Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Articolo

Le attività di liquidazione in esecuzione della proposta di concordato preventivo omologata


Francesco Carelli
Articolo

Il ruolo del giudice nel concordato semplificato*


Giuseppe Bozza

Data pubblicazione
11 gennaio 2023

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Sommario: 1. L’inserimento del concordato semplificato nel codice della crisi; 2. Caratteristiche del concordato semplificato; 3. La fase dell’ammissione. Poteri del giudice; 4. La fase dell’omologa. Poteri del giudice; 5. Considerazioni conclusive


1. L’inserimento del concordato semplificato nel codice della crisi

Il d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modifiche, dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, ha introdotto consistenti novità che ampliano il già variegato catalogo degli strumenti per superare la crisi d'impresa, quale la composizione negoziata della crisi e, contestualmente, ha “inventato” una nuova figura di concordato, definita dall’art. 18 “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. Questo corpo normativo, con il d.lgs 17 giugno 2022, n. 83, è stato trasferito nel codice della cisi, ove ha preso il posto dell’allerta e della composizione assistita e, contestualmente, l’art. 46 del d.lgs n. 83 del 2022 ha abrogato gli artt. da 2 a 19 del d.l. n. 118/2021, ad eccezione dell’art. 10, del quale è stato abrogato solo il primo comma. In questa trasposizione gli articoli del decreto legge del 2021 hanno assunto una nuova numerazione, ed in particolare, gli artt. 18 e 19, che contenevano la regolamentazione del concordato semplificato, sono stati trasfusi negli artt. 25-sexies e 25-septies e collocati nel nuovo Titolo II, Capo II che contiene, appunto, la disciplina del “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata”.

Questa nuova sistemazione della disciplina della composizione negoziata della crisi e del concordato semplificato non è priva di conseguenze perché, da un lato, richiede una verifica degli effetti dei richiami normativi- che nel decreto del 2021 erano a disposizioni della legge fallimentare ed ora sono, ovviamente, a quelle del nuovo codice, di contenuto non sempre coincidenti con le precedenti[1]- e, dall’altro, impone di confrontarsi con la nuova configurazione degli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza.

Questi sono entrati nel tessuto normativo del codice con l’ultimo intervento del 2022 con una certa difficoltà. Invero, il nostro legislatore, in attuazione della direttiva europea n. 1023 del 2019 (direttiva insolvency) che fa riferimento ai quadri di ristrutturazione, chiarendo fin dall’art. 1, comma 1, che “la presente direttiva stabilisce norme in materia di quadri di ristrutturazione preventiva per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di impedire l'insolvenza e di garantire la sostenibilità economica del debitore”[2], nella originaria stesura del decreto di attuazione della Direttiva, risalente a marzo 2022, aveva inserito nell’art. 2 la definizione dei “quadri di ristrutturazione preventiva” da intendersi come “le misure e le procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale”.

Successivamente, il legislatore, resosi conto che questa definizione poteva riferirsi solo alle misure e procedure volte al risanamento, talché ne sarebbero stati necessariamente esclusi non solo il concordato semplificato, ma lo stesso concordato preventivo liquidatorio, nella versione finale dovuta al decreto n. 83 del 2022, parla non più di quadri di ristrutturazione, bensì di “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, configurati dalla riscritta lett. m-bis dell’art. 2 come “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.

A questo punto è indubbio che il concordato semplificato rientra tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, con conseguente applicazione della disciplina dettata per tali figure anche alla fattispecie del concordato semplificato, in quanto ovviamente compatibile[3], anche se permangono alcune disarmonie[4].

Rimane, invece, aperto il discorso dell’applicabilità alla nuova figura in via analogica delle regole dettate specificatamente per il concordato ordinario stante la difficoltà a trovare una stretta analogia tra le due figure, una basata sulla negozialità e l’altra che prescinde dal voto dei creditori.

Questa caratteristica, innovativa e qualificante, fa sì che manchi completamente nel concordato semplificato la fase negoziale, che si realizza attraverso l’incontro della volontà del debitore espressa nella proposta formulata e quella dei creditori espressa attraverso il voto mediante la votazione a maggioranza. E proprio la carenza dell’elemento negoziale fa riemerge prepotente la figura del giudice che valuta la fattibilità, giuridica ed economica, e la convenienza, che sono aspetti preclusi al giudice dell’omologa del concordato ordinario, allontanando il nuovo concordato da quello esistente, nel quale, “i poteri del giudice sono limitati alla sua funzione di garante della regolarità della procedura e custode dell'osservanza dei principi fondanti dell'ordinamento, nonchè di organo delegato alla soluzione dei conflitti che dalla procedura derivano, mentre resta affidata agli altri organi della procedura o direttamente ai creditori riuniti in adunanza la decisione circa il merito delle scelte che attengono alle modalità con cui pervenire alla liquidazione del patrimonio del debitore e, quindi, al soddisfacimento dei creditori”[5].

Non si intende qui riproporre la tesi contrattualistica del concordato ordinario, ma semplicemente sottolineare come questo presenti un paradigma negoziale che è completamente assente nel concordato semplificato[6] ove, di conseguenza, sono ribaltati i ruoli dei protagonisti, al punto che la proposta del debitore non è consegnata alle valutazioni dei creditori, cui invece - per finalità tipica dell'istituto concordatario- dev'essere diretta, ma è rivolta direttamente al tribunale chiedendo l’omologa; pertanto, non è agevole applicare per analogia le norme dettate per una procedura di stampo negoziale, in cui l’intervento del giudice ha lo scopo di appurare la corrispondenza tra la tutela degli interessi privati con quelli pubblicistici, che giustifica l’estensione degli effetti anche ai dissenzienti e assenti, ad una procedura coattiva, in cui la volontà delle parti si può esprimere solo in sede di opposizione all’omologa e protagonista esclusivo è il giudice che verifica la regolarità, la fattibilità, la convenienza, ecc.. E ciò a tacere delle tante altre differenze normative tra la figura di nuovo conio e l’ordinario concordato preventivo, compreso quello liquidatorio, che emergeranno nel corso delle presenti considerazioni, che fanno del concordato semplificato una procedura completamente diversa da quelle preesistenti[7].

2. Caratteristiche del concordato semplificato

Per cercare di individuare il perimetro degli interventi consentiti al giudice nella nuova procedura, sia nella fase iniziale che in quella di omologa, è opportuno elencare sinteticamente le caratteristiche più rilevanti del concordato semplificato.

 

A-Autonomia

Anche nella recente trasposizione il concordato semplificato non è configurato come una nuova figura di concordato autonomo cui il debitore possa accedere direttamente, ma come una procedura utilizzabile, ad esclusiva iniziativa del debitore, solo come sbocco della composizione negoziata, quando le trattative non abbiano portato ad altre soluzioni; pertanto questa nuova procedura è utilizzabile soltanto dall’imprenditore che abbia seguito il percorso della composizione negoziata, sempre che le trattative siano state avviate per aver ritenuto l’esperto ricorrere concrete prospettive di risanamento e che, all’esito delle stesse, non sia stata individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendevano probabile la crisi o l'insolvenza.

Conclusione che si deduce dall’intera intelaiatura della nuova normativa e, in particolare, dalla previsione del primo comma dell’art. 25-sexies, per la quale l'imprenditore può presentare una proposta di concordato per cessione dei beni nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della redazione finale redatta dall’esperto nominato per la composizione negoziata e con la quale “dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 23, commi 1 e 2, lettera b) non sono praticabili”. Per la verità tale norma non è del tutto coerente con la previsione del l’art. 23 che non considera più la fattispecie di cui al comma 2, lett. b) distinta dalle altre contenute nello stesso comma, con le quali, invece, concorre alternativamente, tuttavia, per quanto qui interessa, anche questa disposizione prevede la proposizione della domanda di concordato semplificato “all’esito delle trattative” qualora non sia stata “individuata una soluzione tra quelle di cui al comma 1”, quando cioè l’esito delle trattative sia stato negativo. In tal caso il debitore può, “in alternativa”, fare ricorso alle procedure elencate nel rivisto secondo comma dell’art. 23, tra le quali è compreso il concordato semplificato, nel senso che le soluzioni prospettate non sono alternative a quelle di cui al comma primo in presenza delle stesse condizioni, ma sono alternative tra loro, utilizzabili quando le condizioni non hanno permesso di raggiungere una delle convenzioni stragiudiziali elencate nel primo comma.

 

B-Natura liquidatoria

Il carattere liquidatorio del concordato semplificato emerge chiaro dalla lettera delle norme che se ne occupano. Invero, la lett. c) del comma secondo dell’art. 23 dispone che, all’esito delle trattive, l’imprenditore può “proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 25-sexies” e l’art. 25-sexies, la cui rubrica recita: “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata”, a sua volta, identifica il concordato semplificato in “una proposta di concordato per cessione dei beni” e richiede la presentazione, non di un piano come nell’art. 87, bensì di un “piano di liquidazione” e all’esperto un parere “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione”.

Nonostante l’inequivoco significato del testo normativo, autorevolmente si sostiene che la formula legislativa impedisce la continuità diretta in capo all’imprenditore[8], ma non quella indiretta perché questa risulta di fatto espressamente ammessa dall’art. 25-septies, ove si prevede che il piano possa comprendere l’offerta di un compratore – con efficacia immediata, prima ancora dell’omologa – riferita all’intera azienda o ad uno o più dei suoi rami[9].

L’argomento non sembra molto convincente sia per la chiara lettera delle norme citate, sia perché anche nella continuità indiretta rimane quale elemento qualificante la prosecuzione della gestione aziendale da parte dell'imprenditore cedente e di quello cessionario, che manca nella figura di nuovo conio. Invero, la legge consente che la liquidazione del concordato semplificato possa avere ad oggetto una azienda o rami della stessa, ma anche la vendita atomistica dei singoli componenti; non richiede che nel piano concordatario che prevede la vendita unitaria del complesso aziendale sia contemplata la prosecuzione dell’attività fino alla liquidazione e nulla è previsto circa la sorte futura dopo la liquidazione; il piano del debitore che richiede l’omologa del concordato semplificato non deve essere corredato dalla documentazione richiesta dall’art. 87 per il concordato in continuità - tra cui “un piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria” (art. 87, co. 1, lett. c) e la relazione dell’attestazione contenente una specifica certificazione “che il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”(art. 87, co. 3)-, ma è sufficiente che ad esso sia allegata la documentazione di cui all’art. 39, come espressamente richiesto dall’art. 25-sexies; in sede di omologa il tribunale non è tenuto a verificare che “il piano non sia privo di ragionevole prospettive di impedire o superare l’insolvenza”, né che i finanziamenti richiesti ”siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 112, co. 1 lett. f); la distribuzione dell’attivo nel concordato semplificato non è soggetto ai vincoli di cui al sesto comma dell’art. 84- che, per il concordato in continuità, detta regole distributive che, per il valore eccedente quello di liquidazione, propongono il criterio della priorità relativa- ma deve rispettare il principio della priorità assoluta (alla base anche del concordato liquidatorio ordinario), in quanto, a norma dell’art. 25-sexies, co. 5, il tribunale, per l’omologa, deve verificare “il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione”; non vengono richiamate nella nuova figura in esame le norme tipiche e connaturate alla continuità[10], né altre disposizioni che, seppur utilizzabili anche nei concordati liquidatori, trovano il loro campo elettivo di applicazione nei concordati con continuità[11]. Se tutto ciò è vero, diventa oltremodo difficile innestare la continuità sul concordato semplificato in quanto appare chiaro che la previsione della cessione unitaria dell’azienda o di un ramo della stessa costituisce una delle possibilità di liquidazione dei beni quale forma di miglior realizzo, come nella stessa liquidazione giudiziale, ove il primo comma dell’art. 214 espressamente la preferisce a quella particellizzata.

Pertanto si può dire che il nuovo tipo di concordato è ascrivibile, sia per la chiara qualificazione legislativa sia per la sua funzione satisfattoria, alla categoria dei concordati liquidatori, seppur indirettamente possa favorire la continuità, come lascia intendere il già citato art. 25- septies quando disciplina la cessione dell’azienda o di ramo della stessa già prima dell’omologa, ma la continuazione dell’impresa è un dato eventuale, per nulla valorizzato dal nuovo legislatore, anche quando sia già in corso un affitto di azienda finalizzato al trasferimento della stessa.

 

C-Assenza di votazione

Il fatto che l’imprenditore che intende accedere al concordato semplificato debba chiedere al tribunale non l’ammissione alla procedura, bensì direttamente l’omologazione, fa capire che la proposta del debitore non è soggetta all’approvazione dei creditori, che dovrebbe manifestarsi attraverso il voto nella fase antecedente al giudizio di omologazione, come è confermato dalla mancanza di qualsiasi previsione sulla votazione e sulle maggioranze nonchè dal mancato richiamo della relativa disciplina dettata per gli ordinari concordati.

Il concordato coatto non costituisce una novità assoluta in quanto è previsto in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 314 CCII), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999) e nel caso del piano del consumatore in tema di sovraindebitamento (artt. 67 e segg. CCII, ma ciascuna di queste fattispecie presenta una giustificazione.

La mancanza del voto nel piano del consumatore si spiega agevolmente con le prevedibili ridotte dimensioni della crisi rapportata ad “una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”, per cui i creditori “al cospetto di un dissesto di piccolo cabotaggio, difficilmente rivelerebbero un interesse traducibile in una partecipazione attiva, tanto che qualora quell’interesse in concreto affiorasse rischierebbe di collegarsi a motivi (o risentimenti) originati da un microcosmo di rapporti di natura personale, più che alla necessità di apprezzare la convenienza in sé della proposta”[12]; ed infatti, la votazione dei creditori è ripresa nel concordato minore (art. 79 CCII). Nelle altre ipotesi di concordato coatto, la mancanza del voto è giustificata dalla natura degli interessi pubblicistici perseguiti, che prevalgono su quelli del ceto creditorio, nonchè dalla necessità dall’intervento o dell’autorizzazione alla presentazione del concordato da parte dell’Autorità amministrativa che vigila sulla procedura[13]e, si tratta, comunque, di concordati che intervengono nel corso delle indicate procedure, ove il debitore ha già perduto la disponibilità del suo patrimonio, nel mentre il debitore che accede al concordato semplificato è in bonis e tenta, con tale strumento il cui contenuto è libero di definire in piena autonomia, di evitare la dichiarazione di insolvenza, così come potrebbe fare richiedendo l’ammissione ad un concordato liquidatorio ordinario.

