Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Le attività di liquidazione in esecuzione della proposta di concordato preventivo omologata


Francesco Carelli
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“Gestione sostenibile” dell’impresa, “adeguati assetti” e (una annotazione su) “interesse sociale”: spunti di riflessione*


Maurizio Onza

Data pubblicazione
17 marzo 2023

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Sommario: 1. Introduzione. – 2. Sulla “gestione dell’impresa”…. – 3. (Segue) ….e sulla gestione “sostenibile” dell’impresa. – 4. Sugli “adeguati assetti”. – 5. Una annotazione sull’ “interesse sociale”: intersezione tra “gestione sostenibile” dell’impresa e “adeguati assetti”.


1. Introduzione


Le locuzioni alle quali il titolo promette di dedicare qualche spunto di riflessione sono sfuggenti: perché, della prima, la “gestione sostenibile” dell’impresa, il formante legale o non c’è o è in corso di assestamento[1]; della seconda, gli “adeguati assetti”, quel formante è infante[2] ed il formante giurisprudenziale è quantitativamente povero; dell’ultima e della quale si proporrà solo una annotazione, l’ “interesse sociale”, il formante dottrinale dibatte, quasi senza sosta, da decenni. Locuzioni, peraltro, che richiamano argomenti oggetto, nell’oggi, di crescente attenzione di giuristi e non. Sicché, forse, per assolvere alla promessa in avvio conviene fissare qualche punto di riferimento, di orientamento, prendendo le mosse dai significati, il più possibile “normativi”, di quelle locuzioni.

 

2. Sulla “gestione dell’impresa”…

Principiando dalla prima locuzione, essa si presta ad una elementare scomposizione.

E, ancora in via elementare, sulla “gestione dell’impresa” si potrebbe osservare almeno questo:

a)“gestire l’impresa” significa, almeno (ma non solo), scegliere[3] tra diverse possibilità per il raggiungimento di un fine;

b)trattandosi di impresa, la “gestione” deve, tra le varie, essere diretta alla produzione di nuova ricchezza, organizzata (rendendo “azienda” i mezzi di produzione, cioè “beni” atti alla produzione di quella ricchezza[4]), abituale (diceva il Codice di commercio del 1882; cioè professionale, dice oggi il Codice civile; dunque: non occasionale) e condotta con metodo economico (in modo da programmare una politica dei prezzi dei beni prodotti e dei servizi resi tale da remunerare i fattori della produzione organizzati per essa)[5];

c)il fine e la modalità di perseguimento di esso (l’attività in concreto da svolgere) sono fissati da chi avvia l’impresa; nelle società, in quanto “enti distinti delle persone dei soci”[6], le modalità sono, in particolare, fissate nel patto sociale[7], riducendosi l’attività da svolgere essenzialmente nell’oggetto sociale e, se società cc.dd. lucrative, quelle modalità sono tese, nel fine, al perseguimento di un surplus dei ricavi rispetto ai costi; surplus, poi, da distribuire (con l’utile di periodo o con la liquidazione, totale o del singolo rapporto) ai soci (art. 2247 c.c.)[8];

d)la “gestione dell’impresa” richiama, questo è il punto, sceltecostrette[9] in certi limiti; quelli dell’ “essere impresa” - attività, economica professionale organizzata, per produrre nuova ricchezza - che si potrebbero isolare in quanto fissati dalla legge; e quelli del fine e della modalità del perseguimento di esso - l’attività da svolgere e, se società c.d. lucrativa, il lucro da distribuire ai soci - che si potrebbero isolare (quando l’impresa è esercitata da una società) in quanto fissati pattiziamente;

e)quando l’impresa è esercitata da una società, da un ente (“altro dai soci”), chi sceglie, perché gestisce, poi, non lo fa nell’interesse proprio bensì nell’interesse pre-costituito e fissato (dai soci) nel patto sociale costitutivo e regolativo dell’ente, essendo vincolato, poi, dalla finalità (sempre dai soci) prescelta (ad esempio, appunto, lucrativa)[10]; e

f)  questa scelta, come ogni scelta, genera, a certe condizioni, una responsabilità (per ora in senso lato) per la deviazione della scelta da quei limiti e da quelle finalità pre-costituite e fissate (dalla legge o pattiziamente)[11].

 

3. (segue) … e sulla gestione “sostenibile” dell’impresa

La “gestione dell’impresa”, si diceva, nella locuzione che si sta indagando è legata alla “sostenibilità”[12]. E così:

a)la scelta gestoria, se legata alla “sostenibilità”, significa, all’evidenza, scegliere “considerando” la “sostenibilità”;

b)questo “considerare” la “sostenibilità” può essere una scelta autonoma, pattizia (effettuata, nelle società, dai soci; si pensi, ovviamente, alla società che si “dichiara al mercato” benefit[13]); oppure quel “considerare” la “sostenibilità” può essere imposto, dall’eteronomia, dall’ordinamento;

c)nell’uno e nell’altro caso, la “scelta gestoria” è (tendenzialmente) affidata, quanto meno nella sua attuazione concreta, a chi gestisce l’impresa;

d)il grado di “considerazione” della “sostenibilità” nella scelta gestoria può essere più o meno intenso; transitando, de minimis, da una relazione di compatibilità tra scelta gestoria e “sostenibilità”, siccome mera assenza di effetti negativi (vuol dirsi pregiudizievoli) di quella su questa, fino al perseguimento della “sostenibilità”, siccome obiettivo dell’attività governata da quella scelta; dandosi, quindi, tra l’una e l’altro, sfumature a cagione del rapporto con altri fini (esemplarmente, quello c.d. di lucro); comunque,

e)in tutti i casi è necessario individuare cosa si intenda giuridicamente per “sostenibilità”.


In effetti, nella disciplina della società benefit si rinviene un riferimento alla “sostenibilità”, dovendo la società per scelta statutaria[14] benefit operare « in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse »[15].

