[43]; e

(iii)“esposizioni scadute/sconfinanti deteriorate” o “past due”: esposizioni deteriorate scadute o sconfinanti diverse dalle “sofferenze” e dalle “inadempienze probabili” (pertanto, si tratta di una categoria residuale)[44];

In generale, ai fini della disciplina regolamentare, una banca deve classificare una determinata esposizione come “deteriorata” – inter alia – quando ritiene che essa abbia subito “una riduzione di valore ai sensi della disciplina contabile applicabile”[45].

Correlativamente, il passaggio di un’esposizione dallo stage 3 a uno stage inferiore (1 o, più realisticamente, 2) è complesso per le condizioni richieste (tra cui per le esposizioni prive di misure di forbearance una valutazione prognostica da parte della banca della capacità di rimborso e l’assenza di arretrati di oltre 90 gg.) e la durata di tale operazione è variabile a seconda dei casi ma comunque significativa (3 anni per le esposizioni in cui è stata concessa una misura di forbearance)[46].  

3.3. Il calendar provisioning dei crediti deteriorati

I crediti rientranti in stage 3 (non performing o deteriorati) sono sottoposti a obblighi anticipati di cancellazione (c.d. “write off” o “derecognition” contabile), nonché a obblighi di svalutazione progressivi sulla base di percentuali predeterminate (c.d. “calendar provisioning”).

Il calendar provisioning consiste in un insieme di regole che impongono la progressiva svalutazione degli NPL secondo scadenze temporali prestabilite. La finalità (almeno nelle intenzioni del regolatore) è la riduzione di tali esposizioni in modo sostenibile attraverso un piano graduale di accantonamento prudenziale, al fine di assicurare che gli NPL non si accumulino nei bilanci delle banche senza adeguate rettifiche di valore[47]. Il relativo quadro normativo è piuttosto complesso; in estrema sintesi:

(1)     nel marzo del 2018, con un Addendum alle proprie Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL), la BCE ha elaborato un sistema di calendar provisioning non vincolante[48], originariamente applicabile ai soli crediti deteriorati emersi successivamente al 1° aprile 2018 e poi esteso, nel luglio 2018, anche agli NPL preesistenti (si parla di approccio di “secondo pilastro” della BCE);

(2)     successivamente, con il Regolamento (UE) 2019/630, il legislatore europeo ha introdotto un sistema di calendar provisioning obbligatorio (c.d. “backstop”) applicabile agli NPL erogati a partire dal 26 aprile 2019 (si parla di norme prudenziali di “primo pilastro”).

Entrambe le fonti in questione distinguono i crediti in garantiti (c.d. “secured”) e non garantiti (c.d. “unsecured”) e si basano sulla “anzianità” del credito come deteriorato (i.e. sul numero di anni decorsi da quando il credito è stato classificato come deteriorato). Pertanto, essendo la svalutazione legata unicamente ad una scaletta temporale, la cancellazione integrale dell’esposizione ben può verificarsi prima della fine dell’eventuale procedura esecutiva e prescindere, quindi, dall’esito effettivo della stessa[49]. Con la “Comunicazione in merito alle aspettative di vigilanza sulla copertura delle NPE” del 22 agosto 2019, la BCE ha evidenziato le differenze nel calendario della svalutazione tra le esposizioni deteriorate nell’ambito del primo pilastro e nel secondo pilastro[50]. 

In generale, è comunque oramai evidente che la classificazione di un’esposizione come “deteriorata” comporta obblighi di accantonamento progressivi particolarmente significativi e destinati ad aumentare nel tempo fino al 100% del valore dell’esposizione stessa.  

3.4. La definizione di default secondo il CRR e gli orientamenti dell’EBA del 2017

Il Reg. UE n. 575 del 26 giugno 2013 relativo ai requisiti prudenziali degli enti creditizi (c.d. capital requirementregulation o “CRR”), prevede che un’esposizione debba essere considerata “deteriorata”, tra l’altro, nei casi in cui si sia verificato un default ai sensi dell’art. 178 del CRR[51].  Ai sensi di tale disposizione, il debitore è in default nel caso si verifichi almeno una delle seguenti situazioni[52]:

1)        la banca ritenga “improbabile che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni” verso la banca stessa, la sua controllante o una delle sue controllate[53]; e/o

2)        il debitore è in arretrato di oltre 90 giorni su un’”obbligazione creditizia rilevante” verso la banca, la sua controllante o una delle sue controllate (c.d. “credito scaduto o sconfinante deteriorato”)[54].

Per quanto riguarda la prima ipotesi, l’art. 178 del CRR lascia notevole discrezionalità alle banche e agli intermediari finanziari nel valutare la sussistenza dell’”improbabilità di un adempimento integrale da parte del debitore”. L’art. 178, par. 3, indica tra gli elementi da considerare come indicativi dell’”improbabile adempimento” l’inclusione del credito da parte della banca tra le sofferenze o gli incagli, una rettifica di valore sui crediti derivante da un significativo scadimento del merito creditizio, la cessione del credito a sconto da parte della banca, la ristrutturazione onerosa del credito che  preveda uno stralcio o il differimento del pagamenti di capitale e interessi, la presentazione da parte della banca dell’istanza di fallimento (o procedura analoga) del debitore o di una società del gruppo cui il debitore appartiene, la richiesta di dichiarazione di fallimento (o situazione assimilabile) da parte del debitore o di terzi[55].

Il Regolamento Delegato (UE) 2018/171 e i relativi orientamenti dell’EBA del 2017[56] si sono premurati di elencare alcune situazioni e circostanze sulla cui base la banca dovrebbe considerare il debitore in una situazione di “improbabile inadempimento” ai fini della definizione di default di cui all’art. 178, par. 1, lett. a), del CRR.  Tali situazioni e circostanze consistono ad esempio:

a)        nel caso in cui il debitore si trovi in uno stato di insolvenza o incaglio, (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 35);

b)        nel caso siano apportate rettifiche specifiche sul valore dei crediti (specific credit risk adjustments, SCRA) (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 36);

c)        nel caso l’ente consideri l’esposizione come “deteriorata” (stage 3) ai sensi dell’IFRS9 (a prescindere se a tale esposizione sia stata o meno apportate delle SCRA) (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 38-39); non è vero però il contrario, ossia la classificazione a default di un’esposizione ai sensi dell’art. 178, CRR, non determina automaticamente la classificazione di tale esposizione a “sofferenza” nella Centrale dei Rischi)[57]. Ovviamente, in pratica, la verificazione di un default ex art. 178 CRR, costituirà comunque un evento che le banche terrano in rilevante considerazione nella valutazione della situazione finanziaria complessiva dell’impresa cliente;

d)       nel caso si verifichi una “ristrutturazione onerosa” tramite misure di concessione che determinino una “ridotta obbligazione finanziaria”, cioè una remissione sostanziale del debito o un differimento del pagamento di interessi e capitale oltre una soglia di rilevanza (pari o inferiore all’1%) (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 49-52);

e)        nel caso di esposizioni classificate come “oggetto di concessioni deteriorate” che dovrebbero essere classificate come in stato di default e soggette a ristrutturazioni onerose (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 55);

f)         nel caso le informazioni interne della banca evidenzino il venire meno delle fonti di reddito del debitore, la sussistenza di ragionevoli preoccupazioni circa la futura capacità del debitore di generare flussi di cassa stabili e sufficienti, la leva finanziaria del debitore è aumentata (o si prevede che aumenti) significativamente, la violazione delle clausole accessorie di un contratto finanziario, l’escussione di una garanzia da parte della banca, la segnalazione di un’esposizione come deteriorata (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 59);

g)        nel caso le informazioni disponibili in banche dati esterne, gli analisti e la stampa evidenzino ritardi significativi nei pagamenti, la crisi del settore in cui opera il debitore (o la crisi del debitore), la notizia della presentazione da parte di un terzo di un’istanza di fallimento (o simili) del debitore (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 60).

Per quanto riguarda la soglia di “rilevanza” delle obbligazioni rispetto alle quali un arretrato di oltre 90 giorni giustifichi l’intervento di un default ai fini del CRR, il già citato Regolamento Delegato (UE) 2018/171 integra l’art. 178 CRR, disponendo che un’esposizione scaduta debba essere considerata “rilevante” quando l’ammontare dell’arretrato supera entrambe le seguenti soglie:

(ii)     100 euro per le esposizioni al dettaglio e 500 euro per le esposizioni diverse da quelle al dettaglio (c.d. soglia assoluta);

(ii)   l’1 per cento dell’esposizione complessiva verso una controparte (c.d. soglia relativa).

Dal momento in cui vengono superate entrambe le soglie, prende avvio il conteggio dei 90 giorni consecutivi di scaduto, oltre i quali il debitore è classificato in stato di default.      

3.5. Le misure di forbearance ai sensi del CRR e degli Orientamenti dell’EBA

Le “misure di concessione” (forbearancemeasure) sono definite come una concessione accordata dalla banca al debitore che ha incontrato o rischia di incontrare difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari. La concessione può comportare una perdita per la banca e consiste nella modifica dei termini e delle condizioni dell’obbligazione debitoria o nel rifinanziamento (integrale o parziale) dell’obbligazione debitoria che non sarebbero stati concessi se il debitore non avesse incontrato difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari (art. 47-ter, par. 1, CRR).

La finalità delle concessioni è di riportare il debitore in una situazione di rimborso sostenibile e, pertanto, la banca deve monitorarne l’applicazione al fine di garantire che tali misure non siano usate surrettiziamente dai debitori per fini dilatori (procrastinare le riduzioni di valore o la valutazione cancellazione dell’esposizione)[58].

In generale, sono considerate “misure di concessione”, tra l’altro, l’applicazione al debitore di nuovi termini contrattuali più favorevoli, la situazione in cui, sulla base dei termini contrattuali iniziali, l’esposizione sia stata classificata come “deteriorata” prima della modifica dei termini contrattuali (o sarebbe stata classificata come “deteriorata” in assenza di modifica dei termini contrattuali), la cancellazione totale o parziale del debito, la modifica dei termini contrattuali che prevede il rimborso tramite esecuzione sulla garanzia reale (art. 47-ter, par. 2, CRR).

Le esposizioni oggetto di concessioni possono, a seconda dei casi, essere in bonis (performingforborneexposure) ovvero deteriorate (non-performingforborneexposure) a seconda della classificazione che la banca decide di dare al credito a cui applica la concessione. Gli Orientamenti EBA 2018 prevedono che una banca debba valutare se una esposizione in bonis debba o meno essere classificata come “deteriorata” nel momento in cui benefici di una “misura di concessione” da parte della banca stessa. Nell’ambito di tale valutazione, l’EBA suggerisce che la banca tenga in considerazione, tra l’altro, se l’esposizione abbia un piano di rimborso adeguato o meno, fondato su ipotesi e previsioni attendibili, soggetto ad un’analisi di sensitività e se il rimborso non preveda un periodo di tolleranza eccessivo (maggiore di due anni)[59].  

3.6. Le esposizioni deteriorate nei confronti di debitori in procedura concorsuale

La Banca d’Italia ha precisato che le esposizioni in bonis nei confronti di un debitore che ha proposto il ricorso per concordato “in bianco” (art. 161, co. 6, L.F., ora art. 44 CCII) vanno segnalata tra le “inadempienze probabili” al momento della presentazione del ricorso e sino al momento in cui non sia depositata la domanda di concordato “pieno” ovvero il ricorso per l’omologa dell’AdR (resta salva, ovviamente, la possibilità per la banca di classificare l’esposizione direttamente a “sofferenza” ove il suo livello di deterioramento giustifichi tale deteriore classificazione)[60]. Parimenti, secondo Banca d’Italia, devono essere classificate come “inadempienze probabili” (o, in presenza di più grave deterioramento, come “sofferenze”) a partire dalla data di presentazione della domanda e fino all’omologa (o revoca) del concordato, le esposizioni nei confronti dei debitori che presentino domanda di concordato con continuità aziendale (disciplinato nel previgente corpus normativo dall’art. 186-bis L.F. e ora disciplinato dagli artt. 84 e ss. CCII).

Sempre secondo Banca d’Italia, nel caso il concordato in continuità abbia esecuzione tramite cessione o conferimento dell’azienda ad una società (anche di nuova costituzione) non appartenente al gruppo economico del debitore, l’esposizione va classificata come “in bonis”.

La classificazione resta, invece, come “deteriorata” nel caso in cui la cessione o il conferimento dell’azienda avvenga ad una società del gruppo cui appartiene il debitore in quanto Banca d’Italia, presuppone che la capogruppo sia comunque stata parte del processo decisionale che ha portato al deposito da parte della società debitrice dell’istanza di concordato in continuità.  È, in ogni caso, auspicabile che Banca d’Italia aggiorni (e se necessario riveda) il suo orientamento sulla classificazione delle esposizioni nei confronti dei debitori in procedura concorsuale alla luce delle modifiche introdotte dal CCII al procedimento “prenotativo”.  L’art. 44 CCII ha, infatti, introdotto diverse modifiche alla disciplina di tale procedimento, prevedendone tra l’altro una durata più breve rispetto a quella prevista dall’art. 161, co. 6, L.F.[61].   

3.7. Le linee guida sulla concessione e sul monitoraggio dei crediti

Nell’ambito dell’armonizzazione e adeguamento della normativa comunitaria di vigilanza, nel giugno 2021 sono diventati efficaci gli orientamenti aventi ad oggetto la governance delle banche, la concessione del credito e il successivo monitoraggio del rapporto[62].

In merito alla governance, gli Orientamenti EBA prevedono che gli organi amministrativi delle banche debbano approvare la strategia di gestione del rischio di credito, assicurando che siano coerenti con il framework di propensione al rischio (risk appetite framework o RAF), il processo interno di determinazione dell’adeguatezza del capitale e della liquidità della banca (rispettivamente l’Internal capital adequacyassessmentprocesso ICAAP e l’Internalliquidityadequacyassessmentprocess o ILAAP)[63].