Nel concordato semplificato, cioè, è assente la tutela di un interesse pubblicistico dal momento che, come detto, questa nuova figura incarna il modello classico del concordato liquidatorio, ove la cessione unitaria dell’azienda è prospettata solo come una delle possibilità liquidatorie (neanche posta in via preferenziale sulle vendite particellizzate, come invece dispone il primo comma dell’art. 214 per la liquidazione nella procedura maggiore), per cui non si vede perché, in una situazione del genere, non sia data ai creditori la possibilità di esprimersi su una questione che riguarda principalmente i loro diritti e, in particolare, di fare essi quella fondamentale valutazione di convenienza se aderire alla proposta o preferire l’apertura della liquidazione giudiziale, invece che attribuire al tribunale l’inedito ruolo di custode degli interessi economici dell’intero ceto creditorio[14], al punto da lasciare a tale organo il controllo anche della fattibilità economica del piano. Ed è appena il caso di ricordare che, anche nei concordati con continuità aziendale diretta o indiretta, caratterizzati, sicuramente più di un concordato liquidatorio, dal mantenimento dell’azienda in esercizio e dalla salvaguardia dell’impresa e dei posti di lavoro, la scelta tra la soluzione concordataria e quella liquidatoria giudiziale è rimessa al consenso dei creditori, ciascuno dei quali esprime il proprio voto in base alla valutazione sulla convenienza in punto di tempi, misura e probabilità di soddisfazione delle rispettive ragioni; il concordato, pertanto, arriva alla fase dell’omologa solo se raggiunge le maggioranze di legge, alle quali- come in ogni delibera di una comunità, volontaria o involontaria- deve sottostare la minoranza, che mantiene ancora il diritto di proporre opposizione.

Nel concordato semplificato è prevista soltanto l’opposizione e la perdita del diritto di voto non è compensata dal fatto che la contestazione sulla convenienza sia state attribuita a ciascun creditore e non riservata esclusivamente al creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, ai creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, come invece prevede il quinto comma dell’art. 112. E’ chiaro, infatti, che la possibilità di proporre opposizione è ben poca cosa rispetto alla privazione del diritto di voto, se si pensa che il creditore, invece di poter esprimere liberamente e gratuitamente il proprio parere con la possibilità (più limitata nel nuovo sistema che non prevede una adunanza) di convincere anche altri sulle proprie posizioni, deve munirsi di un difensore per costituirsi nel giudizio di omologa per far sentire la propria voce, ove, peraltro, l’opposizione assume una rilevanza del tutto marginale in quanto il campo di indagine affidato d’ufficio al tribunale dal comma quinto dell’art. 25-sexies assorbe tutti i controlli che i creditori potrebbero sollecitare[15]. Eliminata la votazione, senza che alcun interesse di natura pubblicistica superiore giustificasse un tale sacrificio, e mancando la evidenziazione del dissenso, non si poteva più fare riferimento ai dissenzienti, per cui ammettere l’opposizione individuale è il minimo che si potesse prevedere per garantire, almeno indirettamente, il diritto di difesa costituzionalmente tutelato, ma rimane il fatto che i creditori non possono impedire che la proposta concordataria arrivi all’omologa, che già di per sé comporta una compromissione del diritto di difesa[16].

Non persuade, inoltre, la spiegazione fornita nella Relazione al d.l. n. 118/2021[17], e cioè che questo forte ridimensionamento del ruolo dei creditori trova una giustificazione nel fatto che il concordato semplificato costituisce uno sbocco della negoziazione precedente, nella quale i creditori sono stati già coinvolti, sia perché non è indispensabile il coinvolgimento di tutti i creditori nella fase stragiudiziale ove, ”anzi, la selettività è uno dei tratti che caratterizzano lo strumento negoziale”[18], per cui manca qualsiasi garanzia che siano stati sentiti tutti[19], sia perchè nell’ambito della composizione negoziata l’ottica in cui le trattative si sono svolte era quella di trovare soluzioni praticabili per prevenire la crisi o per raggiungere il risanamento aziendale, nel mentre nel concordato semplificato- che presuppone il fallimento delle precedenti trattative- l’ottica è prettamente liquidatoria, per cui sarebbe quanto mai opportuno appurare come la diversità di opinioni già eventualmente raccolte sulle prospettive risanatorie dell’impresa si traduce in un voto su una nuova proposta di carattere liquidatorio, completamente diversa dalle precedenti eventualmente formulate.

Né, infine, l’abolizione del voto trova una giustificazione nella celerità cui è improntata la nuova procedura perché, a questo fine, sarebbe bastato abolire l’adunanza, e non il voto, come è sempre stato nel concordato fallimentare ed ora in quello giudiziale e come prevede il nuovo CCII anche per il concordato preventivo, dando così ai creditori la possibilità di esprimersi su una questione che riguarda direttamente i loro diritti ed interessi .e, principalmente, di fare essi quella fondamentale valutazione di convenienza se aderire alla proposta o preferire la dichiarazione di fallimento, invece che rimetterla soltanto al tribunale.

 

D-La flessibilità del contenuto della domanda

Avendo la legge qualificato la nuova figura in esame quale concordato per la liquidazione del patrimonio, il contenuto della domanda di omologazione di tale tipo di concordato è quello tipico di un concordato con cessione dei beni, che, come è noto, nonostante la libertà data al debitore dalla riforma degli anni 2005-2007 di ristrutturare i debiti e soddisfare i creditori “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni”, che ha attribuito al concordato con cessione una profonda atipicità, segue nella prassi prevalentemente il modello che si sostanzia nella messa a disposizione dei creditori dei beni costituenti il patrimonio del debitore, con trasferimento dei soli poteri gestionali e dispositivi finalizzati alla liquidazione dei beni, nella loro interezza o particellizzati, e al riparto del ricavato nell’interesse dei creditori.

Il concordato semplificato può avere la stessa struttura, ma ingloba anche la figura di una proposta c.d. chiusa, che contenga la predeterminazione delle modalità della liquidazione, del o degli acquirenti, il prezzo di vendita ecc., preceduta, come spesso avviene, da contratto di affitto di azienda con diritto di prelazione; questa fattispecie è normalmente ascrivibile al concordato con continuità indiretta, ma può rientrare nel concordato semplificato in quanto, come già detto, l’ottica in cui si muove questa procedura è solo ed esclusivamente liquidatoria, per cui anche la vendita unitaria dell’azienda o di rami della stessa non è considerata sotto il profilo del risanamento dell’impresa, finalità ormai già accantonata a causa dell’esito infruttuoso delle trattative, ma è vista solo come occasione di una più proficua liquidazione. Inoltre alla proposta di cessione dei beni possono accompagnarsi delle garanzie, dal momento che il parere dell’esperto ha ad oggetto anche le garanzie offerte e viene prospettata[20] anche la presenza di un assuntore che si ponga come cessionario dei beni.

E la stessa platea dei soggetti che possono usufruire del concordato semplificato è più ampia di quella che può accedere al concordato preventivo, essendo quest’ultimo riservato ai soli imprenditori commerciali (non quelli agricoli) che non siano sotto soglia[21], nel mentre la nuova procedura è riservata a qualsiasi debitore che svolga attività d’impresa, iscritto nel registro delle imprese, posto che, non potendo la nuova figura essere utilizzata in via autonoma e immediata ma solo quale sviluppo della composizione negoziata non riuscita, devesi ritenere, nel silenzio dell’art. 25-sexies (che parla genericamente di imprenditore), che al concordato semplificato possano fare ricorso, dal punto di vista soggettivo, solo e tutti coloro che possono chiedere la nomina dell’esperto per la composizione negoziata, ossia qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, soggetto a liquidazione giudiziale o ad amministrazione straordinaria o alle procedure di sovraindebitamento, non essendo previsti limiti dimensionali, né verso l’alto né verso il basso.

La mancanza di qualsiasi indicazione circa il contenuto della domanda o del piano di liquidazione, nonchè la mancanza del voto dei creditori, rendono condivisibile la soluzione di chi sostiene che, quale che sia la risposta che si preferisca con riferimento al concordato preventivo ordinario, nel semplificato non è consentita la cessione parziale dei beni ai creditori, posto che “nel concordato preventivo sono i creditori a votare ed a decidere anche sulla possibile conservazione di parte del patrimonio in capo al debitore, mentre nel concordato semplificato i creditori non votano, così che non vi sarebbe giustificazione, o meglio legittimazione, rispetto ad una cessione solo parziale dei beni”[22].

A differenza del concordato liquidatorio ordinario, per quello in esame non è indicata alcuna soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari quale presupposto di ammissibilità né si accenna all’apporto di risorse esterne, che sono gli elementi che caratterizzano il concordato ordinario con liquidazione del patrimonio, nel quale, come dispone l’art. 84, co. 4, “la proposta prevede (nel senso di deve prevedere) un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20 per cento del loro ammontare complessivo”; negli artt. 25-sexies e 25-septies non vi è alcun richiamo al quarto comma dell’art. 84[23], anzi tale norma è completamente ignorata, per cui nel concordato semplificato è inesistente l’obbligo di assicurare ai creditori chirografari il pagamento del 20% minimo e di apportare risorse esterne tali da incrementare di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile.

Il contenuto della proposta del concordato in esame è improntato, quindi, alla massima flessibilità, in cui gli unici criteri da seguire sembrano essere quelli che individuano l’oggetto del giudizio di omologazione e, quindi, rispettare l’ordine delle cause di prelazione in applicazione della regola della priorità assoluta, proporre un piano che possa superare il vaglio della fattibilità giuridica ed economica in forza del quale i creditori non vengano a percepire meno di quanto potrebbero ottenere in caso di apertura della liquidazione giudiziale e prospettare le utilità, non necessariamente in denaro, per ciascun creditore.

Ne discende che ai creditori chirografari potrebbe essere promessa anche una soddisfazione irrisoria, che comunque supererebbe la critica della inidoneità di una tale percentuale a concretare la ricorrenza della causa del concordato nella singola proposta, come si diceva prima della fissazione della soglia minima nel 2015[24], o che una proposta irrisoria sarebbe una proposta priva di causa[25]perché, come acutamente obiettato[26], “quando si è postulato che la causa del concordato è la regolazione della crisi e non il soddisfacimento dei creditori, si è implicitamente negato che una proposta irrisoria sia inammissibile perché priva di causa”. Ed, infatti, la Cassazione, con riferimento all’epoca in cui non ancora esisteva un limite minimo di soddisfazione dei creditori chirografari, sebbene un soddisfacimento a costoro dovesse essere dato in base alle previsioni dell’art. 160 l. fall., ha chiarito che “la causa concreta della procedura di concordato preventivo, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha un contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore e, nel contempo, all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori. In questa prospettiva interpretativa non è possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta concordataria possa ritenersi - secondo la disciplina applicabile ratione temporis -, di per sè, inadatta a perseguire la causa concreta a cui la procedura è volta”[27].

In un sistema del genere giustamente nel d.l. n. 118 del 2021 non era contemplata la facoltà per il debitore di dividere i creditori in classi, ma poi nel comma primo dell’art. 18, la legge di conversione ha introdotto la previsione che “La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi”, e la medesima previsione è stata mantenuta nell’art. 25-sexies, senza aggiungere altro, né che la classazione va fatta secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, né l’indicazione dei criteri adottati per la formazione delle classi, nè che debbono essere riservati trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, come previsto dal primo comma dell’art. 85, né sulla facoltatività o obbligatorietà della classazione, di cui tratta l’art. 85[28], e senza neanche una disposizione in ordine al controllo del giudice.

La previsione della classazione non è stata, a mio avviso, una scelta felice, se la si collega all’abolizione dei limiti di cui all’art. 84 e del diritto di voto. In questo contesto, infatti, l’aver concesso al debitore di dividere i creditori in classi, consente a costui l’ulteriore libertà di selezionare i creditori che intende privilegiare, inserendoli in determinate classi, con sacrificio di altri, accentuando il rischio di manovre poco trasparenti, tanto più possibili mancando il controllo dei creditori attraverso la votazione. Questa ulteriore libertà concessa al debitore accentua, altresì, la forza persuasiva che la prospettiva del concordato semplificato assume nel corso delle trattative per la composizione negoziata in quanto i creditori sanno che, all’esito negativo delle stesse, l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio improntato alla massima flessibilità, cui si aggiunge l’ulteriore rischio di subire, attraverso la formazione delle classi, un trattamento differenziato, eventualmente punitivo per chi si è opposto ad una soluzione negoziata, rispetto ad altri che si trovano nella stessa posizione giuridica.

 

E-Assenza dell’obbligo della competitività nella liquidazione dei beni

La disciplina della nuova figura concordataria dà un duro colpo alla competitività giacchè, “quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 25-sexies comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”, l’art. 25-septies, invece di prevedere l’apertura di un procedimento competitivo, come prescrive l’art. 91, dispone che l’ausiliario autorizzato dal tribunale e, dopo l’omologa, il liquidatore giudiziale (senza autorizzazione del tribunale), possono procedere alla vendita dall’azienda o di singoli beni “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”.

E’ chiaro che la verifica dell’assenza di migliori condizioni sul mercato, che può essere constatata attraverso qualsiasi mezzo, è cosa ben diversa dall’apertura di una procedura competitiva con le forme di cui all’art. 91; peraltro, le modalità del procedimento competitivo esposte da tale norma, con le connesse forme di pubblicità, il meccanismo per la scelta dell’offerta migliore e la possibilità di una gara tra più offerte migliorative sono chiaramente incompatibili con la semplificazione del rito del nuovo strumento concordatario nel periodo che precede l’omologa, ove l’unica garanzia è offerta dall’autorizzazione del tribunale che, tuttavia, come si vedrà meglio in prosieguo, non gode in questa fase di particolari poteri di indagini e, quindi, il vero arbitro diventa l’ausiliario che esprime il giudizio sulla mancanza di soluzioni migliori sul mercato.

