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Si è spento Giuseppe Niccolini


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Classificazione del ceto creditorio, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano e dell'attestazione nel concordato preventivo riformato*


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
06 febbraio 2023

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SommarioParte I: La suddivisione dei creditori in classi. 1. Premessa; 2. La generale facoltà di prevedere la suddivisione in classi; 3. Le ipotesi di classi obbligatorie e gli interessi protetti; 4. La suddivisione in classi nel concordato in continuità; 5. Segue. I creditori privilegiati interessati dalla ristrutturazione; 6. Le altre ipotesi di classi separate; 7. Le classi nel concordato liquidatorio; 8. Lo scrutinio in ordine alla correttezza della classificazione e i relativi criteri; 9. Il divieto di alterare l’ordine delle cause di prelazione. Parte II: La moratoria dei creditori privilegiati nel concordato in continuità. 10. Premessa; 11. La “moratoria per il pagamento” dei creditori privilegiati; 12. L’ambito di applicazione e l’inderogabilità della norma; 13. La questione del diritto di voto. Parte III: I contenuti del piano concordatario e dell'attestazione. 14. Premessa; 15. La centralità della programmazione e del “fattore tempo”; 16. Il “nucleo” del piano; 17. Gli altri requisiti contenutistici del piano; 18. I contenuti “speciali” del piano in continuità; 19. La preferibilità della soluzione concordataria; 20. L’attestazione del piano.


1. Premessa.

Anche se talora l’introduzione, nel nostro ordinamento concorsuale, della suddivisione dei creditori in classi viene fatta risalire alla riforma del 2005, è stato in realtà con l’art. 4 bis della l. n. 39/2004 (c.d. Legge Marzano) che essa ha assunto per la prima volta “diritto di cittadinanza”, contaminando poi gli altri concordati oggetto di successive riforme[1]. Disposizione, questa, che ha in allora costituito il paradigma normativo dei concordati quali di lì a breve novellati dalla legge fallimentare e, ad un tempo, l’approdo di riflessioni elaborate in sede di proposte di riforma della stessa[2]: all’esito delle quali, quanto al tema della par condicio[3], il trattamento paritario dei creditori è stato previsto, nell’amministrazione straordinaria come nel concordato preventivo, solo nei limiti dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici[4].

Con riguardo al nuovo codice[5], deve anzitutto rimarcarsi che vi è una norma – quella dell’art. 85 – dedicata espressamente alla suddivisione dei creditori in classi, a riprova della rilevanza che detta fattispecie ha progressivamente assunto a livello legislativo, oltre che dal punto di vista pratico (atteso che già in passato la maggior parte delle domande di concordato prevedevano la classificazione[6] del ceto creditorio). E le relative disposizioni contengono oggi una disciplina opportunamente più analitica e articolata, diretta a inserire alcune importanti innovazioni – a cominciare dal principio di obbligatorietà delle classi nel concordato in continuità – e a risolvere dubbi interpretativi sollevati dalle scarne previsioni della legge fallimentare, secondo le indicazioni di cui alla legge delega[7].

Questo approccio normativo, teso a valorizzare sensibilmente il ruolo delle classi, emerge anche da altre disposizioni, prima fra tutte quella dell’art. 112 in tema di omologazione: donde un’innegabile maggior complessità della disciplina nel suo insieme[8], peraltro dipendente almeno in parte sia dall’armonizzazione alla Direttiva Insolvency, sia – come si diceva – dall’intento di ridurre gli spazi di incertezza sul piano applicativo.

Quanto, poi, alla funzione svolta dalla classificazione, si è da ultimo rimarcato che essa “ha la duplice finalità di concentrazione nel minor numero di classi dei creditori da cui è prevedibile attendersi il dissenso riguardo alla proposta concordataria ma allo stesso tempo di rispettare il principio della par condicio creditorum individuando e concentrando i creditori in gruppi omogenei caratterizzati da specificità del credito e da un soddisfacimento differenziato”[9]: sebbene vada ribadita, in linea generale, la valenza derogatoria, insita nella classificazione, della parità di trattamento fra i creditori, pur nel rispetto – come si diceva – del requisito dell’omogeneità degli interessi[10].

 

2. La generale facoltà di prevedere la suddivisione in classi

Il primo comma dell’art. 85, nello stabilire che il piano può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, sancisce definitivamente la facoltatività, in linea di principio, della classificazione del ceto creditorio.

La riaffermazione di tale regola (pur con le cospicue eccezioni che vedremo subito in appresso) consente di ritenere superata la tesi, in passato abbastanza diffusa[11], secondo la quale vi era l’obbligo di far luogo alla divisione in classi tutte le volte in cui venivano riscontrate posizioni non omogenee fra i creditori e ciò al fine di scongiurare un’applicazione indiscriminata della regola di maggioranza e di estendere la facoltà di opposizione da parte dei creditori dissenzienti. Già in passato, peraltro, la dottrina prevalente si era attestata su posizioni più restrittive[12].

Del resto, il disposto dei successivi commi 2 e 3 e la latitudine delle ipotesi di classificazione obbligatoria in essi contenute depongono nel senso che, al di là dei casi – per l’appunto numerosi e significativi – di classi obbligatorie, deve valere in linea generale il principio di facoltatività: il che non toglie che oggi l’obbligatorietà delle classi sia divenuta, come si vedrà, l’ipotesi prevalente.

La disposizione in esame, contemplando il collegamento necessario fra divisione in classi e diverso trattamento dei creditori, risulta coerente con quanto stabilito dalla Direttiva Insolvency, risolvendo nel contempo un dubbio posto dalla vecchia disciplina.

Il persistente utilizzo dell’espressione “trattamenti differenziati” senza ulteriori specificazioni lascia invece aperta la questione delle classi che contemplano il medesimo trattamento a beneficio dei rispettivi creditori. La norma sembrerebbe consentire che, nell’eventualità di soddisfacimento in denaro, vi siano più classi i cui creditori siano destinati a ricevere la medesima percentuale di pagamento, mentre va esclusa l’ipotesi che tutte le classi prevedano la stessa percentuale, giacché in tal caso verrebbe meno la, invece indefettibile, differenza di trattamento con riguardo ad almeno una classe; mentre non pare – ripetiamo – che la legge richieda che per ciascuna classe vi sia una differente percentuale, a meno di ritenere che il legislatore abbia invece voluto prescrivere la diversità di trattamento precisamente come invariabile requisito della distinzione in classi e ciò al fine di prevenire il rischio di artificiosa moltiplicazione delle stesse.

 

 

3. Le ipotesi di classi obbligatorie e gli interessi protetti

L’enucleazione dei casi di obbligatoria suddivisione in classi valida per tutte le tipologie di concordato costituisce l’approdo di un annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ha avuto luogo nella vigenza di una disciplina – come si diceva – assai scarna. E in proposito si è osservato trattarsi di “scelta condivisibile, dettata dalla necessità di tenere separate e distinte le posizioni di creditori portatori di interessi del tutto disomogenei (…). Di qui anche la funzione informativa delle classi”[13].

La legge attuale richiede la creazione di una classe ad hoc, anzitutto, per i creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l'integrale pagamento. L’interesse protetto è qui dato dalla particolare tutela dei creditori pubblici qualificati di cui trattasi, considerati meritevoli in quanto tali dei vantaggi scaturenti dalla loro necessaria classificazione. Data la rilevanza anche pubblicistica di tali pretese, per i crediti tributari e previdenziali è sancita – com’è noto – l’apposita disciplina dell’art. 88.

La seconda ipotesi prevista si riferisce ai creditori che siano ad un tempo titolari di garanzie prestate da terzi. Il legislatore ritiene con ciò che coloro che possono fare affidamento sui cc.dd. collaterals siano orientati a esprimersi sulla proposta di concordato da una posizione potenzialmente “condizionata” da altri interessi e valutazioni: in effetti, il creditore la cui pretesa sia garantita aliunde è oggettivamente meno interessato all’esito del concordato, sebbene ciò dipenda in concreto dalla natura dalla garanzia e dalla capienza del suo oggetto[14].

La stessa considerazione vale, a fortiori, per quei creditori che formulino una proposta concordataria concorrente e per le parti ad esse correlate. A ben vedere, anzi, la soluzione più rigorosa (già peraltro scartata dal legislatore del 2015) avrebbe potuto prevedere tout court la sterilizzazione del loro diritto di voto[15].