In merito alla concessione del credito, gli Orientamenti EBA prevedono che la banca debba valutare il merito creditizio e il profilo di rischio del cliente sulla base di un quadro informativo esaustivo, accurato e costantemente aggiornato.  Per le imprese, il quadro informativo deve avere ad oggetto le finalità del finanziamento richiesto, il reddito e il flusso di cassa, gli impegni finanziarie (incluse le garanzie e le passività potenziali), il modello di business e le strategie aziendali, piani aziendali supportati da proiezioni finanziarie, eventuali garanzie reali e personali di attenuazione del rischio, eventuale documentazione legale (ad. es. contratti rilevanti) e la struttura dell’operazione. I dati dovrebbero essere raccolti dal cliente e anche da terzi (ad es. banche dati) e la loro attendibilità verificata presso il cliente o terzi[64]. L’eventuale garanzia reale che assiste il credito dovrebbe essere considerata solo una “via d’uscita” in caso di default del cliente (e non la fonte primaria del rimborso); la valutazione del merito creditizio del cliente dovrebbe essere effettuata a livello di Gruppo e particolare attenzione dovrebbe essere riservata all’esposizione del cliente ai fattori ESG[65]. In sintesi, la banca dovrebbe, pertanto, poter contare su un’analisi “a tutto tondo” del cliente che consenta di valutarne la capacità di rimborsare i propri debiti, in cui importanza fondamentale dovrebbe essere data non solo (e non tanto) ai dati consuntivi (quali analisi di bilancio, centrale rischi, ecc.) quanto (e soprattutto) ai dati previsionali, all’analisi del modello di business e dell’effettiva capacità dell’imprenditore di gestire l’impresa in modo efficiente ed affidabile[66].

Gli Orientamenti EBA 2021 prevedono, inoltre, che le banche dispongano di un sistema di monitoraggio del credito solido ed efficace, supportato da un’adeguata infrastruttura di dati che consenta di verificare in modo affidabile, completo e tempestivo il rischio di credito dei clienti affidati dalla banca. Il relativo quadro informativo dovrebbe avere ad oggetto, in particolare, il monitoraggio:

1) della regolarità dei pagamenti dei clienti;

2) della coerenza del merito creditizio del cliente e dell’eventuale garanzia reale con le politiche e condizioni di rischio di credito esistenti al momento della concessione;

3) della qualità delle esposizioni creditizie e della situazione finanziaria del cliente;

4) del merito creditizio dei clienti per valutare eventuali scostamenti nel loro profilo di rischio, nella loro posizione finanziaria o nel loro merito creditizio rispetto agli esiti dell’istruttoria per la concessione del credito, nonché per rivedere e aggiornare eventuali rating/credit scoring interni[67]. Nell’ambito dei compiti di monitoraggio, le banche dovrebbero monitorare, tra l’altro, il rispetto da parte del cliente degli impegni accessori e dei covenants finanziari (quali debito netto/EBITDA, rapporto di copertura degli interessi, DSCR)[68] e di “indicatori di allerta” che consentano di rilevare tempestivamente l’incremento del rischio di credito del cliente, tra cui: la verificazione di eventi macroeconomici avversi che incidono sulla redditività del cliente (o del settore in cui opera), le variazioni della posizione finanziaria del cliente, un calo di fatturato, la riduzione dei margini operativi o dell’utile di esercizio, scostamenti significativi rispetto al budget, riduzione del valore delle garanzie reali, aggravamento delle difficoltà del gruppo cui appartiene il cliente, declassamento del rating interno del cliente, problemi sollevati dalle relazioni dei revisori, arretrato di 30 giorni su una o più linee di credito del cliente[69].  


4.        Le incertezze e le difficoltà dei creditori finanziari nel rapportarsi alla composizione negoziata

4.1. Le incertezze nella classificazione delle esposizioni nei confronti dell’impresa in CNC

Ad oggi, la valutazione preliminare della CNC da parte dei creditori finanziari (in particolare delle banche) non è particolarmente positiva stante anche alcune difficoltà ed incertezze determinate in parte dalla novità dello strumento e dall’assenza di linee guida di Banca d’Italia che ne agevolino l’utilizzo al ceto bancario.

Allo stato è pacifico che la CNC non sia una “procedura concorsuale”[70]. Nondimeno, si è diffusa in diversi operatori bancari la convinzione che il semplice ricorso alla CNC comporti la classificazione a priori delle esposizioni verso l’impresa richiedente come “inadempienze probabili” (e quindi da classificare nello stage 3 IRFS9). La necessità di tale classificazione, secondo alcuni, deriverebbe dal fatto che l’impresa che accede alla CNC deve essere in una situazione di “crisi” ovvero, quantomeno, in una “condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” (art. 12, CCII).  L’esistenza di tale condizione (in analogia con il disposto della circolare 272/2008 di Banca d’Italia in materia di concordato in “bianco”) sarebbe di per sé tale da determinare la classificazione a stage 3 a prescindere dal fatto se, in concreto, la società debitrice che ricorre alla CNC sia in default o meno e quindi, per assurdo, anche nell’ipotesi in cui essa sia adempiente ai propri obblighi di pagamento nei confronti del sistema bancario (ad esempio perché le parti coinvolte nel risanamento sono unicamente i fornitori commerciali  “chiave”)[71]. Tuttalpiù, l’esistenza o meno di una situazione di default rileverebbe per decidere se classificare l’esposizione a “inadempienza probabile” o “sofferenza” (quindi sempre all’interno dello stage 3 IRFS9) (v. supra sub 3.2)[72]. 

Un orientamento meno severo (ma ugualmente critico nei confronti della CNC), lascia alla banca la decisione se classificare l’esposizione nei confronti dell’impresa al momento dell’apertura della CNC come “inadempienza probabile” (stage 3 IFRS9) ovvero come “credito underperforming” (stage 2 IFRS9), considerando, in tale ultimo caso, il ricorso alla CNC, di per sé, quantomeno come un evento determinante un significativo incremento del rischio di credito dell’impresa (c.d. evento SICR). Anche per tale orientamento, tuttavia, l’esposizione dovrebbe essere classificata a “inadempienza probabile” ogni qualvolta l’impresa chieda, insieme alla nomina dell’esperto, l’applicazione di misure protettive[73]. 

Come noto, la classificazione a stage 3 dell’esposizione comporta per le banche un obbligo di incremento immediato degli accantonamenti di bilanci (dal momento di tale classificazione il valore del credito andrebbe determinato sulla base della previsione di rimborso effettivo del debitore in questione) e la progressiva ulteriore svalutazione secondo le scadenze e gli importi predeterminati dal calendar provisioning (v. supra sub 3.3).

Le conseguenze della classificazione a stage 3 rischiano di essere ancora più gravi nel caso in cui, a seguito del ricorso a misure protettive, la banca sia obbligata a proseguire i contratti di finanziamento in essere (ad es. nel caso di linee autoliquidanti ovvero di linee di credito utilizzate solo in parte rispetto all’importo “accordato”) ai sensi del disposto dell’art. 18, co. 5, CCII; in tal caso, infatti, gli obblighi di accantonamento si estenderebbero anche sull’incremento dell’esposizione maturato durante le trattative. Tale situazione, inevitabilmente, renderebbe oltremodo complicata una trattativa tra l’imprenditore e le banche (pensiamo alle difficolta di concedere nuova finanza che dovrebbe essere classificata come “deteriorata” già all’erogazione) e rischierebbe anche di pregiudicare la continuità aziendale nel caso le banche, proprio per evitare l’incremento dell’esposizione deteriorata, cessassero di finanziare l’impresa per ragioni diverse dall’inadempimento del debitore agli obblighi di pagamento ante-ammissione alla CNC. Come già rilevato, l’ammissione del debitore alla CNC, infatti, non impedisce alle banche di sciogliersi dai contratti di finanziamento per violazione da parte del debitore degli obblighi accessori o dei covenant finanziari ivi previsti ovvero revocare o sospendere gli affidamenti per motivi di carattere regolamentare ex art. 16, co. 5, CCII.  

4.2. L’inopportunità di una classificazione a priori a stage 3 delle esposizioni nei confronti delle imprese ammesse alla CNC

Un’eventuale classificazione a priori a stage 3 delle esposizioni nei confronti delle imprese ammesse alla CNC appare allo scrivente eccessivamente severa e ingiustificata tanto alla luce della disciplina concorsuale della CNC quanto della normativa prudenziale e contabile applicabile alle banche. Come già rilevato, la CNC non è una procedura concorsuale e neppure uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 2, co. 1, lett. m, CCII). La CNC è un percorso di mediazione regolamentato in un “ambiente protetto” che favorisce la soluzione consensuale della crisi grazie all’esperimento di trattative, sotto l’egida di un esperto, in cui le parti sono tenute a collaborare e comportarsi secondo obblighi di buona fede e correttezza. 

La CNC, inoltre, rientra tra gli “strumenti di allerta” finalizzati all’emersione anticipata della crisi in quanto prevede tra i presupposti soggettivi, oltre alla crisi e all’insolvenza (reversibile)[74], la situazione di precrisi (ovvero i vari tipi di squilibrio) dell’impresa richiedente[75] e presuppone, secondo l’interpretazione giurisprudenziale oggi prevalente, la risanabilità dell’impresa tramite un piano in continuità diretta o indiretta[76].  In concreto, pertanto, molteplici sono gli scenari in cui si può trovare l’impresa che partecipa alla CNC (dal mero squilibrio economico-finanziario fino all’insolvenza reversibile) e, conseguentemente, diverso potrà essere il piano di risanamento predisposto dall’impresa (e, quindi, lo sforzo da questa richiesto ai propri creditori)[77].

E’, quindi, evidente che la classificazione ad “inadempienza probabile” (o peggio “sofferenza”) delle esposizioni di un debitore che accede alla CNC  in una situazione di pre-crisi contrasterebbe con la ratio della CNC di “agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni disquilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato” (Relazione Illustrativa al D.L. n. 118/2021). 

Invero, la classificazione delle esposizioni verso il debitore in CNC dovrebbe dipendere dall’analisi delle concrete prospettive di risanamento di cui si dirà infra; inoltre, oltre alle esigenze contabili e regolamentari delle banche, si dovrà tenere conto del fatto che un’eventuale classificazione delle esposizioni in “inadempienza probabile” o addirittura “sofferenza” inevitabilmente limiterebbe le possibilità per le banche di affiancare l’imprenditore nella ristrutturazione e, quindi, rischierebbe di pregiudicare il risanamento delle imprese meritevoli di restare sul mercato.

Neppure il fatto che, al pari del concordato in “bianco”, la CNC permette all’imprenditore di ottenere misure protettive o cautelari consente eccessive analogie tra i due istituti che giustifichino un’eventuale classificazione a priori a stage 3 delle esposizioni nei confronti del debitore in CNC.  Nella CNC, infatti, il ricorso alle misure protettive è una mera facoltà dell’imprenditore e perdipiù modulabile secondo le esigenze del caso specifico. L’imprenditore può scegliere di chiedere l’applicazione delle misure protettive e cautelari nei confronti solo di alcuni dei creditori ovvero, benché l’imprenditore le richieda erga omnes, il Tribunale, sentito l’esperto, può confermare le misure protettive (o concedere le misure cautelari) solo nei confronti di alcuni dei creditori[78]. Inoltre, le misure protettive e cautelari sono concesse per una durata limitata: non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni (art. 19, co. 4, penultimo periodo, CCII), prorogabile, solo su istanza delle parti e previo parere positivo dell’esperto, “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative” (fino ad una durata complessiva di massimo duecentoquaranta giorni). Infine, su istanza di una parte o segnalazione dell’esperto, la durata delle misure protettive e cautelari può essere abbreviata (o le misure possono essere del tutto revocate prima della scadenza) “quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative” (art. 19, co. 5, CCII). Non appare corretto, pertanto, classificare non appena la banca abbia conoscenza dell’ammissione alla CNC l’esposizione verso l’impresa in “inadempienza probabile” (o peggio “sofferenza”) alla stregua di quanto previsto per la domanda di concordato. Quest’ultimo, infatti, diversamente dalla CNC, è una vera e propria “procedura concorsuale” che presupponeva la “crisi” o l’”insolvenza” dell’impresa richiedente ed era caratterizzata dall’applicazione automatica della protezione dei creditori a partire dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso del debitore; il concordato preventivo, inoltre, prevede la supervisione del commissario giudiziale e il controllo del Tribunale (o del giudice delegato) sugli atti di straordinaria amministrazione[79], nonché il pagamento dei creditori dell’impresa secondo un ordine di priorità stabilito ex lege. (cfr. supra nota 69).

Un’eventuale classificazione in via automatica dell’esposizione nei confronti di un’impresa ammessa alla CNC ad “inadempienza probabile” non sarebbe neppure coerente con la disciplina prudenziale applicabile (cfr. art. 16, co. 5, CCII). Diversamente da quanto accade nella classificazione a “sofferenza” che presuppone l’insolvenza (o situazione analoga) del debitore, la classificazione dell’esposizione a “inadempienza probabile”, presuppone una preliminare valutazione discrezionale del creditore circa la probabilità del futuro inadempimento.  Ebbene tale valutazione comporta un’analisi delle probabilità del risanamento dell’impresa e della sua effettiva capacità di rimborso. Tale analisi deve necessariamente tenere conto delle circostanze del caso concreto (che, come detto, nell’ambito della CNC possono differire notevolmente di volta in volta) e del quadro informativo a disposizione della banca integrato dalla documentazione messa a disposizione dall’esperto e dall’imprenditore durante le trattative. Nella propria valutazione, la Banca è evidentemente agevolata dalla conoscenza (i) del progetto di piano di risanamento predisposto dall’impresa secondo le indicazioni della lista di controllo particolareggiata di cui all’art. 13, co. 2, CCII, (ii) della relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e (iii) delle iniziative che l’impresa intende adottare (art. 17, co. 3, lt. b) CCII), documentazione tutta che l’imprenditore deve necessariamente allegare alla propria istanza ai fini di ottenere la nomina dell’esperto.  In particolare, l’esame del progetto di piano di risanamento dovrebbe consentire alla banca di identificare e successivamente valutare il percorso con cui l’imprenditore intenda perseguire il proprio risanamento. 

