Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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Articolo

L’interesse dei creditori e la continuazione dell’attività nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: un’analisi trasversale*


Alberto Maffei Alberti

Data pubblicazione
30 marzo 2023

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Sommario: 1. Il conflitto tra creditori e la soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale; 2. La gestione dell’impresa nell’interesse dei creditori; 3. Il soddisfacimento dei creditori e la convenienza; 4. La continuazione dell’attività d’impresa; 5. Il concordato preventivo in continuità; 6. L’inadeguata tutela dell’occupazione.


1. Il conflitto tra creditori e la soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale

Un argomento che ha attirato la mia curiosità è il ruolo rivestito dall’interesse dei creditori nel recente codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza.

La curiosità è alimentata dal fatto che nella disciplina dettata dal codice sembra evidente la tutela dell’attività d’impresa, sì che ne deriva, in nuce, la possibilità di un conflitto con l’interesse dei creditori.

Possiamo partire dall’ipotesi più semplice: quella che riguarda il conflitto tra uno o più creditori o la massa dei creditori e la soluzione alternativa rispetto alla liquidazione giudiziale.

L’articolo 25 sexies, comma V, prevede che il tribunale omologa il concordato semplificato quando rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.

L’art. 64 bis, comma 8, a proposito del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione[1], occupandosi dell’opposizione di un creditore dissenziente per difetto di convenienza della proposta, detta il principio per cui l’opposizione va respinta quando il credito risulti soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

La soluzione è poi ripetuta molte altre volte: si vedano l’art. 62, comma 2, lett. c; l’art. 63, comma 1 e 2 bis; l’art. 64 bis, comma 8; l’art. 70, comma 9; l’art. 75, comma 2; l’arto. 80, comma 3; l’art. 84, comma 1 e 5; l’art. 88, comma 2 e 2 bis; l’art. 112, comma 3 e 5; l’art. 240, comma 4; l’art. 245, comma 5.

In tutte queste norme, sia pure a vario titolo, il riferimento per risolvere il conflitto è quello derivante dalla liquidazione giudiziale, vista come prova di resistenza. Ma quello che preme evidenziare è che ciò che viene tenuto in considerazione è soltanto il migliore (recte: non deteriore) soddisfacimento del o dei creditori. La soluzione alternativa in tanto può avere luogo in quanto rappresenti per i creditori un risultato più favorevole (o comunque non peggiore) rispetto a quello ottenibile attraverso la procedura di liquidazione giudiziale.

Non sembra invece essere tenuto in considerazione il valore connesso alla continuazione dell’attività d’impresa.

 

2. La gestione dell’impresa nell’interesse dei creditori

Più complesso il panorama quando si affronta il problema sul piano di altri principi.

L’art. 4, comma 2, lett. c, stabilisce che, durante i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il debitore ha il dovere di gestire il patrimonio o l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori[2].

L’art. 16, comma 4, precisa ulteriormente che l’imprenditore ha il dovere di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori.

L’art. 21 detta poi, in pendenza delle trattative, cautele particolari per il compimento di atti che possano arrecare pregiudizio ai creditori e precisa, al primo comma, che l’imprenditore insolvente, quando esistano concrete prospettive di risanamento, deve gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori.

La stessa locuzione “gestione nel prevalente interesse dei creditori” è ripetuta dall’art. 64 bis, comma 5, a proposito del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.

Cosa significa tutto questo? Per quanto riguarda il patrimonio la risposta è semplice: il patrimonio non può essere pregiudicato da atti di distrazione o comunque rivolti a impoverirlo.

Ma l’interrogativo più complesso è quello che riguarda la prosecuzione dell’attività d’impresa nell’interesse dei creditori. Credo non significhi altro se non gestire l’attività d’impresa correttamente, cosa che, implicitamente, già discende dalla normativa che riguarda i doveri dell’imprenditore, sia individuale, sia collettivo, ai sensi dell’art. 3 del codice e, per quanto riguarda l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ai sensi dell’art. 2086, comma 2, cod. civ.