Un riferimento alla “sostenibilità”, questo, che tuttavia non indica affatto cosa debba intendersi per “sostenibilità”[16]; specificando solo che operando in quel modo (responsabile trasparente sostenibile), la società benefit deve “perseguire” un « beneficio comune » (quale « effetti positivi » o « riduzione degli effetti negativi ») per i relativi destinatari, quelli dal testo legislativo “nominati” o comunque i soggetti sui « quali l’attività dell’impresa possa avere un impatto »[17], società civile compresa[18]. Certo, si potrebbe ipotizzare che quel risultato, il « beneficio comune », coincida con la “sostenibilità”; ma così non parrebbe: proprio perché tale beneficio deve essere raggiunto “operando in modo” « sostenibile » (oltre che « responsabile » e « trasparente »), orientando verso uno scarto tra “sostenibilità” e « beneficio comune ». E qui, nella società benefit, l’intensità tra scelta gestoria e “sostenibilità” è nel senso del bilanciamento[19] tra scopo c.d. lucrativo e funzione c.d. benefit[20].

Qualche indicazione più precisa, viceversa, sulla “sostenibilità” – su cosa “sia” la “sostenibilità”, ancora una volta, in senso giuridico - si ritrova in altri complessi normativi; dove la “gestione sostenibile dell’impresa”[21] non si fonda, si badi, su una scelta pattizia (dei soci; come nella società benefit; scelta che in thesi serve a “presentare sul mercato la società come benefit”; d’onde il tradimento dello scopo benefit si apprezza innanzitutto sul piano del mercato, sul piano pubblicitario, qualificandosi siccome pubblicità ingannevole)[22]; ma su regole di rango legale; regole che invero o presuppongo una gestione dell’impresa “sostenibile” o orientano per una gestione dell’impresa “sostenibile”.

Senza, evidentemente pretese di completezza, si allude:

a)alla recentissima direttiva (UE) 2022/2464 sulla « rendicontazione societaria di sostenibilità »,  che nella direttiva 2013/34/UE[23]  sostituisce[24] la parte sulle dichiarazioni non finanziarie[25], nella quale non si discorreva di “sostenibilità” non parlavano].

In questa nuovissima direttiva, la “sostenibilità è una “questione”[26] e le « questioni di sostenibilità » (oggetto di rendicontazione) sono i « fattori ambientali, sociali, relativi ai diritti umani e di governance »[27] nonché (con un rinvio discutibile al regolamento (EU) 2019/2088; discutibile perché in parte ripetitivo) le « problematiche [ambientali, sociali e] concernenti il personale, il [rispetto] dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva »[28]. Qui, la “gestione sostenibile” è, per certi versi, presupposta; dovendo essere oggetto di rendicontazione, quale parte della relazione sulla gestione.

Alcune rapide note su questa novella possono giovare all’analisi. Eccole:

(1)     le nuove regole devono applicarsi a imprese (anche piccole e medie; ma non micro) che siano qualificate “enti di interesse pubblico”, in primis, le società con « valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato[29];

(2)     le “questioni di sostenibilità” sono oggetto di dettaglio a mezzo principi che saranno adottati con atti delegati dalla Commissione europea, evitando di imporre alle imprese « un onere amministrativo sproporzionato » specificando alcuni profili fissati nella direttiva (mitigazione dei cambiamenti climatici, condizioni di lavoro, parità, sistemi di controllo interno e via discorrendo)[30]; e

(3)     le “questioni di sostenibilità” non sembrano che si pongano, nella direttiva, come finalità della gestione. Appare, piuttosto, che nella gestione di esse occorra “tenere conto” o, al più, che possano perseguirsi in modo “lasco” e commesso all’autonomia gestoria[31]; in definitiva, non costituiscono un oggetto di perseguimento vincolato per la gestione, come il lessico del legislatore – che usa la locuzione “questioni di sostenibilità” in luogo di scopo o finalità - autorizza a credere.

Esemplare in tal senso sono, da un canto, il riferimento alla garanzia della (sola) compatibilità, nei « piani dell’impresa »,  del « modello e [del]la strategia aziendali […] con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’accordo di Parigi […] e l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 »[32]; e, dall’altro, che, sì, devono essere “descritti gli obiettivi” « connessi alle questioni di sostenibilità »[33], ma la scelta di essi è commessa all’impresa, essendo, in altri termini, individuati dall’impresa, restando soggetta all’opportunità l’inclusione degli « obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno per il 2030 e il 2050 »; individuazione a cui segue la descrizione dei « progressi […] realizzati nel conseguimento degli stessi », attestando, con una dichiarazione, rispetto ai soli “fattori ambientali”, « se gli obiettivi dell’impresa […] sono basati su prove scientifiche conclusive »[34];

b)al d.lgs. n. 58/1998 (c.d. t.u.f.), nell’art. 123 ter, comma 3 bis, quale oggetto della relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti, specificando che la « politica di remunerazione contribuisce alla strategia aziendale, al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società e illustra il modo in cui fornisce tale contributo »; e ponendo la sostenibilità della società come “circostanza eccezionale” legittimante la deroga alla politica di remunerazione; disciplina, questa, limitata alle società con le azioni quotate in mercati regolamentati e che parrebbe presupporre la “gestione sostenibile”;

c)alla definizione, pure “a portata” oggettivamente e soggettivamente limitata, di “investimenti sostenibili”[35], contenuta nel regolamento (EU) 2019/2088 all’art. 2, n. 17, quali  investimenti « in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, […] o […] in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale […] o […] in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate », purché si tratti di investimenti che « non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali »; ed

d)al codice di codice di corporate governance per le società con azioni quotate nel mercato telematico azionario gestito da Borsa Italianache propizia[36]la “sostenibilità” laddove impone agli amministratori la « guida della società perseguendone il successo sostenibile »[37]; “successo sostenibile”, prima definito quale « creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società »[38].

 

Ebbene, in questo “campione” di scenario normativo: (i) non appare identificabile una unica “nozione” giuridica di “sostenibilità”, essa variando (seguendo un metodo di produzione del formante legale cui è corrisposto uno sperimentato metodo interpretativo[39]) in funzione della disciplina riguardata; e (ii) non si scorge una abilitazione dell’interprete a costruire un obbligo legale di conformare la scelta gestoria alla sostenibilità siccome “co-finalità” dell’impresa; resta un limite esterno alla gestione dell’impresa[40]. A ben vedere, anche la “rendicontazione di sostenibilità” – che di quel “campione” è il più “avanzato” - si risolve in una verifica intestata a soggetti, professionali e resi specializzati nelle “questioni”[41], tenuti alla revisione legale, i quali svolgono il « lavoro finalizzato al rilascio di un’attestazione circa la conformità della rendicontazione di sostenibilità »[42], reso attraverso una apposita relazione[43].