L’ultimo caso è quello dei creditori di cui la proposta contempli il soddisfacimento con utilità anche solo parzialmente diverse dal denaro. In questa ipotesi l’obbligo di classificazione è collegato alla modalità di soddisfazione diversa dal pagamento, per sua natura meno certa dell’adempimento in numerario. Può trattarsi, come non di rado accade, dell’attribuzione di azioni, obbligazioni e altri beni, non necessariamente rientranti nel novero degli strumenti finanziari (partecipativi o meno), ma anche – limitatamente all’ipotesi di concordato in continuità (ove peraltro la suddivisione in classi è sempre obbligatoria) – della prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o, nel caso di trasferimento dell’azienda, con il suo avente causa (art. 84, c. 3). Dal combinato disposto delle due norme in parola si ricava la conferma che il soddisfacimento di queste classi di creditori può avvenire anche soltanto (l’avverbio è sottinteso) con utilità in tutto e per tutto diverse dal denaro.

 

4. La suddivisione in classi nel concordato in continuità

Il terzo comma dell’art. 85, dedicato al concordato in continuità, contiene la regola in virtù della quale in questa tipologia concordataria – che in base al disposto dell’art. 84 ricomprende, opportunamente, le ipotesi di continuità indiretta (come del resto prescritto dalla legge delega[16]) e risulta di conseguenza assai ampia – la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria.

Il precetto discende da quanto stabilito dalla Direttiva Insolvency, il cui art. 11, par. 1, lett. b), recepito dall’art. 112, c. 2, del codice, sancisce l’omologabilità del piano di ristrutturazione non approvato da tutte le parti interessate in ognuna delle classi di voto.

L’innovazione è di notevole momento: da un lato, la qualifica di concordato in continuità reca con sé automaticamente la necessità di classificare il ceto creditorio; dall’altro, come si dirà più ampiamente in appresso, vanno suddivisi in classi tutti i creditori, chirografari o privilegiati, aventi diritto al voto, laddove in passato non erano configurabili classi di prelatizi se non nel caso contemplato dall’art. 160, c. 2, l. fall., limitatamente alla parte residua di credito.

Non v’è dubbio tuttavia che l’opzione adottata dal legislatore, al cospetto della progressiva proliferazione dei privilegi nel nostro ordinamento, comporti che l’attività di classificazione in parola finisca per risultare, all’atto pratico, “estremamente complessa e finanche numericamente parcellizzata”[17].

L’ultima parte del comma in questione si riferisce ai piccoli fornitori dell’impresa poi caduta in crisi, e ciò in ossequio al disposto dell’art. 9, par. 4, della Direttiva Insolvency, che postula l’adozione di misure idonee, attraverso la suddivisione in classi, alla tutela di soggetti, quali appunto le imprese minori fornitrici, giustamente ritenute più vulnerabili.

Della tutela di prestatori di beni e servizi il legislatore si occupa anche altrove: basti pensare all’esenzione da revocatoria fallimentare – ma non anche da quella ordinaria – dei pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, purché “nei termini d’uso”: art. 166, c. 3, lett. a). A differenza del regime revocatorio, peraltro, nella disciplina in esame viene considerata meritevole di un trattamento ad hoc la sola posizione delle imprese minori (quali definite dall’art. 2, lett. d), stabilendosi che quelle fra esse che sono titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi vanno inserite in classi separate.

Come si vede, la norma non richiede trattarsi di beni e servizi essenziali, che non a caso sono disciplinati diversamente dall’art. 100, il quale attribuisce loro il ben più rilevante vantaggio di poter fruire dell’autorizzazione al pagamento di crediti pregressi rispetto alla presentazione del concordato. Ogni tipologia di bene o servizio ricevuti dall’impresa debitrice nell’ambito di un rapporto di fornitura, pertanto, ricade nel perimetro applicativo dell’art. 85, c. 3, a prescindere dall’indispensabilità rispetto alla prosecuzione dell’attività.

 

5. Segue. I creditori privilegiati interessati dalla ristrutturazione

La seconda parte dell’art. 85, c. 3, statuisce, poi, che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca devono essere suddivisi in classi quando risultano “interessati dalla ristrutturazione”, chiarendo al contempo che ciò avviene quando non ricorrono le condizioni fissate dall’art. 109, c. 5.

Con il richiamo a quest’ultima disposizione, relativa alle ipotesi in cui i creditori privilegiati non votano, si ribadisce anzitutto la correlazione fra sacrificio “imposto” al creditore ed esercizio del voto, essendo quest’ultimo precluso ogniqualvolta vi sia invece neutralità della proposta concordataria per determinati creditori. Questa neutralità, ai sensi della norma per ultima citata, si verifica quando i creditori prelatizi vengono soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall'omologazione e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Il legislatore, pertanto, enuclea a contrario le situazioni nelle quali, a fronte di una soddisfazione incompleta (pagamento non integrale, non in denaro od oltre il suddetto termine), scatta il diritto di voto[18].

Nel caso in cui il creditore privilegiato venga soddisfatto tempestivamente ma solo in parte, la porzione di credito falcidiata, che scade a rango chirografario, va inserita in una classe ad hoc ed egli vota limitatamente a questa parte[19], non essendo il creditore interessato dalla ristrutturazione per la porzione capiente del credito. È dubbio se debba formarsi, con riguardo al medesimo creditore, una seconda classe avente ad oggetto la quota privilegiata soddisfatta[20] e se il creditore voti anche per la parte di credito non falcidiata, non risultando chiaro in proposito l’art. 109, c. 4, che sancisce l’equiparazione ai chirografari limitatamente alla parte residua del credito.

Il discorso si collega alla norma sul contenuto del piano concordatario, dato che esso, ai sensi dell’art. 87, lett. n), deve indicare, individualmente o per categorie di debiti, le eventuali parti non interessate dal piano e i relativi motivi (e in argomento si veda infra): a conferma della centralità del concetto in parola, derivato dal già citato art. 11 della Direttiva Insolvency sulla c.d. ristrutturazione trasversale.

 

6. Le altre ipotesi di classi separate

Un caso ulteriore di classe separata obbligatoria è quello contemplato dall’art. 120 ter, c. 2, riferito all’ipotesi di società in concordato il cui statuto riconosca a determinati soci diritti diversi dagli altri: qui la classificazione (la rubrica della norma utilizza antiesteticamente, come si è già ricordato, il neologismo “classamento”) è necessaria tutte le volte in cui il piano preveda modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Con riguardo poi ai crediti oggetto di contestazione da parte del debitore in concordato, la legge non ne fa menzione all’art. 85, bensì al successivo art. 87, la cui lettera l), trattando delle parti interessate dal piano, indicate individualmente o descritte per categorie di debiti, e dell'ammontare dei relativi crediti e interessi, prescrive l’indicazione “dell’ammontare eventualmente contestato”. Non pare peraltro debba formarsi una classe necessariamente separata, nella misura in cui per assolvere all’esigenza di informazione del ceto creditorio sembra sufficiente l’inserimento dei crediti giudizialmente contestati in una delle classi omogenee contemplate dalla proposta (in alternativa alla creazione di una classe ad hoc); laddove la loro omissione tout court (seppur motivata da una valutazione di rischio di soccombenza remoto) altererebbe – come posto in evidenza dalla Cassazione – le previsioni di soddisfacimento degli altri creditori certi, non consentendo loro di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto[21].

La nuova disciplina del concordato non considera l’ipotesi dei creditori postergati, su cui pure vi è stato, nel passato anche recente, ampio dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. Tale mancata previsione sembra spiegabile con “l’implicita volontà del legislatore di non considerarli quali creditori concorrenti che possano essere ammessi al voto, se non quando la proposta concordataria ne preveda il soddisfacimento sul patrimonio residuo una volta soddisfatti integralmente i creditori chirografari”[22]. Ciò del resto coincide con l’approdo cui era giunta la Cassazione configurando la posizione dei creditori postergati come residuale, vale a dire posposta all’integrale soddisfacimento dei chirografari[23]: donde l’inderogabilità del principio espresso dall’art. 2467 c.c. senza l’unanime consenso di questi ultimi[24].