 

3. Il soddisfacimento dei creditori e la convenienza

Più incisiva la disposizione dettata dall’art. 7, comma 2, lett. c, secondo cui, nella proposta di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, la proposta deve espressamente indicare la convenienza per i creditori e, nel caso del concordato con continuità aziendale, le ragioni di assenza di pregiudizio per i creditori[3].

La convenienza va rapportata all’alternativa rappresentata dalla liquidazione giudiziale. La proposta deve contenere le ragioni e le poste che consentano di concludere che la proposta comporta un soddisfacimento dei creditori migliore rispetto a quello che sarebbe lecito attendersi dalla liquidazione giudiziale. Al proposito è stato riconosciuto come, tra i creditori, esistano soggetti che possono trarre vantaggio (o subire un minor danno) dalla continuazione dell’attività d’impresa. Anche di questo dato si dovrà tenere conto nella valutazione della convenienza.

Quanto al concordato in continuità va rilevato che l’assenza di pregiudizio è concetto diverso rispetto alla convenienza. Riterrei pertanto che si debba accertare che le possibilità di soddisfacimento dei creditori esistenti nel momento della proposta non siano peggiori rispetto a quelle che risulteranno dall’esecuzione del concordato.

Chiarisce inoltre l’art. 47, comma1, lett. b, che la proposta di concordato in continuità è inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori come proposta dal debitore e alla conservazione dei valori aziendali. Si aggiunge così un ulteriore dato che si affianca alla soddisfazione dei creditori: la continuazione e sopravvivenza dell’attività d’impresa.

Numerose norme si occupano poi della funzionalità di determinate attività al “miglior soddisfacimento dei creditori”[4].

Si vedano: l’art. 99, comma 1 e 2 a proposito dei finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell’omologazione del concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione di debiti (dove si parla anche della funzionalità all’esercizio dell’attività aziendale); l’art. 100, comma 1, a proposto del pagamento di crediti pregressi (dove si parla anche dell’essenzialità per la prosecuzione dell’attività d’impresa); l’art. 214, comma 1, nella liquidazione giudiziale a proposito della vendita dell’interno complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco; l’art. 284, comma 4 e 5, nella crisi di gruppo sulla scelta se presentare un piano unitario ovvero un piano autonomo per ciascuna impresa; l’art. 285, comma 2, sulle operazioni contrattuali e riorganizzative tra imprese del gruppo; l’art. 287, comma 1, nella liquidazione giudiziale di gruppo, sulla scelta di una liquidazione giudiziale unitaria.

 

4. La continuazione dell’attività d’impresa

E veniamo al secondo aspetto del problema: la continuazione dell’attività d’impresa.

Sul piano delle definizioni, l’art. 2, lett. m bis, recita che per strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si intendono, per quanto qui interessa, “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione o della struttura delle sue attività e passività o del capitale”.

Il primo procedimento che viene in evidenza è la composizione negoziata della crisi: presupposto del procedimento è che risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Per l’accesso alla composizione negoziata l’imprenditore deve presentare, tra l’atro, un progetto di piano di risanamento e un piano finanziario per i successivi sei mesi (art. 17, comma 3, lett. b). Nel corso delle trattative l’imprenditore deve gestire l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività e, quando esistano concrete prospettive di risanamento, nel “prevalente interesse dei creditori” (art. 21, comma 1).

Il piano attestato di risanamento di cui all’art. 56, è volto a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria.

Gli accordi di ristrutturazioni dei debiti, conclusi con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (art. 57), non presuppongono necessariamente la continuazione dell’attività. Ne è conferma la disposizione dettata dall’art. 67, comma 2, lett. b, che, consentendo l’efficacia estesa soltanto agli accordi che prevedono la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta, presuppone evidentemente l’esistenza di accordi meramente liquidatori.

La prosecuzione dell’attività imprenditoriale è prevista dall’art. 74 anche nel concordato minore che, peraltro, può richiedere l’apporto di risorse esterne che consentano di aumentare, in misura apprezzabile, la soddisfazione dei creditori.