Inoltre, nella valutazione del trattamento contabile dell’esposizione verso l’impresa in CNC, la banca trova un ulteriore “strumento” di ausilio nel “Test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento disponibile online”. Questo si basa sulla capacità prospettica di generazione di flussi a regime che, sulla base delle assunzioni dell’imprenditore, possono corrispondere a quelli correnti o derivare dall’esito delle iniziative industriali in corso di attuazione o che si intendono adottare per ristabilire lo squilibrio in essere.

Pertanto, fatto salvo il caso in cui il quadro informativo disponibile confermi che il debitore al momento dell’accesso alla CNC sia già in una situazione di crisi conclamata o insolvenza, l’analisi del progetto di piano di risanamento unitamente alla descrizione delle intenzioni strategiche, dovrebbe ragionevolmente indurre la banca a classificare l’esposizione verso il debitore in CNC non come “inadempienza probabile” (stage 3) ma come underperforming (stage 2), quantomeno sino all’esito della composizione negoziata (intesa come archiviazione della CNC, rinuncia da parte dell’imprenditore, accordo ovvero mancato accordo per il risanamento).

In sintesi, alla luce di quanto sopra e, in particolare, del fatto che la situazione di difficoltà dell’imprenditore che accede alla CNC non è di per sé equiparabile a quella della presentazione di una domanda di concordato “in bianco”, è evidente che la Banca dovrebbe decidere come classificare la propria posizione nei confronti di un’impresa in CNC solo dopo:

(i)    avere ottenuto un quadro sufficientemente esaustivo della situazione del debitore (comprensivo quindi della valutazione del progetto di piano di risanamento e del test, della valutazione dell’esperto in relazione alle possibilità di risanamento e della coerenza del piano, dell’ordinanza di conferma delle misure protettive, ecc.),

(ii)   avere analizzato le informazioni relative all’impresa (bilanci e risultanze della centrale rischi), al settore dove essa opera e i vari indicatori a sua disposizione, e

(iii) aver partecipato alle trattative in modo da valutare la fattibilità (e le conseguenze) delle diverse soluzioni proposte per ottenere il risanamento dell’impresa nell’ambito della CNC; è infatti possibile (o meglio auspicabile) che, durante le trattative, l’imprenditore, su consiglio anche dell’esperto, sottoponga ai creditori le diverse soluzioni per la possibilità di risanamento dell’impresa;

(iv)  aver atteso, nei limiti del ragionevole (e compatibilmente con la valutazione della situazione di partenza dell’imprenditore), l’esito (positivo o meno) delle trattative[80].  

4.3. Il presunto disinteresse dei creditori finanziari alle soluzioni della crisi previste dalla CNC

La diffidenza sostanziale delle banche nei confronti della CNC sarebbe determinata anche dall’inefficienza delle “soluzioni” alla crisi (o “pre-crisi”) dell’impresa offerte dall’art. 23, co. 1, CCII. In particolare, è stato più volte rimarcato che i creditori finanziari non dovrebbero ragionevolmente avere interesse ad acconsentire, ad esito della trattativa, ad un contratto che assicuri la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni e neppure ad una convenzione di moratoria (art. 23, co. 1, lettere a) e b), CCII). Trattasi, infatti, di soluzioni che ragionevolmente non consentono di risanare in modo duraturo l’esposizione debitoria dell’impresa ma solo di differire nel tempo il ricorso ad un diverso (e più incisivo) strumento di regolazione della crisi[81]. Conseguentemente, nei due predetti scenari, la banca dovrebbe pur sempre decidere di classificare le proprie esposizioni tenendo conto della previsione della capacità di rimborso dell’impresa debitrice in un arco temporale che ragionevolmente si estenderebbe oltre la durata della moratoria o della prevedibile continuità aziendale.

Soluzione più interessante per le banche dovrebbe invece essere l’”accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166 comma 3 lett. d) e 324”, in relazione a cui si precisa che “con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza” (art. 23, comma 2, lett. c), CCII).  È, infatti, ragionevole che tale accordo, oltre a determinare l’esenzione da revocatoria fallimentare e ordinaria ex art. 166, co. 3, lett. d) (espressamente richiamato dalla norma), debba consentire “il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria” come disposto dall’art. 56, co. 1, CCII con riferimento agli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento[82].

Parimenti idonea a consentire un risanamento dell’impresa è l’ipotesi in cui, a valle delle trattative, il debitore domandi l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti che, ove il raggiungimento dell’accordo risulti nella relazione finale dell’esperto, beneficia della riduzione al 60% della maggioranza dei creditori necessari per estendere gli effetti ai non aderenti (art. 23, co. 2, lett. b), CCII).  Le già menzionate soluzioni (accordo produttivo degli effetti ex art. 166, co. 1, lett. d) CCII e l’ADR omologato ex art. 23, co. 2, lett. b), CCII), pertanto, ben potrebbero consentire alla banca di riottenere il rimborso delle proprie esposizioni sulla base di un piano ragionevole e attendibile e, in assenza di default iniziale, di evitare la classificazione delle loro esposizioni come “deteriorate” (stage 3).

Un’eventuale criticità, per le banche, può essere rappresentata dal fatto che, diversamente dall’ADR omologato (e dal piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII), l’accordo produttivo degli effetti ex art. 166, co. 1, lett. d) CCII non prevede l’attestazione della veridicità dei dati e della fattibilità del piano di risanamento ma unicamente una conferma da parte dell’esperto della “coerenza del piano di risanamento con la regolazione della crisi e dell’insolvenza”. Peraltro, tale conferma difficilmente sarà considerata dalla banca sufficiente garanzia dell’attendibilità del piano di rimborso dell’esposizione: le verifiche di coerenza del piano dell’impresa alla check list del DM 28 settembre 2021, che l’esperto è tenuto ad effettuare, non prevedono la verifica della veridicità dei dati e neppure della fattibilità del piano (o meglio non con il livello di approfondimento previsto dall’attestazione di un piano di risanamento). Pertanto, è consigliabile che l’imprenditore, nell’ambito della CNC, incarichi quantomeno un revisore di verificare la veridicità dei dati posti alla base del piano ovvero le banche finiranno per preferire le soluzioni della CNC previsti dall’art. 23 CCII che comportino l’attestazione della veridicità dei dati e della fattibilità economica del piano (ad es. il piano attestato e l’ADR). 

Pregiudizievole dell’interesse delle banche è invece la soluzione del concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII. Come già evidenziato, tale concordato prevede unicamente la liquidazione dell’impresa senza che i creditori possano votare sulla proposta e senza neppure l’obbligo di garantire una soddisfazione minima dei creditori (come invece avviene nel concordato liquidatorio “ordinario”). L’unico rimedio che la banca potrà ragionevolmente esercitare è l’opposizione all’omologa qualora la proposta non “assicuri un’effettiva utilità” alla stessa o preveda una soddisfazione della banca deteriore rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale (art. 25-sexies, co. 5, CCII).  In tale circostanza, è evidente che la banca sarà costretta a classificare il proprio credito come “deteriorato” (o comunque a stage 3) e a “subire” verosimilmente uno stralcio significativo in conseguenza della perdita della continuità aziendale dell’impresa (almeno nella sua forma diretta)[83].  

4.4. I presunti rischi in cui incorrono i creditori finanziari nel finanziamento dell’impresa durante alle trattative nell’ambito della CNC

Un’ulteriore criticità della CNC sarebbe rappresentata, secondo alcuni commentatori, dai rischi di responsabilità penale e civile cui le banche potrebbero incorrere durante le trattative. Infatti, qualora l’imprenditore, durante la CNC, chieda l’accesso alle misure protettive, diversamente dal caso nel concordato “in bianco”, la banca ha l’obbligo di continuare a finanziare l’impresa tramite le linee autoliquidanti anche se l’impresa stessa si trova in una situazione di crisi conclamata o insolvenza. Tale finanziamento rischierebbe di essere foriero di possibile responsabilità penale e civile stante anche il fatto che, a differenza del concordato in bianco, l’imprenditore durante la CNC continua a gestire l’impresa senza alcun controllo da parte del Tribunale o del commissario giudiziale[84]. L’unica forma di controllo è, infatti, rappresentata dal potere che l’esperto ha di segnalare nel registro delle imprese il compimento di atti pregiudizievoli dei creditori (sempreché l’imprenditore abbia adempiuto al suo obbligo di informazioni preventiva) (art. 21 CCII). Inoltre, nel caso il debitore non richieda al Tribunale di autorizzare la concessione del finanziamento ex art. 22 CCII, tale finanziamento non sarebbe neppure prededucibile e, pertanto, esporrebbe la banca ad un evidente aggravamento del rischio di credito.

Invero, il rischio che la banca sia chiamata a rispondere civilmente o penalmente per aver continuato a finanziare l’impresa insolvente o in crisi irreversibile durante la CNC appare remoto.

In primo luogo, proprio al fine di mitigare i possibili pregiudizi derivanti dalla prosecuzione del finanziamento dell’impresa nel periodo tra la pubblicazione della richiesta di misure protettive e la pronuncia del Tribunale in merito alla loro conferma o revoca, la banca ha sempre la facoltà di sospendere la prestazione (art. 18, co. 5, CCII). Inoltre, anche in caso la banca eroghi la prestazione creditizia a seguito della conferma giudiziale delle misure protettive, osterebbe ad un’eventuale contestazione di illiceità della condotta della banca il fatto che quest’ultima continuerebbe a finanziare l’impresa in esecuzione di un obbligo di legge (appunto l’art. 18, co. 5, CCII). Si aggiunga che la responsabilità della banca non dovrebbe ragionevolmente sussistere ogni qual volta la prosecuzione (o concessione) della prestazione creditizia sia coerente con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento (ne è riprova anche il fatto che in tali circostanze sia espressamente esclusa l’applicazione del reato di bancarotta per aggravamento del passivo ex art. 323, co. 1, lett. d), CCII)[85]. Infine, come già rilevato, lo stesso divieto di revoca o sospensione degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore a causa del mero accesso alla CNC subisce un’eccezione nel caso la sospensione e la revoca siano richieste dalla disciplina di vigilanza prudenziale.

In generale, giova ricordare che la responsabilità civile per concessione abusiva di credito e la responsabilità penale per concorso con gli amministratori nel ricorso abusivo al credito sussiste nel caso la banca finanzi un’impresa in situazione di difficoltà economico-finanziaria che sia priva, nel momento dell’erogazione, di concrete prospettive di superamento della crisi. L’erogazione di credito in tali circostanze determina, infatti, una violazione del dovere primario di “sana e prudente gestione” da cui discende la responsabilità della banca nei confronti di tutti i creditori dell’impresa per l’aggravamento del dissesto determinato appunto dall’erogazione del credito. Diversamente, tale responsabilità non sussiste nel caso in cui l’erogazione del credito avvenga a favore di un’impresa che, sulla base di una valutazione ex ante da parte della banca effettuata alla luce delle circostanze note (o ottenibili dalla banca) al momento dell’erogazione, sia ragionevolmente in grado di superare la propria crisi e il finanziamento sia strumentale a tale fine[86].

Nel caso della CNC, diversi sono le cautele che rendono ragionevolmente irrealistico il rischio di una responsabilità per concessione abusiva da parte delle banche coinvolte nelle trattative. In primo luogo, le banche hanno ragionevolmente a disposizione un quadro informativo completo e aggiornato sulla situazione dell’impresa ulteriore rispetto alle informazioni normalmente già in loro possesso.  Sulla base di tale documentazione (e delle informazioni reperite dagli incontri con l’imprenditore, i suoi consulenti e l’organo di controllo), l’esperto è, inoltre, chiamato ad effettuare una prima valutazione della possibilità di risanamento e, solo in caso di esito positivo, iniziare gli incontri con le parti interessate. Le banche sono solite incontrare l’esperto e l’imprenditore separatamente dagli altri creditori e in occasione di tali incontri hanno evidentemente accesso a tale documentazione. Al tempo stesso, nel caso siano richieste delle misure protettive, è il Tribunale, sulla base anche del parere dell’esperto, a valutare la sussistenza dei presupposti del risanamento nell’ambito del procedimento avente ad oggetto la conferma o la revoca delle predette misure. Si aggiunga che, durante la CNC, le parti interessate, tra cui ovviamente le banche, possono in ogni momento chiedere al Tribunale di abbreviare o revocare le misure protettive e cautelari nel caso in cui esse non siano più funzionali al buon esito delle trattative ovvero siano sproporzionate rispetto al pregiudizio loro arrecato. 

In conclusione, la partecipazione da parte delle banche alla CNC, nel rispetto dei molteplici obblighi posti a carico dalla legge (incluso il corretto esercizio dei diritti loro concessi), non pare ragionevolmente comportare concreti rischi di responsabilità penale o civile per le banche stesse.

Neppure pare costituire un deterrente per la partecipazione alle trattative e alla prosecuzione del finanziamento dell’impresa il rischio di revocatoria dei pagamenti effettuati dall’impresa alle banche[87]. È senz’altro vero che la CNC non garantisce durante le trattative agli atti e ai pagamenti effettuati dopo la nomina dell’esperto la medesima protezione garantita agli atti e ai pagamenti posti in esecuzione di un concordato o un ADR o un accordo esecutivo di un piano di risanamento. Tuttavia, la CNC non è una procedura concorsuale e, comunque, prevede pur sempre che siano esentati dall’azione revocatoria di cui all’art. 166, co. 2, CCII (ex art. 67, co 2, L.F.) gli atti, i pagamenti e le garanzie rilasciate dall’imprenditore durante le trattative “purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti” (art. 24, co. 2, CCII).  Anche in questo caso, si tratterà quindi di valutare, sulla base delle informazioni e delle circostanze di fatto note alla banca, quali siano le probabilità del risanamento al momento del compimento dell’atto.   