Le “questioni sulla sostenibilità” colgono un limite “esterno” alla gestione dell’impresa[44], come sfera intangibile la cui intangibilità va “descritta” nella dedicata rendicontazione, arricchendosi la “compliance” di un ulteriore obbligo che, certamente, “reagisce” sulla sfera della “responsabilità” della scelta gestoria, di ogni scelta gestoria, di cui in avvio si ragionava.

Più nel dettaglio, e centrando l’attenzione sugli obblighi di rendicontazione sulle questioni di sostenibilità, se non c’è dubbio che l’inadempimento o l’adempimento non esatto di questi obblighi generi una responsabilità risarcitoria di gestori e controllori (interni ed esterni) dell’impresa;  viceversa qualche dubbio si intravede su danno e legittimazione all’azione, dovendosi, a rigore, distinguere l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) di obblighi di “compliance” (di “conformità”), il cui nesso eziologico isola il danno risarcibile, da un canto; e dell’altro, l’attività di impresa che, eziologicamente, ha cagionato il danno; sicché, in via esemplare, concettualmente altro è l’attestazione di qualcosa di falso (una falsa rendicontazione sulle questioni di sostenibilità); altro è il comportamento imputabile alla società che abbia provocato un danno, ledendo, sempre in via esemplare, i diritti umani.

Ed è, si badi, a questa seconda eventualità che dovrebbe ascriversi la c.d. responsabilità sociale di impresa, se a questa si intende assegnare un significato giuridico, quale obbligo di risarcire un danno provocato nello svolgimento dell’attività di impresa che affligga una “collettività” (in senso lato) assunta a punto di riferimento che possa, a sua volta, predicarsi “sociale”; “danno sociale”: (i) per la “estensione”, quanto a soggetti danneggiati; (ii) per la “entità economica”, dunque per l’entità economica dell’obbligazione di risarcimento; al riguardo, per evitare equivoci, si deve notare che, su altro piano, riposa la differenza tra danno patrimoniale e non patrimoniale, la quale ha di mira il bene danneggiato (che può o meno patrimoniale) e non la sua rilevanza economica ai fini del risarcimento del danno; o per (iii) per la “qualità”, incidendo su beni, valori o, per se si vuole, sulla “coscienza sociale” particolarmente avvertiti dalla collettività o da una collettività di riferimento in un determinato momento storico.

Cosicché se: per evitare danni così connotati l’impresa deve adeguarsi a comportamenti jure, cioè deve adeguarsi a regole che prevengono tali danni; e se queste regole possono avere una fonte legale (la cui violazione espone, in thesi, a responsabilità aquiliana) ed una fonte contrattuale (la cui violazione espone, in thesi, a responsabilità contrattuale); pertanto, il senso precettivo della “responsabilità sociale di impresa” si possa (e si debba) cogliere se:

a) si trovino regole ordinamentali non scritte che obbligano a tenere un comportamento la cui violazione generare l’obbligo di risarcire il danno;

b)si trovino regole ordinamentali non scritte che connettono alla tenuta di un comportamento (non obbligatorio ma) facoltativo l’obbligo, una volta tenuto in concreto, di risarcire il danno causato da quel comportamento;

c)l’ordinamento prevede un comportamento obbligatorio ma non stabilisce la conseguenza della violazione dell’obbligo;

d)l’ordinamento prevede un comportamento facoltativo ma non stabilisce la conseguenza in caso di produzione di un danno derivante dal comportamento tenuto in concreto; o

e)la qualificazione di responsabilità sociale di impresa determini l’ascrizione della responsabilità occorsa in concreto a quella contrattuale o aquiliana nell’incertezza del dato testuale. Qualificazione, peraltro, che avrebbe un senso precettivo forte se fosse contrattuale generando, per il danneggiato, quei vantaggi probatori e prescrizionali a questa accordati.

In una battuta: la responsabilità sociale di impresa ha senso precettivo, almeno dal punto di vista del danneggiato, se: (i) introduce nuovi “danni ingiusti” (cioè comportamenti non jure) nella responsabilità aquiliana; (ii)“converte” la responsabilità aquiliana sorta in concreto in responsabilità contrattuale (agevolando il danneggiato); e (iii) in preesistenti rapporti giuridici introduce nuovi obblighi la cui violazione provoca il risarcimento del danno causato da tale violazione[45].

 

4. Sugli “adeguati assetti”

Passando agli “adeguati assetti”[46], in via preliminare è opportuno rammentare che:

a)gli “adeguati assetti”organizzativi, amministrativi e contabili - introdotti nel Codice civile all’art. 2086, comma 2, con l’approvazione del cod. crisi risalente al 2019 - sono testualmenteistituiti (anche) in funzione « della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale ».

Di essi nulla, ma proprio nulla, si diceva direttamente nel cod. crisi “versione 2019”, dandosi

(1)     solo un passaggio, rapido, nella sua relazione che poco aggiunge al contenuto precettivo di quel comma; contenuto precettivo a sua volta sostanzialmente coincidente con quanto previsto nella legge delega del cod. crisi (l. n. 155/2017); e

(2)     un riferimento (nell’art. 3, comma 2) generico e precettivamente nullo alla disposizione del Codice civile;

b)sulla competenza all’istituzione degli “adeguati assetti” (e non sugli “adeguati assetti” in sé) è intervenuto, nel 2020, il decreto legislativo “correttivo ed integrativo” (n. 147) del cod. crisi, nei sensi del superamento di alcune perplessità (della dottrina e degli operatori) scaturenti da una (possibile) lettura del nuovo materiale normativo in grado, nelle società cc.dd. di persone, di legittimare una (indiretta e “rivoluzionaria”) “organizzazione corporativa” e, nella s.r.l., di eliminarne l’ “attenuazione” [47] esito di autorevoli interpretazioni della riforma del 2003[48];

c)il diritto vigente degli “adeguati assetti” si deve al d.lgs. n. 83/2022, decreto legislativo che proclama l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1023[49]; questo “novissimo diritto”, stavolta, non coinvolge (direttamente) il Codice civile bensì il cod. crisi, per un verso, sopprimendo « le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi » (c.d. sistema di allerta), sostituite con la « composizione negoziata della crisi, la piattaforma unica nazionale, il concordato semplificato e le segnalazioni per la anticipata emersione della crisi »[50] (c.d. composizione negoziata), e, per l’altro, dedicando l’art. 3[51], espressamente alla « adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi ».