 

7. Le classi nel concordato liquidatorio

Come si diceva, la previsione relativa alle classi obbligatorie di cui all’art. 85, c. 2 vale per tutte le tipologie di piani concordatari. Al contrario, il disposto del terzo comma è limitato al concordato in continuità, donde l’inapplicabilità al piano liquidatorio della disposizione relativa ai privilegiati interessati dalla ristrutturazione.

Ne deriva che nel nuovo sistema continua a valere la regola ricavabile in precedenza dal tenore del vecchio art. 160, c. 2, consistente nella classificazione dei privilegiati falcidiati per incapienza dei beni oggetto della garanzia, limitatamente alla parte residua del credito scaduta a chirografo. Ciò trova puntuale conferma tanto nell’art. 84, c. 5, sul soddisfacimento non integrale dei privilegiati e sul conseguente degrado a chirografo, quanto nell’art. 109, c. 4, ai sensi del quale i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede la soddisfazione non integrale sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.

Nel caso di classificazione nel concordato liquidatorio si pone poi – o meglio si ripresenta – il tema della percentuale del 20%, da riferirsi a ogni singola classe, ovvero al monte complessivo dei chirografari.

All’indomani della novella del 2015 che ha introdotto tale soglia, chi scrive si è domandato “se lo sbarramento sia destinato a valere per ciascuna classe (di tal che non potrebbero darsi classi di chirografari con soddisfacimento inferiore al 20%), oppure se detta soglia possa configurarsi come “criterio mediano”, nel qual caso basterebbe che ai creditori chirografari fosse assicurato in media il 20% (donde l’ammissibilità, ad esempio, di una domanda con previsione di tre classi, rispettivamente al 15, 18 e 27 per cento). Com’è chiaro, in assenza di sicuri appigli interpretativi la presentazione di una domanda come quella da ultimo prefigurata appare oggettivamente problematica, anche se l’approccio ermeneutico più prudente e rigoroso introduce un elemento di disparità di trattamento fra concordato liquidatorio e concordato in continuità (…). E lo stesso deve probabilmente affermarsi, nel concordato senza classi, con riferimento a una percentuale «a forbice» compresa, ad esempio, fra il 16 e il 24 per cento (a meno, anche qui, di voler assumere a parametro la mediana).”[25]

La conclusione “permissiva” sembra oggi più agevolmente predicabile alla luce della nuova previsione di cui all’art. 84, c. 4[26], che riferendosi ai creditori chirografari e a quelli privilegiati degradati per incapienza parla del loro ammontare complessivo. Naturalmente occorre che sia rispettato il rapporto, appunto, complessivo fra l’apporto di risorse esterne e il totale dei crediti chirografari[27].

 

8. Lo scrutinio in ordine alla correttezza della classificazione e i relativi criteri

A differenza del regime previgente, che onerava espressamente il tribunale, in sede di ammissione al concordato, del compito di valutare la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi (art. 163, c. 1, l. fall.), l’odierno art. 47 non contiene un analogo, specifico, precetto: esso si limita a richiedere che il tribunale verifichi l’ammissibilità della proposta in caso di concordato liquidatorio e la ritualità della stessa nel caso di quello in continuità.

Pur non nascondendosi la preferenza per la vecchia formulazione (perspicua proprio perché esplicita) in quella sedes materiae, si ritiene che lo scrutinio in questione possa ricondursi senza soverchie difficoltà ai concetti di controllo in ordine all’ammissibilità e alla ritualità delle proposte concordatarie.

Del resto, di verifica della “corretta formazione delle classi” parla ex professo l’art. 112, c. 1, lett. d), sicché ciò che è previsto, a valle, in sede di omologazione deve considerarsi implicitamente (e a fortiori) contemplato, a monte, in sede di ammissione alla procedura.

Depone in tal senso anche il tenore dell’art. 90, c. 7, in tema di proposte concorrenti[28], là dove prescrive la verifica, da parte del tribunale, circa la “correttezza dei criteri di formazione delle classi”: in effetti, non è dato scorgere il motivo in base al quale analoga valutazione non debba essere richiesta (anzitutto) relativamente alla proposta presentata dallo stesso debitore[29].

Da quanto osservato pare lecito ipotizzare che si sia trattato di una mera dimenticanza del legislatore all’atto di redigere il testo dell’art. 47, che non risulta coordinato, da questo punto di vista, con le disposizioni testé menzionate.

Va infine segnalato che la legge previgente non postulava espressamente l’esplicitazione delle ragioni sottese alla classificazione operata nella proposta, anche se la prassi registrava, in base all’id quod plerumque accidit, una frequente tendenza dei debitori a illustrare tali ragioni nella domanda di concordato. Si affermava pertanto che la verifica in ordine alla ragionevolezza del trattamento diseguale era rimessa esclusivamente ai creditori[30]. Nell’odierna disciplina si prevede, all’art. 87, c. 1, lett. m), la necessaria “indicazione dei criteri di formazione utilizzati”.

 

9. Il divieto di alterare l’ordine delle cause di prelazione

Com’è noto, il previgente art. 160 disponeva, all’ultima parte del c. 2, che il trattamento stabilito per ciascuna classe non poteva avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.

Il precetto è riaffermato oggi dal c. 4 dell’art. 85, di tal che continua a essere preclusa la possibilità di trattamento deteriore di un creditore privilegiato rispetto a uno chirografario (o di loro inserimento nella medesima classe), nonché, come già si diceva, quella di soddisfare in pur minima parte un creditore subordinato in assenza del previo soddisfacimento integrale di privilegiati e chirografari.

Va tuttavia registrata un’importante distinzione rispetto al passato per quanto concerne il concordato in continuità. Ed infatti, nel fare espressamente salvo quanto disposto, in particolare, dal c. 6 dell’art. 84, la suddetta previsione prende atto dell’avvenuto recepimento della relative priotity rule con riguardo al c.d. plusvalore da continuità aziendale. In questa tipologia concordataria, cioè, il valore eccedente quello di liquidazione non dev’essere distribuito nel rigido rispetto della graduazione dei privilegi, essendo sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore: con l’eccezione dei crediti da lavoro ai sensi dell’art. 84, c. 7, parimenti richiamato dalla disposizione in commento, per i quali opera sempre la c.d. absolute priority rule.

Il c. 4 dell’art. 85 fa riferimento anche al c. 5 dell’art. 84, sebbene esso non attenga alle regole di distribuzione dell’attivo concordatario; com’è stato osservato, nondimeno, il legislatore ha in tal modo “inteso fare salva anche l’ammissibilità del soddisfacimento non integrale dei creditori prelatizi, ivi prevista, ritenendo che anch’essa sia derogatoria delle regole generali sulla responsabilità patrimoniale”[31].

 

 

Parte II: La moratoria dei creditori privilegiati nel concordato in continuità

 

10. Premessa

Nel sistema previgente la dilazione dei creditori privilegiati era disciplinata dall’art. 186-bis, c. 2, lett. c), l. fall., ai sensi del quale il piano in continuità aziendale poteva prevedere una moratoria fino a due anni (prima della modifica apportata dal d.l. n. 118/2021 la norma parlava in realtà di un anno), salvo che fosse prevista la liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussisteva la causa di prelazione. La norma precisava che i privilegiati così “coattivamente” riscadenziati erano privi del diritto di voto.

Il corollario di queste previsioni, secondo la lettura prevalente in giurisprudenza, consisteva nella necessità per il debitore, ove volesse dilazionare i privilegiati oltre tale termine, di ottenere il consenso di tutte le “parti interessate” attraverso la stipulazione dei cc. dd. accordi o patti paraconcordatari[32]. Non erano peraltro mancati, in dottrina, tentativi di estendere in via interpretativa l’arco temporale della moratoria, prevedendo in tal caso l’attribuzione del voto[33].

Sulla stessa lunghezza d’onda della predetta impostazione dottrinale, la legge delega n. 155/2017, all’art. 6, aveva previsto, limitatamente al concordato in continuità, una durata della moratoria anche superiore a un anno, con attribuzione, in tal caso, del diritto di voto. La ratio risiedeva nel non prestabilire un termine massimo della moratoria, compensando tale facoltà del debitore con il potere, da parte dei privilegiati dilazionati, di esprimersi a favore o contro la proposta concordataria.