Nel Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, n. 23094, al punto 12 della Sez. III rubricato “Cessione dell’azienda nella composizione negoziata o nell’ambito del concordato semplificato (nella fase tra la domanda e l’omologa)”, è contenuta una serie di indicazioni all’esperto, tra cui l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente, ma non viene mai citato l’ausiliario, che è l’organo del concordato semplificato nella fase tra la domanda e l’omologa; né è possibile estendere automaticamente all’ausiliario questi “consigli” dati all’esperto per la diversità delle procedure in cui essi operano e la diversità delle finalità della cessione aziendale. Nella composizione negoziata, infatti, la cessione dell’azienda è configurata come uno strumento di soluzione della crisi, in cui il tribunale interviene per verificare che si tratti di atto funzionale ad assicurare la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori ed è questa premessa che giustifica l’operare del principio di competitività e l’esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti anteriori inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta[29]. Nel concordato semplificato la cessione dell’azienda nella sua interezza (o di rami della stessa) è uno dei modi di liquidazione del patrimonio messo a disposizione dei creditori, preferibile alla vendita particellizzata in quanto presumibilmente più proficua per i creditori; ma è una vendita coattiva- come fa intendere l’inequivoco richiamo degli artt. da 2919 a 2929 c.c.- per la quale è dettata l’apposita previsione che all’offerta può essere data esecuzione “verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato” che, per la sua specificità, prevale sulla norma generale, oltre ad essere incompatibile con il ricorso alla competitività.

Dopo l’omologa la competitività potrebbe trovare spazio in quanto la vendita dei beni formanti oggetto della cessione “si realizza in un contesto proceduralizzato dai dettami del concordato omologato, attraverso atti che il medesimo debitore non sarebbe più ormai libero di non compiere, per finalità satisfattorie dei creditori del tutto analoghe a quelle della procedura esecutiva fallimentare ed in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità”[30]. Il fatto tuttavia che il liquidatore operi in un contesto procedurale per il perseguimento di finalità che, come nella liquidazione fallimentare, coinvolgono l’intera massa dei creditori nel rispetto di quelle regole che l’art. 114 richiama, evapora nel concordato semplificato in cui il liquidatore, senza bisogno di autorizzazione del tribunale, senza procedure competitive, può liquidare il patrimonio del debitore concordatario, “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”, che, si ripete, è norma specifica della fattispecie che prevale su quelle di carattere generale.

A tanto è da aggiungere che in tema di concordato liquidatorio ordinario la S. Corte è ormai concorde nell’affermare che il potere di nomina del liquidatore da parte del tribunale è vincolato alla designazione fatta dal debitore, a condizione che essa sia rispettosa dei requisiti previsti dall'art. 28 l.fall. e che il decreto con il quale il tribunale in sede di omologazione provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato nella proposta approvata, è impugnabile per cassazione a norma dell'art. 111, comma 7, Cost.[31]; ne segue che anche nel concordato semplificato il richiamo dell’art. 114 fa sì che l'indicazione del debitore rivesta i tratti e la portata della designazione vincolante, sempre che il soggetto designato abbia le caratteristiche per svolgere questo incarico[32] e che le "modalità di liquidazione dei beni debbono essere stabilite dal tribunale, col provvedimento di omologazione del concordato, soltanto se non siano già previste nel concordato medesimo"[33]. L’art. 114 prevede anche la nomina di un “comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione”, ma la presenza di tale organo nel concordato semplificato è completamente svilita, al punto da far dubitare della necessità della sua nomina, in quanto le modalità delle vendite “di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco”, per le quali l’art. 114 richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori, si svolgono, nel concordato semplificato, secondo le modalità descritte dall’art.25-septies, che non richiedono l’autorizzazione del giudice delegato né del tribunale, e rendono incompatibile l’applicazione dell’art. 216, con il suo precetto cardine di attuare le vendite tramite procedure competitive.

In sostanza il liquidatore, eventualmente indicato dallo stesso debitore che ha presentato un piano liquidatorio che già contiene una proposta di acquisto di azienda o di un ramo della stessa, può accettare e dare esecuzione alla stessa verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, con l’unico controllo del tribunale effettuato in sede di omologa quando ha ritenuto quella proposta non era pregiudizievole per i creditori.

 

3-La fase dell’ammissione. Poteri del giudice

Come già si è detto e come emerge chiaro dal secondo comma dell’art. 25-sexies, l’imprenditore che intende accedere al concordato semplificato non è tenuto a presentare al tribunale competente una domanda di ammissione alla procedura, come invece richiede l’art. 40, ma a questo chiede direttamente l’omologa del concordato, sulla base della proposta e del piano liquidatorio presentati.

Manca, quindi, nel concordato semplificato quella fase della valutazione dell’ammissibilità del concordato preventivo di cui all’art. 47- che regola espressamente (al comma 1, lett. a) l’attività del tribunale al momento dell’esame di una domanda di concordato liquidatorio- e tale norma, non richiamata, non é suscettibile di applicazione analogica alla nuova fattispecie sia per le già evidenziate differenze tra concordato liquidatorio ordinario e quello semplificato, sia per la mancata previsione in quest’ultimo di un giudizio di ammissibilità chiedendo il debitore direttamente l’omologa, sia perché, comunque, il legislatore non ha serbato il silenzio sul punto ammissione, ma ha disciplinato la fase iniziale della procedura con una autonoma normativa che riprende quella del concordato fallimentare (che, ora, espunto il lemma “fallimento” dal nuovo codice, potremmo chiamare concordato giudiziale in quanto interviene nel corso della liquidazione giudiziale).

A norma dei commi 3 e 4 dell’art. 25-sexies, infatti, il tribunale “valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile…”; con il medesimo decreto “ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale e al parere dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 39, ove possibile a mezzo posta elettronica certificata o, in mancanza, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione e fissa l’udienza per l'omologazione” indicando il termine entro cui tale udienza va fissata[34].

Si tratta, come si vede, dell’adattamento alla fattispecie del secondo comma dell’art. 241 (che riprende l’art. 125 l. fall.), in forza del quale il giudice delegato alla liquidazione giudiziale, ricevuta la domanda di concordato, chiede “il parere del curatore, con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie offerte” e “acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori, valutata la ritualità della proposta, ordina che la stessa, unitamente al parere del comitato dei creditori e del curatore, venga comunicata a cura di quest'ultimo ai creditori…” (nell’art. 25-sexies manca ovviamente la parte relativa alla votazione e all’esame di più proposte non essendo prevista la votazione né ammissibili proposte concorrenti nel concordato semplificato).

In sostanza, sul corpo di un concordato preventivo è stata innestata la testa di un concordato giudiziale (ex concordato fallimentare) e la creazione di questo ircocervo non è stata, a mio parere, una soluzione felice. Invero, il concordato giudiziario si inserisce in una procedura di liquidazione giudiziale della quale costituisce una modalità di chiusura, nel mentre il concordato semplificato non si innesta in una procedura concorsuale pendente, ma segue la fase stragiudiziale di composizione negoziata quando questa è cessata senza esito positivo e propone ai creditori una soluzione concordataria che passa attraverso la liquidazione dei beni, in alternativa proprio ad un concordato preventivo liquidatorio oppure all’apertura di una liquidazione giudiziale, che si intende evitare con la proposta di concordato preventivo, sia esso semplificato o non. Inoltre l’esperto che ha svolto attività di mediazione nella fase pregressa non è minimamente paragonabile al curatore della liquidazione giudiziale in atto, che ha “gestito” la procedura fino al momento della domanda concordataria e, di conseguenza, ben diversa è la valenza del parere che questi due organi possono dare sui presumibili risultati della liquidazione. Ben diversa è anche la posizione del giudice al quale perviene la domanda di concordato, in quanto, al di là della monocraticità o collegialità, in un caso, il giudice delegato ha seguito la procedura di liquidazione giudiziale ed ha acquisto l’intero bagaglio di conoscenze che questa ha presentato, e nell’atro il tribunale viene per la prima volta a contatto con la realtà dell’impresa al momento in cui è presentata la domanda di omologa del concordato semplificato.

Ad ogni modo, avendo il legislatore preso a modello l’art. 241, è corretto dire che nel concordato semplificato manca una fase di ammissione del tipo di quella prevista per il concordato preventivo ordinario e, pertanto, è da escludere che il tribunale possa, concedere un termine al debitore per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, come previsto dal secondo periodo del quarto comma dell’art. 47, o che sia obbligato a sentire il debitore, neanche nel caso non intenda dar seguito alla procedura, come richiesto dal primo periodo dello stesso comma e articolo, o che debba emettere i provvedimenti elencati nel comma 2 dell’art. 47 in caso di ammissione alla procedura; di conseguenza è da escludere che il tribunale debba procede alla nomina di un giudice delegato alla procedura, che è figura non contemplata[35] o di un commissario giudiziale (l’art. 25-sexies prevede infatti la nomina di un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c.) o indicare la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, che non sono chiamati a votare, o fissare il termine per il deposito del fondo per le spese di procedura[36], che individuano il contenuto del provvedimento di apertura della procedura concordataria elencato nelle lett. da a) a d) del secondo comma dell’art. 47. E’ da escludere, altresì, che possano essere emessi i provvedimenti cautelari di cui al primo comma dell’art. 54[37] in quanto detta norma- seppur dettata per gli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza tra i quali rientra il concordato semplificato- individua nominativamente le procedure nelle quali possono essere emessi detti provvedimenti cautelari, e, cioè “nel corso del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione o del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione”; non è richiamato il concordato semplificato proprio perché in una procedura priva della fase ammissiva, in cui il debitore chiede direttamente l’omologa del concordato, non vi è spazio per l’espressione di un potere generale di cautela, connotato da atipicità quanto ai contenuti, conservativi o anticipatori o inibitori, che la misura può assumere allo scopo di impedire l’infruttuosità o la tardività della futura sentenza.

E, non a caso, nella parte finale del comma ottavo dell’art. 25-sexies, nel rendere applicabile alla fattispecie l’art. 106 (corrispondente all’art. 173 l. fall.) si precisa che a tal fine “il decreto di cui al comma 4 (quello con cui il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato) equivale all'ammissione al concordato”, che offre la dimostrazione di quanto il legislatore sia conscio della mancanza di una fase di ammissione e di un provvedimento di ammissione, altrimenti non avrebbe sentito il bisogno di individuare un atto equivalente ad un provvedimento di ammissione per fissare il momento dal quale diventa applicabile l’art. 106.

Di contro, stante la derivazione della recente normativa dalla previsione dell’art. 241, e prima ancora dall’art. 125 l.fall., è alla disciplina della fase introduttiva del concordato giudiziale che bisogna fare riferimento quale supporto interpretativo[38]; e, poichè a norma del terzo comma dell’art. 25-sexies il tribunale- in composizione collegiale per il disposto del n. 4 dell’art. 50-bis, c.p.c. - per procedere alla nomina dell’ausiliario e alla fissazione dell’udienza per l’omologazione, ossia per dar corso alla procedura, deve valutare la ritualità della proposta e acquisire la relazione finale dell’esperto (che contiene anche il suo giudizio sulla correttezza dello svolgimento delle trattative nella fase negoziale) e il parere dello stesso esperto sui presumibili risultati della liquidazione, si tratta di capire in cosa consiste la valutazione della regolarità della proposta.

Per rispondere a questo quesito viene in aiuto la scarsa giurisprudenza[39] e la prevalente dottrina che si sono occupate della medesima questione nell’interpretazione dell’art. 125 l.fall. che, pur nella diversità delle espressioni utilizzate, hanno fornito un dato univoco e, cioè che “per ritualità si deve intendere un controllo di pura legittimità e cioè un controllo volto a far emergere eventuali vizi del procedimento”[40]; giudizio che discende dalla accentuazione dei profili privatistici del concordato fallimentare attuata con la riforma degli anni 2005-2007, per cui è stato sottratto al giudice delegato il potere di valutare l’eventuale convenienza della proposta che viene, invece, comunicata ai creditori una volta sentiti il comitato dei creditori e il curatore”.

E, poiché nel concordato fallimentare i creditori esprimono il voto, la S. Corte[41] ha potuto affermare che “Il procedimento di omologazione, poi, ha ad oggetto solamente la verifica della regolarità formale della procedura e dell'esito della votazione, salvo che il concordato preveda la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti (circostanza che qui non rileva), restando pertanto esclusa ogni valutazione sul contenuto della proposta, contrariamente a quanto previsto dal testo originario della L. Fall., art. 130, che demandava al tribunale non solo un controllo in ordine alla ritualità del procedimento ed all'osservanza degli adempimenti prescritti dalla legge, ma anche l'esame del merito della proposta, e, quindi, la valutazione della sua convenienza ed opportunità”.

La differente incidenza del giudice nel concordato semplificato rispetto a quello giudiziale o fallimentare si ha, quindi, nella fase della omologa in quanto, mancando nel primo l’espressione del voto, sono accentuati i poteri del giudice, ma nella fase iniziale, il dato testuale della norma che condensa il potere del giudice delegato nell’esame sulla ritualità della proposta-letto anche in parallelo alla originaria previsione dell’art. 125, secondo la quale il giudice, solo “se ritiene la proposta conveniente”, ne ordina la comunicazione ai creditori- ammette nella fase iniziale del concordato fallimentare un vaglio sulla proposta, ma esclude un esame che scenda nel merito della stessa, incanalando l'intervento del giudice nell'alveo della legittimità che viene, così circoscritto alla ritualità formale della proposta, che comprende tuttavia la possibilità di rilevare situazioni plateali ed evidenti di inammissibilità per chiara non fattibilità, evidente non convenienza, ecc.

Una indagine nel merito è prevista, ma nel giudizio di omologazione, in quanto il comma quinto dell’art. 25-sexies prevede, che in sede di omologazione il tribunale accerti il rispetto dell’ordine delle prelazioni, la fattibilità del piano di liquidazione e la convenienza della proposta e del piano e l’assicurazione a ciascuno della guarentigia di un’utilità. Se questo è il thema decidendum del giudizio di omologazione in una procedura in cui il debitore chiede direttamente l’omologazione del concordato e non l’ammissione o l’apertura della procedura, non si può evidentemente anticipare al momento iniziale quel controllo riservato dalla legge ad un momento successivo.