Rispetto alla “versione 2019” dell’art. 3, le “novità novissime” sono minime, nel secondo comma (ridotta a stile), e vistose nell’introduzione degli (inediti) terzo e quarto comma, nei quali si dettagliano, prima, tre strumenti di attuazione della “previsione tempestiva dell’emersione della crisi dell’impresa”, una delle “funzioni” degli “adeguati assetti” (per l’ “imprenditore collettivo”) e delle “misure” (per l’ “imprenditore individuale”); e, dopo, i “segnali” reputati (dal legislatore) rilevanti per quella “previsione”; 

d)il “novissimo diritto” è contenuto, si è ricordato, in un atto normativo domestico che si proclama attuativo della direttiva (EU) 2019/1023; ciò non dimeno, in questa non si rinvengono mai (salvo sviste) regole sugli “adeguati assetti”. Piuttosto, per quanto qui interessa, è previsto che:

(1)     « il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la loro [dei quadri] sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l’insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale » (art. 4, § 1);

(2)     sia (mantenuta o) introdotta « una verifica di sostenibilità economica […], purché tale verifica abbia la finalità di escludere il debitore che non ha prospettive di sostenibilità economica, e possa essere effettuata senza pregiudicare gli attivi del debitore » (art. 4, § 3); e

(3)     « qualora sussista una probabilità di insolvenza, i dirigenti tengano debitamente conto come minimo dei seguenti elementi: a) gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; b) la necessità di prendere misure per evitare l’insolvenza; e c) la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell’impresa » (art. 19).

 

Benché, in questa sede, non sembri conducente le ripercorre le argomentazioni alla base dei convincimenti già espressi[52]  nel vigore dell’assetto normativo anteriore alla novella del 2022 - che, sia detto per inciso, la novella pare piuttosto confermare che smentire – si compendiano ora alcune note che nell’auspicio di non scontare la noia della ripetizione.

A.      Elemento centrale degli “adeguati assetti” dell’art. 2086, comma 2, c.c. è (e resta) la di essi funzionalizzazione alla « rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale la funzionalizzazione »[53]. 

B.       Lanecessità di “adeguati assetti” a tanto funzionalizzati sono connessi alla “economicità” - ed all’ “organizzazione” (come organizzazione e ri-organizzazione dei fattori produttivi proiettata nel tempo) - dell’attività di impresa esercitata siccome equilibrio programmato nel tempo tra costi e  ricavi; proiezione nel tempo da (efficacemente) controllare (lato sensu) e da documentare[54]. Il che spiega e giustifica l’istituzione di questi “adeguati assetti” ogni qualvolta si eserciti un’attività di impresa[55].

C.      Soppresso il c.d. sistema di allerta, quella funzionalizzazione è necessaria perapprontare il prima possibile una “reazione” ad una crisi di impresa tempestivamente rilevata. Sicché la funzionalizzazione di “adeguati assetti” continua ad apprezzarsi in ordine sia alla “rilevazione” della crisi d’impresa sia all’approntamento delle conseguenti “reazioni”. Il che conferma l’irrilevanza precettiva della (persistente) asimmetria testuale tra l’art. 2086, comma 2, c.c., dove la finalità è connessa solo alla “rilevazione”, e l’art. 3, comma 2, cod. crisi, dove la finalità riguarda l’una e l’altra.

D.      Se, poi, al centro degli “adeguati assetti” v’è l’impresa, come attività stabile e programmaticamente economica, e la funzionalizzazione degli “adeguati assetti” riguarda “rilevazione” e “reazione” della sua crisi, non stupisce che di queste si predichi l’applicazione anche all’imprenditore non entificato, in cui una “organizzazione” come “altro da sé” manca, mancando un ente, ed affidandosi, per la “rilevazione”, a « misure idonee », dovendosi conseguentemente, in caso di positiva tempestiva rilevazione dello stato di crisi, approntare (comanda l’art. 3, comma 1, cod. crisi) “misure necessarie a farvi fronte”; per questo rispetto, mostrando, il legislatore delle riforme, una certa incapacità sistematica non giustificandosi, parrebbe, l’assenza di un riferimento alle “misure idonee” nel Codice civile.

E.       La proporzionale calibrazione dell’ “adeguatezza” di quella funzionalizzazione (“rilevazione” e “reazione”), relazionata a “natura e dimensione dell’impresa”, è invocata (ora anche) nel comma terzo dell’art. 3 cod. crisi.

F.La rilevanza in questa funzionalizzazione delle scritture contabili, che misurano l’azienda in funzionamento, è accentuata se, come parrebbe da concedersi, il funzionamento dell’azienda si misura, innanzitutto, sulla presenza di uno squilibrio « patrimoniale o economico-finanziario »[56]; d’onde l’intestazione, sull’ « organo di controllo societario »[57], di un obbligo di segnalazione, all’ « organo amministrativo », qualora quello squilibrio possa « rendere probabile la crisi o l’insolvenza essendo tuttavia ragionevole il perseguimento del risanamento dell’impresa »[58], attivando la c.d. composizione negoziata; attivazione che, al ricorso delle condizioni, sembrerebbe da reputare un potere/dovere dell’organo amministrativo, in linea con l’art. 19 direttiva (EU) 2019/1023[59].

G.      E ancora.

Proprio quella funzionalizzazione consente di non limitare la “reazione” agli “strumenti” previsti nel d.lgs. n. 14/2019, quali unici « strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale » di cui testualmente discorre l’art. 2086, comma 2, in fine, c.c. Qualunque “reazione” lecita consenta di superare quella crisi e di realizzare quel recupero è da stimarsi corretto adempimento del dovere di “reazione”, salvo, probabilmente, il verificarsi dei presupposti per l’attivazione della c.d. composizione negoziata, secondo, forse, il modello c.d. “comply or explain[60].