La suddetta elaborazione è poi sfociata nella pronuncia di legittimità secondo la quale “nel concordato preventivo con continuità aziendale è consentita la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati anche oltre il termine di un anno dall’omologazione, purché si accordi ai titolari di tali crediti il diritto di voto e la corresponsione degli interessi”[34].

L’odierna disciplina, come vedremo, risulta coerente con la ratio della legge delega, pur non considerando espressamente la questione del voto.

 

11. La “moratoria per il pagamento” dei creditori privilegiati

L’art. 86, dopo aver fatto salvo quanto previsto nell’art. 109, stabilisce che il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, a meno che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Come si vede, nella riformulazione del precetto è venuta meno l’indicazione di un termine massimo della moratoria, coerentemente con lo spirito della legge delega del 2017 e con lo schietto favor per la soluzione concordataria da essa espresso sotto il profilo che ci occupa. Ciò tuttavia non significa che il piano del debitore possa prevedere una durata ad libitum (ad esempio di dieci anni): si tratta infatti di rendere l’arco temporale della dilazione compatibile con l’attestabilità del piano, che di regola comporta una durata massima di cinque anni, al di là della quale le previsioni dell’attestatore perdono fatalmente di attendibilità, con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda. Nella disposizione in esame si è quindi ravvisato, correttamente, “il limite immanente dell’impossibilità di prevedere tempi di realizzazione del piano e, quindi, di pagamento dei creditori, talmente rinviati nel tempo da rendere irrealistiche le previsioni ed inattendibili le assunzioni su cui il piano stesso e la sua attestazione si fondano”[35].

Resta ferma, beninteso, la possibilità per il debitore di pattuire con singoli creditori privilegiati moratorie di più ampia durata attraverso la conclusione di accordi paraconcordatari, che collocandosi appunto a latere della domanda di concordato non sono soggetti ai medesimi vincoli.

Quanto alle modalità di soddisfacimento dei privilegiati riscadenziati, deve ritenersi che la nuova disciplina, a dispetto dell’utilizzo del termine “pagamento”, ammetta implicitamente il loro soddisfacimento con mezzi diversi dal denaro, dato che ad essere esclusi dal voto sono, in base all’art. 109, c. 5, soltanto i prelatizi integralmente soddisfatti in numerario entro un dato termine[36].

L’art. 86 contempla un regime più favorevole per i crediti di lavoro, stabilendo che relativamente ad essi può essere prevista una moratoria per il pagamento fino a sei mesi dall'omologazione. E si tratta, qui come altrove nel corpo del codice, di una norma conforme alle prescrizioni della Direttiva Insolvency dirette a rafforzare la tutela dei diritti dei lavoratori delle imprese in crisi[37].

 

12. L’ambito di applicazione e l’inderogabilità della norma

L’art. 86 non menziona, al proprio interno, il concordato in continuità, ma la rubrica della norma (“Moratoria nel concordato in continuità”) è di per sé idonea a fugare ogni possibile dubbio circa lo spettro applicativo della norma.

Pertanto, per il concordato liquidatorio continua a valere la (tendenziale) necessità della vendita dei beni nei relativi tempi tecnici, non potendo l’art. 86 trovare applicazione in via estensiva e neppure analogica, trattandosi di disposizione di carattere eccezionale, strettamente connessa alla tutela della continuità aziendale. E la natura di norma di stretta interpretazione ne preclude l’applicabilità a crediti, come quelli prededucibili, diversi da quelli menzionati[38].

Allo stesso modo, la previsione del termine massimo di sei mesi dall’omologazione per il pagamento dei crediti di lavoro deve ritenersi imperativa e come tale inderogabile.

 

13. La questione del diritto di voto

L’art. 86 nulla dice, a differenza della disciplina anteriore e di precedenti versioni della norma[39], a proposito del voto. Occorre tuttavia considerare che l’art. 109, all’ultima parte del quinto comma, statuisce che, nel caso in cui non ricorrano le condizioni per considerare i creditori privilegiati parti non interessate dalla ristrutturazione, i creditori muniti di diritti di prelazione votano (e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta).

Ciò comporta che i creditori privilegiati soddisfatti oltre il termine di centottanta giorni ivi previsto (ridotto a trenta per i crediti di lavoro) votino e che – parrebbe – possano farlo per l’intero credito[40], non essendo fra l’altro stabiliti criteri che parametrino la misura del voto all’entità della perdita economica conseguente al ritardo nell’adempimento[41]. Va tuttavia soggiunto che la formulazione (per vero non felicissima) del precetto testé richiamato potrebbe fors’anche autorizzare una diversa soluzione, secondo la quale la porzione di credito incapiente, inserita nell’apposita classe, rappresenti la misura del voto, onde evitare che al creditore sia consentito esprimersi anche relativamente alla parte di credito non interessata dalla ristrutturazione. E proprio questo margine di dubbio conferma una certa ambiguità del dettato normativo[42].

 

 

Parte III: I contenuti del piano concordatario e dell'attestazione

 

14. Premessa

Nel regime previgente le disposizioni riservate al piano di concordato erano notoriamente piuttosto succinte. L’art. 161, c. 1, lett. e), si limitava a prescrivere, in via generale, che il debitore dovesse presentare, unitamente al ricorso, un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Con specifico riguardo al piano in continuità, poi, l’art. 186-bis, dopo aver precisato che tale piano prevedeva la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, nonché l’eventuale liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa, stabiliva che esso doveva contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.

Il legislatore del nuovo codice ha invece dettato una norma alquanto articolata, nell’ottica di onerare fin da subito il debitore di una serie di doveri attraverso la fissazione di requisiti contenutistici che, come si vedrà in seguito, sono essenzialmente di tre tipi: descrittivo, esplicativo e propositivo[43].

 

15. La centralità della programmazione e del “fattore tempo”

Il filo conduttore delle disposizioni (quanto meno di quelle più rilevanti) che ci si appresta, pur sinteticamente, a esaminare è rappresentato dalla necessità di precisare, anzitutto nell’interesse dei creditori, in quali modi, tempi e misura ciascuno di essi sarà soddisfatto, all’insegna di un’esigenza di programmazione che - com’è stato osservato - “implica che la fluidità dei fenomeni economici sia strategicamente governata e che il debitore delinei a tal fine una cornice operativa e cronologia “analitica”, cui non è avulsa la prefigurazione di scenari alternativi”[44]. Con il che si registra una saldatura tra il dovere di trasparenza del debitore verso il tribunale e verso il ceto creditorio e il diritto di quest’ultimo a essere compiutamente informato, anche in merito agli effetti delle opzioni diverse dal concordato.

Il fatto che il debitore sia chiamato a programmare le proprie attività in funzione del buon esito del piano – e quindi dell’adempimento della proposta – trova riscontro nell’iniziale previsione (e nel successivo rispetto) dei tempi previsti per il soddisfacimento dei creditori. Ed è ben noto che l’inosservanza di tali tempistiche può essere foriera di risoluzione del concordato[45], a conferma della centralità del “fattore tempo”[46], per quanto concerne sia il piano che la proposta formulata dal debitore (o da un terzo).

Quanto all’assunto secondo il quale “i tempi di adempimento sono componente della proposta” e non del piano[47], in realtà è lo stesso art. 87, c. 1, lett. e), a richiedere che il piano contenga la descrizione analitica delle modalità “e dei tempi di adempimento della proposta”. Si tratta piuttosto di un caso paradigmatico di requisito che costituisce contestualmente elemento sia della proposta che del piano, a conferma dell’intima connessione fra essi; ferma restando, beninteso, la distinzione concettuale fra proposta, intesa come ciò che viene offerto ai creditori “in cambio” della loro adesione, e piano, che rappresenta “lo strumento operativo e organizzativo per formulare la proposta e costituisce l’architettura organizzativa (una sorta di pianificazione economica, patrimoniale e finanziaria) per far sì che la proposta appaia ai creditori credibile”[48].

16. Il “nucleo” del piano

Gli elementi “nucleari” del piano comuni alle diverse tipologie di concordato sono costituiti, come pure in passato, da due requisiti di carattere “propositivo”: le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti (lett. d) e la già menzionata descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento (lett. e). Rispetto alla legge fallimentare, l’odierno codice ha aggiunto fra gli elementi-fulcro del piano, come si vedrà fra breve, il valore di liquidazione del patrimonio (lett. c)[49].