Chi, infatti, sostiene che “il tribunale comunque potrà vagliare – già in questa fase prodromica – sia che la proposta rispetti le cause legittime di prelazione, sia che il piano di liquidazione sia fattibile” perché “sarebbe del tutto inutile nominare l’ausiliario e fissare l’udienza di omologa, quando la proposta del debitore non ha alcuna possibilità di ottenere un giudizio favorevole al termine della relativa fase di omologazione[42], non fa altro che anticipare nella fase di ammissione, ove il legislatore richiede al giudice solo di valutare la ritualità della proposta nella riservatezza della camera di consiglio senza alcun contraddittorio, il giudizio di omologazione; valutazione che non può che risolversi nella conformità della proposta ai requisiti prescritti dall’art. 25-sexies, vale a dire nella corrispondenza di essa allo schema legale, ossia limitarsi alla mera legittimità formale[43].

Non vi è dubbio che il rinvio alla successiva fase dell’omologa delle questioni che possono essere esaminate all’inizio comporta “attività inutili e dispendiose, senz’altro da evitare in situazioni di risorse limitate”[44], ma il fatto è che il legislatore ha statuito che il debitore chieda direttamente l’omologa del concordato semplificato, quando avrebbe ben potuto, pur escludendo la votazione, regolamentare una fase di ammissione non basata soltanto sul controllo della ritualità della proposta, e non lo ha fatto.

Né si può recuperare una tale indagine nella fase introduttiva facendo leva sull’art. 106 co. 2, nella parte in cui dispone che l’ammissione alla procedura può essere revocata quando risulta che manchino le condizioni che hanno consentito in precedenza di avviarla perchè il richiamo e la conseguente applicazione, per questa parte, dell’art. 106 al concordato semplificato presuppone che ci sia stata un provvedimento di ammissione che possa essere revocato quando le condizioni che lo reggevano siano venute meno nel corso della procedura. Orbene, se nella disciplina dell’art. 25-sexies, come sopra visto, non è contemplata una fase di ammissione, né un provvedimento di ammissione, dato che l’imprenditore che intende accedere alla nuova procedura chiede al tribunale direttamente l’omologa del concordato e solo in questa fase si attribuiscono al tribunale poteri di indagine nel merito, ne discende che la revoca può essere disposta per i vari motivi previsti dall’art. 106, ma non per il venir meno delle condizioni che ne avevano giustificato il provvedimento di ammissione[45]. E significativo è che il nuovo legislatore nel secondo comma dell’art. 106 preveda la revoca non “se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità” (come dispone il terzo comma dell’art. 173 l. fall.,) ma “in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'apertura del concordato previste agli articoli da 84 a 88”, ove l’espresso richiamo della normativa sul concordato ordinario avalla l’idea che la norma di cui all’art. 106- adattata alla fattispecie in esame per la parte compatibile- non trovi applicazione, per la parte riguardante il venir meno delle condizioni di ammissibilità, nelle procedure non regolate dalla disciplina dettata dagli artt. da 84 a 88. Nel concordato semplificato, quindi, la revoca non può riguardare il decreto di cui all’art. 47- come prescrive il terzo comma dell’art. 106- bensì quel decreto di cui al quarto comma dell’art. 25-sexies, che il legislatore, proprio e solo ai fini dell’art. 106, ha considerato come equivalente all’ammissione (ult. parte comma ottavo art. 25-sexies), ma non è un provvedimento di ammissione[46], sicchè la revoca può operare al venir meno delle condizioni di emissione di detto decreto; e si ritorna così al problema iniziale di capire quale sia l’oggetto dell’indagine del giudice per l’emissione del decreto di cui al quarto comma dell’art. 25-sexies., da cui la irrilevanza dell’argomento basato sul richiamo dell’art. 106.

A questo punto, si crea un corto circuito perché il legislatore da un lato salta completamente la fase iniziale dell’ammissione al concordato preventivo richiedendo soltanto una valutazione della ritualità della proposta come nel concordato giudiziale, ma, dall’altro, pone delle condizioni di ammissibilità alla procedura, quali la dichiarazione sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase delle trattative, che deve essere contenuta nella relazione finale dell’esperto, così come il parere sui presumibili risultati della liquidazione.

Essendo, infatti, i giudizi positivi dell’esperto sulla meritevolezza e sulla fattibilità e convenienza (cui implicitamente si riconnette la valutazione sui presumibili risultati della liquidazione) posti come condizioni per l’accesso alla procedura, la loro mancanza come il loro contenuto dovrebbe essere verificato nella fase iniziale in modo che il tribunale possa esprimere la sua valutazione; tuttavia un controllo in questa fase sulla fondatezza dei giudizi dati dall’esperto sulla meritevolezza, fattibilità e convenienza incontra una serie di ostacoli:

a- contrasta col dato testuale dell’art. 25-sexies, che richiede una verifica della ritualità della proposta e l’acquisizione della relazione dell’esperto, ove i due verbi utilizzati: valutare riferito alla ritualità della proposta e acquisire riferito alla relazione e al parere dell’esperto, sono significativi di diversi comportamenti in quanto solo il primo presuppone un giudizio (i cui limiti si sono visti), nel mentre il secondo individua un atto materiale finalizzato alla trasmissione ai creditori dei documenti acquisiti.

Significativo è anche che la norma parli di valutazione della “ritualità della proposta”, senza alcun accenno al piano e agli elementi contenutistici dello stesso, nel mentre al momento della omologa il comma quinto richiede al tribunale una verifica della “ritualità del contraddittorio e del procedimento”, quale attività preliminare per passare all’esame nel merito della fattibilità, della mancanza di pregiudizio, ecc. E tanto costituisce una ulteriore riprova che, all’atto della presentazione della proposta di concordato semplificato e della relativa domanda di omologazione, il tribunale - nella carenza di un giudizio sull’ammissione del concordato del tipo di quello previsto per il concordato preventivo e stante la rapida scansione che porta al giudizio di omologa, dove invece tale organo è chiamato a una valutazione comparativa tra proposta concordataria e liquidazione giudiziale- non debba svolgere controlli di merito sui presumibili risultati della liquidazione, né sulla meritevolezza del debitore, ma limitarsi, appunto, alla verifica della ritualità della proposta.

b-una indagine nel merito nella fase iniziale non è compatibile con la struttura organizzativa della procedura, che non prevede alcuna istruttoria che possa far emergere come si sono svolte le trattative in una fase estranea alla procedura in corso o se i risultati della liquidazione possano essere diversi da quelli ipotizzati dall’esperto; in queste condizioni una indagine del genere si sostanzierebbe in una fictio perché si limiterebbe ad una presa d’atto della relazione e del parere dell’esperto, che diventerebbe il depositario del potere di stabilire se un imprenditore possa o non usufruire della nuova procedura di concordato semplificato in quanto un suo giudizio negativo impedirebbe al tribunale di nominare l’ausiliario e fissare l’udienza[47].

L’unico modo per uscire da quest’impasse è ritenere che al tribunale nella fase iniziale sia attribuito un controllo solo formale della relazione dell’esperto, teso a verificare che essa contenga il giudizio, positivo o negativo, sulla buona fede e correttezza del comportamento del debitore nella fase della composizione negoziata e che il parere includa un giudizio, qualunque ne sia l’esito, sui risultati della liquidazione; così come, del resto, è richiesto al tribunale di controllare l’attestazione del professionista indipendente nel concordato preventivo, ove, appunto, per la giurisprudenza “il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi della L. Fall., artt. 162 e 163, ha per oggetto principalmente la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, con la conseguenza che, quanto all'attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori”[48].

Non si può certo pretendere un controllo più incisivo proprio nel concordato semplificato, che manca di una fase di ammissione come quella regolamentata dall’art. 47, per cui appare chiaro che il tribunale, proprio perché non è tenuto nella fase iniziale a valutare nel merito la relazione e il parere dell’esperto, possa, anche in presenza di un giudizio negativo di questi, comunque disporre la nomina dell’ausiliario e fissare l’udienza di omologazione, nella quale concentrare l’accertamento anche della meritevolezza e della fattibilità, nel contraddittorio anche con il debitore, salvo che non emerga la manifesta irragionevolezza delle argomentazioni dell’esperto[49].

Peraltro lo stesso concetto di correttezza e buona fede che devono caratterizzare le trattative è quanto mai dubbio essendo ancora incerta l’ampiezza delle trattative che deve svolgere l’esperto.

Premesso che l’art. 25-sexies, seppur non chiarisca a quale dei protagonisti si debba riferire la valutazione della mancanza di correttezza e buona fede nel corso delle trattative, dà rilievo al solo comportamento del debitore, non potendosi far ricadere su costui il censurabile atteggiamento tenuto dagli altri protagonisti, siano essi i creditori o l’esperto, c’è chi ritiene che “nell’ambito della valutazione di ritualità della proposta di concordato liquidatorio semplificato sotto il profilo della sussistenza della buona fede nella conduzione delle trattative nel corso della composizione negoziata e comunque nella prospettiva dell’omologazione il tribunale può invitare il proponente a chiarire se sussistano i presupposti per l’esperimento di azioni revocatorie, risarcitorie o, restitutorie nell’alternativa fallimentare nonché prescrivere che l’esperto, nel valutare il possibile esito della liquidazione, si pronunci in proposito”[50]; o chi, oltre ad esservi stata una effettiva e completa interlocuzione possibilmente con tutti i creditori interessati dal piano di risanamento e, quindi, che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte, e che abbiano potuto esprimersi su di esse, aggiunge: “Non solo, ma poiché costituisce presupposto per l’accesso al concordato semplificato che non siano risultate praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b) (contratto, convenzione di moratoria, accordo con gli effetti del piano attestato, accordo di ristrutturazione dei debiti), pare necessario che le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme di tali soluzioni, ipotesi cui soltanto il citato art. 23 c. 1 ricollega la conclusione delle trattative con l’esito (positivo) del superamento della situazione di cui all’art. 12. Infine, al fine di consentire ai creditori una partecipazione informata sembrerebbe altresì necessario fornire ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale”[51].

A parte il fatto che, come già detto, la legge non richiede il coinvolgimento di tutti i creditori nella fase stragiudiziale[52], risponde sicuramente ai doveri di correttezza informativa del debitore rappresentare la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati e partecipanti alle trattative in modo completo e trasparente tale da consentire a costoro di interloquire con piena cognizione di causa, così come gestire, in pendenza delle trattative, il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare gli interessi dei creditori, giacchè questi sono i doveri codificati dall’art. 4 a carico delle parti e in parte ripresi dalla disciplina della composizione negoziata (cgr, art. 16, co. 4), nel mentre non trovano riscontro normativo gli altri comportamenti posti a carico del debitore.

Invero, il debitore che accede alla composizione negoziata prospetta (di regola) una proposta per superare le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario in cui si trova allo scopo del risanamento dell’impresa ed è su questa proposta che si svolge l’interlocuzione con i creditori una volta aperta la fase delle trattative, sotto l’egida dell’esperto, il cui compito, a norma del secondo comma dell’art. 12, è quello di agevolare “le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa”. Nel corso delle trattative può trovarsi, quindi, una convergenza sulla proposta presentata da tradursi nella stipula di un accordo, oppure, a seconda di come si evolve la situazione, possono emergere, su iniziativa del debitore o dell’esperto o anche di un creditore, altre soluzioni idonee al superamento della crisi che possono portare comunque a concludere uno degli accordi di cui al primo comma dell’art. 23; di modo che l’indicazione da parte dell’esperto che il debitore non si é adoperato a presentare o a percorrere tutte le soluzioni previste dalla legge per superare la crisi non è di per sé indicativa della mancanza di correttezza o di buona fede, a meno che non sia specificato che il debitore, immotivatamente o addirittura per l’intento di danneggiare i creditori, abbia rifiutato di accedere ad altre soluzioni emerse nel corso delle trattative. In mancanza di specifiche indicazioni sulla condotta di costui, la carenza evidenziata è solo espressione della inesistenza di alternative o della incompletezza dell’attività negoziale svolta, che non può pregiudicare la presentazione della domanda di concordato semplificato non avendo nulla a che fare con la correttezza e buona fede che qualificano un aspetto comportamentale del debitore, cui sono estranei gli atteggiamenti interdittori dei creditori, come la incapacità dell’esperto ad interpretare incisivamente il suo ruolo e ogni altro fattore non riconducibile a chi ha preso l’iniziativa della composizione negoziata e nel corso della stessa ha agito sempre lealmente[53].

Nessuna norma, infine, richiede che sia fornita “ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale”, posto che questa procedura è solo una, anzi concettualmente l’ultima, delle possibilità che viene offerta al debitore in caso di insuccesso della composizione negoziale; fa parte della buona conduzione delle trattative prospettare ai creditori tutti i possibili scenari per il caso dell’esito infausto delle stesse, ivi compresa la possibilità per il debitore di ricorrere al concordato semplificato, sicchè la mancanza di una tale completa informativa non è certo addebitabile al debitore e, tanto meno è sintomo di sua mala fede o scorrettezza.

c-Nella fase iniziale del concordato semplificato non è contemplato quel contraddittorio con il debitore che assicura il quarto comma dell’art. 47, lì dove si prevede che “Il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni di cui al comma 1, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale e il pubblico ministero, con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta”, con l’ulteriore possibilità di “concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti”.

Nella nuova procedura è stato richiamato, come più volte detto, lo schema ammissivo del concordato giudiziale e l’art. 241 richiede il parere non vincolante del curatore e quello vincolante del comitato dei creditori, ma non prevede alcun contraddittorio con chi ha presentato la domanda di concordato, sia esso il liquidato che un terzo. E se una tale situazione si può spiegare nel concordato giudiziale che si innesta in una procedura di liquidazione giudiziale in corso, in cui intervengono i vari organi preposti alla procedura prima di lasciare la parola ai creditori, non può ammettersi in una procedura preventiva, alternativa alla liquidazione giudiziale in cui il debitore stesso è nella pienezza dei suoi poteri- tant’è che, appunto, nel concordato preventivo, l’audizione del debitore è, come detto, contemplata espressamente prima di poter dichiarare inammissibile la proposta- ed in cui i creditori non esprimono il voto.

L’unica spiegazione che può darsi della mancanza di un obbligo di audizione del proponente il concordato semplificato è che all’organo giudiziario è stato attribuito nella fase iniziale un controllo formale esterno, in conformità alla lettura testuale della valutazione della ritualità della procedura richiesta dall’art. 25-sexies, altrimenti, se questo organo potesse dichiarare la inammissibilità anche a seguito di una valutazione negativa della relazione dell’esperto o di diversa opinione sul parere dello stesso, la mancata audizione del debitore attuerebbe una grave lesione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito[54].