H.      Nella valutazione dell’adempimento o dell’inadempimento ai “doveri” (tanto la “previsione” quanto la “reazione”, quella, di cui solo parla il testo, essendo, poi, la “base” sulla quale “scegliere” questa) titolati nell’art. 2086, comma 2, c.c., come già cennato, il “novissimo diritto” ha introdotto una “guida” - che si direbbe solo esemplare - di strumenti adeguati alla funzionalizzazione di “misure” ed “assetti”, descrivendone tre « capacità »; vale a dire, cioè:

(1)     di « rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore ». Alla relazione con “natura e dimensioni” dell’impresa aggiungendo, si crede, con il riferimento all’attività, la relazione con il contesto (di mercato, territoriale, geografico) in cui l’impresa opera[61];

(2)     di « ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento »; invocando, per tale via, la « piattaforma telematica nazionale »[62] e rafforzando la doverosità dell’avvio, al ricorso dei presupposti, della c.d. composizione negoziata. La prospettiva resta relazionale: l’ “assetto” è “adeguato” se recepisce (correttamente e tempestivamente) le informazioni necessarie per (ancora una volta, correttamente e tempestivamente) avvalersi di quella piattaforma; che “deve[63] essere utilizzata per effettuare il test pratico;

(3)     di « verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali » previsti nel quarto comma; si richiama, dunque, in un orizzonte temporale pre-determinato, la “struttura del debito” (trattata nel comma successivo) e la continuità aziendale nella quale a questa “struttura” si aggiunge la prospettiva reddituale. Ed è, invero, l’unico punto di emersione diretto di tale prospettiva, salvo forse il riferimento - ma indiretto, essendo correlato allo “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” – « alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale » di cui prima si parlava.

 

Poco sembra da osservare sui parametri dei “segnali” che si presentano: (i) tutto sommato a descrizione puntuale; (ii) ancora una volta solo esemplari, potendosi, tra i vari, aggiungere, in caso di variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, gli obblighi di segnalazione delle banche ed agli intermediari all’organo di controllo[64] che, al ricorso di elementi di contesto, potrebbero costituire elementi “sintomatici” dello stato di crisi; e (iii) comprensivi dello “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” che, nel cod. crisi “versione 2019”, fondava la definizione di stato di crisi e che, appunto, nella “versione 2022” diventa elemento che gli “adeguati assetti” devono valutare tempestivamente e presupposto della c.d. composizione negoziata; nel mentre, sempre nell’ultima versione del cod. crisi, la definizione di crisi si centra sullo “stato di probabile insolvenza” che si « manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni nel successivi 12 mesi »[65].

Nonostante la perdita, dal passaggio dalla “versione 2019” alla “versione 2022”, della fissazione di un periodo di tempo (sei mesi) per la valutazione della continuità aziendale in caso di esercizio già in corso, può azzardarsi che l’elemento centrale nella “rilevazione tempestiva” della crisi sia (e resti) la continuità aziendale. A ben vedere, infatti, una crisi o, quale requisito di accesso alla c.d. composizione negoziata, una probabilità di crisi[66], non è in sé rilevabile sulla base del (solo) “squilibrio patrimoniale economico finanziario” o della (sola) sulla “struttura del debito”; conta la prospettiva reddituale la quale è co-essenziale alla continuità aziendale che, in definitiva, comprende tutti questi elementi e che richiama, ancora una volta, l’economicità dell’attività di impresa come (lecita) persistenza, e quindi auto-sufficienza, dell’impresa sul mercato.

 

5. Una annotazione sull’ “interesse sociale”: intersezione tra “gestione sostenibile” dell’impresa e “adeguati assetti”

Lo svolgimento, conclusivo, dell’annotazione sull’interesse sociale, ragionando dunque di società, l’ultima locuzione in esame, può assumere questo, inevitabilmente assertivo, andamento:

a)non sembra revocabile in dubbio che gli “adeguati assetti” dell’art. 2086, comma 2, c.c. siano chiamati in causa anche rispetto alla “gestione sostenibile”, almeno in tutti i casi in cui essa si risolva in obblighi di “conformità”;

b)la rilevanza degli “adeguati assetti” per i danni ascrivibili all’attività dell’impresa è, viceversa, questione da valutare caso per caso, dovendosi appurare l’incidenza causale tra il “difetto” (lato sensu) degli “assetti” ed il danno provocato; tra, per tornare all’esempio di prima, il “difetto” degli “assetti” e la violazione dei diritti umani[67], essendo, peraltro, assai problematico quantificare il conseguente danno che, a sua volta, suppone l’assegnazione di un “prezzo” ai diritti umani (come quantificare il pregiudizio alla qualità della vita se causato da un danno ambientale? Negli stessi sensi, come quantificare il danno alla privazione dell’istruzione in caso di sfruttamento del lavoro minorile? Il ricorso al danno alla salute rischiando di apparire una forzatura);

c)tale valutazione dovrebbe avvalersi del paradigma della responsabilità extra-contrattuale a meno di non applicare, con un apprezzamento di contesto, le più agevoli (per il danneggiato) regole dalle c.d. responsabilità da contatto sociale; intestando, in ogni caso, la legittimazione passiva sulla società[68];

d)se, poi, si concede che al centro degli “adeguati assetti” vi sia (anche se non solo) la continuità aziendale e se continuità aziendale significa persistenza (lecita) dell’impresa sul mercato, si potrebbe azzardare che la continuità aziendale si ponga come “soglia” minima dell’interesse sociale[69] che i gestori della società devono, nelle scelte gestorie, perseguire; conta, de minimis, che i gestori scelgano nella prospettiva di persistenza dell’impresa sul mercato, la sua “uscita” dipendendo o dalla volontà dei soci - sciogliendo anticipatamente la società o non re-investendo più - o dalle condizioni del mercato stesso;

e)ne segue che in tutti i casi in cui il perseguimento della continuità aziendale richieda di considerare il contesto, la “sostenibilità”[70], e magari di perseguirla, per i gestori questo perseguimento diventa un obbligo gestorio proprio verso i soci e verso i creditori della società; e

f)  lungo tale via, ne segue pure che se la “sostenibilità” entra, in quei casi, nella continuità aziendale, quale interesse sociale minimo, e se il contesto in cui l’impresa opera richieda l’adozione dei « modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati » previsti dal d.lgs. n. 231/2001[71], questa adozione da facoltativa dovrebbe diventare obbligatoria; ancora una volta almeno verso i soci e verso i creditori della società.