5.        Suggerimenti operativi e proposta di linee guida

5.1. L’importanza degli advisors

Alla luce di quanto precede è evidente che per ottenere un utilizzo efficiente e corretto della CNC è opportuno che siano adottati degli accorgimenti e delle prassi virtuose che consentano alle imprese di sfruttare al meglio l’efficacia dello strumento e, al tempo stesso, mettano le banche creditrici nella condizione di poter efficacemente contribuire al risanamento delle imprese.

In primo luogo, è opportuno che l’imprenditore si avvalga di advisors qualificati ed esperti di crisi d’impresa. L’apporto di questi ultimi è, infatti, essenziale per predisporre la documentazione necessaria per l’accesso alla crisi d’impresa (tra cui il progetto di piano di risanamento) e fornire alle parti interessate un quadro informativo completo ed esaustivo che costituisce il presupposto per lo svolgimento corretto e in buona fede delle trattative. Preferibilmente gli advisors dovrebbero essere professionisti diversi dai consulenti abituali dell’imprenditore che solitamente hanno competenza non specialistiche sulla crisi d’impresa ovvero assistono l’imprenditore nella gestione ordinaria (ad es. dal punto di vista degli adempimenti fiscali e contabili), i quali tuttavia rivestono un ruolo rilevante nel supporto ai consulenti durante la ristrutturazione. Gli advisor legali e finanziari, in concreto, dovrebbero essere in grado di:

(a) individuare, insieme all’imprenditore, le cause della crisi e le soluzioni idonee a farvi fronte,

(b) predisporre un piano di risanamento realistico e credibile, e

(c) assistere l’imprenditore al meglio nelle trattative con i creditori, anticipando e gestendo le problematiche tipiche delle ristrutturazioni del debito.

A seconda dei casi, potrà essere opportuno anche il coinvolgimento di un advisor industriale che sia in grado di comprendere, a livello prettamente gestionale, le cause delle crisi dell’impresa sia di carattere endogeno (ad es. obsolescenza di prodotti, crisi di mercato, concorrenza esterna, ecc.) che esogeno (crisi macroeconomica, crisi politica, ecc.) e farvi fronte adottando rimedi di carattere strutturale (quali il riposizionamento di mercato, la focalizzazione sul core business, la chiusura di impianti produttivi, la riduzione della forza lavoro, ecc.).

In taluni casi, su iniziativa dell’esperto o delle banche, può essere proposta la nomina di un ChiefRestructuringOfficer (CRO) con il compito di monitorare l’attuazione del piano di risanamento ed il rispetto degli accordi raggiunti. Come suggerito dal Protocollo di conduzione della composizione negoziata – Sezione III del D.M. 28 settembre 2021 – tale nomina appare opportuna, in particolare, quando siano previsti, a fronte dei sacrifici ai creditori, ristori agli stessi condizionati da raggiungimento di risultati reddituali o finanziari prefissati, o quando siano assegnati ai creditori strumenti finanziari partecipativi (SFP) di cui all’articolo 2346 del Codice civile.

In generale, la presenza di advisors indipendenti, esperti della crisi d’impresa dovrebbe segnare discontinuità nella gestione e, al tempo stesso, garantire alle parti interessate affidabilità e competenza nella predisposizione del piano di risanamento e nello svolgimento delle trattative.  

5.2. L’importanza del compito dell’esperto durante le trattative con i creditori finanziari

In secondo luogo, è essenziale che l’esperto valuti realisticamente le possibilità di risanamento dell’impresa sulla base delle informazioni e del piano allegato all’istanza di nomina, nonché delle informazioni reperite nelle interlocuzioni con l’imprenditore, i suoi advisor e l’organo di controllo.

Di fronte ad un piano manifestamente inidoneo a risanare l’impresa, ragioni di efficienza e di correttezza dovranno fare sì che l’esperto eviti di accettare l’incarico. Qualora l’inidoneità del piano di risanamento si manifesti successivamente all’accettazione della nomina, l’esperto dovrà chiedere al segretario della Camera arbitrale di archiviare la CNC non appena diventi evidente che la prosecuzione delle trattative non sia più opportuna per la sopravvenuta impossibilità di risanare l’impresa nell’ambito della CNC.

Una volta verificata, invece, la possibilità che l’impresa sia risanata, l’esperto dovrà consigliare al meglio l’imprenditore durante le trattative suggerendo delle proposte e soluzione “bancabili” (che, in altre parole, agevolino l’interlocuzione e il processo decisionale dei creditori finanziari) evitando di radicalizzare le posizioni negoziali[88].

Al tal fine, a seconda delle circostanze, può essere opportuno che l’esperto suggerisca fin da subito di affrontare il tema della verifica della correttezza dei dati contabili di partenza suggerendo all’imprenditore di incaricare di tale verifica un revisore indipendente (ovvero incaricandolo lui stesso a proprie spese nel caso tale nomina non sia antieconomica per l’esperto)[89]. Le banche, infatti, sono “abituate” nell’ambito della negoziazione degli accordi esecutivi di un piano di risanamento e degli ADR a fare affidamento sull’attestazione di un esperto indipendente sia con riferimento alla correttezza dei dati contabili che alla fattibilità economica del piano sottostante all’accordo. 

Inoltre, l’esperto dovrebbe consigliare di evitare, ove possibile, soluzioni che rendano difficile l’interlocuzione con le banche a causa dei vincoli regolamentari quali, ad esempio, il ricorso a misure protettive che obblighino la banca a continuare ad erogare la prestazione creditizia nonostante l’inadempimento dell’impresa debitrice (evidentemente prediligendo soluzione concordate, quali accordi di moratoria o simili, che consentano pur sempre all’impresa di continuare ad operare durante le trattative). L’esperto dovrebbe consigliare anche soluzioni che evitino l’escussione di garanzie concesse nell’interesse delle PMI dal Fondo di Garanzia ai sensi del D.L. “liquidità” convertito in Legge 40/2020[90], evitando così che l’impresa aggravi inutilmente il proprio passivo con sanzioni e interessi[91].

Al tempo stesso, l’esperto dovrebbe sensibilizzare i creditori (tra cui le banche) in merito agli obblighi previsti a loro carico durante la CNC e, in particolare, sulla necessità che le banche partecipino alle trattative in modo attivo, informato e rispondano tempestivamente alle proposte avanzate dal creditore. Prima di incontrare le banche, l’esperto dovrebbe circolare anticipatamente alle banche un vademecum che riassuma gli obblighi di legge che le banche sono tenuti a rispettare durante le trattative in modo che i rappresentanti delle banche siano “preparati” al meglio agli incontri e le trattative si svolgano in modo efficiente e produttivo.

L’esperto, inoltre, dovrebbe fin da subito, nei limiti del possibile, essere garante della correttezza formale e sostanziale dello svolgimento delle trattative, verificando non solo, come detto, la sussistenza dei presupposti per il risanamento all’inizio del conferimento dell’incarico e durante le trattative, ma anche il rispetto da parte dell’imprenditore dell’obbligo di gestire l’impresa durante la CNC evitando di pregiudicare l’interesse dei creditori o la sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa stessa. 

Prima ancora dell’intervento del Tribunale, dovrebbe essere, infatti, compito dell’esperto evitare che il ricorso alla CNC da parte dell’imprenditore abbia delle finalità dilatorie o abusive.  Ovviamente, il rispetto della correttezza e buona fede durante tutta la CNC andrebbe valutato dall’esperto in concreto, a seconda delle circostanze, e tenendo conto sia dei diversi obblighi previsti ex lege che le parti interessate sono tenuti ad osservare durante le trattative sia della sua rigorosa interpretazione giurisprudenziale.  L’importanza di tale valutazione da parte dell’esperto è ancora più evidente se si considera che, nel caso di insuccesso delle trattative, la conferma da parte dell’esperto del fatto che queste ultime si siano svolte in buona fede è, ai sensi dell’art. 25-sexies, co. 1, CCII, il presupposto di ammissibilità dell’eventuale domanda di concordato semplificato presentata dal debitore al Tribunale[92].  

5.3. Il ruolo delle banche durante le trattative: casi pratici, criticità e comportamenti virtuosi

Infine, è opportuno che i creditori finanziari (e in particolare le banche) si approccino allo strumento della CNC adottando, nel rispetto della normativa di vigilanza (primaria e secondaria), comportamenti finalizzati a favorire il risanamento delle imprese meritevoli di restare sul mercato.

A tale fine, è essenziale che le banche rispettino il divieto ex art. 16, co. 5, CCII di revoca e sospensione delle linee di credito nei confronti dell’impresa ammessa alla CNC. Infatti, la ristrutturazione del debito, nell’impianto normativo della CNC, è ragionevolmente preceduta da una fase preparatoria caratterizzata da alcuni mesi di negoziati con le banche creditrici, che rappresenta un momento nevralgico nel rapporto tra le parti. In questa fase, al fine di poter ottenere il sostegno del settore bancario, la CNC richiede massima disclosure da parte dell’imprenditore sulla propria condizione di crisi (o precrisi) e, come contraltare, tale “autodenuncia” richiede, almeno nelle intenzioni del legislatore, il supporto delle banche durante le trattative della CNC (tranne nei casi in cui sia manifesta fin da prima dell’accesso alla CNC la sostanziale impossibilità di risanare l’impresa). Se le banche reagissero a tale disclosure con una stretta creditizia (com’è avvenuto spesso nelle negoziazioni di piani di risanamento e ADR), ad esempio per minimizzare il rischio di incremento dell’esposizione autoliquidante nel breve termine, si rischierebbe di frustrare ab initio la finalità precipua della CNC di emersione anticipata della crisi.

In altre parole, una prematura e acritica stretta creditizia da parte delle banche finanziatrici rischierebbe di essere fatale per il processo di risanamento (le linee di credito autoliquidanti sono vitali per sopperire ai bisogni di circolante) e costringerebbe paradossalmente l’impresa a chiedere fin da subito le misure protettive e cautelari (finalizzate appunto a preservare l’utilizzo dell’autoliquidante) anche nell’ipotesi in cui al momento dell’accesso alla CNC essa sia perfettamente adempiente agli obblighi di pagamento nei confronti delle banche. 

Parimenti, le banche dovrebbero evitare un ricorso eccessivo (o peggio una strumentalizzazione) dell’eccezione all’obbligo di sospensione determinata da ragioni di carattere regolamentare (art. 16, co. 5, CCII).  La sospensione o la revoca delle linee dovrebbero avvenire solo per comprovate motivazioni di carattere regolamentare e, in ogni caso, la banca dovrebbe rendere nota tale motivazione in modo che l’esperto e le altre parti interessate possano effettivamente verificare la correttezza della decisione assunta.

Le banche, inoltre, dovrebbero cercare, nei limiti del possibile, di agire in modo coordinato stante anche l’interlocuzione collettiva che l’esperto e l’imprenditore solitamente hanno con il ceto bancario[93]. Questo non significa affatto che le banche non possano assumere valutazioni differenti determinate dalle diverse politiche creditizie adottate o dalle situazioni patrimoniali e finanziarie delle singole banche. Peraltro, in assenza di tali oggettive diversità, andrebbe evitata l’adozione di comportamenti difformi determinati da valutazioni soggettive eccessivamente discrezionali delle banche che finiscano per pregiudicare il buon esito della CNC (o complicare oltremodo il piano di risanamento).  Pensiamo ad esempio al caso di una richiesta di una moratoria finalizzata anche alla preservazione delle linee di credito durante le trattative avanzata all’intero ceto bancario da una società affetta da semplice squilibrio che ha deciso, per il momento, di non avvalersi di misure protettive o cautelari.  Se solo alcune banche aderissero formalmente a tale richiesta (ovvero altre condizionassero la moratoria al consenso di tutte o altre condizioni) ovvero ancora non aderissero alla richiesta (o non rispondessero), la società si troverebbe in gravi difficoltà e incertezze operative anche durante le stesse trattative. Lo stesso potrebbe avvenire nel caso di ritardi da parte di alcune banche nell’emissione di perfomance bond necessari per l’aggiudicazione di nuovi contratti importanti di appalto da parte di un’impresa di costruzioni o forniture industriali che presenti un piano in continuità. Anche in questo caso, un comportamento disomogeneo da parte del ceto bancario rischierebbe di creare problemi all’operatività dell’impressa durante la CNC e, quindi, pregiudicare il risanamento.

Altrettando importante è la presenza al tavolo di rappresentanti del ceto bancario che siano informati sul piano e i documenti, abbiano le competenze per la valutazione degli stessi e i poteri per decidere e riscontrare tempestivamente le proposte dell’impresa ed eventualmente le richieste dell’esperto. Trattasi anche in questi casi di un obbligo di legge (art. 16, co. 5 e 6, CCII), la cui comprensione ed attuazione è di importanza fondamentale per il buon esito della CNC. Pertanto, le banche dovrebbero considerare l’opportunità, almeno nei casi più rilevanti, di farsi affiancare da advisor legali, esperti di crisi d’impresa, che interagiscano con le altre parti interessate rendendo le trattative più efficienti e spedite.

Le banche dovrebbero anche evitare di considerare le trattative della CNC alla stregua di una negoziazione di un accordo esecutivo di un piano di risanamento attestato. Le differenze tra i due istituti sono evidenti: la CNC, diversamente dal piano attestato, ha dei tempi molto stretti e, in alcuni casi, prevede un minimo controllo giurisdizionale; inoltre, l’esperto della CNC non è un attestatore che accerta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano ma effettua unicamente una valutazione della coerenza del piano. Peraltro, come rilevato, per evitare che di fronte a ristrutturazioni particolarmente complesse, la CNC sia esperita senza una reale possibilità di accordo per una delle soluzioni della crisi previste ex art. 23, co. 1, CCII, può essere opportuno che siano le banche stesse a chiedere preventivamente che tale verifica sia effettuata da un revisore incaricato dall’impresa (o, ove possibile, dall’esperto stesso) (v. supra 5.2).