Il primo requisito di cui si diceva ricalca verbatim il disposto della lett. a) dell’art. 160, c. 1, l. fall. Se ne ricava, alla luce del persistente utilizzo dell’espressione “attraverso qualsiasi forma”, la conferma di una fattispecie “aperta”, a contenuto non precostituito, mentre la locuzione “anche mediante” seguita dalle modalità di soddisfacimento dei creditori rende l’elenco di queste ultime chiaramente non tassativo, bensì puramente esemplificativo; anche se va detto che le ipotesi menzionate rispondono indubbiamente all’id quod plerumque accidit, specie ove nella “cessione dei beni” venga fatto rientrare, alla stregua di quanto previsto dall’art. 84, pure il trasferimento dell’azienda in esercizio.

Quanto al requisito di cui alla lett. e), esso costituisce il cuore della proposta diretta ai creditori, atteso che ciascuno di essi dev’essere informato del modo in cui avverrà l’adempimento (con pagamento in denaro o con altre modalità satisfattive, come negli ultimi anni è di frequente accaduto attraverso l’attribuzione di strumenti finanziari partecipativi) e del momento in cui ogni creditore riceverà soddisfazione.

Consapevole della frequenza, specie in tempi recenti, dei disallineamenti registrati in sede di esecuzione del concordato rispetto a quanto preventivato dal debitore, il legislatore, alla lett. i), ha richiesto l’indicazione ab origine delle iniziative da adottare in caso di scostamento dagli obiettivi pianificati. Di qui la conferma della legittimità, in passato per vero non pacifica, di piani cc.dd. alternativi, in cui si prefiguri la possibilità che il piano “principale” non vada a buon fine e si delineino uno o più piani “subordinati”.

In proposito, nel vigore della legge fallimentare si affermava per lo più che la “riserva” su quale fosse il piano da sottoporre ai creditori andasse sciolta prima del deposito della relazione commissariale e comunque prima della votazione. Al cospetto della nuova norma la dottrina ritiene, probabilmente a ragione, che sia ammessa “la previsione di programmi alternativi, a condizione che siano delineati con la domanda e che siano poi approvati dai creditori, nonché omologati dal tribunale”[50]: con il che oggetto del voto diventa l’intera gamma di soluzioni prospettate dal debitore e analizzate dal commissario giudiziale.

Altro elemento centrale nella nuova sistematica concordataria è sicuramente rappresentato – lo si è poc’anzi accennato – dall’indicazione del valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale (lett. c).

Com’è stato messo in luce all’indomani del varo del codice, la nuova cartina di tornasole per valutare l’ammissibilità della proposta risiede, in base al combinato disposto degli artt. 84 e 112, nella non deteriorità del trattamento dei creditori rispetto a quello che riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale[51]. Ed è precisamente questa la prima funzione del disposto della predetta lett. c), giacché il valore di liquidazione costituisce il parametro di base per verificare che il soddisfacimento dei creditori in sede concordataria non sia inferiore a quello ipoteticamente realizzabile da un curatore; valore che al tempo stesso delimita, nel concordato in continuità, il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell’attivo ai sensi dell’art. 84, c. 6[52].

Sotto questo secondo profilo, è stata messa in evidenza, in dottrina, l’opportunità che il valore di liquidazione indicato nel piano “supportato dalla stima di esperti, sì da essere assoggettabile a controllo (dell’attestatore, in primo luogo), e venga determinato prefigurando sia un’ipotesi di liquidazione atomistica dei beni, sia un’ipotesi di vendita del complesso aziendale in dimensione statica, sia un’ipotesi di cessione dell’azienda in esercizio nell’ambito della liquidazione giudiziale, specificando i motivi per i quali viene prescelto un determinato scenario e vengono esclusi gli altri, anche alla luce della ritenuta ricorrenza o mancanza dei presupposti della prosecuzione dell’attività ex art. 211”[53]. Non v’è dubbio, a tale stregua, che all’atto pratico lo sforzo richiesto al debitore e ai suoi consulenti risulti considerevole, sebbene possa in realtà dubitarsi della necessità di prospettare lo scenario rappresentato dall’esercizio provvisorio nella liquidazione giudiziale[54]; ferma in ogni caso l’estraneità della prospettiva di liquidazione atomistica dei beni ove si tratti di concordato in continuità.

 

17. Gli altri requisiti contenutistici del piano

Riprendendo la distinzione tipologica dei requisiti ex art. 85 quale proposta in precedenza, possono annoverarsi fra quelli descrittivi, oltre all’indicazione (per vero probabilmente superflua) “del commissario giudiziale ove già nominato” (lett. p), l'indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, le sue attività e passività al momento della presentazione del piano e la descrizione della situazione economico-finanziaria dell'impresa e della posizione dei lavoratori (lett. a), nonché l’indicazione delle cause e dell'entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova e l'indicazione delle strategie d'intervento (lett. b): previsione, quest’ultima, sicuramente opportuna, anche se frequentemente messa in pratica, per così dire, ante litteram già nel passato, nell’ottica di offrire al tribunale e ai creditori l’informazione più completa possibile.

Rientra nel novero dei requisiti di carattere descrittivo anche il valore di liquidazione del patrimonio, di cui si è già detto in precedenza.

Per quanto concerne i requisiti esplicativi, oltre alle lettere l), m) e n) sulle parti interessate e su quelle non interessate dal piano, nonché sulla classificazione delle prime [cfr. sub art. 85], ricadono in tale categoria i requisiti di cui alle lettere f) e i), di cui si tratta, rispettivamente, nel paragrafo che segue e in quello che precede.

Alla lettera g), poi, sono contemplati gli apporti di nuova finanza, la cui necessità per l’attuazione del piano dev’essere opportunamente illustrata. La norma va riferita tipicamente ai casi di continuità aziendale, anche se non può escludersi il ricorso a risorse finanziarie aggiuntive nell’ipotesi di concordato liquidatorio: nel qual caso occorre naturalmente spiegare e attestare che esse sono funzionali alla miglior liquidazione (ad esempio, per completare la costruzione di un immobile al fine di venderlo a un prezzo sensibilmente maggiore).

L’espressione “finanza nuova” usata dalla legge allude ai finanziamenti che il debitore si propone di ottenere dagli istituti di credito o da altri soggetti, inclusi i soci (e in proposito l’art. 102, relativo ai finanziamenti prededucibili dei soci, parla di loro erogazione “in qualsiasi forma, inclusa l’emissione di garanzie e controgaranzie”), mentre paiono da escludere dal concetto gli apporti di capitale, che non comportano incremento dell’esposizione debitoria.

Un cenno a parte, data l’importanza pratica della questione, merita la disposizione di cui alla lett. h), relativa alle azioni giudiziali. In essa si fa menzione anzitutto delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili dal debitore, volendosi con ciò valorizzare ogni componente di attivo potenziale, a cominciare dalle azioni di responsabilità contro gli organi sociali (e i revisori) delle società di capitali cadute in stato di crisi o di insolvenza.

La norma, com’è noto, costituisce il punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale indirizzato a far emergere, attraverso l’obbligo di c.d. disclosure, le condotte foriere, in thesi, di danni risarcibili. Da questo punto di vista, può venire in evidenza anche la tematica delle azioni per abusiva concessione di credito da parte delle banche[55], che peraltro potrebbero anche essere, almeno in parte, le stesse alle quali il debitore in concordato si rivolge, in base al piano, per ottenere nuova finanza in prededuzione o del cui voto favorevole, comunque, necessita.

Al fine poi di avere piena contezza dello scenario alternativo in caso di liquidazione giudiziale, la disposizione in parola considera altresì le azioni proponibili dal solo curatore (tipicamente, le azioni revocatorie ex artt. 163 ss.), affinché risulti comprovata l’osservanza del principio di non deteriorità di trattamento.

