Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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Articolo

Gli advisor di fronte alla scelta dello strumento di soluzione della crisi: opportunità e criticità. *


Riccardo Bonivento

Data pubblicazione
15 febbraio 2023

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Sommario: 1. Gli advisor di fronte alla scelta dello strumento di soluzione della crisi; 2. La composizione negoziata; 3. Lo sbocco del concordato semplificato; 4. La criticità dei debiti erariali e previdenziali; 5. Le regole di distribuzione nel concordato preventivo; 6. Il calcolo del valore eccedente quello di liquidazione; 7. L’aspetto temporale della comparazione.


1. Gli advisor di fronte alla scelta dello strumento di soluzione della crisi.

Il tema che mi è stato assegnato riguarda, da un lato, le opportunità che l’advisor, nel mio caso finanziario, può cogliere e, dall’altro, le criticità che deve superare allorquando egli affronta una situazione di crisi aziendale.

Con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato in recepimento della c.d. Direttiva Insolvency[1], rispetto ad una crisi aziendale, soprattutto al fine di individuare la migliore soluzione nel tentativo di superare la crisi stessa, l’advisor non potrà non tenere conto delle opportunità offerte dal Codice e delle insidie che si possono nascondere in relazione alle scelte che vengono assunte. Qui di seguito vengono esaminate alcune questioni che presentano rilevanti implicazioni sul piano pratico.  


2. La composizione negoziata.

In tale contesto una prima questione che si pone riguarda l’opportunità di richiedere l’accesso alla composizione negoziata della crisi.

Va ribadito che la composizione negoziata si colloca all’esterno degli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza e non costituisce una procedura concorsuale[2].

Essa rappresenta piuttosto un percorso, uno snodo preventivo, per addivenire ad una soluzione della crisi, sotto un possibile ombrello protettivo rispetto alle misure esecutive e cautelari, ove la protezione potrà operare erga omnes o solo nei confronti di alcuni creditori, con la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili, con l’esenzione dalla revocatoria per i pagamenti e le garanzie posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti, ed ancora, con la sospensione delle cause di scioglimento per perdite e dei provvedimenti conseguenti.

Al di là poi delle cosiddette misure premiali, espressamente previste dalla norma[3], in termini di opportunità, l’accesso alla composizione negoziata consente di ridurre dal 75% al 60% la percentuale necessaria di creditori aderenti rispetto alle categorie individuate negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto, ed inoltre, qualora la composizione negoziata sia stata utilmente avviata, di abbassare dal 30% al 20% la soglia di sbarramento delle proposte di concordato concorrenti, ossia la percentuale riferita all’ammontare dei crediti chirografari in relazione alla quale il professionista indipendente attesta che la proposta di concordato del debitore ne assicura il pagamento.  


3. Lo sbocco del concordato semplificato.

Un’ulteriore opportunità, in verità solo apparente, della composizione negoziata, consiste nel poter accedere, nel caso di esito negativo delle trattative, al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio[4], ma solo a condizione che l’esperto nella relazione finale dichiari che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lettera b) CCII non sono praticabili.

Per evitare l’abuso dello strumento occorre pertanto rispettare in concreto il requisito dello svolgimento in buona fede delle trattative e dunque appurare che vi sia stata una effettiva interlocuzione con i creditori interessati, i quali devono aver ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore e sulle misure per il risanamento, formulate con la sottoposizione da parte del debitore di una o più proposte di soluzioni alternative.

Costituirebbe pertanto un abusivo utilizzo dello strumento l’accesso alla composizione negoziata da parte di un imprenditore insolvente senza il supporto di un progetto di piano che ne consenta un effettivo risanamento ed effettuato al solo scopo di poter evitare la liquidazione giudiziale cercando di atterrare in una procedura più “comoda” e meno invasiva, quale può essere appunto il concordato semplificato.

Ma ci si domanda se l’imprenditore in crisi/insolvente – ove l’insolvenza rappresenta la forma più grave della crisi – possa sempre accedere alla composizione negoziata e se sussistano particolari condizioni per consentire tale accesso.

Dal punto di vista oggettivo, devono coesistere le seguenti due condizioni:

-  la sussistenza di una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rende probabile la crisi o l’insolvenza;

-  la ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa, che dovrà essere dimostrata attraverso un piano economico finanziario da sottoporre all’esperto.

Se non vi è possibilità di un ragionevole risanamento, eventualmente anche nella forma della continuità indiretta mediante trasferimento di azienda, l’accesso alla composizione negoziata appare precluso.

A mio avviso, questo non significa che l’imprenditore non possa formulare un piano di risanamento finalizzato a trovare un accordo con i creditori anche con stralcio dei debiti, al fine di rimediare prospetticamente al proprio squilibrio patrimoniale, e ciò se, all’esito delle trattative, i creditori accettano di rimettere in tutto o, più verosimilmente, in parte i loro crediti.