Insomma, si potrebbe azzardare che la “sostenibilità” – se connessa alla continuità aziendale e salvo di volta in volta la sua concreta definizione rilevante – si presenti co-essenziale alle scelte imprenditoriali, contribuendo a rendere doverosi comportamenti facoltativi; transitandosi dal principio del neminem laedere al principio per il quale si devono approntare presidî per non ledere, senza per questo appoggiarsi alle ipotesi di responsabilità oggettiva (si pensi a quella, pericolosamente a portata di mano… delle attività pericolose!)[72].

 

 (*) Questo lavoro, destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini, riprende una relazione svolta in occasione del convegno “Organi sociali, banche e professionisti di fronte alle società in crisi”, tenutosi in Brescia il 30 gennaio 2023. Qui si aggiungono riferimenti bibliografici solo essenziali sia perché la letteratura è, sul punto, quasi senza confini sia perché, in fondo, si affrontano, in punta di penna, temi di “vertice” che necessariamente non possono che supporre scelte di “vertice” dell’autore, la giustificazione argomentativa delle quali imporrebbe uno studio incompatibile per gli “spunti di riflessione” che si vogliono proporre.


[1] Si pensi alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 del 23 febbraio 2022 (proposta sulla c.d. dovuta diligenza).

[2] Quanto meno se riferito al “sistema” introdotto con l’art. 2086, comma 2, c.c., risalente, come noto, al d.lgs. n. 14/2019 (il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; c.d. cod. crisi).

[3] C. Angelici, Interesse sociale e business judgment rule, in Riv. dir. comm.2012, I, 573 ss.

[4] Sull’azienda si può ora leggere M. Cian, Dell’azienda. Artt. 2555-2562, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2018, passim.

[5] Per una ricostruzione aggiornata ed accurata, v., con autorevolezza, G. Marasà, L’imprenditore. Artt. 2082-2083,in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2021, passim.

[6] Soggetti “altro” dai soci: art. 77 cod. comm. 1882.

[7] Atto costitutivo, statuto e, eventualmente, patti parasociali.

[8] Il che distingue queste società dalle società (qualificate) imprese sociali dove la distribuzione del surplus ai soci è, come noto, temperata (cfr. art. 3, comma 3, d.lgs. n. 112/2017).

[9] Per non “uscire” dalla qualificazione di impresa.

[10] Cfr., naturalmente, P. Spada, Diritto commerciale. Elementi, Vol. 2, Padova, 2009, passim; nonché M. Stella Richter jr., In principio sono sempre le funzioni, in Riv. soc., 2019, 20 ss.

[11] Nei poc’anzi abbozzati.

[12] Per una prima indicazione bibliografica sia permesso il rinvio a M. Onza, Corporate social responsability and corporation, in Production and circulation of whealth. Problems, principles and models. Summer school, Brescia 8-12 luglio 2019, a cura di M. Onza – A. Saccoccio, Torino, 2022, 293 ss. V., inoltre, di recente G.B. Portale, La corporate social responsability alla ricerca di effettività, in Banca borsa e tit. cred., 2022, I, 947 ss.; F. d’Alessandro, Il mantello di San Martino, la benevolenza del birraio e la Ford modello T, senza dimenticare Robin Hood (Divagazioni semi-serie sulla c.d. responsabilità sociale dell'impresa e dintorni), in Riv. dir. civ., 2022, I, 409 ss.; P.M. Sanfilippo, Tutela dell’ambiente e “assetti adeguati” dell’impresa: compliance, autonomia ed enforcement, in Riv. dir. civ., 2022, I, 993 ss.; M. Stella Richter Jr., Corporate Sustainability Due Diligence: noterelle semiserie su problemi serissimi, in Riv. soc., 2022, 714 ss.; D. Stanzione, Scopo e oggetto dell’impresa societaria sostenibile, in Giur. comm., 2002, I, 1023 ss.; G. Racugno - D. Scano, Il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità: verso un Green Deal europeo, in Riv. soc., 2022, 726 ss.; Eug. Barcellona, Shareholderism versus stakeholderism. La società per azioni contemporanea dinanzi al «profitto», Milano, 2022, passim; S. Pacchi, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 settembre 2022. Cfr., infine, i saggi raccolti in Aa.Vv., Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, a cura di M. Callegari, S. Cerrato, E. Desana, Vol. I, Torino, 2022, parte prima (46-358). Cfr., inoltre, Assonime, L’evoluzione dell’organo amministrativo tra sostenibilità e trasformazione digitale, Note e Studi 1/2023, passim.

[13] Tra i diversi lavori, v., per tutti, A. Daccò, Le società benefit tra interesse dei soci e interesse dei terzi: il ruolo degli amministratori e i profili di responsabilità in Italia e negli Stati Uniti, in Banca borsa tit. cred., 2021, I, 40 ss.; P. Butturini, Società benefit e diritto di recesso, Torino, 2022, passim.

[14] Impregiudicato il problema della possibilità o non di operare quale società benefit pur in assenza di quella scelta. 

[15] Art. 1, comma 376, l. n. 208/2015.

[16] Neppure, allo scopo, possono essere di ausilio gli allegati nn. 4 e 5 l. n. 208/2015, questi riferendosi, nell’ordine, alla « valutazione dell’impatto generato » dall’attività di impresa quale « standard di valutazione esterno »; ed alla identificazione delle « aree di valutazione »: art. 1, comma 382, lett. b), l. n. 208/2015.  

[17] Art. 1, comma 377, l. n. 208/2015.

[18] In quanto « altri portatori di interesse », tali essendo « il soggetto o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o  indirettamente, dall’attività delle società [benefit], quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori,  pubblica amministrazione e società civile »: art. 1, comma 378, lett. b), l. n. 208/2015.