L’espressione “prospettive di realizzo”, che la legge postula siano verificate dal debitore per dare concretezza all’attivo potenziale di cui si diceva, va riferita tanto alle azioni esperibili dal debitore quanto a quelle cui è legittimato solamente il curatore. Si allude qui in particolare agli accertamenti che occorre condurre in ordine alla consistenza patrimoniale dei soggetti che possono essere convenuti in giudizio; con la precisazione che i componenti dei collegi sindacali sono assai spesso muniti di coperture assicurative, destinate peraltro a venir meno nell’ipotesi in cui oggetto di contestazione siano comportamenti di natura dolosa (ma anche – notoriamente – in caso di omessa o intempestiva denuncia del sinistro, nonché di dichiarazioni mendaci o reticenti al momento di stipulazione della polizza).

 

18. I contenuti “speciali” del piano in continuità

Se quelli fin qui esaminati possono definirsi requisiti contenutistici “generali”, vale a dire prescritti indistintamente per ogni tipologia di piano, ve ne sono altri di carattere “speciale”, in quanto riferiti al solo concordato con continuità aziendale.

In primo luogo, la già più volte ricordata lett. e) richiede, con una previsione di non lieve momento, che il piano in continuità rechi con sé il piano industriale e che esso contenga l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi occorrenti per il riequilibrio della situazione finanziaria.

In secondo luogo, per l’ipotesi di continuità diretta la lett. f) prescrive, con formulazione pressoché identica al vecchio art. 186-bis, l. fall., l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, nonché del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura. Nel raffronto tra tale previsione, limitata alla continuità diretta, e quella più ampia di cui alla lett. e) si è ravvisata, in dottrina, “una asimmetria tra il piano industriale in continuità diretta e quello proveniente o fatto proprio dal terzo che prosegue l’attività – non potendosi propriamente parlare di piano industriale del debitore che si limiti a trasferire a terzi la proprietà o la detenzione dell’azienda –, che si traduce, nel secondo caso, in un deficit informativo”[56].

La norma in esame poi, puntando a essere “al passo coi tempi” anche sotto il profilo della doverosa adeguatezza ai precetti di matrice unionale, precisa che occorre tener conto anche dei costi necessari ad assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente: il che, nel caso ad esempio degli oneri di bonifica di siti inquinati, può in concreto comportare esborsi considerevoli, talora in grado di mettere a repentaglio la sostenibilità economica del piano[57]

Va infine osservato che vi è una serie di previsioni, già ricordate nel paragrafo precedente – da quelle sulle strategie di intervento e sugli apporti di nuova finanza (lettere b) e g)) a quelle sulla “posizione dei lavoratori” (espressione non immune da oggettiva genericità), sull’informazione e la consultazione tramite i loro rappresentanti e sugli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro (lettere a) e o)) – le quali, seppur non specificamente riferite alla continuità aziendale, di regola presuppongono la continuazione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa.

 

19. La preferibilità della soluzione concordataria

Con il secondo comma dell’art. 87 il legislatore ha onerato il debitore di indicare, esplicitandole, le ragioni per cui la proposta concordataria è preferibile alla liquidazione giudiziale.

Il precetto rientra fra quelli che attengono alla comparazione fra due scenari: l’opzione concordataria e l’alternativa ad essa, rappresentata dalla liquidazione giudiziale. Senonché, come chi scrive ha osservato all’indomani del varo del codice, è lecito dubitare della reale necessità di richiedere la preferibilità del concordato quando il resto della disciplina è imperniato sul criterio di non deteriorità di trattamento[58], apparendo il riferimento in parola poco armonico rispetto al quadro generale.

Una spiegazione, invero non priva di una qualche plausibilità, della ratio della norma è stata ravvisata nel disposto dell’art. 40: la dichiarazione che in tale sede “il debitore è tenuto ad effettuare attiene alla deduzione della causa petendi (ovvero le «ragioni della domanda» di cui al 2° co. dell’art. 40), che sorregge e spiega il proposito di accedere allo strumento di regolazione della crisi. La mancanza di tale requisito può, quindi, dare luogo all’inammissibilità del ricorso sotto il profilo processuale, non già all’inammissibilità della proposta di carattere negoziale, la quale, dato il principio di equivalenza di cui all’art. 841, non deve necessariamente risultare preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale con riguardo alla misura del trattamento offerto”[59].

Resta nondimeno il dubbio circa il fatto che la disposizione di cui trattasi fosse, nella “economia” dell’art. 87 (che oltre tutto si occupa del piano e non della domanda), davvero indispensabile.

 

20. L’attestazione del piano

Il terzo comma dell’art. 87 è dedicato all’attestazione del professionista indipendente – secondo la definizione di cui all’art. 2, lett. o) – all’uopo incaricato dal debitore.

Preliminarmente, si rende opportuna una precisazione dal punto di vista lessicale, giacché il termine “attestazione” che il legislatore, per vero comprensibilmente, continua a utilizzare (dopo averlo a suo tempo mutuato dalla scienza e dalla pratica aziendalistiche) è qui adoperato – come si legge in dottrina – in senso assolutamente generico rispetto al suo significato etimologico, in quanto l’attestazione di cui si tratta, in effetti, “non produce alcuna certezza e men che meno una certezza legale e, pur se può essere il frutto anche di accertamenti, è assolutamente irriducibile ad una «certificazione». L’attestazione esprime un giudizio, una valutazione (in chiave soprattutto prognostica), ed è pertanto riconducibile piuttosto ad un parere caratterizzato dalla particolare competenza del suo autore”[60].

Ciò detto sul piano terminologico e venendo al contenuto della norma, essa enuclea l’oggetto di tale attestazione, il quale viene declinato negli svariati profili che vanno scrutinati dall'attestatore con la debita diligenza, pena la propria responsabilità civile e penale[61].

I primi due aspetti riguardano tutte le tipologie di concordato e consistono nella veridicità dei dati aziendali e nella fattibilità del piano.

Con esclusivo riferimento al concordato in continuità, poi, la norma sancisce che il relativo piano dev'essere atto a (i) impedire o superare l'insolvenza del debitore; (ii) garantire la sostenibilità economica dell'impresa; (iii) riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.

Il disposto dell'art. 87, comma 3, riveste – com'è chiaro – un'importanza centrale, dal momento che in esso si rinviene la declinazione dei precetti-chiave in tema di continuità aziendale, che vanno oltre quello di fattibilità del piano (autonomamente prescritto dalla disposizione in esame, unitamente alla veridicità dei dati aziendali, senza distinzioni – si ripete – fra tipologie di concordati) e che costituiscono il nucleo stesso dell'attestazione in rapporto alla risanabilità dell'impresa e alla tutela minima del ceto creditorio[62].

Per quanto attiene, in particolare, alla veridicità dei dati[63], non risulta compatibile con il dettato normativo una verifica limitata alla corrispondenza formale fra i dati contabili e quelli esposti nella proposta, nel piano e nei rispettivi allegati. Senza ovviamente arrivare a parlare di attività di revisione in senso proprio, occorre tuttavia che l’attestatore ponga in essere uno scrutinio puntuale sull’attendibilità della rappresentazione patrimoniale e finanziaria quale offerta dal debitore. E può senz’altro ribadirsi, in proposito, quanto rilevato, ormai tre lustri orsono, con riguardo, ad esempio, al controllo di effettiva esigibilità dei crediti (che passa giocoforza per la valutazione di solvibilità dei debitori) e al corretto conteggio degli interessi, sia quelli maturati fino alla domanda di concordato, sia quelli destinati a prodursi, sui crediti prededucibili e privilegiati, in costanza di procedura: ferma la possibilità, soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni, di controlli “a campione”[64].

Con riguardo poi al requisito della fattibilità, è a ben vedere dubbio che l’attestatore possa limitarsi a constatare la non manifesta inadeguatezza del piano al raggiungimento degli obiettivi che il debitore si è prefissato, secondo la definizione dell’art. 7 (riferita però allo scrutinio demandato al tribunale ai fini della trattazione prioritaria della domanda di concordato). Pare piuttosto doversi trattare di una prognosi positiva in ordine alla realizzabilità del piano, all’insegna di una valutazione di effettiva probabilità – secondo il c.d. criterio del “più probabile che non” – dei risultati prospettati, quando non, com’è stato detto, di “concreta verosimiglianza, secondo le logiche di esperienza e i dettami delle discipline economiche finanziarie”[65].

La relazione deve inoltre contenere la precisa indicazione della documentazione analizzata, delle verifiche svolte, dei riscontri ottenuti e della metodologia utilizzata per addivenire alla formulazione delle conclusioni assunte[66].