In tal senso anche una società in liquidazione potrebbe accedere alla composizione negoziata, laddove il piano ne preveda il riequilibrio patrimoniale attraverso la riduzione delle passività, nonché la conseguente revoca dello stato di liquidazione all’esito delle trattative ed in esecuzione del piano prospettato ai creditori.  


4. La criticità dei debiti erariali e previdenziali.

Mi chiedo se sia possibile accedere alla composizione negoziata quando oggetto di stralcio siano debiti verso l’AdE/AdER e/o verso gli enti previdenziali (INPS, INAIL …), ove, in questo caso, la possibilità di stralcio è prevista esclusivamente nell’ambito o degli accordi di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo, attraverso la forma della c.d. transazione fiscale e previdenziale, rispettivamente ex artt. 63 e 88 CCII.

In sostanza, se il piano remissorio nella composizione negoziata prevede uno stralcio di debiti fiscali e/o previdenziali, prima ancora di accedere alla composizione negoziata, l’imprenditore, ed anche il suo advisor, sono perfettamente consapevoli che l’esito delle trattative non potrà mai condurre ad una delle soluzioni previste dal primo comma dell’art. 23 CCII, ossia a) al contratto idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno un biennio secondo la relazione dell’esperto o b) alla convenzione di moratoria od ancora c) all’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto, e ciò perché in nessuna di queste ipotesi sarà possibile ottenere lo stralcio dei debiti fiscali o previdenziali.

La composizione negoziata dovrà necessariamente essere finalizzata a raggiungere un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi del secondo comma, lett. b) dell’art. 23 CCII ovvero ad accedere allo strumento di regolazione della crisi ed in particolare al concordato preventivo, ai sensi del secondo comma lett. d) dell’art. 23 CCII,  che però costituiscono entrambe delle soluzioni esperibili solo in caso in cui le trattative siano state prima condotte e non abbiano portato ad una delle soluzioni di cui al primo comma.

Ma in presenza di debiti fiscali e/o contributivi da stralciare nessuna trattativa finalizzata a trovare una soluzione prevista dal primo comma dell’art. 23 potrà essere prima condotta, perché AdE, AdER, INPS e INAIL non possono accettare stralci se non sotto il “cappello” dell’accordo di ristrutturazione o del concordato preventivo.

Queste considerazioni porterebbero alla conclusione che in presenza di un piano che preveda lo stralcio di debiti fiscali e/o contributivi non sia possibile accedere alla composizione negoziata, ma sia necessario procedere direttamente all’accordo di ristrutturazione ovvero al concordato preventivo, previa eventuale domanda prenotativa ex art. 44 CCII.  


5. Le regole di distribuzione nel concordato preventivo.

Nell’ambito delle criticità / opportunità offerte dal nuovo codice della crisi a me sembra che un aspetto centrale riguardi le regole distributive dei valori aziendali, di liquidazione e di continuità, in particolare nel contesto dei piani di concordato preventivo in continuità aziendale.

La distribuzione del valore aziendale può prevedere la regola di priorità assoluta o absolute priority rule ovvero la regola di priorità relativa o relative priority rule[5].

Secondo la prima regola (absolute priority rule) è impedita la soddisfazione del creditore di grado inferiore se non dopo che risulti soddisfatto per intero il creditore di rango superiore, salvo che non si utilizzino risorse esterne, ossia risorse finanziarie non appartenenti al patrimonio del debitore e come tali estranee al concorso.

Secondo la seconda regola (relative priority rule), invece, è possibile il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza del pagamento integrale dei creditori di rango superiore a condizione che detto pagamento sia di misura più bassa rispetto a quello previsto per i creditori di rango superiore.

Ora nel Codice della crisi e dell’insolvenza opera la regola della priorità assoluta nei concordati liquidatori; tale regola distributiva non si applica però con riguardo alle c.d. risorse esterne, ossia agli apporti aggiuntivi (p.e. apporti da parte dei soci senza obblighi di restituzione o con vincolo di postergazione) che non possono essere inferiori al 10% dell’attivo disponibile al momento di presentazione della domanda.

Tali risorse esterne potranno essere distribuite, nei concordati liquidatori, in deroga agli artt. 2740 e 2741 cod. civ., purché sia rispettato il requisito della soddisfazione minima del 20% a favore dei creditori chirografari, sia originari che divenuti tali per effetto del degrado.

Nei concordati in continuità, in relazione ai quali è obbligatoria la suddivisione dei creditori in classi, la soluzione distributiva viene prospettata nei seguenti termini.