[19] V. art. 1, comma 377, l. n. 208/2015.

[20] Essendo forse, quella benefit, una funzione, una modalità dell’azione, più che uno scopo dell’azione.

[21] Altro, viceversa, essendo la “sostenibilità” riferita al patrimonio dell’impresa: e v., soprattutto, il cod. crisi, ove si discorre di « sostenibilità dei debiti » [art. 3, comma 3, lett. b)] o del « debito » (v. artt. 25 octies ss.), di « sostenibilità economico-finanziaria dell’attività » (art. 21, 1° comma 1) e di « sostenibilità economica dell’impresa » (art. 87, comma 3).

[22] V. art. 1, comma 384, l. n. 208/2015.

[23] Sui « bilanci di esercizio […] bilanci consolidati e relative relazioni di talune tipologie di imprese »; direttiva dal testo della quale ora si citerà.

[24] Segnatamente negli artt. 19 bis e ss. e 29 bis ss.

[25] Su cui v. C. Mosca - C. Picciau, in Commentario del Codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano. Libro quinto: Del lavoro. Del bilancio: Art. 2423 - 2435 ter, a cura di M. Irrera, Torino, 2022, sub art. 2428, 445 ss.

[26] In lingua inglese, “matter”, tedesca, “(Nachhaltigkeits)aspekt” e, francese, “question”.

[27] Art. 2, n. 17, direttiva 2013/34/UE.

[28] Art. 2, n. 24, regolamento (UE) 2019/2088.

[29] Art. 2, n. 1, lett. a), direttiva 2013/34/UE.

[30] Art. 29 ter, § 2, direttiva 2013/34/UE.

[31] Salvo un rafforzamento a mezzoclausole pattizie qualora se ne ammettesse la plausibilità “fuori” dalla qualifica di società benefit: v. supra, nt. 14.

[32] Art. 19 bis, § 2, lett. a), iii), direttiva 2013/34/UE.

[33] Art. 19 bis, § 2, lett. b), direttiva 2013/34/UE.

[34] Conseguenza normative diverse possono concedersi, se e quando sarà approvata la proposta sulla c.d. dovuta diligenza (supra, nt. 1), all’obbligo di “dovuta diligenza” al quale pure la direttiva 2013/34/UE incidentalmente si riferisce [art. 19 bis, lett. f), i)]. Proposta il cui art. 25 prevede che gli amministratori di società [rilevanti, in sintesi, per “grandezza” o per “settore di attività”] debbano - generando una di essi responsabilità (distinta dalla responsabilità della società, prevista al ricorso di talune condizioni inerenti la prevenzione o l’arresto diimpatti negativi” su diritti umani ed ambiente, potenziali ed effettivi; cfr. l’art. 22); debbano, si diceva, tenere « conto, nell’adempiere al loro dovere di agire nell’interesse superiore della società, delle conseguenze in termini di sostenibilità, a breve, medio e lungo termine, delle decisioni che assumono, comprese, se del caso, le conseguenze per i diritti umani, i cambiamenti climatici e l’ambiente ».

[35] Su cui v. M. RescignoIl nuovo Regolamento UE 2019/452 sul controllo degli investimenti esteri diretti: integrazione dei mercati, sistemi nazionali e ruolo dell’Europa, in Giur. comm., 2020, I, 847 ss.

[36] Stante la sua adozione solo facoltativa.

[37] Art. 1, § 1.

[38] V. le “Definizioni”. Sul tema, cfr. Siri, La sostenibilità nei codici di autodisciplina, in Aa.Vv., Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti (nt. 12), 326 ss.

[39] Tra i primi, N. Irti, L’età della codificazione, Milano, 1999, passim.

[40] E ciò anche nella proposta sulla c.d. dovuta diligenza se è vero che l’interesse della società resta “superiore” (v. supra, nt. 34).

[41] Il revisore legale o i revisori legali « responsabile o responsabili della sostenibilità »: art. 2, n. 16 bis), direttiva 2006/43/CE, come introdotto dalla direttiva (UE) 22464/2022.

[42] Art. 2, n. 2), direttiva 2006/43/CE, come modificato dalla direttiva (UE) 22464/2022.

[43] Art. 28 bis, direttiva 2006/43/CE, introdotto dalla direttiva (UE) 22464/2022.

[44] Non diversamente, al fondo, dalla “collocazione” della salute e dell’ambiente nel (novissimo) art. 41, commi 2 e 3, Cost.

[45] Su questi profili, cfr. se si vuole M. Onza (nt. 12) loc. cit.

[46] Per una prima informazione bibliografia sia consentito, ancora, il rinvio a M. Onza, Gli “adeguati assetti” organizzativi: tra impresa, azienda e società (Appunti per uno studio), in Riv. dir. comm., 2022, I, 1 ss. Cfr., inoltre, S. Ambrosini, Adeguatezza degli assetti aziendali, doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in Aa.Vv., Governance e mercati (nt. 12), 1703 ss.; C. Cincotti, Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (anche a proposito del “Decreto Dirigenziale”), in Dir. fall. soc. comm., 2022, 567 ss.; G. Garesio, Il contenuto degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle società di persone, in Il nuovo dir. soc., 2022, p. 27 ss.; G. Giannelli, Gli assetti organizzativi per la prevenzione della crisi nei controlli nelle società per azioni, in Aa.Vv., Governance e mercati (nt. 12), 1721 ss.;