La norma precisa infine che analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

Nel distinguere anche qui tra proposta e piano il legislatore ribadisce, quasi a chiudere il cerchio, quanto sancito nell’esordio dell’art. 87, in base al quale il debitore presenta il proprio piano “con la proposta di concordato”.

Sotto il profilo esegetico, il focus va posto sulla sostanzialità delle modifiche, nel senso che solo variazioni che incidano su aspetti rilevanti del piano e della proposta – a cominciare dalle modalità e dai tempi di adempimento, dalla percentuale di soddisfacimento dei creditori e dai criteri di formazione delle classi – postulano la “riattestazione” e non anche quegli emendamenti che possono considerarsi marginali, specie ove essi consistano essenzialmente in chiarimenti e precisazioni relativamente agli aspetti già affrontati nel piano, ovvero in elementi non ancora disponibili all’atto della sua redazione.

Specularmente, solo al cospetto dell’attestazione di modifiche sostanziali è consentito al professionista mutare le conclusioni assunte nella relazione, la quale, secondo la giurisprudenza relativa alla legge previgente, deve risultare esauriente e attendibile fin dal proprio deposito.



* Il presente contributo è destinato al Commentario al Codice della crisi, a cura di Valensise, De Cicco e Spagnuolo (sub artt. 85, 86 e 87), di prossima pubblicazione per i tipi della Giappichelli, nonché, con le variazioni e integrazioni del caso, alla rivista Il diritto fallimentare e delle società commerciali.

[1] Utilizza quest’espressione anche Leogrande, sub art. 4 bis, D.l. 23 dicembre 2003, n. 347, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1954.

[2] Manente, La procedura di ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, in Costa (a cura di), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2008, 763.

[3] Sul tema, con particolare riferimento alle regole di distribuzione, vedi l’ampio e stimolante contributo di Pacchi, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali.ilcaso.it, 6 gennaio 2022.

[4] Bran, La cessazione della procedura: conversione, chiusura e concordato, in Costa (a cura di), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, cit., 643.

[5] Sulla disciplina codicistica del concordato preventivo cfr., tra i primi commenti, Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 giugno 2022; Id., Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall., 2022, I, 837 ss.; Greggio, Finalità e tipologie di piano concordatario: prime osservazioni al “nuovo” art. 84 del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2022; Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, ivi, 12 settembre 2022, cui adde, fra gli altri, Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 732 ss., e l’ampia ricognizione (pur priva del corredo di note) di Fabiani, Un affresco sulle nuove 'milestones' del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 6 ottobre 2022.

[6] Si continua a preferire questa espressione, linguisticamente corretta, al (non necessario) neologismo “classamento”, pur “sdoganato” dalla rubrica dell’art. 120 ter CCII.

[7] La legge 19 ottobre 2017 n. 155, all’art. 6, 1° comma, lett. d), demandava al legislatore delegato di “individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne”.

[8] Sul punto dell’eccessiva complessità del codice della crisi cfr. da ultimo Jorio, Le categorie del disagio e la responsabilizzazione dell'imprenditore, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, cit., 9.

[9] Ricciardiello, op. cit., 753.

[10] Cfr. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fall., 2022, 1489, secondo il quale, con riferimento al tema del voto, “la maggioranza che conta è, soltanto, quella che si ottiene a livello di classe, con la conseguenza che il debitore può allocare in una classe (anche molto folta) - pur nel rispetto del principio della omogeneità degli interessi - i creditori riottosi e superare il loro voto contrario allocando nelle altre classi i creditori favorevoli purché queste classi siano la prevalenza”.

[11] Nel senso dell’obbligatorietà delle classi si erano espressi Presti, Rigore è quando arbitro fischia?, in Fall., 2009, 29; Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, ivi, 435; Sacchi, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, ivi, 1063.

[12] Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fall. 2009, 425 ss.; D’orazio, Il rebus delle classi dei creditori ed il controllo del tribunale, in Giur. Merito, 2009, I, 139; Censoni, Sull’ammissibilità di classi con unico creditore nel concordato fallimentare e preventivo, in Fall., 2010, 324 ss.; Calandra Buonaura, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, I, 18 ss.; Jorio, in Comm. Nigro- Sandulli- Santoro, III, Torino, 2014, 2044 ss.; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Vassalli- Luiso- Gabrielli, IV, Torino, 2014, 202.

[13] Così Ricciardiello, op. cit., 752.

[14] Nella giurisprudenza di merito, ormai non più recente, cfr. Trib. Milano, 4 dicembre 2008, in Fall., 2009, 423, ove il rilievo che “l’espunzione dell’esistenza delle garanzie dalla valutazione dell’interesse economico del creditore pregiudicherebbe sostanzialmente la funzione di questo requisito, ulteriore rispetto a quello dell’omogeneità di posizione giuridica, in quanto consentirebbe l’inserimento in un’unica classe di creditori con diverse prospettive di soddisfacimento dei propri crediti con conseguente alterazione della genuinità del meccanismo di formazione della volontà della maggioranza all’interno della classe, soprattutto laddove i creditori con garanzie esterne risultassero titolari dei crediti di più rilevante entità”. Su tale decisione si era ritenuto invero di osservare (Ambrosini, La domanda di concordato, in Ambrosini-Demarchi-Vitiello, Il concordato preventivo, Bologna, 2009, 68-69) che “l’eventualità che la maggioranza dei creditori chirografari sia costituita da banche munite di garanzie collaterali rappresenta una circostanza accidentale, di per sé inidonea a dare ingresso a interventi giudiziali orientati ad una «riconfigurazione forzosa» della suddivisione in classi. D'altra parte, la ragione per cui le banche garantite aliunde votino (in ipotesi) a favore del concordato appare sussumibile nella categoria dei motivi che conducono alla conclusione del contratto, notoriamente irrilevanti se non illeciti e comuni ai paciscenti (art. 1345 c.c.). A ciò può aggiungersi che, come l'esperienza insegna, le banche non sono di regola indifferenti alla misura del soddisfacimento in sede concordataria, specie quando l'escussione delle garanzie collaterali presenti a sua volta qualche «criticità» (come, ad esempio, nel caso di immobili ipotecati il cui valore o la cui vendibilità risultino incerti). Il che dovrebbe far ritenere che l'interesse delle banche, lungi dal porsi in conflitto, finisca normalmente per coincidere con quello dei creditori privi di garanzie concesse da terzi (specie di quelli considerati «deboli») e di prevenire comportamenti «abusivi» da parte della maggioranza”.

[15] D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, 1163; Ambrosini, La nuova crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, 97.

[16] E’ invece con ogni probabilità viziata da eccesso di delega la previsione – oltre tutto irragionevolmente limitativa rispetto all’idea, ormai recepita, di continuità in senso oggettivo – che postula la funzionalità dell’affitto alla presentazione del ricorso e quindi il necessario nesso teleologico (e verosimilmente anche temporale, pur da intendersi con l’opportuna “elasticità”) fra contratto di affitto e domanda di concordato.

[17] Così Farolfi, sub art. 85, in Di Marzio (diretto da), Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano 2022, 392.

[18] Bozza, Le maggioranze per l’approvazione della proposta concordataria, in Dirittodellacrisi.it, 3 agosto 2022, 21.

[19] Aliprandi, Monzeglio, Turchi, Voto e maggioranze nel nuovo concordato in continuità: una prima lettura con diversi punti interrogativi, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 6 settembre 2022, 8 ss.; Audino, sub art. 85, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al codice della crisi e dell’insolvenza, Padova, 2023 (in corso di stampa: dattiloscritto consultato grazie alla cortesia dell’autore).

[20] Per la soluzione affermativa Farolfi, op. cit., 393.

[21] Cass., 7 marzo 2017, n. 5689, in CED Cassazione, rv. 644659-02

[22] Così Audino, op. cit.

[23] Cass., 27 dicembre 2019, n. 34539, in Fall., 2020, 1425 ss.

[24] Cass., 21 giugno 2018, n. 16348, in Fall., 2019, 45 ss.

[25] Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della “miniriforma” del 2015, in Dir. fall., 2015, I, 370.