In conclusione, il tribunale per poter nominare l’ausiliario, disporre la comunicazione della proposta e documenti correlati ai creditori e fissare l’udienza per l’omologazione, deve valutare la correttezza del percorso relativo alla presentazione della domanda (presenza della documentazione richiesta, della relazione finale e del parere dell’esperto, che questo faccia specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte e contenga il giudizio sulla correttezza e buona fede del debitore nel corso delle trattative, presentazione del ricorso nel termine di legge, competenza del tribunale adito, legittimazione del proponente, ecc.), salvo che non rilevi la sussistenza di una manifesta inammissibilità, tale che, per la sua evidenza, sicuramente escluderebbe l’omologa, con esclusione di ogni valutazione di merito della relazione finale dell’esperto, che contiene anche un giudizio sulla correttezza e buona fede del debitore durante la fase della negoziazione, e del parere sui presumibili risultati della liquidazione.

 

 

4-La fase dell’omologa. Poteri del giudice

“Il tribunale assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore”, dispone il quinto comma dell’art. 25-sexies.

Da questa definizione emergono immediatamente alcune rilevanti differenze rispetto alla disciplina dell’omologazione del concordato ordinario.

a-Non essendo prevista una votazione, non vi sono dissenzienti, per cui l’opposizione può essere proposta da qualsiasi creditore (come da qualsiasi interessato) costituendosi nel termine, definito espressamente perentorio[55] dall’ult. parte del quarto comma dell’art. 25-sexies, di dieci giorni prima dell'udienza fissata. Nel silenzio della legge, presumibilmente, anche l’ausiliario potrà costituirsi nel giudizio di omologa per opporsi all’omologa ed assumere, come il commissario giudiziale, la veste di parte del relativo procedimento, solo in quanto provveda alla propria formale costituzione, munendosi, ex art. 82, comma 3, c.p.c., della rappresentanza tecnica[56]. E’ pacifico che in questa fase possa intervenire il P.M., già destinatario della comunicazione del deposito del ricorso per l’omologa del concordato.

Qualsiasi opponente può anche eccepire la mancanza di convenienza, non essendo tale aspetto riservato, come nel concordato ordinario, al creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, ai creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, data la diversa struttura del nuovo concordato, che non prevede il voto dei creditori ma l’attribuzione al tribunale del potere sostitutivo di valutare la convenienza. Ne consegue, la esclusione della possibilità del cram down di cui al comma quinto dell’art. 112, che fa riferimento, appunto, a contestazioni della convenienza da parte di classi o creditori dissenzienti, che sono categorie non riproducibili in una procedura priva del voto dei creditori. Inoltre il tribunale deve comunque valutare, per omologare il concordato, che ii creditori possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili e, nel momento in cui si è tolto ai creditori la libertà di esprimere il voto e per compenso si è attribuito al tribunale la valutazione della convenienza, non ha più senso il cram down, dovendo comunque il tribunale appurare per l’omologa che il concordato non porti pregiudizio ai creditori[57].

A maggior ragione è da escludere il cram down fiscale e previdenziale di cui al comma 2-bis dell’art. 88, perché l’art. 88, non richiamato dall’art. 25-sexies, è incompatibile con la struttura di una procedura che non prevede l’espressione del voto da parte dei creditori e proprio il silenzio o voto negativo costituisce motivo dell’intervento sostitutivo del giudice[58]. Di conseguenza, la già accennata flessibilità, inglobata in una struttura volutamente elementare, che consente, rispettato l’ordine della graduazione delle cause di prelazione, di offrire ai creditori qualsiasi soddisfazione, salvo a valutarne la convenienza e l’utilità per i creditori, opera anche nei confronti dell’Agenzia delle entrare e degli enti previdenziali, la posizione dei quali è equiparata a quella degli altri creditori privilegiati e chirografari per i rispettivi crediti, di modo che anche i crediti fiscali e contributivi possano essere falcidiati e dilazionati, nel rispetto delle regole valevoli per tutti i creditori.

b-Non essendo stato riprodotto, né nel concordato semplificato né in quello ordinario, il modello contenuto nell’art. 180 l. fall., che disciplina differentemente il procedimento, pur sempre camerale, a seconda che vengano o meno presentate opposizioni all'omologazione, le indagini sopra indicate il tribunale deve svolgerle che siano o non proposte opposizioni; ovviamente in caso di opposizioni, assumendo il procedimento carattere contenzioso, ricorrerà la necessità di svolgere l’attività istruttoria richiesta dalle parti, per cui l’approfondimento delle questioni da trattare sarà sicuramente maggiore dovendo il tribunale dare una risposta ai rilievi mossi dagli opponenti.

La nuova norma, tuttavia, riprende (come in linea generale fa l’art. 48) la formula del comma quarto dell’art. 180 l. fall., secondo la quale, in caso di opposizioni, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, estendendola a tutti i procedimenti di omologazione, che siano o non presentate opposizioni, di modo che nel concordato semplificato il tribunale può sicuramente disporre mezzi istruttori d’ufficio anche in mancanza di opposizioni, superando i dubbi in proposito che nascono dalla laconica formulazione del terzo comma dell’art. 180 l. fall[59].

c-Quanto al merito della decisione, il quinto comma dell’art. 55-sexies, individua, come visto, il thema decidendum. Seguendo l’ordine segnato da tale norma, il primo compito del tribunale è controllare la regolarità del contraddittorio e dello svolgimento della procedura, che, invero, è un’attività connaturata all’omologa, che evidentemente non può essere dichiarata ove la procedura non si sia svolta regolarmente, nel rispetto delle norme che ne disciplinano lo svolgimento dal momento del deposito della domanda e fino all’omologazione, e nell’assenza di atti in frode prima non segnalati o non considerati[60]; ed, infatti, anche l’art. 112 richiede quale prima verifica del tribunale per l’omologa del concordato ordinario quella della “regolarità della procedura” (lett. a) comma primo).

Quest’ultima norma richiede poi il controllo “dell'esito della votazione”, che ovviamente è attività incompatibile nel concordato semplificato ove manca una votazione; peraltro, la mancanza del voto e delle maggioranze elimina gran parte del contenzioso sulla regolarità dello svolgimento del concordato e la semplificazione estrema del rito rende più semplice e agevole questo controllo. Correttamente non è stata richiamata in tema di concordo semplificato neanche la lett. c) del primo comma dell’art. 112, che richiede l’accertamento della “ammissibilità della proposta”, dal momento che, come visto, non esiste un provvedimento di ammissione al concordato semplificato posto che il debitore chiede direttamente l’omologa.

Nella categoria della indagine sulla regolarità può farsi rientrare l’esame della dichiarazione dell’esperto, da inserire nella relazione finale, circa la correttezza e buona fede con cui si sono svolte le trattative della fase negoziale; poiché, per i motivi esposti, nel merito di questa valutazione il tribunale non può entrare nella fase iniziale, per cui, pur in presenza di un giudizio negativo dell’esperto sulla meritevolezza del debitore nella fase negoziale, deve comunque nominare l’ausiliario e fissare l’udienza per l’omologazione, il problema della verifica del giudizio dell’esperto si ripresenta al momento dell’omologa, dove sono presenti le condizioni che mancavano nella fase iniziale, in quanto il debitore può dire la sua e il tribunale può avvalersi di mezzi istruttori ed anche del parere dell’ausiliario, che sono elementi indispensabili per un esame nel merito in un contraddittorio tra gli interessati; non solo, ma il tribunale deve , in sostituzione dei creditori, controllare, come si vedrà a breve, la fattibilità e la convenienza della proposta e del piano, il cui esame può essere inciso anche dal comportamento tenuto del debitore nella fase precedente negoziale.

Egualmente nello stesso concetto di controllo della regolarità del procedimento rientra la verifica della formazione delle classi secondo criteri di omogeneità. Considerato, infatti, che la lett. r) dell’art. 2 CCII qualifica la classe quale “insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei” (del resto, è connaturato al concetto di classazione l’omogeneità tra i creditori inclusi nella stessa classe) e che la funzione della formazione delle stesse è quella di offrire trattamenti differenziati, si può dare per scontato che queste caratteristiche debbano ricorrere ogni volta che viene ammessa la suddivisione in classi con conseguente verifica della regolarità non solo formale della loro formazione. E qui la formazione delle classi riprende la sua primitiva funzione di tecnica di superamento del principio della par condicio creditorum, consentendo, rispettato l’ordine della graduazione per i crediti assistiti da prelazione, un trattamento differenziato tra creditori di pari rango, nel mentre non ha alcuna valenza quale criterio di organizzazione del voto e strumento di approvazione, che nel nuovo codice ha assunto un ruolo predominante lì dove si chiede l’approvazione di tutte le classi (cfr. art. 64-bis, co. 7, art. 109, co. 5).

L’ulteriore controllo riguarda il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione. Il principio della graduazione delle cause di prelazione, sul cui significato la giurisprudenza di merito si era divisa, è stato convincentemente interpretato dalla S. Corte[61] nel senso che esso impone l'integrale pagamento del credito di rango superiore prima di soddisfare quello di grado inferiore e non nel senso che sia ammessa la falcidia del credito di grado poziore e il pagamento parziale del credito di rango più basso, a condizione che al primo sia assicurato un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato al secondo[62]. Questo criterio dell’absolute priority rule è stato stemperato nel concordato con continuità aziendale dal sesto comma dell’art. 84 per la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione, ma nel concordato liquidatorio è rimasto inalterato, per cui anche il concordato semplificato per ottenere l’omologazione deve prevedere la soddisfazione dei creditori di rango successivo solo dopo che siano stati integralmente soddisfatti quelli di rango precedente (salvo che siano utilizzate risorse esterne); da qui l’ulteriore conseguenza che i creditori chirografari non possono ottenere l’adempimento, neanche parzialmente, della propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui insistono i diritti di prelazione non consenta di soddisfare questi ultimi.

Il mancato richiamo dell’art. 84, il cui quinto comma prevede il ricorso ad una stima per rapportare il livello di pagamento offerto ai creditori prelatizi alla capienza sui beni gravati, pone l’interrogativo del trattamento di questa categoria di creditori nel concordato semplificato e, cioè, se e a quali condizioni, sia possibile la soddisfazione parziale di costoro. E’ difficile pensare che si sia ritornati alla situazione precedente alla decreto correttivo n. 169 del 2007 (che ha introdotto il secondo comma dell’art. 160 l. fall., da cui è derivato il quinto comma dell’art. 84 CCII), quando i crediti prelatizi dovevano essere soddisfatti per intero, perchè l’omologazione del concordato semplificato richiede sia il raffronto con la potenzialità realizzativa del beni in una eventuale liquidazione giudiziale, che segna il confine massimo della soddisfazione dei creditori (per cui solo una proposta al di sotto di questo potrebbe essere considerata pregiudizievole per i creditori), sia un controllo sulla regolarità della graduazione prospettata. Offrire, infatti, ad un creditore ipotecario o ad un pignoratizio o ad un privilegiato speciale un importo svincolato dal valore del bene o dei beni gravati, altera l’ordine delle cause di prelazione in quanto non si soddisfa il creditore nella misura data dalla sua garanzia, sicchè il debitore può fare ricorso all’attestazione speciale del professionista indipendente (come richiede l’art. 84, co. 5), ma anche servirsi della stima delle risorse derivanti dalla liquidazione, che il par. 13 della Sez. III del Decreto dirigenziale 28.09.2021 consiglia all’esperto di fare anche ai fini della redazione del parere di cui all’art. 18, oppure di altri mezzi, posto che il tribunale ha anche poteri istruttori d’ufficio.

Non rappresenta una novità la verifica che la proposta assicuri un'utilità a ciascun creditore posto che già la lett. e) del secondo comma dell’art. 161 l. fall., prevede che “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”; disposizione che individua uno dei presupposti per la stessa ammissione del concordato (cfr. art. 162 l. fall.), ancor più stringente di quello indicato dalla nuova normativa, che non richiede che l’utilità sia “specificamente individuata ed economicamente valutabile”, il che lascia un maggior margine all’interprete.

Questo requisito, tuttavia, nel concordato semplificato assume un significato diverso mancando l’obbligo di assicurare la soddisfazione dei creditori chirografari nella misura del 20%. Per il concordato ordinario la prefissazione di questa soglia minima costituisce un dato di valutazione ex ante, che esplica la propria funzione di argine alla discrezionalità del debitore, in cui la previsione della utilità per i creditori consente a costui di frazionare ancor di più liberamente le modalità di soddisfacimento di costoro, posto che non è necessario offrire modalità estintive in danaro ma è sufficiente fare in modo che i beni messi a disposizione dei creditori assicurino, in termini di ragionevole certezza, una utilità tangibile, economicamente valutabile che sia avvicinabile a quel livello di soddisfazione prefissato.

Una volta eliminata la soglia minima di soddisfazione per la categoria dei chirografari, l’utilità per costoro diventa del tutto evanescente non dovendo più essere adeguata alla previsione del raggiungimento di un traguardo prefissato dalla legge; se, infatti, non esiste la necessità di assicurare ai chirografari il pagamento del 20%, il debitore può promettere qualsiasi percentuale, anche irrisoria se i beni ceduti non consentono di meglio e, quindi, anche l’utilità per i creditori non può che essere parametrata su queste unità di misura, di modo che anche il beneficio immediato degli scarichi fiscali” [63], a fronte della dimostrata insoddisfazione del credito, diventa una utilità vantaggiosa. Fermo restando che, essendo la valutazione della utilità quanto mai personale dato che non si traduce necessariamente in una somma di danaro ma in vantaggi certi ed economicamente valutabili, difficilmente il tribunale può riuscire a tener conto nel suo giudizio- sostitutivo di quello dei creditori- di quale sia l’effettiva utilità che la proposta può apportare a determinati creditori.