Il valore di liquidazione del patrimonio deve essere distribuito tra i creditori sulla base della regola della priorità assoluta, mentre il valore eccedente quello di liquidazione può essere assegnato ai creditori sulla base della regola della priorità relativa.

Con riferimento a questa seconda parte di risorse concordatarie, riferita al valore eccedente quello di liquidazione, è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.

Per i soli crediti assistiti da privilegio ex art. 2751 bis n.1) cod. civ., ossia i crediti dei lavoratori, però, la regola della priorità assoluta va rispettata anche nei concordati in continuità aziendale, sia sul valore di liquidazione sia sul valore eccedente quello di liquidazione.

Nella seguente tabella, riepilogo, con un esempio semplificato, le modalità di applicazione delle regole distributive del valore secondo le due diverse regole:  

Valore liquidazione                                                           100
Valore eccedente quello di liquidazione                            50
Totale valore da distribuire                                               150  

Creditori                                                   Priorità assoluta                  Priorità relativa
Privilegi di lavoro di grado 1     110         110         100%                    110         100%
Privilegi di grado 2                      35           35         100%                     24,5         70%
Privilegi di grado 3                      50             5           10%                     10            20%
Chirografari                               200             0             0%                       5,5            2,75%
                                                                 
150                                      150

Secondo la regola della priorità assoluta nella formazione del progetto di distribuzione si deve seguire l’ordine dei privilegi e pertanto, solo dopo aver soddisfatto integralmente una classe di rango superiore (privilegi di grado 1 e 2 soddisfatti rispettivamente per 110 e per 35 e quindi al 100%), si potrà passare a destinare il residuo ai creditori della classe inferiore (privilegi di grado 3 soddisfatti per 5 e quindi al 10%), senza alcuna soddisfazione a favore dei chirografari.

Nella regola della priorità relativa, invece, la medesima somma distribuibile (nel nostro esempio 150), dopo essere destinata a soddisfare integralmente i crediti di lavoro (110), anche per la quota (10) eccedente il valore di liquidazione (100), potrà essere destinata a soddisfare classi di creditori di rango inferiore (privilegi di grado 3 soddisfatti per 10 e quindi al 20% e chirografari soddisfatti per 5,5 e quindi al 2,75%), anche se quelli di rango potiore non sono stati interamente soddisfatti (privilegi di grado 2 soddisfatti per 24,5 e quindi al 70%), il che consente di formulare proposte concordatarie in deroga alle previsioni di cui agli artt. 2740 e 2741 cod.civ., in presenza di valori di attivo derivanti dalla continuità aziendale, sia diretta sia indiretta, o comunque di risorse esterne eccedenti quelle di liquidazione.

Restano però aperti alcuni dubbi interpretativi, con particolare riferimento alla determinazione del valore differenziale ed al momento a cui riferire la comparazione.  


6. Il calcolo del valore eccedente quello di liquidazione.

Per la corretta determinazione del valore eccedente quello di liquidazione va innanzitutto stabilito cosa si intenda per valore di liquidazione.

A mio avviso, nel calcolare il valore di liquidazione si deve tener conto del valore di realizzo degli asset aziendali nell’ipotesi di liquidazione giudiziale, al netto delle spese, comprendendo però nel valore di liquidazione anche l’eventuale esito di azioni revocatorie e di azioni di responsabilità, nonché il valore di realizzo del complesso aziendale da assumere in ipotesi di cessione da parte del curatore della liquidazione giudiziale, da intendersi non necessariamente come valore disgregato dei singoli cespiti che lo compongono, ma, laddove ne sussistano le condizioni, come valore aggregato anche in relazione alla possibilità di esercizio provvisorio da parte del curatore.

Nel determinare invece il valore eccedente quello di liquidazione, in ipotesi di continuità diretta la determinazione del valore dovrà considerare i flussi attivi netti prodotti dalla gestione nel periodo di piano, ma al tempo stesso dovrà escludere eventuali componenti aziendali funzionali alla continuità per i quali il piano non ne preveda la realizzazione.

Nell’ipotesi invece di continuità indiretta, nel computo del valore eccedente quello di liquidazione si dovranno comprendere i valori rivenienti dagli affitti attivi realizzati nell’arco di piano, nonché il prezzo di cessione dell’azienda.

In ogni caso rientrano tra i valori eccedenti quelli di liquidazione gli apporti aggiuntivi (p.e. apporti da parte dei soci senza obblighi di restituzione o con vincolo di postergazione).  