[26] In argomento cfr. Bozza, Il concordato liquidatorio, in Fall., 2020, 1235; Macagno, Il concordato preventivo liquidatorio, in Ambrosini, (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore, Bologna 2021, 288; Jeantet, Il piano di concordato e la suddivisione dei creditori in classi, ivi, 267 ss.

[27] Audino, op. cit.

[28] Sul tema il contributo più recente è a oggi quello di Guidotti, Le proposte (e le offerte) concorrenti nel concordato preventivo, in Ambrosini, (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore, Bologna 2021, 777 ss. In precedenza, tra i lavori più stimolanti sulla vecchia disciplina cfr. Bozza, Le proposte concorrenti, e A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti, entrambi in Ambrosini (a cura di), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria

dopo le riforme del 2015 e 2016, Bologna, 2017, rispettivamente 225 ss. e 289 ss.

[29] Così anche Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021, 396.

[30] Nigro-Vattermoli, op. loc. cit.

[31] Così Audino, op. cit.

[32] Sul tema cfr., tra i primi contributi, Ambrosini, Concordato preventivo e autonomia privata: I cc.dd. patti paraconcordatari, in Dir fall, 2016, I, 1464 ss.; Aiello, Il c.d. “patto para-concordatario”: appunti per la ricostruzione della fattispecie, in Fall., 2016, 1335 ss.

[33] Sul punto cfr. Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in Ilcaso.it, 1° agosto 2012; Arato, Il concordato con continuità aziendale, in Ilfallimentarista.it, 3 agosto 2012; Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in Ilcaso.it, 4 agosto 2013, 12-13.

[34] Cass., 18 giugno 2020, n. 11882, in Fall., 2021, 349 ss., con nota di Trentini, Ammissibilità del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati nel concordato preventivo.

[35] Così Farolfi, sub art. 86, in Di Marzio (diretto da), Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 396, ove l’autore evoca “un orizzonte temporale di 5/6 anni”; più genericamente di “criteri di ragionevolezza ricollegabili al contenuto del piano e comparabili con l’alternativa liquidatoria” parla Audino, sub art. 86, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al codice della crisi e dell’insolvenza, cit.

[36] Audino, sub art. 86, cit.

[37] Cfr. Ambrosini, Concordato preventivo e soggetti protetti nel codice della crisi dopo la Direttiva Insolvency: i creditori e i lavoratori, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 1° giugno 2022, cui adde, più in generale sul tema, Patti, Tutela dei diritti dei lavoratori, salvaguardia dell’impresa e CCII, in Fall., 2022, 1337 ss.

[38] Audino, sub art. 86,cit.

[39] L’art. 86 come introdotto dal codice del 2019 e modificato dal decreto correttivo del 2020 recitava quanto segue: “Il piano può prevedere una moratoria fino a due anni dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Quando è prevista la moratoria i creditori hanno diritto al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall'art. 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo”.

[40] Farolfi, sub art. 86,cit., 396; Audino, sub art. 86,cit.

[41] Nella giurisprudenza formatasi nell’imperio della vecchia legge cfr. Cass., 4 febbraio 2020, n. 2422, in CED Cassazione, rv. 656715-01, ove l’affermazione del principio in base al quale “in tema di concordato preventivo la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati, sicché l'adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura equivale ad una soddisfazione non integrale degli stessi, in ragione della perdita economica conseguente al ritardo rispetto ai tempi normali con il quale i creditori conseguono le somme dovute. La determinazione in concreto di tale perdita, rilevante ai fini del computo del voto ex art. 177, comma 3, l.fall., costituisce un accertamento in fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata del professionista ex art. 160, secondo comma, l.fall., tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di liquidazione dei beni gravati dal privilegio in ipotesi di soluzione della crisi alternativa al concordato”; Cass., 18 giugno 2020, n. 11882, cit., ove il rilievo che nel caso di moratoria ultrannuale “il diritto di voto dei privilegiati dilazionati andrà calcolato sulla base del differenziale tra il valore del loro credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello calcolato al termine della moratoria, dovendo i criteri per tale determinazione essere contenuti nel piano concordatario a pena di inammissibilità della proposta, come si desume sia dall’art. 86, D.Lgs. n. 14 del 2019 che dall’art. 2426, comma 1, n. 8, c.c.”.

[42] Ambiguita’ che si stempera, peraltro, se si considera il tenore della Relazione illustrativa sul punto: "La previsione in esame esclude dal voto solo i creditori muniti di privilegio per i quali il piano prevede il pagamento integrale, in denaro, nei limiti ovviamente della capienza della garanzia, entro centottanta giorni dall’omologazione. Se non concorrono queste condizioni i creditori, anche se pagati integralmente vanno inseriti in classi separate (come dispone l’articolo 112 di cui si dirà di seguito) e voteranno per l’intero credito. In caso di pagamento parziale per incapienza con pagamento della parte coperta dalla garanzia a condizioni diverse da quelle indicate nella norma, essi saranno inseriti in classi distinte (privilegiata e chirografaria) ed eserciteranno il diritto di voto in entrambe".

[43] Questa distinzione è suggerita da Audino, sub art. 87, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al codice della crisi e dell’insolvenza, cit.

[44] Leuzzi, sub art. 87, in Di Marzio (diretto da), Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano 2022, 399.

[45] Sul tema, da ultimo e per ampi riferimenti, Casa-Albiero, Risoluzione e annullamento del concordato, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 804 ss.

[46] In argomento cfr. ex aliis, nell’imperio della legge fallimentare, Terranova, L'autonomia del diritto concorsuale. Problemi e prospettive, Torino 2016, passim; Spiotta, Il ruolo del fattore tempo nella crisi d’impresa, in AA.VV., Crisi e Insolvenza. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 664 ss.

[47] Fabiani, Un affresco sulle nuove 'milestones' del concordato preventivo, cit., 21.

[48] Fabiani, op. ult. cit, 20.

[49] Sul tema, ex aliis e per gli opportuni riferimenti, D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Fall., 2022, 1223 ss.

[50] Leuzzi, sub art. 87, in Di Marzio (diretto da), Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano 2022, 400.

[51] Così fra i primi, correttamente, Leuzzi, Appunti sul Concordato Preventivo ridisegnato, in Dirittodella crisi.it, 5 maggio 2022, cui adde Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 giugno 2022, 6-7; Fabiani-Pagni, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in Dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022, 5.

[52] Cfr. Audino, op. cit.

[53] Così Audino, op. cit.

[54] E v. infatti Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dir. della crisi, 25 febbraio 2022.

[55] In argomento cfr. da ultimo, anche per riferimenti, Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 ottobre 2022; E. Andreani, Verifica del merito creditizio ed abusiva concessione di credito, ivi, 2 gennaio 2023.

[56] Così Audino, op. cit.

[57] Sul privilegio che assiste il credito del Ministero dell’ambiente per omessa bonifica di siti inquinati, cfr. Trib. Milano, 27 aprile 2022, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 29 aprile 2022, nonché più in generale sulla questione, in dottrina Capobianco, La (mancata) tutela ambientale nel diritto concorsuale, tra discrezionalità legislativa e dubbi di legittimità costituzionale, ivi, 8 giugno 2022.

[58] Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, cit., 7-8.

[59] Così Audino, op. cit.

[60] Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, cit., 419.

[61] Su cui si vedano, rispettivamente, Bottai-Pezzano, La responsabilità civile dell’attestatore, in Ambrosini-Tron (diretto da), Piani di ristrutturazione dei debiti e ruolo dell'attestatore, Bologna 2016, 75 ss., e Fontana, Brevi considerazioni sulle norme della l. 132/2015 nella prospettiva penalistica, ivi, 161 ss.

[62] Ambrosini, op. ult. cit., 4.

[63] Su questo aspetto, come su quello della fattibilità del piano, può essere tuttora utile, in un’ottica sia giuridica che aziendalistica, la lettura dei contributi racchiusi nel volume Ambrosini-Tron (diretto da), Piani di ristrutturazione dei debiti e ruolo dell’attestatore, cit.. Più di recente, nella letteratura aziendalistica, v. Bastia, Gestione della crisi e piani di risanamento aziendali, Milano, 2022, 265 ss.

[64] Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. XI, 1, Padova, 2008, 69.

[65] Leuzzi, sub art. 87, cit., 402.

[66] Cfr. Leuzzi, op. ult. cit., 401.