Sulla valutazione della fattibilità il recente legislatore ha avuto un ripensamento. Invero, i primari redattori del CCII, in ossequio alla disposizione di cui alla lett. e) del primo comma dell’art. 6 della legge delega n. 155 del 2017, che invitava il legislatore a “determinare i poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale”, avevano espressamente attribuito al tribunale il compito di valutare “la fattibilità economica del piano”, sia in sede di ammissione (art. 47) che in sede di omologa (art. 48); disciplina che rappresentava il superamento dell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il sindacato del giudice sulla fattibilità di un piano di concordato- che ha eguale contenuto in tutte le fasi della procedura- si estende alla fattibilità giuridica della proposta e anche alla fattibilità economica, al limitato scopo di verificare la sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole.

Nella versione definitiva del CCII, il riscritto art. 47 ha ripreso, come già ricordato, la formula secondo cui il tribunale, ai fini dell’ammissione verifica: “in caso di concordato liquidatorio, l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati”; a sua volta l’art. 112, in cui è stata trasfusa parte dell’art. 48, dispone in sede di omologazione che il tribunale verifica “in ogni altro caso, la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati”.

L’art. 25-sexies ha, invece, mantenuta la formula di cui all’art. 18 del d.l. n. 118/2021 secondo cui il tribunale verifica la “fattibilità del piano di liquidazione” senza alcuna aggettivazione, a differenza delle citate norme del CCII, per cui non può mettersi in dubbio che la norma in tema di concordato semplificato consenta una valutazione piena anche della fattibilità economica, posto che quella giuridica, che oggi svolge il giudice nel concordato preventivo, rientra implicitamente nella sfera dei poteri omologatori del tribunale. Il che ben si spiega col dato che la verifica della fattibilità economica è sottratta al giudice nei concordati ordinari in quanto affidata ai creditori, che si esprimono attraverso il voto, sicchè, nel concordato semplificato, non essendo contemplato il voto dei creditori, l’accertamento della fattibilità, come quello della convenienza, è stato demandato al tribunale; e giustamente demandato al momento della omologa quando i dati acquisti consentono di effettuare con molta più cognizione di causa quello scrutinio delle concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori, che nella nuova figura, mancando una fase iniziale di ammissibilità come quella prevista per il concordato preventivo ordinario, non sarebbe stato possibile effettuare o, comunque, sarebbe stato basato su dati ancora incerti in quanto emergenti dai pareri emessi in tempi estremamente contenuti dell’esperto e dell’ausiliario sulle prospettive della liquidazione[64].

Il tribunale deve infine appurare che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale”, dizione che introduce un giudizio sulla convenienza, anche se la semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori è concetto più ristretto di quello della convenienza. La ricerca della convenienza richiede, infatti, il riscontro in positivo di un vantaggio per i creditori rispetto allo scenario alternativo della liquidazione giudiziale, nel mentre per la mancanza di pregiudizio è sufficiente l’accertamento dell’assenza di un danno rispetto all’alternativa della liquidazione collettiva e, quindi, che i creditori ricevano un trattamento economico almeno pari a quello che loro ricaverebbero dalle altre soluzioni alternative; di conseguenza, non trovando applicazione il comma quarto dell’art. 84, la soglia minima di soddisfazione è costituita da quella presuntivamente ricavabile dalla liquidazione giudiziale, il cui espresso richiamo da parte dell’art. 25-sexies elimina le equivocità dei testi che fanno riferimento alle alternative concretamente praticabili, in quanto, trattandosi di un concordato prettamente liquidatorio che segue ad un tentativo non riuscito di negoziazione per il risanamento dell’impresa, l’unica alternativa praticabile alla soluzione concordata prospettata non può che essere la liquidazione giudiziale. Ma se l’unica alternativa praticabile alla soluzione concordata prospettata non può che essere una soluzione liquidatoria, questa indagine sulla convenienza, o meglio sulla mancanza di pregiudizio per i creditori, non si sostanzia in una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività d’impresa, e tanto meno può soffermarsi sul mantenimento dei livelli occupazionali, ma deve incentrarsi solo ed esclusivamente sul raffronto tra il presumibile ricavo realizzabile nel concordato in attuazione del piano di liquidazione (sia che questo preveda la vendita del complesso aziendale che analitica dei singoli beni), con quella omologa eventualmente realizzabile nella liquidazione giudiziale.

Né sembrano richiamabili principi di sostenibilità e responsabilità sociale. Questi indubbiamente sono presenti nel diritto della crisi, ma rilevano nella fase in cui esistono prospettive di risanamento, siano esse innestate in una procedura stragiudiziale che giudiziale; quando, invece si arriva alla fase liquidatoria, sia essa giudiziale che concordataria, la considerazione di obiettivi ulteriori rispetto a quello della miglior soddisfazione dei creditori non costituisce elemento qualificante della fattispecie, ed in esso l’impegno alla prosecuzione dell’attività per un periodo minimo di tempo o alla conservazione dei livelli occupazionali o ad adeguare la produzione secondo standard più rispettosi dell’ambiente, possono essere vantaggi occasionali e accidentali ultronei, che non possono intaccare il criterio fondamentale di valutazione della convenienza posto dal quinto comma dell’art. 25-sexies, secondo cui la proposta non deve arrecare pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare. E, poiché l’assenza di pregiudizio è assicurata, come detto, se il trattamento non è meno conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il confronto che il tribunale è tenuto a fare è tra lo scenario prospettato con la proposta concordataria e quello liquidatorio della liquidazione giudiziale, in cui vanno considerate le altre eventuali entrate (ad es. da revocatoria) o risparmi (ad es. per minori spese) che l’una o l’altra procedura possono consentire.

Il richiamo dell’art. 106, che dovrebbe consentire la revoca del concordato semplificato per gli stessi motivi per i quali può essere revocato l’ordinario concordato, è stato depotenziato nella sua portata. Si è già detto, infatti, che non può essere causa di revoca il venir meno delle condizioni di ammissibilità dal momento che non esiste nel concordato semplificato una fase di ammissione, nè, la revoca non può essere giustificata dalla mancata effettuazione del deposito previsto dall'articolo 47, comma 2, lettera d) non essendo questo previsto nel concordato semplificato[65]. La norma consente “di colpire i comportamenti fraudolenti precedenti (l’inizio della composizione negoziata), ma non i pagamenti di debiti scaduti, anteriori al deposito del ricorso e in ipotesi non strategici ai fini della continuità aziendale o le cessioni di beni o le prestazioni di servizi non bilanciate dall’incasso dei corrispettivi (bensì con appostazione dei relativi crediti per il prezzo)”; egualmente non consente di colpire il compimento in corso di procedura negoziata di atti di straordinaria amministrazione o di pagamenti che non appaiono coerenti rispetto alle trattative, qualora l’imprenditore abbia preventivamente informato degli stessi l’esperto e questi abbia ritenuto che tali atti non fossero pregiudizievoli per i creditori, per le trattative o per le prospettive di risanamento, nonché il compimento di atti di ordinaria amministrazione e l'esecuzione di pagamenti coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento, che non vanno comunicati e sfuggono alla valutazione per il possibile dissenso dell’esperto (cfr. art. 21). Tutti questi atti sono legittimi e quindi non possono essere considerati come atti idonei alla revoca del concordato ex art. 106, a meno che non siano stati fraudolentemente compiuti.

Infine, come già ricordato, il comma terzo dell’art. 25-septies dispone che quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 25-sexies comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni da effettuarsi prima dell’omologa, a tale offerta “dà esecuzione l’ausiliario, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, con le modalità di cui al comma 2, previa autorizzazione del tribunale”. A parte il fatto che la norma, nelle condizioni indicate, non prevede l’apertura di un procedimento competitivo, di cui si è già parlato, la norma attribuisce all’ausiliario il potere di procedere alla vendita, qualificata espressamente come coattiva con il richiamo degli artt. da 2919 a 2929 c.c. (il richiamo a queste norme è contenuto nel comma 2, ma nel terzo comma, di cui si sta parlando, si specifica che l’ausiliario provvede “con le modalità di cui al comma 2”, ed è univoco il riferimento alla citata disciplina), come se avesse la disponibilità del patrimonio del debitore, nel mentre egli, a norma del richiamo all’art. 94 contenuto nel secondo comma dell’art. 25-sexies, esercita solo una attività di vigilanza sulla gestione dei beni e sull’esercizio dell’impresa che rimane in capo al debitore. Per riportare la norma negli schemi delle funzioni affidate all’ausiliario bisogna ritenere che l’autorizzazione del tribunale- prevista in tal caso e non quando la stessa vendita venga eseguita dal liquidatore- valga a sanare l’anomalia, anche se essa è giustificata dal fatto che manca un giudice delegato o un comitato dei creditori o un qualsiasi altro organo di controllo sull’operato dell’ausiliario; oppure che il legislatore intenda dire che il compito di costui sia solo quello di verificare l’assenza di soluzioni migliori sul mercato; in tal modo, però, si finisce per attribuire alla medesima locuzione: “dare esecuzione all’offerta”, ossia accettare l’offerta,- riferita nel comma secondo all’attività del liquidatore e nel comma terzo all’attività dell’ausiliario- un diverso significato, che non è una brillante operazione ermeneutica in quanto si dovrebbe attribuire eguale significato alle espressioni contenute nello stesso testo normativo e, ancor più, nella stessa norma.

Non è detto a quali criteri debba ispirarsi il tribunale nel rilasciare la richiesta autorizzazione alla vendita, ma, in questo caso, trattandosi della anticipazione di una attività liquidatoria normalmente consegnata alla fase dell’esecuzione successiva all’omologa, vanno presumibilmente anticipati anche i poteri che al giudice competono nella fase dell’omologa, con i limiti informativi e istruttori descritti.

 

5-Considerazioni conclusive

In un meccanismo procedurale che prende l’avvio con la domanda di omologazione della proposta concordataria che incarna il modello classico del concordato liquidatorio, è chiaro che i poteri del giudice sono molto limitati nella fase iniziale, ove la fissazione dell’udienza per l’omologa è assoggettata al solo controllo della regolarità della proposta, nel mentre si espandono, in mancanza dell’espressione del voto dei creditori, nella fase dell’omologa, ove, pur in assenza della tutela di un interesse pubblicistico, viene demandato al tribunale la verifica della fattibilità, anche economica, e della convenienza, che sono aspetti estranei all’esame del giudice dell’omologa di un concordato ordinario.

E’ legittima, quindi la domanda del perché, in una situazione del genere, non sia stata attribuita ai creditori la possibilità di esprimersi su una questione che riguarda principalmente i loro diritti, o, ancor più a monte, perché, in un ordito normativo che espressamente attribuisce priorità agli strumenti finalizzati alla continuità gestionale rispetto alle soluzioni liquidatorie, sia stata introdotta una nuova procedura liquidatoria che produce, fin dalla presentazione della domanda, gli stessi effetti dell’ordinario concordato, ma, a differenza di questo, non è soggetto al vaglio iniziale di ammissibilità tipica del concordato preventivo, al vincolo di soddisfare i creditori chirografari ad un livello predeterminato lasciando al debitore una grande libertà di organizzare la loro soddisfazione anche attraverso la formazione delle classi, né deve rispettare le regole della competitività, né sottostare al voto dei creditori, ecc.[66]. In tal modo, alla fine del percorso negoziale, esclusa ogni velleità di risanamento diretto dell’impresa, le alternative di cui parla il legislatore nel secondo comma dell’art. 23 sono solo sulla carta, giacchè questa nuova figura di concordato è talmente vantaggiosa per il debitore rispetto a qualsiasi altra procedura concorsuale da escludere ogni possibilità di concorrenza[67], a meno che non siano configurabili ipotesi di revocatorie da far pendere l’ago della bilancia per l’apertura della liquidazione giudiziale[68].

La risposta a queste domande è ravvisabile, a parere di chi scrive, nell’intento del legislatore di creare una specie di ulteriore misura premiale per il debitore per invogliarlo a percorrere la strada della composizione negoziata; in caso di buona riuscita di questa si stipula un accordo e scattano gli incentivi contemplati dall’art. 25-bis; in caso negativo il debitore ha la possibilità di ricorrere al vantaggioso concordato semplificato, che comporta anche la riduzione alla metà delle sanzioni e degli interessi sui debiti tributari sorti prima del deposito dell'istanza di accesso alla procedura negoziata se sono stati oggetto della trattativa, giusto il disposto dell’art. 25-bis, comma 3[69]. E questa prospettiva diventa un’arma molto potente perché, come immediatamente sottolineato[70], ha, durante la negoziazione assistita dall’esperto, una forza persuasiva sui creditori i quali sanno che, “all’esito negativo l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio che deve rispettare soltanto le cause di prelazione e che non lo vincola a riconoscere ai creditori più di quanto essi potrebbero ottenere in caso di fallimento”[71].

Il concordato semplificato diventa pertanto apprezzabile più che nel momento in cui il debitore ne usufruisce, nella fase precedente della composizione negoziata, nel corso della quale la prospettiva del ricorso, alla fine del percorso negoziale non riuscito, alla nuova procedura liquidatoria, molto più incongruamente asimmetrica in favore del debitore e sfacciatamente lesiva dei diritti dei creditori rispetto all’esistente, ha lo scopo di operare una non indifferente pressione per vincere eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori.

 

(*) Il presente contributo è destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.



[1] Si pensi, ad esempio, al richiamo dell’art. 111 l. fall., contenuto nel secondo comma dell’art. 18 d.l. n. 118/2021 e all’attuale richiamo all’art. 6 CCII contenuto nel pari comma del nuovo art. 25-sexies, che detta una disciplina della prededuzione completamente diversa da quella di cui al secondo comma dell’art. 111 l. fall.

[2] Concetto meglio esplicitato nei considerando che precedono l’articolato normativo, nei quali si precisa che “i quadri di ristrutturazione preventiva dovrebbero innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane. Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso” (cons. 2); o anche che “la disponibilità di quadri efficaci di ristrutturazione preventiva garantirebbe di poter intervenire prima che le società non siano più in grado di rimborsare i prestiti, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di un deterioramento di questi ultimi nei periodi di congiuntura sfavorevole nonché ad attenuare l'impatto negativo sul settore finanziario. Una percentuale significativa di imprese e di posti di lavoro potrebbe essere salvata se esistessero quadri di prevenzione in tutti gli Stati membri in cui sono ubicati i luoghi di stabilimento dell'impresa, le sue attività o i suoi creditori …... Nel contempo, le imprese non sane che non hanno prospettive di sopravvivenza dovrebbero essere liquidate il più presto possibile. Se un debitore che versa in difficoltà finanziarie non è sano o non può tornare a esserlo in tempi rapidi, gli sforzi di ristrutturazione potrebbero comportare un'accelerazione e un accumulo delle perdite a danno dei creditori, dei lavoratori e di altri portatori di interessi, come anche dell'economia nel suo complesso.” (cons. 3); e così via.