Infine, le banche dovrebbero cercare nei limiti del possibile di uniformare i criteri della classificazione contabile delle esposizioni nei confronti dell’impresa ammessa alla CNC.  Benché Banca d’Italia non si sia ancora espressa in merito al trattamento contabile delle esposizioni nei confronti delle imprese in CNC, è evidente che l’ammissione alla stessa non è assimilabile a priori ad una richiesta di ammissione ad un “concordato in bianco” stante le evidenti differenze tra i due istituti.  Conseguentemente, le banche dovrebbero, in assenza di situazioni di crisi avanzata o insolvenza antecedente alla CNC, evitare di classificare a “inadempienza probabile” (stage 3), le esposizioni nei confronti dell’impresa in CNC tenuto conto anche delle conseguenze che tale classificazione ha sui bilanci delle banche e, potenzialmente, anche sulle probabilità del risanamento (v. supra sub 3.2 e 3.3). Invero, la mera richiesta di nomina dell’esperto non dovrebbe neppure essere sufficiente per portare la banca ad assumere una decisione circa la classificazione della propria esposizione; soltanto l’avanzamento delle trattative con l’effettiva e attiva partecipazione da parte della banca dovrebbe poter consentire a quest’ultima di assumere una decisione consapevole in quanto fondata sulle proposte del debitore, sullo stato delle trattative e sull’esame approfondito di tutta la documentazione prodotta dal debitore al fine di dimostrare la propria capacità di sostenere l’indebitamento. Giova ricordare anche che durante la CNC l’imprenditore è tenuto a prospettare delle soluzioni, giudiziali e/o stragiudiziali, concorsuali o meno, con le quali intende ristabilire la propria capacità di far fronte al proprio indebitamento. Pertanto, la valutazione della banca sulla classificazione della propria esposizione potrebbe variare alla luce anche dei differenti esiti (e dal diverso “sforzo” richiesto ai creditori) cui può giungere un percorso di CNC (ad es. la banca potrebbe dover variare la classificazione a seconda se il risanamento dell’impresa debitrice sia perseguito in continuità diretta o indiretta).

Un’eventuale classificazione a stage 3 (“inadempienza probabile” o “sofferenza”) sarà invece opportuna nel caso la banca sia edotta, sulla base delle informazioni disponibili al momento della nomina dell’esperto, di una situazione di crisi conclamata o di insolvenza dell’impresa. In questo caso è verosimile che, al momento della richiesta della nomina dell’esperto, l’impresa decida anche di avvalersi di misure protettive erga omnes per evitare il rischio di aggressioni al proprio patrimonio da parte dei creditori e di misure cautelari per continuare ad utilizzare le linee di credito a breve o beneficiare di nuova finanza a garanzia della propria operatività durante le trattative.

In caso l’impresa sia in default al momento dell’accesso alla CNC, sarà invece necessario distinguere tra situazioni che configurino un default ai sensi dell’art. 178 CRR o meno. In caso di default ai sensi dell’art. 178, para. 1, lett. a), CRR (valutazione da parte della banca dell’improbabilità dell’adempimento) è ragionevole che la banca classifichi l’esposizione ad “inadempienza probabile”.  In caso di default ai sensi dell’art. 178, para. 1, lett. b), CRR (arretrato di oltre 90 giorni su un’obbligazione creditizia rilevante) una classificazione da parte della banca dell’esposizione come “inadempienza probabile” sarebbe ragionevole se corroborata da circostanze e dati che confermino la difficoltà dell’impresa a rimborsare il proprio debito (Banca d’Italia ha chiarito ai fini della classificazione in Centrale dei Rischi, che la verificazione di un default ai sensi dell’art. 178 CRR non determina automaticamente la classificazione a sofferenza dell’esposizione)[94].

In assenza di un quadro informativo particolarmente negativo (da cui dedurre l’esistenza di una crisi conclamata o quantomeno di una sostanziale difficoltà nel rimborso del debito), non dovrebbe invece giustificare una classificazione ad “inadempienza probabile” la verificazione di un default protratto per una durata inferiore a 90 gg (tale evento costituirebbe tuttalpiù un “evento SICR” e, come tale, dovrebbe di per sé determinare un incremento relativo del rischio di credito e giustificare una classificazione a stage 2).

In analogia con quanto disposto in materia di concordati in continuità da Banca d’Italia, andrebbe invece ragionevolmente classificata in bonis l’esposizione trasferita ad un soggetto diverso e indipendente dall’imprenditore che accede alla CNC in caso di risanamento tramite continuità indiretta. Infatti, nella Circolare n. 272 del 30 luglio 2008, 14° aggiornamento, Banca d’Italia ha chiarito che in caso di cessione o conferimento di azienda ad una società di nuova costituzione o non appartenente al gruppo del debitore, la classificazione dell’esposizione deve riflettere il rischio di credito e la situazione del soggetto cui l’azienda (con l’esposizione) è stata trasferita.  Poiché nell’ambito della composizione negoziata il risanamento può essere attuato sia in via diretta sia indiretta, le valutazioni della banca dovranno quindi tenere in debita considerazione anche i possibili esiti della stessa e le modalità di prosecuzione dell’attività d’impresa.

Infine, un’eventuale richiesta dell’impresa di misure protettive e cautelari al momento del deposito dell’istanza di nomina dell’esperto avvalora in linea di principio la classificazione da parte della banca dell’esposizione ad “inadempienza probabile”.  Anche in questo caso, peraltro, la banca dovrebbe evitare di incorrere in automatismi ed attendere la pronuncia del Tribunale sulla richiesta di conferma in quanto le misure protettive o cautelari potrebbero essere chieste o concesse solo nei confronti di alcuni creditori e pertanto non riguardare la banca.  Invero, anche nel caso in cui le banche (o alcune di esse) fossero interessate dalle misure protettive o cautelari, la decisione di classificare l’esposizione creditizia a stage 3 o meno dovrebbe essere assunta non a priori ma all’esito della valutazione dello stato di difficoltà effettivo in cui versa l’impresa e delle sue concrete possibilità di risanamento. Tale valutazione, inevitabilmente, dovrebbe tenere conto anche dell’andamento delle trattative con le altre parti interessate nell’ambito della CNC e, in particolare, con i creditori nei cui confronti sono state richieste le misure protettive.  



6.        Conclusioni

Alla luce di quanto esaminato, la CNC appare senz’altro uno strumento innovativo potenzialmente utilizzabile in diversi scenari di crisi e precrisi che, ove correttamente inteso e applicato, potrebbe consentire il risanamento dell’impresa in modo rapido ed efficiente con evidenti vantaggi anche a livello macroeconomico. Il corretto utilizzo della CNC presuppone, tuttavia, uno sforzo congiunto, improntato al principio di buona fede e correttezza, di tutte le parti interessate alle trattative al fine del raggiungimento di una soluzione (solitamente un accordo) che consenta il superamento della situazione di crisi dell’impresa auspicabilmente con una soluzione definitiva (e non una mera sua dilazione).

Nell’ambito della CNC, all’imprenditore è richiesta una effettiva disclosure della propria situazione economico finanziaria (e quindi delle cause della propria crisi), accompagnata dalla predisposizione in modo completo ed esaustivo del piano di risanamento e della documentazione da allegare all’istanza di nomina dell’esperto. 

Ai creditori finanziari è richiesto un approccio radicalmente diverso rispetto alle modalità in cui sono state fino al oggi condotte le ristrutturazioni delle imprese.  Le banche, in particolare, dovrebbero astenersi dal classificare come “deteriorata” l’esposizione nei confronti dell’impresa in CNC in assenza di un’analisi completa ed esaustiva del piano proposto e dell’effettiva capacità di rimborso del debito. Fatti salvi i casi in cui l’impresa sia già in crisi conclamata o insolvente al momento della nomina dell’esperto, la banca dovrebbe attendere lo sviluppo delle trattative e l’effettiva conoscenza del piano e della situazione dell’impresa. La corretta classificazione delle esposizioni nei confronti dell’impresa in CNC ha, infatti, la duplice finalità di favorire il risanamento delle imprese meritevoli di restare sul mercato e di evitare che le banche siano costrette ad accantonare eccessive riserve a valere sulle loro esposizioni (o peggio svalutare prematuramente tali esposizioni). Un’eccessiva proliferazione di crediti deteriorati non solo pregiudica l’operatività della banca (che vede ridotta la sua redditività e la capacità di fare credito), ma riduce anche le possibilità di sviluppo delle imprese per le conseguenti difficoltà che esse incontrano nell’ottenere credito dal sistema bancario.

La novità dell’approccio richiesto dalla CNC comporta significativi cambiamenti organizzativi, strutturali (e in parte anche “culturali”) da parte delle banche. Tali cambiamenti, peraltro, sono del tutto coerenti con la pressi delineata negli orientamenti EBA (in particolare le linee guida in materia di concessione e monitoraggio del credito) e dalla normativa di vigilanza comunitaria e nazionale (basti pensare alle valutazioni previsionali che la banca deve effettuare per determinare la sussistenza di default ex art. 178, par. 1, lett. a), CRR, o per classificazione un’esposizione a “inadempienza probabile” o meno, ovvero ancora determinare se un’esposizione, a seguito della concessione di una misura di forbearance, possa restare in bonis o debba essere classificata come “deteriorata”). 

Si tratta, in conclusione, di una evoluzione inevitabile del sistema bancario che consentirà alle banche più efficienti ed organizzate di crescere in dimensioni e profitti e al sistema imprenditoriale di gestire la crisi in modo rapido e efficacie. Inevitabilmente, le banche meno solerti e propense al cambiamento incontreranno difficoltà e rischieranno di perdere competitività nel tempo e di pregiudicare la possibilità di una gestione rapida ed efficacie della crisi da parte del sistema imprenditoriale.  


* Il presente contributo è destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini. Eugenio Bissocoli è Avvocato in Milano, Alessandro Turchi Dottore commercialista in Milano.

[1] Sull’argomento RINALDI, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ristrutturazioni aziendali, 9 settembre 2021.

[2] Cisolla, La responsabilità della banca da (co)gestione dannosa dell’impresa finanziata, in Il Caso.it, 24 maggio 2020. Sul tema lo scritto più recente è quello di: Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in Ristrutturazioni aziendali, 3 ottobre 2022.

[3] Cellino, Banche, arriva il diktat della mediazione sui crediti deteriorati, in Il Sole 24ore del 12.10.2021, “Fino a questo momento le ristrutturazioni avevano una durata molto lunga, che dava modo alle banche di gestire le svalutazioni dei crediti deteriorati diluendole in più esercizi: di qui la tendenza spesso a disinteressarsi e a non partecipare alle trattative”.

[4] La CNC si inserisce nell’ambito di un quadro sistematico complessivo finalizzato a ridisegnare il rapporto banca-impresa in cui l’erogazione e il monitoraggio del credito presuppongono una continua interazione tra le strutture della banca e dell’impresa fondata sull’analisi di dati e informazioni di natura sia consuntiva che previsionale.

[5] L’Art. 16, co. 5, CCII prevede infatti che “Le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato” (enfasi aggiunta).

[6] Manifesta scetticismo in merito al disposto dell’art. 16, co. 5, CCII LAMANNA (a cura di), Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, p. 177, secondo cui il richiamo al dovere attivo di collaborazione delle banche “sembra condurci addirittura in un mondo più onirico che reale, una sorta di isola tropicale di Fantasilandia”.

[7] Art. 16, co. 6 “Tutte le parti coinvolte nelle trattative hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto e rispettano l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative. Le medesime parti danno riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata” (enfasi aggiunta). Sostiene che tale dovere si rivolga in particolare alle banche, causa sovente di rallentamenti nelle trattative, ponendo a loro carico l’obbligo di partecipare alle trattative in modo attivo e informato” PACCHI, L’esperto: un’“alta” professionalità dinanzi alle trattative e alla gestione dell’impresa, in Ristrutturazioni Aziendali, 24 dicembre 2022, p. 21.

[8] D’attorre, I principi generali del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, a cura del Diritto della Crisi, 2022, p. 9. In argomento da ultimo: Ambrosini, I principi generali nel codice della crisi, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, a cura di Ambrosini, Bologna, 2022, 200 ss.

[9] Relazione al Disegno di Legge per la conversione in legge del Decreto-legge 24 agosto 2021, recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia, pag. 4: “Gli obblighi che gravano sulle parti che partecipano al percorso si traducono: … per i creditori, nell’obbligo di riservatezza e nell’obbligo di collaborare attivamente lealmente durante le trattative fornendo, in tempo utile, le informazioni e le risposte che vengono loro richieste dall’imprenditore o dall’esperto in funzione delle trattative stesse e della loro prosecuzione. Tale ultimo obbligo è previsto, in maniera ancora più esplicita, per gli istituti bancari e per gli intermediari finanziari in ragione del ruolo che normalmente essi ricoprono per il buon esito della negoziazione e al fine di evitare che il risanamento dell’impresa sia messo a rischio da comportamenti inerti o da una partecipazione poco sollecita alle trattative. È infatti noto che in una situazione di crisi o di difficoltà patrimoniale e finanziaria, la rapidità con la quale si interviene rappresenta la principale chiave per garantire il successo del tentativo di risanamento dell’impresa” (enfasi aggiunta).

[10] Art. 1175: “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” e art. 1374 “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. Art. 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

[11] Il riferimento alla “buona fede” nell’ambito del Diritto della Crisi d’impresa si rinviene nella disciplina della convenzione di moratoria di cui all’art. 182 septies L.F., introdotto dall’art. 9 del D.L. n. 83 del 2015 convertito con modificazioni in Legge n. 132 del 2015.Nel vigente corpus del Codice della crisi è previsto per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61, co. 2, lett. a) e per la convenzione di moratoria (artt. 62, co. 2, lett. a) l’obbligo di informare i creditori appartenenti alla categoria dell’avvio delle trattative e di metterli in condizione di parteciparvi in buona fede. Inoltre, la “buona fede” è espressamente considerata dal legislatore nell’art. 69 CCII, relativamente alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore: questi non può accedere alla procedura quando abbia “determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”.Più in generale, il debitore sovraindebitato non può beneficiare dell’esdebitazione quando abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con malafede, colpa grave o frode. Infine, il creditore che abbia colpevolmente determinato la situazione di sovraindebitamento o il suo aggravamento subisce sanzioni di carattere processuale (impossibilità di presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestazione della convenienza della proposta) sia in caso di procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 69, co. 2, CCII) sia in caso di concordato minore (art. 80, co. 4, CCII).