GuiottoLa nuova “allerta” nella declinazione degli assetti organizzativi, in Fall. proc. conc., 2022, p. 1185 ss.; A. Jorio, Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. comm., 2021, 812 ss.; S. Cerrato, L’obbligo di istituire assetti adeguati nel prisma della “crisi” (dal Codice al d.l. 24 agosto 2021, n. 118), in Nuovo. dir. soc., 2021, 1289 ss.; S. Masturzi, La rilevanza della prospettiva aziendale nella valutazione di adeguatezza degli assetti, in Nuovo dir. soc., 2021, 1859 ss.; O. Cagnasso, Le misure idonee, gli assetti adeguati e l’organizzazione dell’attività dell’impresa, in Nuovo dir. soc., 2021, 1597 ss.; P. Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgment rule”: una questione di sistema, in Nuovo dir. soc., 2021, 11 ss.;
A. Briguglio, Applicabilità della “business judgment rule” alle scelte in materia di assetti societari adeguati [Nota a ordinanza: Trib. Roma, sez. spec. impresa, 8 aprile 2020], in Riv. dir. soc., 2021, 290 ss.; L. De AngelisLa responsabilità degli amministratori non esecutivi e degli organi di controllo con riguardo agli assetti societari,
in Dir. fall. soc. comm., 2022, p. 3 ss.; F. Di Ciommo, La responsabilità civile di inizio millennio. Il caso del nuovo art. 2086 c.c. in tema di responsabilità di imprenditore e amministratori, in Danno e resp., 2022, 413 ss.; N. Atlante, La governance delle società di capitali nel codice della crisi di impresa, in Riv. not., p. 283 ss.; M. Fabiani, Introduzione ai principi generali e alle definizioni del codice della crisi, in Fall. proc. conc., 2022, 1173 ss.; A. Mirone, Assetti organizzativi, riparti di competenze e modelli di amministrazione: appunti alla luce del “decreto correttivo” al Codice della crisi e dell’insolvenza, in Giur. comm., 2022, I, 183 ss.; M. Sciuto, Quel che resta degli obblighi di segnalazione nel Codice della crisi, in Var.  temi dir. lav., 2022, 475 ss.

[47] Rendendo nell’art. 2257 c.c., per le società cc.dd. di persone e, per la s.r.l., nell’art. 2475 c.c., “esclusiva” la “gestione” degli amministratori; “esclusività” passata, poi nel 2020, dalla “gestione” alla «istituzione degli assetti».

[48] Per tutti, v. P. Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica, in Riv. dir. civ., 2003, I, 489 ss.

[49] Su «quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione».

[50] Arrt. 12 ss. cod. crisi vigente.

[51] In origine, nella “versione 2019”, confezionato per i «doveri del debitore» solo lambendo, con il generico riferimento del quale s’è detto, l’art. 2086 c.c.

[52] M. Onza (nt. 46), loc. cit.

[53] Funzionalizzazione che ne marca la differenza sostanziale dagli “assetti” di cui all’art. 2381 c.c., disposizione normativa solo dal 2003.

[54] L’esigenza di una documentazione come fattore ordinante dell’attività di impresa è connessa alla scrittura; nel 2018 sono stati ritrovate documentazioni commerciali in tavolette d’argilla scritte con caratteri cuneiformi, scoperte ad Ur, in Mesopotamia, e risalenti al II millennio prima dell’era volgare: v. G. Cabras, La via dell’impresa, Torino, 2022, 21.

[55] Applicandosi anche ad associazioni e fondazioni, eventualmente non qualificati Enti del Terzo Settore, che esercitino, in via strumentale, l’attività di impresa.

[56] Per la rilevanza di siffatto squilibrio, nell’ambito dell’art. 3 cod. crisi, v. ultra, sub H., (2).

[57] Che, nella “versione 2022” cod. crisi, deve ritenersi escludere il revisore legale.

[58] Art. 25 octies, comma 1, cod. crisi.

[59] V. supra, sub lett. d), (3).

[60] Sicché: se ricorrono i presupposti e non si attiva quella procedura occorre darne una motivazione ragionevole.

[61] Accentuando la differenza tra questi “assetti” e quelli dell’art. 2381 c.c. (supra, nt. 53).

[62] Art. 13 cod. crisi.

[63] In difetto, per evitare l’inadempimento, occorre motivare ragionalmente.

[64] Art. 25 decies cod. crisi.

[65] Art. 2, lett. a), cod. crisi.

[66] Che a sua volta significa la probabilità della probabilità dell’insolvenza; essendo la crisi lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa di cui si diceva.

[67] V., supra § 3.

[68] Sull’imputazione degli stati soggettivi, v. M. Campobasso, L’imputazione di conoscenza nelle società, Milano, 2002, passim. Cfr., nella legislazione in divenire, v. l’art. 22 proposta sulla c.d. dovuta diligenza (supra nt. 34).

[69] Gli studi sull’interesse sociale sono impediscono un censimento attendibile. Rinvio agli studi di ore: P.G. Jaeger, L’interesse sociale, Milano, 1964, passim; e Id., L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur. comm., I, 2000, 79ss.; Aa.Vv., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger. Atti del Convegno (Milano, 9 ottobre 2009), Milano, 2010; v., poi, l’approfondita e importante analisi di M.S. Spolidoro,Interesse, funzione e finalità. Per lo scioglimento dell’abbraccio tra interesse sociale e scopo aziendale, in Riv. soc., 2022, 322 ss.

[70] Coinvolgendo anche la c.d. catena di valore la cui emersione giuridica è testuale e in via di diffusione [v., tra i vari, nella direttiva 2012/34/UE, l’art. 19 bis, § 1, lett. a), ii); nonché il noto Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz – LkSG]. Su questi temi, v. ancora G.B. Portale (nt. 12); M.V. Zammitti, La responsabilità della capogruppo per la violazione del duty of care: note a margine di Okpabi v. Royal Dutch Shell Plc, in Riv. dir. soc., 2021, 521 ss.; Ead., L’impresa socialmente irresponsabile: un primo itineraio di giurisprudenza, anche in una prospettiva comparata, in Soc., 2021, p. 1018 ss.; Ead., La responsabilità della capogruppo per la condotta socialmente irresponsabile delle società subordinate, Milano, 2020, passim; F. Bordiga, Una decisione del Landgericht Dortmund in tema di responsabilità di società tedesca da human right violations nei paesi in via di sviluppo (c.d. caso KiK), in Riv. soc., 2019, 606 ss.; A.Guercini, La legge tedesca sugli obblighi di “due diligence” nella “supply chain” (“Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz – LkSG”), in Riv. dir. soc., 2022, 400 ss.

[71] Cfr. art. 6, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001.

[72] E forse nel caso della c.d. catena di valore della società (supra nt. 71), nel silenzio (ad oggi) dell’ordinamento domestico, stagliandosi una responsabilità di quest’ultima per fatto altrui o, quale induzione all’inadempimento, per fatto proprio purché si dia un nesso di causalità.