[3] In forza di tale inquadramento è stato correttamente ritenuto che siano applicabile al concordato semplificato gli art. 54 e 55 non richiamati dall’art. 25-sexies; cfr. Trib. Milano16 settembre 2022 in Diritto della Crisi, per il quale, appunto, “Sono direttamente applicabili al concordato semplificato le previsioni in materia di misure cautelari e protettive contenute negli artt. 54 e 55 CCII, trattandosi di disciplina dedicata in linea generale al procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e della insolvenza”.

[4] Proprio con riferimento all’art. 54, se è vero che è superfluo il richiamo di tale norma essendo la stessa dettata per il genus cui appartiene anche il concordato di nuovo conio, c’è da chiedersi perché sia stato, invece, richiamato l’art. 6, che, essendo collocato tra i principi generali, comunque sarebbe applicabile al concordato semplificato come a tutte le procedure concorsuali; perché l’art. 23 disponga che, in mancanza del raggiungimento di uno degli accordi di cui al primo comma all’esito della composizione negoziata, il debitore possa, tra le altre, “proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 25-sexies”, (co. 2, lett. c) o “accedere ad uno degli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal presente codice” (co. 2 lett. d) ponendo così in alternativa tra loro il concordato semplificato e gli strumenti di ristrutturazione della crisi e dell’insolvenza, come se di questa seconda categoria non facesse parte il primo; e così via.

[5] In termini Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, in Foro it. 2011, 7-8, 2095.

[6] Che spinge Censoni (P.F. Censoni, Il concordato semplificato: un istituto enigmatico, in Ristrutturazioni Aziendali, 22 febbraio 2022, 3) a dire che il nome stesso di concordato attribuito alla nuova figura è inappropriato in quanto non si concorda nulla, “né fra il debitore e i suoi creditori (anzi proprio la mancanza di un accordo con i creditori o con taluni di essi in sede di composizione negoziata è uno dei presupposti della nuova disciplina), né con il tribunale”; oppure spinge Campobasso (M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, in Nuove leggi civili comm., 1/2022, 120, a dire che “un concordato in cui non viene "concordato" niente, può sembrare un ossimoro.

[7] “Il fatto poi che non esista una norma di chiusura, che rinvii alla disciplina del concordato preventivo in quanto compatibile con quella propria del concordato semplificato e che, invece, del primo istituto siano richiamate solo alcune specifiche norme (con il consueto dubbio del non dixit et non voluit) consente di riconoscere nella procedura introdotta dal D.L. n.118/2021 un istituto del tutto autonomo rispetto al concordato preventivo!, scrive A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Fallimento, 2022, 746.

[8] Trib. Siena 9 settembre 2022, in ilcaso.it, ammette anche la continuità diretta, ma in funzione della prevista vendita frazionata dei beni costituenti il patrimonio aziendale allo scopo di massimizzare i flussi disponibili per soddisfare il ceto creditorio. Ossia, una continuità strumentale alla vendita, tanto che il tribunale richiede che “l'esperto nominato chiarisca la compatibilità della previsione di una continuità diretta con la struttura delineata dal legislatore di un concordato per cessione dei beni, anche in considerazione dell'incidenza dei costi di gestione e del rischio che questi ultimi vadano a detrimento dei creditori nelle more della dismissione dell'intero patrimonio aziendale”; a tal fine- aggiungono i giudici senesi- “è opportuno che l'esperto, specifichi se la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all'aspettativa di soddisfacimento nell'ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale.

[9] G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in Diritto della Crisi, 11 novembre 2021, 4, che riprende uno spunto di S. Ambrosini, Il concordato semplificato, primi appunti, in Ristrutturazioni Aziendali, 23 settembre 2021, per il quale la cessione dell’azienda o di suoi rami, espressamente prevista dall’art. 19 come possibile nucleo del piano di liquidazione, “continua a rappresentare un’ipotesi di continuità alla stregua della disciplina del concordato preventivo”. Conf. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Fallimento, 2021, 1604; M. Vitiello, Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta, in ilfallimentarista.it, aprile 2022; D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma "annunciata", in ilfallimentarista.it, 1 settembre 2021, p. 9, attribuisce al concordato semplificato “carattere solo apparentemente liquidatorio”.

[10] Si pensi al divieto del rifiuto dell’adempimento dei contratti in corso o la "sterilizzazione" del deposito della domanda come possibile causa di risoluzione del contratto secondo i principi generali del codice civile, o l'inefficacia di clausole contrattuali che espressamente prevedano lo scioglimento del contratto come conseguenza della sottoposizione del debitore ad una procedura concorsuale e quant’altro previsto dall’art. 94-bis.

[11] Ad esempio quella sulla sospensione e scioglimento dei contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti ancora alla data della presentazione del ricorso, di cui all’art. 95 per i contratti con la P.A e all’art. 97 in generale, o quella sulla sospensione degli obblighi in tema di riduzione o perdita del capitale sociale di cui all’art. 89, e così via. Omissioni giustificate dalla natura prettamente liquidatoria del nuovo concordato per cui non rileva lo scioglimento della società e dalla sua estrema semplificazione, che non richiede una regolamentazione dei contratti pendenti.

[12] S. Leuzzi, Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato, in Diritto della Crisi, 21 luglio 2021.

[13] Nelle l.c.a. delle banche e delle assicurazioni il piano è predisposto direttamente dai commissari liquidatori, nelle altre l.c.a. e amministrazione straordinaria è autorizzato preventivamente dall'autorità di vigilanza.

[14] P.F. Censoni, Il concordato semplificato…, cit. 3, adombra che il depotenziamento del ruolo dei creditori sia dovuto ad un intento punitivo del legislatore per non aver essi trovato prima un accordo con il debitore nell’ambito della composizione negoziata della crisi secondo una delle modalità elencate nell’art. 11.

[15] In tal senso, G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato…, cit., 15.

[16] Contra, S. Leuzzi, Analisi differenziale…, cit., 15, per il quale la mancanza del voto nel concordato semplificato non comporta alcuna radicale compromissione del diritto di difesa e che, anzi, questo sarebbe addirittura potenzialmente accresciuto e rafforzato in quanto ciascun creditore si può rivolgere liberamente al tribunale, opponendosi all’omologa e deducendo suo tramite tutta la gamma delle contestazioni possibili.

[17] Si afferma nella Relazione che “Sono omesse la fase di ammissione e la fase del voto dei creditori sul presupposto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sia stata esaminata dall’esperto indipendente e rappresentata nella relazione finale che chiude la composizione negoziata e sull’ulteriore presupposto che i creditori siano stati interessati ed informati nel corso delle trattative”. Concetto ripreso da Trib. Firenze 31 agosto 2022, in Diritto della Crisi.

[18] I. Pagni- M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dittodellacrisi.it, 2 novembre 2021, 10.

[19] F. Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, in ilfallimentarista.it, 25 agosto 2021

[20] P.F. Censoni, , Il concordato semplificato…, cit., 13; ma è lecito più di qualche dubbio perché si snaturerebbe, in tal caso, la natura liquidatoria del concordato.

[21] Questo dato si ricostruisce attraverso un percorso non agevole e molto più complicato di quello di cui all’art. 1 l. fall., che parte dalla previsione del primo comma dell’art. 84, che attribuisce la legittimazione alla proposizione della domanda di concordato all’“imprenditore di cui all’articolo 121, che si trova in stato di crisi o di insolvenza”; passa per la lettura dell’art. 121, per il quale “Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza , per finire infine in quest’ultima disposizione che detta le soglie al di sotto delle quali l’impresa è da considerare minore, per le quali è previsto l’accesso alle procedura da sovraindebitamento.

[22] G. D’Attorre, Il concordato semplificato…., cit. 1611: S. Leuzzi, Analisi differenziale…, cit; 2.

[23] Sulle vicende di questa previsione, cfr. M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato… cit., 112 e segg..

[24] Trib. Bergamo 4 dicembre 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Modena 3 settembre 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Padova 6 marzo 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Roma 16 aprile 2008, in Dir. fall., 2008, II, 551.

[25] F. Macario, Nuovo concordato preventivo e (antiche) tecniche di controllo degli atti di autonomia: l’inammissibilità della proposta per mancanza di causa, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 732.

[26] M. Fabiani, Concordato preventivo, Bologna, 2014, 49; ID, I nuovi vincoli alla proposta di concordato preventivo visti dal prisma di una “lettura difensiva, in Fallimento, 2016, 574, e specifico, 578.

[27] Cass. 8 febbraio 2019, n. 3863. Anche Cass. sez. un. 23 gennaio 2013, n. 1521, cit., ribadisce che la causa concreta del concordato, “da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.

[28] Il silenzio assoluto in ordine alla facoltatività o obbligatorietà della classazione, induce ad optare per la facoltatività, essendo questa la regola fissata dal primo comma dell’art. 85, secondo cui “Il piano può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse”, per poi fissare la obbligatorietà della classazione nei concordati in continuità (comma terzo) e la obbligatorietà solo per alcuni negli altri tipi di concordato (comma secondo). Conf. G. D’Attorre, Il concordato semplificato ….., cit. 1610 con riferimento all’art. 18 d.l. n. 118/2021.”.

[29] “Se l’imprenditore vuole trasferire l’azienda o suoi rami senza apertura al mercato e senza competitività, può procedere autonomamente ai sensi dell’art. 9 d.l. 118/2021; se, invece, vuole che il trasferimento avvenga senza la responsabilità solidale dell’acquirente rispetto ai debiti anteriori e con salvezza degli effetti indipendentemente dall’esito della composizione negoziata, trova piena applicazione il principio della competitività, posto a tutela anzitutto dell’interesse dei creditori anteriori”. Così G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata, in dirittodellacrisi, 5 novembre 2021..

[30] Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19506, in Foro it. 2008, 11, I, 3149; Fallimento 2008, 1394;.

[31] Da ult. Cass. 29 luglio 2021, n. 21815; Cass., 18 gennaio 2013, n. 1237 in Ilfallimentarista.it , 22 aprile 2013; Cass., 15 luglio 2011, n. 15699.

[32] E’ vero che in questa nuova figura di concordato la proposta con l’indicazione del liquidatore non è sottoposta al voto dei creditori, per cui la vincolatività dell’indicazione per il tribunale sull’argomento non può essere fondata sull’argomento che i creditori, attraverso il voto favorevole sulla proposta, avrebbero implicitamente accettato anche l’indicazione del liquidatore, ma, come la giurisprudenza appena richiamata ha precisato, la vincolatività discende non dal voto dei creditori, bensì dall’ampia formula del primo comma dell’art. 182 l. fall., che “depone chiaramente, in effetti, nel senso di assegnare alla proposta concordataria anche la facoltà di scegliere la persona (o le persone) del liquidatore giudiziale”,…. da cui segue che “l'indicazione del debitore viene a rivestire i tratti e la portata della designazione vincolante: ove peraltro rimanga rispettosa, s'intende, dei già richiamati requisiti di professionalità e di indipendenza che sono prescritti dalla legge fallimentare”.

[33] Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19506, cit..

[34] Questa comunicazione dove reperire i dati per la valutazione, più che esprimere l'obbligo per il proponente di creare una data room a disposizione dei creditori al fine di consentire loro l'esercizio informato del diritto di opposizione, come prospettato da S. Morri. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in ilfallimentarista.it, 24 agosto 2021, e auspicato da M. Campobasso, , Il concordato liquidatorio semplificato …, cit., 118, n. 8., sembra un ulteriore schiaffo ai creditori, ai quali il debitore non deve comunicare tutti i dati per la loro valutazione- benchè manchi una relazione dell’ausiliario paragonabile a quella del commissario giudiziale- ma solo indicare dove essi possono reperirli.

[35] Conf. G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato…., cit., 20, n. 11, il quale non esclude che, ai sensi dell’art. 738 c.p.c., il presidente del collegio possa designare sempre un componente quale relatore e a quest’ultimo potranno essere delegati atti di istruzione. E’ appena il caso di accennare che la figura del giudice relatore, che può compiere solo gli atti demandatigli dal Collegio e deve a questi riferire per la decisione, non ha nulla a che fare con quella del giudice delegato che ha poteri propri, che gli derivano dalla legge, decisionali e di “direzione”, più o meno ampi, delle varie procedure per le quali viene nominato.

[36] Conf. G. D’Attorre, Il concordato semplificato …., cit. 1617; G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato, cit., 8.

[37] La lett. q) dell’art. 2 individua quali misure cautelari “i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e degli effetti degli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza”. Dizione che viene ripresa nel primo comma dell’art. 54, secondo cui il tribunale può emettere su istanza di parte “i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza”. In essa quindi sono comprese tutte quelle misure cautelari caratterizzate dalla strumentalità rispetto alla sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o uno degli accordi di ristrutturazione dei debiti o un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, essendo finalizzate ad “assicurare provvisoriamente gli effetti di tali sentenze”.

[38] “Si può anche convenire circa il fatto che tale espressione conduca ad attribuire al tribunale, in limine procedurae, un potere di indagine rigorosamente legato ai profili di legittimità della domanda del debitore, in maniera analoga a ciò che avviene per l’appunto nel concordato fallimentare, ma non va neppure trascurato che in quest’ultimo si ragiona di una proposta destinata a consentire la chiusura di una procedura di fallimento già aperta, nel D.L. n. 118/2021 la proposta è funzionale all’apertura della procedura di concordato semplificato……”; il che “consiglia di tenere un atteggiamento diverso, di fronte ad una domanda di concordato semplificato, rispetto a quello che sarebbe sicuramente dovuto nella valutazione di una proposta di concordato fallimentare”, scrive A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità … cit.,. In realtà, più che l’interprete, che si trova di fronte a norme dello stesso contenuto che regolano situazioni diverse, avrebbe dovuto essere il legislatore a tenete un atteggiamento diverso nel regolare il concordato semplificato con una disciplina diversa da quella dettata per il concordato fallimentare o giudiziale, evitando le denunciate dissonanze..