[12] La giurisprudenza si è già espressa in relazione all’applicazione del principio di buona fede e correttezza in pendenza delle trattative in capo anche alle banche. Sul punto v. AMBROSINI, La composizione negoziata compie un anno: breve itinerario fra le prime applicazioni, in Ristrutturazioni Aziendali, 12 dicembre 2022, p. 8. L’autore evidenzia, richiamando la pronuncia del Trib. Milano, 21 luglio 2022, Est. Macchi, in Il Caso, che non assume rilievo ai fini della conferma delle misure protettive la circostanza per cui in passato siano intercorse trattative tra i medesimi soggetti rimaste prive di esito positivo.

[13] L’informazione deve, quindi, essere esauriente dovendo trasmettere tutto ciò che sia non solo necessario ma anche appropriato “rispetto alle trattative avviate”. Le informazioni saranno appropriate quando il creditore potrà avere da esse un quadro sufficientemente completo delle condizioni in cui versa l’impresa. Così PACCHI, op. cit., p. 18.

[14] Art. 16, co. 4, CCII: “L’imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori” (enfasi aggiunta).

[15] Art. 4, co. 2, lett. b), CCII: “Il debitore ha il dovere di … assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e allo strumento della regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto”.

[16] Art. 17, co. 5, ultima parte, CCII: “Nel corso delle trattative l’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni” (enfasi aggiunta).L’art. 10, co. 2, D.L. 118/21 prevedeva anche che, in mancanza di accordo, tra le parti il Tribunale, con riferimento unicamente alle conseguenze pandemiche, rideterminasse “equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale …” e assicurasse “l’equilibrio delle prestazioni anche stabilendo la corresponsione di un indennizzo”.Invero, le ragioni della modifica sono ragionevolmente ascrivibili al fatto che il compito del Tribunale, in particolare di fronte ai molteplici e complessi contratti d’impresa, appariva tutt’altro che agevole.

[17] L’Art. 16, co. 5, CCII prevede infatti che l’accesso alla CNC “non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina della vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”.

[18] Sulla falsariga di tale principio comunitario, il legislatore italiano ha previsto che, nell’ambito del concordato in continuità, i creditori non possano “unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato ini continuità … e della concessione di misure protettive o cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari” (art.94 bis CCII). Trattasi di modifica inserita nel CCII con il D. Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, in quanto nella versione originaria del CCII, il legislatore aveva previsto che l’attivazione delle procedure di allerta non costituisse causa di risoluzione dei contratti pendenti, ma nulla era disposto in tema di procedure concorsuali.

[19] Bonfatti, La nuova finanza bancaria (14 dicembre 2021), in Diritto della Crisi, pag. 18, secondo cui la “revoca” non potrebbe riguardare prestazioni ancora da eseguire sul presupposto che, in tale caso, si introdurrebbe un irragionevole “obbligo di finanziamento” incongruente con il divieto previsto dalla disciplina degli artt. 182-septies, co. 4, e 182-octies, co. 3, L.F. come modificati dal D.L. 118/21 ai sensi del quale ai creditori “non aderenti” non possono essere mai imposti, con un ADR o una moratoria “l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti”.

[20] Per maggiori approfondimenti in relazione ai primi provvedimenti di merito sulla composizione negoziata, tra cui anche la sopraccitata ordinanza del Trib. di Parma, si rimanda a AMBROSINI, op. ult. cit.

[21] L’art. 16, co. 5, CCII prevede anche che: “In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina della vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”. Nel proprio intervento al Convegno di Alba del 26 novembre 2022 “Stagflazione, guerra, pandemia, il Codice della crisi alla prova dei fatti”, il Prof. Gaetano Presti ha rimarcato come l’obbligo di motivazione in questione comporti un’inversione dell’onere della prova addossando alla banca l’obbligo di dimostrare nell’ambito della CNC la correttezza della propria revoca o sospensione degli affidamenti nei confronti dell’impresa (mentre, al di fuori della CNC, normalmente spetta al debitore dimostrare l’illegittimità - recte l’abusività -dell’interruzione di credito da parte della banca).

[22] L’art. 93-bis TUB prevede che: “la Banca d’Italia può … adottare per le materia indicate nell’art. 53, comma 1 [, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di una o più banche o dell’intero sistema bancario riguardanti anche: la restrizione delle attività o della struttura territoriale; il divieto di effettuare determinate operazioni”. L’art. 53, comma 2, TUB prevede che:” La Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto: a) l’adeguatezza patrimoniale; b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; c) le partecipazioni detenibili; d) il governo societario …”

[23] Cfr. Circolare 285 – Parte Prima Titolo III – Capitolo 1 – Paragrafo 1. Nell’ambito dello SREP l’Autorità di Vigilanza, in caso di necessità può, inter alia, adottare dei provvedimenti aventi come obiettivo il “contenimento del livello dei rischi, anche attraverso il divieto di effettuare determinate operazioni” (cfr. Circolare 285 – Parte Prima Titolo III – Capitolo 1 – Paragrafo 5).

[24] Per una disamina della disciplina applicabile ai piani di risanamento v. Disposizioni in materia di piani di risanamento, delibera n. 5/2022 di Banca d’Italia; EBA Guidelines on recovery plan indicators under Article 9 of Directive 2014/59/EU, 9/11/2021.

[25] Sembrano propendere per un’interpretazione ampia dell’eccezione “regolamentare” al divietodi revoca e sospensione Bonfatti e Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Diritto della Crisi, 9 dicembre 2022, pag. 8, affermando che: “… sebbene l’inciso “se richiesto” sia connotato da troppa genericità., tanto da farlo ritenere ultroneo; visto e considerato che nessuna disposizione del TUB o di qualsivoglia Disposizione di Vigilanza … arriva al punto di imporre a banche e intermediari … la revoca o la sospensione degli affidamenti …; pare plausibile interpretare la previsione in commento nel senso che le banche … potranno procedere con la revoca e/o la sospensione degli affidamenti anche per ragioni di ordine “prudenziale”, così evitando l’ulteriore effetto negativo che per le stesse potrebbe prodursi nel momento in cui l’impresa … abbia pur fatto richiesta delle misure protettive di cui all’art. 18 CCII, ovvero il rischio di non poter “rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti” e, quindi, dover mantenere disponibile all’impresa l’eventuale margine di accordato presente … sulle linee di credito prendenti”; i medesimi autori mostrano inoltre scetticismo sulla effettiva possibilità di comprendere le motivazioni addotte dalla banca per giustificare la sospensione o la revoca affermando che: “… sarà altrettanto verosimile che le palesate “ragioni prudenziali” sottese alla comunicazione di sospensione o revoca rimarranno poco o nulla comprensibili dal punto di vista dell’impresa”.

[26] L’art. 18, co. 5, CCII dispone che “I creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza … [di nomina dell’esperto]”.

[27] Sulla falsariga dell’art. 18, co. 5, CCII (previsto per la CNC), il legislatore, con il d. Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 ha recepito nell’art. 94-bis CCII le medesime limitazioni all’esercizio unilaterale da parte dei creditori sottoposti a misure protettive e cautelari dei diritti contrattuali derivanti dai “contratti essenziali in corso di esecuzione” nel caso di ammissione del debitore al concordato preventivo.Lo stesso art. 94-bis, co. 2, CCII, definisce come “… essenziali i contratti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore”.

[28] Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, in Diritto della Crisi, 15 febbraio 2022.

[29] Si pensi ai costi per monitorare lo stato finanziario e l’andamento gestionale del debitore, nonché discutere eventuali rimedi, concessioni, ristrutturazioni, e monitorare il valore delle eventuali garanzie.

[30] La “perdita attesa” (EL o Expected Loss) di un portafoglio è pari alla somma delle perdite attese delle singole esposizioni che compongono il portafoglio. La “perdita attesa” della singola esposizione è pari al prodotto tra la probabilità che il debitore diventi insolvente (PD o Probability of Default), il valore dell’esposizione al momento del default (EAD o Exposureat Default) e la perdita che sarà registrata al momento del default (LGD o Loss Given Default) (EL=PD x LGD x EAD).

[31]Crf. Maggiolino, La disciplina giuridica della gestione dei crediti deteriorati nella prospettiva delle banche: profili critici, 2020, p. 59 “imponenti flussi di nuovi crediti deteriorati incidono sull’equilibrio patrimoniale di una banca, perché ne aumentano il fabbisogno di patrimonio di vigilanza e riducono gli elementi di capitale che possono essere utilizzati a tal fine, con ciò comprimendo, sempre nel breve periodo, le risorse che le banche mettono a disposizione dell’economia. A contesto stabilizzatosi, inoltre, se non intervengono nuove capitalizzazioni, elevate giacenze di crediti deteriorati possono ulteriormente ridurre le risorse che raggiungono la clientela, specialmente quando gli amministratori temono che quelle giacenze vedranno ulteriormente ridursi il loro merito creditizio, andando a determinare un nuovo fabbisogno di patrimonio regolamentare”.

[32] Maggiolino, cit., p. 31 l’A. evidenzia che stock elevati di crediti deteriorati pregiudicano solitamente i risultati delle banche, aumentano i costi per la raccolta del risparmio e del capitale e, nel caso di banche quotate, deprimono il valore di borsa delle azioni.

[33] Maggiolino, cit., pag. 64 e 65, con ampi riferimenti a studi empirici sugli effetti che il deterioramento dei crediti ha avuto sull’economia.

[34] Linee guida per le banche sui crediti deteriorati, BCE, 2017, pag. 4. Maggiolino, cit. pag. 74 e ss.

[35] Cfr. Regolamento (CE) n. 1126/2008 della Commissione, del 3 novembre 2008, che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (di seguito, “Regolamento (CE) n. 1126/2008” o, quando il riferimento sia limitato alla parte di tale Regolamento relativa all’IFRS 9, solamente “IFRS 9”).

[36] Come modificato – per quanto qui rileva – dal Regolamento (UE) 2016/2067 della Commissione, del 22 novembre 2016, che modifica il regolamento (CE) n. 1126/2008 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'International Financial Reporting Standard 9 (di seguito, “Regolamento (UE) 2016/2067”); quest’ultimo Regolamento (UE) 2016/2067 ha sostituito il previgente principio contabile internazionale IAS 39 (Financial Instruments: Recognition and Measurement).

[37] Sugli effetti distorsivi e le inefficienze dell’applicazione dello IAS 39 v. Maggiolino, op. cit., p. 86 e 87 in cui l’A. afferma che: “... in assenza di elementi certi, lo IAS 39 impediva agli amministratori di registrare alcuna modifica di valore, o anche di creare una riserva di patrimonio netto in vista di possibili future svalutazioni dei crediti e/o di peggiori momenti del ciclo economico …lo IAS 39 non consentiva di incorporare nella valutazione del credito neanche la previsione di fatti e di eventi futuri non ancora manifestatisi, ma comunque percepibili e sintomatici dell’incapacità dei debitori di onorare i loro debiti. Lo IAS 39 impediva cioè di rettificare un credito in ragione di una perdita semplicemente attesa, ancorché stimata dagli amministratori e dalla funzione di risk management della banca come assai probabile. Ed in tal modo lo IAS 39 finiva per assecondare …[l’] incentivo a ritardare la registrazione delle rettifiche di valore giacché consentiva di attendere l’occorrere degli eventi di perdita …”(enfasi aggiunta).

[38] I “past due” inferiori a 30 giorni, da intendersi come situazioni di scaduto/sconfinamento prolungato che, tuttavia, non rappresentano un reale default della controparte e non sono, di conseguenza, tali da rende necessaria la classificazione del credito come “non performing” (non si tratta, quindi, di esposizioni “past due” come di seguito definite nell’ambito dello stage 3). La scadenza contrattuale dei termini di pagamento oltre i 30 giorni determina invece una presunzione di deterioramento del rischio di credito che, peraltro, la banca può ribaltare “qualora abbia a disposizione informazioni ragionevoli e dimostrabili attestanti che, anche se i pagamenti contrattuali sono scaduti da più di 30 giorni, ciò non rappresenta un aumento significativo del rischio di credito di uno strumento finanziario …” (IFRS 9, Appendice B, par. B5.5.20).