7. L’aspetto temporale della comparazione.

Un’ulteriore criticità riguarda il momento a cui deve riferirsi la comparazione tra il valore di liquidazione e il valore della continuità, ossia se tale confronto debba essere effettuato al momento della presentazione della domanda ex articolo 40 CCII (tempo “t”) ovvero al momento successivo della presentazione del piano e della formulazione della relativa proposta ai creditori (tempo “t1”) ovvero ad un momento ulteriormente successivo riferibile al giudizio di omologazione (tempo “t2”), e ciò con particolare riguardo alle verifiche (c.d. cross class cram down) che il tribunale dovrà condurre ai sensi dell’art. 112, commi 2, lett. a) e b) e 3 CCII.

Assumendo i tre diversi momenti il confronto potrebbe condurre a risultati assai diversi tra loro.

Basti pensare ad un’ipotesi di continuità indiretta nella quale il debitore sia stato autorizzato alla cessione dell’azienda nella fase del cosiddetto concordato prenotativo.

In questo caso, se assumiamo quale momento utile al fine di effettuare la comparazione quello “t” della presentazione domanda prenotativa ex artt. 40 e 44 CCII verosimilmente, il valore della continuità (indiretta), rappresentato dal prezzo della prospettata cessione dell’azienda, risulterebbe verosimilmente superiore al valore di liquidazione.

Ma dopo che, già durante lo svolgimento della c.d. fase prenotativa, si sia realizzata la cessione di azienda e che il relativo introito sia stato incamerato dal debitore, al momento “t1” di predisposizione del piano e di formulazione della proposta ai creditori, si perverrà ad effettuare un calcolo comparativo tra due valori assai simili tra loro, atteso che l’incasso derivante dalla cessione sarebbe già stato acquisito al patrimonio del debitore, e ciò grazie all’anticipato effetto della continuazione in forma indiretta dell’attività aziendale.

Il tendenziale avvicinamento tra il valore di liquidazione e quello di continuità sarà ancora più marcato se la comparazione va effettuata al momento “t2” riferito al giudizio di omologazione, e ciò sul presupposto che nell’esperienza pratica molto spesso nell’intervallo temporale intercorrente tra la data della domanda di concordato preventivo (più correttamente ora domanda con riserva nel procedimento unitario) e quella di omologazione possono già realizzarsi alcuni effetti positivi derivanti proprio dalla continuità aziendale, come ad esempio la riscossione piena di crediti, la cessione del magazzino a valore di mercato, la mancata applicazione di penali, effetti tutti che potrebbero non realizzarsi qualora fosse intervenuta la liquidazione giudiziale.

A favore della tesi secondo cui il confronto tra valore di liquidazione e quello di continuità vada svolto al momento “t” sembra indirizzare la previsione normativa che, nel declinare il contenuto del piano di concordato, all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII prevede che sia indicato il valore del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale, proprio alla data della domanda di concordato, ove tale indicazione sembrerebbe costituire la base anche temporale su cui effettuare il confronto.

È altrettanto vero però che solo nel successivo momento in cui si elabora il piano e si formula la conseguente proposta ai creditori sarà possibile determinare in modo coerente il valore di liquidazione e l’eventuale eccedenza in ipotesi di continuità.

In questi termini, ogni valutazione del tribunale in sede di omologazione circa il calcolo del valore eccedente quello di liquidazione dovrebbe riferirsi temporalmente al momento della presentazione del piano e della proposta, se non ulteriormente retroagire a quello della domanda con riserva, e ciò non solo in relazione alla sopra richiamata indicazione normativa di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII, ma anche perché è con riferimento a questo momento (più esattamente, per effetto dell’art. 117 CCII, con la pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso) che si individua il c.d. “spartiacque” e la conseguente c.d. “spalla di piano”, ossia la situazione patrimoniale di partenza, con la determinazione statica del patrimonio di liquidazione da destinare ai creditori del concordato, secondo la regola della priorità assoluta, e la determinazione dinamica delle ulteriori risorse da intendersi come surplus derivante, in ottica dinamica, dalla continuità aziendale, destinabili ai creditori, secondo la regola della priorità relativa.    


* Testo della relazione svolta al convegno “Organi sociali, banche e professionisti di fronte alle società in crisi”, tenutosi presso la Camera di Commercio di Brescia il 30 gennaio 2023, destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.

[1] Su tale adeguamento si vedano fra gli altri Vella, La nuova era della ristrutturazione preventiva nel Codice della crisi e dell’insolvenza dopo l’attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023; Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il D.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di «quadri di ristrutturazione preventiva» e Minervini, Codice e direttiva: i principi immanenti (e sovraordinamentali) del diritto della crisi, tutti in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, rispettivamente alle pp. 10 ss., 75 ss. e 90 ss.

[2] Tra i primi ad affermarlo Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 agosto 2021.

[3] Cfr. Pacchi, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17 gennaio 2023.

[4] In argomento da ultimo Bozza, Il concordato semplificato, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, cit., 307 ss.

[5] Sull’argomento cfr. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fall., 2020, 1071 ss.; Pezzano, Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2022.