[39] Cass. 29 ottobre 2013, n. 24359; Trib. Milano 5 marzo 2012, in ilcaso.it 19 novembre 2012;

[40] M. Fabiani, Diritto fallimentare, un profilo organico, Torino.Bologna 2011, 574. Sempre di controllo di legittimità parlano A. Danovi- F. D’aquino, Il concordato fallimentare in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di A. Jorio e B. Sassani, Milano 2017, V, 153; E. Frascaroli Santi, Il concordato fallimentare in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, Torino, 2009, II, 1382; E. Norelli, Il concordato fallimentare riformato e corretto, in Rivista dell’esecuzione forzata, 2008, 1, 27; P. Valensise, Il procedimento di presentazione della proposta di concordato fallimentare dopo il d.lgs 169/2007, in Demarchi (a cura di) Il concordato fallimentare, Bologna 2008, 91.

[41] Cass. 29 ottobre 2013, n. 24359, cit.

[42] G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato…., 9..Posizione condivisa, pur con diverse sfumature, dall’intera dottrina che si è interessata dell’argomento sebbene si metta in evidenza la laconicità del testo normativo e le conseguenti incertezze circa la previsione di un vero e proprio giudizio di ammissione; in dissonanza M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato…. cit., 118, che sembra aderire alla tesi qui sostenuta quando afferma che “ Non sussiste una vera fase di ammissione al concordato, bensì il tribunale si limita a valutare la «ritualità della proposta» e ad acquisire la relazione finale dell'esperto sulla fase di composizione negoziata ed il suo parere sui presumibili risultati della liquidazione e le garanzie offerte”.

[43] Peraltro, uno dei motivi che ha spinto la dottrina ad estendere l’ampiezza dei poteri di valutazione del giudice delegato nel concordato fallimentare oltre il significato testuale della previsione dell’art. 125 l. fall. è costituito dalla scomparsa del monopolio in capo al fallito della legittimazione attiva alla formulazione della proposta, sostenendosi che tale eventualità implica necessariamente un controllo del giudice che non può limitarsi alla legittimità formale (S. Sanzo, Il concordato fallimentare , in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna 2010, 770; E. Bertacchini, Sub art. 125-126, in Nigro-Sandulli (a cura di) La riforma della legge fallimentare, Torino 2006, 785), ma questa argomentazione non è utilizzabile nel nuovo concordato semplificato che, come già ricordato, può essere presentato esclusivamente dal debitore e non ammette proposte concorrenti.

[44] Oltre alla dottrina di cui in precedenza, in termini, Trib. Firenze 31 agosto 2022, cit..

[45] S. Ambrosini, Il concordato semplificato, cit., nell’elencare le ipotesi di revoca ex art. 173 l. fall., indica anche quella in cui risultino mancanti le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, ma aggiunge “pur non essendo in realtà previsto un provvedimento di ammissione”, dimostrando un chiaro scetticismo sull’applicazione al concordato semplificato di tale fattispecie.

[46]Altrimenti bisognerebbe dedurne che, attraverso questo richiamo dell’art. 25-sexies all’art. 106, il legislatore abbia introdotto un provvedimento di ammissione alla procedura di concordato semplificato, di cui non si parla in nessuna altra parte e del tutto dissonante con l’accesso alla procedura mediante una domanda diretta di omologa che richiede nella fase iniziale solo una verifica della ritualità della proposta.

[47] Esempio di tanto si rinviene in Trib. Firenze 31 agosto 2022, cit., che ha, appunto, dichiarato la insussistenza dei presupposti per la presentazione della domanda di concordato semplificato seguendo il parere dell’esperto, senza alcuna valutazione critica, impossibilitata a svolgersi per come il procedimento è organizzato. Egualmente Fichera, Sul nuovo concordato semplificato…., cit, per il quale , appunto, qualora “il suo (dell’esperto) scritto abbia censurato, sotto il profilo della correttezza e buona fede, la condotta mantenuta dall’imprenditore durante le trattative, la strada del semplificato appare irrimediabilmente preclusa, restando al debitore in stato di crisi, che intenda sottrarsi al fallimento, solo la possibilità di ricorrere al concordato preventivo tradizionale”. Né varrebbe dire che questa è la situazione in cui si trova ogni giudice rispetto ad una relazione del consulente tecnico nominato perché la consulenza viene disposta dallo stesso giudice che ha bisogno di un esperto in una determinata arte o professione che fuoriescono dal suo bagaglio culturale e professionale, nel mentre nel concordato semplificato egli si troverebbe a verificare nel merito questioni per le quali ha la competenza per farlo, qualora la struttura lo consentisse.

[48] In termini Cass. 18 giugno 2020, n. 11882; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586.

[49] Così come previsto nell’ultima versione dell’art. 47, che, ai fini del controllo di fattibilità del concordato liquidatorio ordinario il tribunale può rilevare solo la non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati..

[50] Trib. Ivrea 27 maggio 2022, in ilcaso.it, luglio 2022.

[51] Trib. Firenze 31 agosto 2022 cit.

[52] Da ult., Trib. Como 27 ottobre 2022, in Ristrutturazioni aziendali, per il quale “Ai fini dell’accesso al concordato semplificato non è esclusa la sussistenza del requisito della correttezza e buona fede nella conduzione delle trattative ove il debitore (recte, l’esperto) abbia omesso di convocare in sede di negoziazione alcune categorie di creditori, in difetto di un’ipotesi di accordo con una categoria di creditori (nella specie, i lavoratori giornalisti) che si rilevi essenziale e presupposto necessario per l’attuazione del piano di riconversione industriale posto alla base delle trattative in sede di composizione negoziale”. Concetto abbastanza ovvio se si considera la inutilità di interloquire con altri creditori dopo aver riscontrato in quelli determinanti per chiudere un accordo la mancanza di qualsiasi disponibilità.

[53] Tanto meno si può chiedere che sia risultata impraticabile anche la soluzione di cui alla lett. b) del comma 2 dell’art. 23 (domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione) giacchè questa possibilità, come già sottolineato, è accordata dalla norma citata, nella sua ultima versione, all’esito dell’insuccesso delle trattative in via alternativa con lo stesso concordato semplificato, di cui, infatti, tratta la lett. c) dello medesimo comma.

 

[54] Anche chi è favorevole ad una valutazione non soltanto formale nella fase iniziale ammette l’opportunità di sentire il debitore ma riconosce che non vi è un obbligo in tal senso. Così G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato…., cit, 10,. per il quale, infatti, ”se difettano in radice le condizioni per l’ammissione al semplificato, il tribunale dichiarerà senz’altro – è auspicabile dopo avere attivato un contraddittorio, anche solo cartolare, con il proponente – inammissibile il ricorso per concordato”. Tuttavia, pur non essendo precluso al tribunale di sentire il debitore, manca una norma che imponga la sua l’audizione; e la tutela del diritto di difesa non può essere lasciata alla sensibilità del singolo organo procedente.

[55] Precisazione opportuna in quanto proprio l'omessa previsione nell’art. 180, circa la natura del termine per la costituzione delle parti nel procedimento di omologa, ha spinto la Cassazione (Cass. 16 settembre 2011, n. 18987) ad escludere la qualificazione della sua perentorietà, essendo perentori solo i termini processuali espressamente dichiarati tali dal legislatore.

[56] Cass. 16 settembre 2011, n. 18987, cit..

[57] A. Pezzano- M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato…. cit, 5, ammettono la possibilità del “cram down in caso di opposizioni - finalmente senza alcuna limitazione quantistica - da parte di qualsiasi creditore non integralmente soddisfatto”..

[58] G. Andreani, Il concordato semplificato, in transazione-fiscale.it.; S. Morri, Il concordato semplificato… cit..

[59] Rimane , invece, il dubbio circa l’estensione di tale potere di ufficio, ossia se esso si riferisce a quei mezzi istruttori, come la consulenza tecnica, che anche nel rito ordinario possono essere ammessi di ufficio, oppure il giudizio abbia assunto un carattere inquisitorio.

[60] G. D’Attorre, Il concordato semplificato…., cit. 1617.

[61] Cass. 8 giugno 2020, n.10884 in Ilfallimentarista.it 18 agosto 2020; Conf., Trib. Milano 16 marzo 2013; Trib. Salerno 9 novembre 2010, Trib. Pordenone 21 ottobre 2009; Trib. Treviso 11 febbraio 2009;; tutte in ilcaso.it.

[62] In questo secondo senso App. Torino 14 ottobre 2010, in Il Fallimento, 2011, 3, 349; Trib. Torre Annunziata 29 luglio 2016, Trib. Belluno 17 febbraio 2017, in ilcaso.it..

[63] Esempio di utilità addotto da M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in ilcaso.it 6 agosto 2015.

[64] Invero, “il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”, non può essere espresso al termine dell’incarico, sia perché il comma ottavo dell’art. 17 prevede che, in quel momento, egli rediga soltanto la relazione finale, sia perché è inverosimile che l’esperto fornisca un parere del genere in assenza di qualsiasi ipotesi liquidatoria, potendo il debitore, all’esito infausto delle trattative negoziali, scegliere anche altre strade (tra cui anche non fare nulla), sia perché, infine, la valutazione richiesta all’esperto è finalizzata al giudizio di fattibilità del piano per cui non può prescindere da quanto viene proposto dal debitore e, per altro verso, deve riguardare anche le garanzie offerte, che non possono che essere quelle eventualmente offerte ai creditori con la proposta e il piano. E’ chiaro, pertanto, che il parere di cui al comma terzo dell’art. 25-sexies deve essere fornito dall’esperto al momento della presentazione da parte del debitore della domanda di concordato semplificato e, nella mancanza di qualsiasi indicazione circa i tempi e le modalità del rilascio e dell’acquisizione, sembra logico presumere che dovrà essere il debitore, all’atto o prima ancora di richiedere l’omologa del concordato, a comunicare all’esperto il piano liquidatorio in modo che questi possa rilasciare il suo parere in ordine ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte. Il parere iniziale dell’ausiliario, di contenuto imprecisato, deve essere rilasciato nel termine che il tribunale gli assegna all’atto della nomina e che, di conseguenza, è un termine abbastanza contenuto in quanto deve essere trasmesso ai creditori.

[65] L. A. Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in Diritto della Crisi, 9 agosto 2021, 4.

[66] P. Vella La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Ristrutturazioni aziendali, 1 gennaio 2022, p. 23 ss. osserva che “al di là degli istituti vigenti della l. fall., il panorama del nostro ordinamento concorsuale consta di una lunga serie di istituti e strumenti già in vigore, o di applicazione imminente o rinviata, la cui tassonomia è già di per sé impressionante”; l’Autrice ne elenca 24, cui è da aggiungere il piano di ristrutturazione soggetto ad omologa di cui all’art. 64-bis, introdotto con il d.l. n. 83/2022..

[67] Una qualche concorrenza può crearsi con il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) di cui all’art. 64-bis, figura anche questa di nuovo conio che ha natura autonoma, ma può essere utilizzato anche come strumento finale dopo il fallimento delle trattative per la composizione negoziata della crisi (rientrando nella previsione della lett. d) del comma secondo dell’art. 23), per cui il debitore può scegliere se seguire, in quel momento, la via del concordato semplificato, che esclude l’intervento dei creditori, ai quali comunque devono essere fatte proposte nel rispetto dell’ordine di graduazione, verificabile dal tribunale, oppure la via del PRO che consente al debitore di distribuire il valore generato dal piano anche in deroga dei principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause di prelazione, purchè la proposta sia approvata dalla unanimità delle classi, la cui formazione è obbligatoria (anche se poi il rigore di questi principi è annacquato dalla previsione del comma settimo dell’art. 64-bis)

[68] M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato…, cit., 128, parla di “dumping nei confronti del concordato preventivo ordinario" e di effetto distorsivo. Giustamente sottolinea l’Autore che “la sola esistenza di un tipo di concordato talmente sbilanciato a favore del proponente non può che rendere obsoleta la procedura di concordato preventivo ordinaria e richiederà un totale ripensamento della relativa normativa”.

[69] Si tratta di una delle tante misure dettate per agevolare il ricorso alla composizione negoziata giacchè la norma citata, accordando l’indicata misura premiale nelle ipotesi di cui all’art. 23 co. 2, consente la riduzione delle sanzioni e degli interessi sui debiti tributari in tutti i casi in cui, non risuscito il tentativo negoziale, il debitore ricorra ad un piano attestato o ad una domanda di concordato semplificato o acceda ad una delle procedure disciplinate dal codice (compresa la liquidazione giudiziale, probabilmente solo quella richiesta dallo stesso imprenditore) o dal d.ls n.270 del 1999 o dal d.l. n. 347 del 2003 (convertito dalla l. n. 39 del 2004). E’ chiaro che questa misura premiale costituisce un ulteriore incentivo a percorrere la strada della composizione negoziata (tanto, se anche va male e si apre una procedura concorsuale, il debitore si giova di alcuni vantaggi fiscali), ma, poiché, per le ragioni di cui al testo, lo sbocco preferenziale della mancata riuscita della negoziazione è il ricorso al concordato semplificato, detta misura premiale finisce per diventare una significativa agevolazione che favorisce ulteriormente il ricorso alla nuova figura di concordato.

[70] Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi,it, agosto 2021, 24.

[71] Lo stesso S. Leuzzi (Analisi differenziale …., cit., 14), che pur apprezza la nuova figura, riconosce che la mancanza del voto “vale a conferire una più spiccata forza contrattuale all’imprenditore in fase di trattative, posto che i creditori mal disposti a rimodulare le pretese entro i limiti esterni dell’apprezzabile sacrificio saranno ben consapevoli che il mancato accordo non li premierà, perché non saranno ulteriormente chiamati a pronunciarsi, né riceveranno di più nel plesso della liquidazione fallimentare”. Nello stesso senso M. Arato, (La scelta dell’istituto più adeguato per superare la crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali dell’8 ottobre 2021), per il quale “In definitiva, il possibile ricorso al concordato liquidatorio semplificato quale esito di una composizione negoziata non andata a buon fine potrebbe essere un valido deterrente rispetto ad eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori in sede di composizione negoziata. Ipotizziamo, ad esempio, una proposta di accordo con i creditori che preveda una continuità indiretta attraverso la cessione dell'azienda a terzi. Se i creditori non l'approvano, il debitore potrà pur sempre perseguirla e imporla ai creditori attraverso un concordato semplificato”.