[39] La categoria dello stage 2 rappresenta senza dubbio la novità principale introdotta dall’IFRS9 e particolarmente importante è la comprensione delle circostanze che determinano l’incremento del rischio tale da comportare il passaggio dei crediti in bonis (stage 1) a crediti underperforming (stage 2).Sul punto Cfr. Rinaldi, Rocca, Gestione e valorizzazione degli Unlikely To Pay: aspetti normativi, fiscali e operativi, in Quaderno n. 88/2022 dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, pag. 53: “I principali indicatori utilizzati dalle Banche come parametri per individuare un potenziale incremento del rischio di credito ai fini del passaggio da Stage 1 a Stage 2 sono i seguenti:

1. crediti scaduti o sconfinanti. Rileva la presunzione relativa di 30 giorni senza soglia di rilevanza, è possibile adottare altra tempistica in presenza di adeguate evidenze statistiche;

2. downgrading significativo del rating rispetto alla valutazione del merito creditizio in fase di origination;

3. cambiamenti nella PD che eccedano un livello prestabilito (cut off);

4. iscrizione del credito all’interno di una lista di crediti problematici/watchlist o attribuzione ad un team di monitoraggio dedicato alla gestione dei crediti problematici;

5. posizioni contenute all’interno di portafogli privi di rating che registrino aumenti significativi dei tassi di default;

6. misure di concessione (moratorie, rinegoziazioni, variazioni di tasso), incluse quelle che ricadono nella definizione EBA di forbearance per le esposizioni in bonis”. L'IFRS 9 (B5.5.17) individua un elenco non esaustivo di eventi potenzialmente rilevanti (c.d. “eventi SICR”) ai fini della valutazione delle variazioni del rischio di credito, che corrispondono in larga parte di variazioni di indicatori che le unità di risk management delle banche dovrebbero, in ogni caso, già utilizzare ai fini della determinazione del prezzo o di altre funzioni tipiche dell’attività bancaria. In massima sintesi, gli Eventi SICR di tale elenco possono convenzionalmente essere sintetizzati in (i) variazioni dello “strumento finanziario” concesso dalla banca al cliente (lettere da a) a d) dell’elenco); (ii) eventi afferenti il rating del mutuatario, o fattori esogeni ed endogeni che potenzialmente ne modifichino la capacità di rimborso (lettere da e) a i) dell’elenco); (iii) variazioni del valore delle garanzie che assistono il debito o che determinano la necessità di incremento di tali garanzie (lettere da j) a m) dell’elenco); (iv) variazione del rischio di credito del mutuatario (lettere da n) a p) dell’elenco).

[40] Si veda la nozione di “esposizioni deteriorate” ai sensi dell’art. 47-bis, par. 3, del Regolamento (UE) 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e che modifica il Regolamento (UE) 648/2012 (di seguito, “CRR”), come modificato dal Regolamento (UE) 2019/630 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 (di seguito, “Regolamento (UE) 2019/630”).

[41] Cfr. Circolare di Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008, intitolata “Matrice dei conti” (di seguito, “Circolare n. 272/2008”), Cap. B, par. 2.1, pagg. B.7 ss. Si vedano, inoltre:

- IFRS 9, B5.5.1: “Per conseguire l’obiettivo di rilevare le perdite attese lungo tutta la vita del credito quando il rischio di credito è aumentato significativamente dopo la rilevazioni iniziale, può essere necessario effettuare la valutazione degli aumenti significativi del rischio di credito su base collettiva, prendendo in considerazione i dati che sono indicativi di aumenti significativi del rischio di credito, ad esempio, su un gruppo o sottogruppo di strumenti finanziari”;

- IFRS 9, B5.5.5: “Allo scopo di […] rilevare un fondo a copertura perdite su base collettiva, l’entità può raggruppare gli strumenti finanziari sulla base della comunanza delle caratteristiche di rischio di credito […]”.

[42] Circolare n. 272/2008, Cap. B, par. 2.1, pag. B.7: “Sofferenze: il complesso delle esposizioni creditizie per cassa e ‘fuori bilancio’ nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca”.

[43] Circolare n. 272/2008, Cap. B, par. 2.1, pag. B.8: “Inadempienze probabili (‘unlikely to pay’): la classificazione in tale categoria è, innanzitutto, il risultato del giudizio della banca circa l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie. Tale valutazione va operata in maniera indipendente dalla presenza di eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati. Non è, pertanto, necessario attendere il sintomo esplicito di anomalia (il mancato rimborso), laddove sussistano elementi che implicano una situazione di rischio di inadempimento del debitore (ad esempio, una crisi del settore industriale in cui opera il debitore). Il complesso delle esposizioni per cassa e ‘fuori bilancio) verso un medesimo debitore che versa nella suddetta situazione è denominato ‘inadempienza probabile’, salvo che non ricorrano le condizioni per la classificazione del debitore fra le sofferenze”.

[44] Circolare n. 272/2008, Cap. B, par. 2.1, pag. B.9: “Esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate: esposizioni creditizie per cassa, diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili, che, alla data di riferimento della segnalazione, sono scadute o sconfinanti [e che] possono essere determinate facendo riferimento, alternativamente, al singolo debitore o alla singola transazione … ”.

[45] Art. 47-bis, par. 3, lett. b), del CRR.In generale, sulla base di quanto previsto dall’art. 47-bis, par. 3, del CRR, vi sono diversi casi in cui un’esposizione deve essere classificata come “deteriorata”, alcuni di natura soggettiva (ossia che necessitano di una valutazione della banca in termini di improbabilità dell’adempimento) e altri di natura oggettiva (ossia che presuppongono un ritardo o un inadempimento parziale) (cfr. P. Rinaldi, G. Rocca, Gestione e valorizzazione degli Unlikely To Pay, cit., pag. 120).

[46] Art. 47-bis, parr. 3, lett. c) e d), 4, 6 e 7del CRR.

[47] Cfr. Audizione del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco innanzi alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario dedicata a “Le norme europee sul calendar provisioning e sulla classificazione della clientela da parte delle banche” (10 febbraio 2021).

[48] Cfr. Addendum delle Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL), adottate dalla BCE nel marzo 2017.

[49] Orientamenti sulla gestione di esposizioni deteriorate e oggetto di misure di concessione (EBA/GL/2018/06), sez. 8.1, punti 169, 170 e 171 “Quando non vi è alcuna aspettativa ragionevole di recupero dei flussi di cassa contrattuali dell’esposizione, ciò dovrebbe determinare una cancellazione totale o parziale dell’esposizione (IFRS 9.B3.2.16.r). La cancellazione può avvenire prima che si siano concluse definitivamente le azioni giudiziarie intraprese nei confronti del debitore per il recupero del credito … La cancellazione costituisce un evento di eliminazione contabile (IRFS 9.5.4.4). Laddove flussi di cassa o altre attività siano recuperate in ultima istanza, il loro valore dovrebbe essere rilevato in conto economico quale componente reddituale”.

[50] Cfr. BCE, Comunicazione in merito alle aspettative di vigilanza sulla copertura delle NPE (22 agosto 2019), pag. 12, Tavola 2. Giova ricordare che la svalutazione delle NPE (non performingexposures) del primo pilastro non è vincolante, mentre è vincolante quella delle NPE del secondo pilastro.

[51] Art. 47-bis, par. 3, lett. a), del CRR, come modificato dal Reg. UE 2019/630 del 17 aprile 2019.

[52] Art. 178, par. 1, CRR.

[53] Art. 178, par. 1, lett. a) CRR: “l’ente giudicaimprobabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l’ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni”.

[54] Art. 178, par. 1, lett. b) CRR: “il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su un’obbligazione creditizia rilevante verso l’ente, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni. Le autorità competenti possono sostituire il periodo di 90 giorni con uno di 180 giorni per le esposizioni garantite da beni immobili residenziali o da beni immobili non residenziali di PMI nella classe delle esposizioni al dettaglio, nonché per le esposizioni verso organismi del settore pubblico. Il periodo di 180 giorni non si applica ai fini dell'articolo 36, paragrafo 1, lettera m), o dell'articolo 127”. Si tenga conto che (a) ai sensi dell’art. 178, par. 2, lett. d), del CRR, “Ai fini del paragrafo 1, lettera b) [...] la rilevanza di un’obbligazione creditizia in arretrato è valutata rispetto a una soglia fissata dalle autorità competenti. Tale soglia riflette un livello di rischio che l'autorità competente ritiene ragionevole” e (b) ai sensi dell’art. 178, par. 6, del CRR, l’”ABE elabora progetti di norme tecniche di regolamentazione per specificare le condizioni in base alle quali l'autorità competente fissa la soglia di cui al paragrafo 2, lettera d)”.

[55] Nell’ambito della politica creditizia interna della banca, l’equiparazione al “fallimento” di procedure simili deve avvenire tenendo conto del quadro giuridico e delle caratteristiche di tale procedura (efficacia nei confronti dei creditori, approvazione giudiziale, sospensione temporanea dei pagamenti o estinzione parziale del debito, controllo sulla gestione dell’impresa, rischio di liquidazione dell’impresa). Inoltre, dovrebbero essere considerate analoghe al fallimento le procedure indicate nell’allegato A al Reg. UE 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza (rifusione) che, nel caso dell’Italia, sono: Fallimento (ora liquidazione giudiziale), Concordato preventivo, Liquidazione coatta amministrativa, Amministrazione straordinaria, Accordi di ristrutturazione, Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore (accordo o piano), Liquidazione dei beni (Orientamenti EBA 2017, Cap. 5, § 56-57).

[56] EBA, Orientamenti sull’applicazione della definizione di default ai sensi dell’articolo 178 del regolamento (UE) n. 575/2013 (EBA/GL/2016/07 – 18 gennaio 2017) (di seguito, “Orientamenti EBA 2017”).

[57] Cfr. Q5, questionario Banca d’Italia sulla nuova definizione di default: “Gli intermediari segnalano un cliente "in sofferenza" solo quando ritengono che abbia gravi difficoltà, non temporanee, a restituire il suo debito. La classificazione presuppone che l'intermediario abbia condotto una valutazione della situazione finanziaria complessiva del cliente e non si sia basato solo su singoli eventi, quali ad esempio uno o più ritardi nel pagamento del debito. Non vi è dunque alcun automatismo tra la classificazione a default e la segnalazione a sofferenza in CR. Pertanto, non è vero che basta uno sconfinamento o un ritardo nei pagamenti per somme anche solo di 100 euro per dar automaticamente luogo a una segnalazione a sofferenza, con il conseguente rischio di compromettere o rendere più oneroso il futuro accesso al credito del cliente presso l'intero sistema bancario” (enfasi aggiunta)

[58] Orientamenti sulla gestione di esposizioni deteriorate e oggetto di concessioni dell’EBA del 31 ottobre 2018 (EBA/GL/2018/06), punti 114, 115, 138 e 144 e Allegato 5 “Possibili misure di concessione”.

[59] Orientamenti sulla gestione di esposizioni deteriorate e oggetto di concessioni dell’EBA del 31 ottobre 2018 (EBA/GL/2018/06), punto 7.3.2.: “Nell’accordare misure di concessione a esposizioni in bonis, gli enti creditizi dovrebbero valutare se questo determina la necessità di riclassificare l’esposizione come deteriorata … Nel valutare se le FBE [forborneexposures] debbano essere classificate come deteriorate, gli enti creditizi dovrebbero valutare se le esposizioni: a) presentino piani di rimborso adeguati … che prevedano, tra l’altro, la ripetuta inosservanza del piano, modifiche al piano volte ad evitare violazioni oppure aspettative di base che non siano corroborate da previsioni macroeconomiche o da ipotesi attendibili relative alla capacità di rimborso o alla disponibilità del debitore; b) includano condizioni contrattuali che ritardano il regolare rimborso delle rate relative all’operazione, in modo tale da ostacolarne la valutazione ai fini di una classificazione appropriata, come nel caso in cui vengano concessi periodi di tolleranza per il rimborso del capitale di durata maggiore ai due anni …”.

[60] Banca d’Italia, Circolare n. 272 del 30 luglio 2008, 14° aggiornamento.

[61] L’art. 44 CCII dispone che il termine per la presentazione della documentazione per l’accesso alla misura di regolazione della crisi e dell’insolvenza (compreso ai sensi dell’art. 161, co. 6, L.F. tra 60 e 120 giorni prorogabile fino ad ulteriori 60 giorni in presenza di giustificati motivi) sia ora compreso tra i 30 e 60 giorni e possa essere rinnovato fino ad ulteriori 60 giorni in presenza di giustificati motivi (e assenza di domande di apertura della liquidazione giudiziale). Parimenti, l’art. 44 CCII ha aggiunto la possibilità che al termine del periodo in questione, il debitore, oltre al concordato (liquidatorio o in continuità) possa presentare una domanda di omologazione del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis CCII.

[62] Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti (ABE/GL/2020/06) del 29 maggio 2020 (“Orientamenti EBA 2021”).

[63] Orientamenti EBA 2021, paragrafo 4.1.1.

[64] Orientamenti EB 2021, paragrafi 5.1. e 5.2.5.

[65] Orientamenti EBA 2021, paragrafi 120, 124 e 126.

[66] Guiotto, Il finanziamento bancario e i rapporti tra banca e impresa, in Fallimento, n. 10, 1 ottobre 2021, p. 1199 e ss., l’A. sottolinea che: “Se fino a qualche tempo fa era possibile ipotizzare un’istruttoria creditizia basata sul solo esame dei bilanci aziendali, per loro natura consuntivi, e talvolta sulla conoscenza personale dell’impresa e dell’imprenditore da parte del funzionario proponente, le Linee Guida EBA impongono oggi un processo valutativo molto più ampio e articolato … che includa: - un approccio valutativo retrospettivo (backward lookingapproach) per l’analisi dei dati e delle informazioni aziendali di carattere storico e consuntivo; - un approccio valutativo prospettico (forward-lookingapproach) per la valutazione dei dati e delle informazioni aziendali riferite a orizzonti temporali futuri; - meccanismi di controllo che integrino un sistema di early warning … allo scopo di intercettare tempestivamente i segnali di difficoltà dell’impresa debitrice e attuare proattivamente misure di tutela del credito… Le Guidelines chiamano ora le banche a valutazioni di carattere qualitativo su numerosi aspetti che riguardano sia la linea di credito, sia l’impresa nel suo complesso. Viene richiesta, così, una valutazione della sostenibilità del modello di business e degli obiettivi strategici del cliente, sia in rapporto all’evoluzione del mercato di riferimento sia in rapporto alla finalità del finanziamento richiesto. Analogamente, sarà valutata la fattibilità dei business plan presentati e la ragionevolezza delle proiezioni finanziarie, in linea con le specificità del settore in cui l’impresa opera” (enfasi aggiunta).

[67] Orientamenti EBA 2021, paragrafo 8.2, punti 251, 252, 253 e paragrafo 8.3, 257. Cfr. anche De Laurentis, Le guidelines EBA su concessione e monitoraggio dei prestiti: profili critici e implicazioni per banche e debitori, in Bancaria, 2021, p. 73 e ss. che evidenzia come il rating sia orami considerato dagli Orientamenti EBA non più come il dato che sintetizza il processo di valutazione del merito creditizio del cliente, ma solo come uno dei vari strumenti (comprensivi dei predetti aspetti qualitativi) di cui la banca si deve avvalere per effettuare la valutazione a tutto tondo del merito creditizio del cliente.

[68] Orientamenti EBA 2021, paragrafo 8.4., punto 267.

[69] Orientamenti EBA 2021, paragrafo 8.5, punti 269 e 274.

[70] Depongono contro la qualifica di “procedura concorsuale” il fatto che nella CNC manchi:

(i) lo “spossessamento” dell’attività di impresa dell’imprenditore a beneficio di un soggetto terzo di nomina giudiziale (tipico della liquidazione giudiziale)

(ii) un controllo effettivo sulla gestione dell’impresa (tipico del concordato preventivo)

(iii) una regola che disciplini l’allocazione delle risorse dell’impresa a soddisfazione dei propri creditori in quanto l’imprenditore nelle trattative è libero di proporre qualsiasi tipo di trattamento ai propri creditori (Cfr. Fabiani, L’avvio del codice della crisi (5 maggio 2022), in Dir. Crisi, pag. 10, che ravvede proprio nella presenza di una regola sulla distribuzione di valore ai creditori il tratto essenziale di una procedura concorsuale).A dirimere ogni dubbio, l’art. 2, co. 1, lett. m-bis), CCII ha chiarito che la CNC non rientra tra gli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (definizione comprensiva tanto di procedure giudiziali che strumenti stragiudiziali quali i piani attestati e gli ADR) nel senso che, come già rilevato, il creditore ha la facoltà di ricorrere ad essa prima di avvalersi di ogni altro strumento di regolazione della crisi.

[71] Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Diritto della Crisi, 20 gennaio 2022, pag. 26, in cui l’autore, pur riconoscendo che la CNC non è una procedura concorsuale, ritiene ragionevole applicare alla CNC, in via analogica, le disposizioni della Circolare 272/2008 di Banca d’Italia sul concordato preventivo (che appunto prevede la classificazione automatica a “inadempienza probabile” al momento della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato “prenotativa” o “in bianco” prevista dall’art. 161, co. 6, L.F.) (v. supra sub 3.6).

[72] La classificazione durante la CNC sarebbe ovviamente a sofferenza se l’esposizione fosse stata già classificata come tale prima della pubblicazione della domanda di nomina dell’esperto nel Registro delle Imprese.

[73] Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, in Diritto della Crisi, 15 febbraio 2022. V. anche Cfr. Bonfatti e Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Diritto della Crisi, 9 dicembre 2022, nota 16, in cui si da atto che l’accesso alla CNC “è ritenuto da taluni un “evento” comportante obbligatoriamente [la classificazione ad inadempienza probabile], mentre per altri … è considerato fonte dell’obbligo di dare tempestivo corso ad una “classificazione analitica”, che impone al gestore di procedere ad una approfondita revisione della posizione, senza tuttavia condizionarne l’esito finale (nel senso di non prevedere la obbligatorietà della Classificazione ad “Inadempienza Probabile”)”.  Conferma che possono accedere alla CNC le imprese affette da “insolvenza reversibile”. L’art. art. 21 CCII (art. 9 del D.L. 118/21)) prevede, infatti, che: “Quando nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori…” (enfasi aggiunta)

[74] Conferma che le imprese affette da “insolvenza reversibile” possono accedere alla CNC si ha anche nel documento recepito nell’Allegato al D.M. 28 settembre 2021 “Sez. II - Protocollo per la conduzione della composizione negoziata”, punto 2.4 (richiamato anche dall’art. 13, co. 2, e dall’art. 17, co. 3, lett. b), CCII), in cui opportunamente si chiarisce che la “reversibilità” è da intendersi come la possibilità di risanare l’impresa insolvente soddisfacendo i creditori con i proventi della dismissione di azienda e ottenendo uno stralcio per l’eventuale debito residuo.

[75] Può ricorrere allo strumento qualsiasi imprenditore, iscritto nel registro delle imprese, commerciale o agricolo, senza limiti dimensionali, che si trovi in “condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” quando “risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 12 CCII e, in precedenza, art. 2 del D.L. 118/21). Il presupposto soggettivo dello “squilibrio… che rende probabile la crisi” costituisce invece una novità nel panorama concorsuale e si riferisce, in sintesi, ad una situazione di “pre-crisi” ossia di difficoltà dell’impresa dal punto di vista “economico-finanziario” o “patrimoniale”, la cui gravità non è ancora tale da compromettere la continuità aziendale, ancorché, ove non opportunamente rimediata, può sfociare in una situazione di vera e propria “crisi”.

[76] Per una lettura critica dell’orientamento maggioritario che nega la possibilità di ricorrere alla CNC in presenza di un piano liquidatorio v. Bissocoli, “La presunta incompatibilità tra lo stato di liquidazione (recte il piano di liquidazione) e la composizione negoziata della crisi d’impresa: un equivoco da evitare”, in Diritto della Crisi, 31 agosto 2022.

[77] Sull’importanza di comprendere appieno le cause degli squilibri al fine di poter predisporre il piano di risanamento e sulle varie ipotesi e combinazioni di squilibri aziendali v. Aliprandi-Turchi, “Le diverse configurazioni di squilibrio e le prospettive di risanamento”, in La Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, a cura di Danovi e Acciaro, Milano, 2022, Vol. 3/7.

[78] Art. 18, co. 3, CCII: “Con l’istanza di cui al comma 1, l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”. Art. 19, co. 4, ultimo periodo, CCII: “Sentito l’esperto, il tribunale può limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”.

[79] L’art. 167, co. 1 e 2 L.F. prevedeva che: “Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale …gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”. Diversamente, nella CNC spetta all’imprenditore la gestione sia ordinaria che straordinaria dell’impresa in quanto l’art. 21, co. 1, CCII prevede che: “L’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. Quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori. Restano ferma le responsabilità dell’imprenditore”.

[80] La CNC ha una durata limitata nel tempo (non oltre 180 giorni) e, pertanto, le banche, da un lato, dovrebbero ragionevolmente ottenere in tempi brevissimi una conoscenza esaustiva della situazione dell’impresa, del piano di risanamento (che almeno nello stato di progetto deve essere allegato alla domanda di nomina dell’esperto) e dell’eventuale proposta di modifica contrattuale richiesta dall’impresa alla banca e, dall’altro, rendersi conto in un arco temporale limitato (alcuni mesi) dell’effettiva realizzabilità del risanamento dell’impresa.

[81] V. inter aliosRizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Diritto della Crisi, 20 gennaio 2022, pag. 31.

[82] Invero, in linea teorica, poiché l’art. 23 CCII distingue l’ipotesi dell’accordo in cui l’imprenditore predisponga un “piano attestato di risanamento di cui all’art. 56” (art. 23, comma 2, lett. a), CCII) da quella dell’”accordo produttivo degli effetti di cui agli articoli 166, comma 3, lett. d) e 324” (art. 23, co. 1, lett. c) CCII), non si può escludere a priori la possibilità che tale ultimo sbocco delle trattative si riferisca all’ipotesi di un accordo che abbia unicamente gli effetti dell’esenzione da revocatoria previsti dall’art. 166, co. 3, lett. d), CCII senza dover sovrapporsi necessariamente agli accordi esecutivi di un piano attestato ex art. 56 CCII. Tale distinzione potrebbe rilevare in particolare ai fini della possibilità di utilizzare l’accordo ex art. 23, co. 1, lett. c) CCII a fini liquidatori sul presupposto che, diversamente dall’accordo attuativo del piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII, esso non debba comportare necessariamente il “riequilibrio della situazione economico finanziario” dell’impresa (e quindi la sua continuazione).

[83] Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Diritto della Crisi, 20 gennaio 2022, pag. 32. Cfr. altresì Vitiello, Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta, il Il Fallimentarista, 26 aprile 2022, secondo cui il concordato semplificato rappresenta altresì un elemento costitutivo fondamentale poiché può costituire un deterrente che deve indurre le parti interessate (creditori in primis, istituti bancari inclusi) a compiere ogni sforzo per addivenire ad una soluzione ragionevole. Infatti, il concordato semplificato dovrebbe avere auspicabilmente anche l’effetto indiretto di incentivare i creditori ad accettare la proposta del debitore, qualora quest’ultima fosse imperniata su un piano che preveda la cessione dell’azienda per un determinato prezzo ad un soggetto già individuato, stante la consapevolezza, da parte dei creditori, che il debitore possa ricorrere a tale nuovo strumento per ottenere il medesimo effetto traslativo e, presumibilmente, un soddisfacimento a loro riservato ulteriormente ridotto, a causa delle spese legate all’apertura e svolgimento della procedura concorsuale. Sull’istituto del concordato semplificato cfr. tra gli altri: Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, in Ristrutturazioni aziendali, 23 settembre 2021, Censoni, Il concordato «semplificato»: un istituto enigmatico, ivi, 22 febbraio 2022, e da ultimo, ampiamente, Bozza, Il concordato semplificato, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, a cura di Ambrosini, cit., 312 ss.

[84] Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, 15 febbraio 2022, in Diritto della Crisi. E’ implicito nel pensiero dell’autore il riferimento al rischio che la banca sia chiamata a rispondere dell’aggravamento del passivo del debitore causato da un finanziamento illecito in quanto concesso ad impresa immeritevole di credito (c.d. responsabilità “concessione abusiva di credito”) ovvero per concorso con gli amministratori dell’impresa nel reato di “ricorso abusivo al credito” (art. 325 CCII) o di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto a seguito di mancata o ritardata richiesta di accesso alla liquidazione giudiziale (art. 323, co. 1, lett. d), CCII). Tali rischi sono in linea di principio ancora più evidenti per la banca in quanto con le pronunce nn. 29252/21 e 18610/21, in parziale revirement di quanto affermato dalle SS.UU. nel 2006 (sentenze nn. 7029, 7030 e 7031), la S.C. ha riconosciuto la legittimazione del curatore nei confronti delle banche sul presupposto che tale il danno causato dalla concessione abusiva di credito costituisce un danno diretto al patrimonio dell’impresa derivante dall’indebita prosecuzione della sua attività che si riflette su tutti i creditori dell’impresa. Come tale, pertanto, l’azione nei confronti della banca costituisce un’”azione della massa” esercitabile dal curatore ai sensi dell’art. 146 L.F. Per una disamina completa e autorevole della problematica in questione v. inter aliosDel Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in Ristrutturazioni Aziendali, 3 ottobre 2022; Di Marzio, L’abuso nella concessione del credito, in Contr. E Impr., 2015 e Sulla fattispecie “Concessione abusiva di credito”, Banca, Borsa e Titoli di Credito, 2009, II; Bonelli, “Concessione abusiva” di credito e “interruzione abusiva” di credito, in “Crisi di Imprese: casi e materiali”, Giuffrè 2011.

[85] Art. 24, co. 5, CCII: “Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3, e 323, non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione da parte dell’esperto in coerenza con l’andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 5 …”.

[86] Cass. 18610/2021: “l’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in situazione di difficoltà economico finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’impresa. Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”.

[87] Rinaldi,cit.

[88] Così Rinaldi, La difficile compatibilità tra l’insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, in Diritto della Crisi, 15 febbraio 2022, pag. 3.

[89] “L’esperto, per lo svolgimento della propria attività, ove lo ritenga utile o necessario, può avvalersi, a proprie spese, di soggetti dotati di specifica competenza, anche nel settore economico in cui opera l’imprenditore, e di un revisore legale”, così al p.to 8.11 del Protocollo di conduzione della composizione negoziata – Sezione III del D.M. 28 settembre 2021.

[90] Per un approfondimento sulla gestione delle posizioni debitorie assistite dal Fondo di Garanzia per le PMI nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza si rimanda a PALLADINO, La “gestione” del fondo centrale di garanzia per le pmi nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, pp. 852 e ss.

[91] Le Disposizioni operative del fondo di garanzia, modificate da ultimo dal decreto del MISE del 3 ottobre 2022, pag. 63, consentono, nel rispetto di alcuni requisiti minimi, di proporre al fondo degli accordi transattivi con pagamenti parziali (pari o superiori al 15% del debito complessivo) “rinvenienti dalle procedure sulla crisi d’impresa” di tra cui la CNC. Per un primo commento sulla modifica v. Acciaro, Scapolo Turchi, Anche i prestiti garantiti entrano negli accordi transattivi, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2022.

[92] Cfr. Tribunale di Firenze 31 agosto 2022, in Diritto della Crisi, in cui il giudice fiorentino, richiesto espressamente dell’esperto di esprimersi sull’interpretazione del requisito dello svolgimento delle trattative in buona fede, ha precisato in modo rigoroso che perché l’imprenditore possa accedere al concordato semplificato è necessario che:

(i)      durante le trattative i creditori ricevano “complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte e che abbiano potuto esprimersi su di esse”;

(ii)     “poiché costituisce presupposto per l’accesso al concordato semplificato che non siano risultate praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b) …le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una o più proposte con le forme di tali soluzioni”;

(iii)    “al fine di consentire ai creditori una partecipazione informata…” si fornisca “ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbe ottenere dalla liquidazione giudiziale”. Pertanto, secondo l’interpretazione del Tribunale di Firenze, l’imprenditore, per poter accedere al concordato semplificato, dovrebbe prima proporre, nell’ambito delle trattative con i propri creditori, tutte le soluzioni possibili per rimediare alla crisi.

[93] Cfr. DM 28 settembre 2021, Sez. III, protocollo di conduzione della composizione negoziata, punto 8.7: “… all’incontro con i creditori finanziari è opportuno che siano invitati contestualmente tutti gli istituti di credito e gli intermediari finanziari con i quali l’imprenditore abbia esposizioni pendenti”.

[94] V. supra sub nota 56. Sarebbe in ogni caso opportuno che Banca d’Italia si esprimesse con un provvedimento ad hoc che tenga conto appunto dei diversi scenari possibili in cui l’impresa accede alla CNC.