Nella liquidazione giudiziale la prosecuzione dell’attività d’impresa, purché non arrechi pregiudizio ai creditori, è disciplinata dall’art. 211. La previsione va letta in collegamento con la possibilità di affitto dell’azienda quando appaia utile ai fini della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa (art. 212)[5]. Da rimarcare che, ai sensi del secondo comma di quest’ultima norma, la scelta dell’affittuario deve tenere conto, oltre all’ammontare del canone offerto, “dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”. Va rilevato che disposizioni così incisive non è dato riscontrare nella restante disciplina dettata dal codice.

Sempre nella liquidazione giudiziale è consentita la vendita dell’azienda, di suoi rami o di beni o rapporti in blocco, a condizione che consenta una “maggiore soddisfazione dei creditori” (art. 214, comma 2).

 

5. Il concordato preventivo in continuità

Il procedimento principale per la continuazione dell’attività d’impresa è sicuramente costituito dal concordato in continuità[6].

L’art. 84, comma 2, premesso che il concordato in continuità tutela l’interesse dei creditori e preserva “nella misura possibile” i posti di lavoro, precisa, opportunamente, che la continuità può essere sia diretta, cioè ad opera dello stesso imprenditore, sia indiretta, e cioè ad opera di un soggetto diverso in forza di qualunque titolo e anche in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso.

Il terzo comma dell’art. 84 stabilisce che i creditori possono essere soddisfatti, anche in misura non prevalente, dal ricavato prodotto dalla continuazione dell’attività e che l’utilità del concordato, per ciascun creditore, può consistere nella prosecuzione o rinnovazione dei rapporti contrattuali con il debitore o il suo avente causa. Riceve così espresso riconoscimento legislativo la mancanza di unicità della categoria dei creditori dato che, accanto alla categoria nella quale l’interesse esclusivo è rappresentato dall’entità del soddisfacimento, può esistere una seconda categoria di creditori per i quali l’interesse alla continuazione dell’attività d’impresa può essere prevalente rispetto all’interesse dell’entità del soddisfacimento del credito anteriore.

Numerose sono le disposizioni che, nel concordato preventivo in continuità, facilitano la conservazione dell’attività d’impresa.

Ad esempio, l’art. 94 bis inibisce ai creditori di rifiutare unilateralmente l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione o anticiparne la scadenza, né modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato in continuità aziendale. Lo stesso è inibito ai creditori, quanto ai contratti essenziali, per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità. Sono considerati essenziali i contratti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione delle attività del debitore.

Va sottolineato che in queste ultime disposizioni viene in rilievo soltanto l’utilità ai fini della continuazione dell’attività d’impresa mentre non viene in considerazione, al contrario di quanto accade, come vedremo, in altri casi, l’interesse dei creditori.

Altra disposizione agevolativa, quando sia prevista la continuazione dell’attività aziendale, anche se unicamente in funzione della liquidazione, è quella prevista dall’art. 99 relativo al ricorso a finanziamenti che è possibile quando siano funzionali all’esercizio dell’attività aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori.

Lo stesso vale, ai sensi dell’art. 100, per il pagamento dei crediti pregressi che sono consentiti, quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, purché un professionista indipendente attesti che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

L’art. 101 dispone poi che, in caso di continuità aziendale, i finanziamenti in esecuzione del concordato preventivo ed espressamente previsti nel piano sono prededucibili, a meno che non siano frutto di atti in frode.

Il concordato in continuità è approvato se tutte le classi dei creditori votano a favore.

Nel giudizio di omologazione di tale tipo di concordato ai sensi dell'articolo 112 il tribunale deve verificare, oltre al resto, se tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire e superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente l’interesse dei creditori.

Nel caso in cui una o più classi di creditori siano dissenzienti, il tribunale omologa il concordato quando ricorrono tutte le condizioni dettate dall'articolo 112, comma 2, lett. a, b, c, d.

Parimenti, nel caso in cui, con l'opposizione, un creditore dissenziente eccepisca il difetto di convenienza della proposta, il tribunale omologa quando il credito risulti soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

 

6. L’inadeguata tutela dell’occupazione

In conclusione, nel sistema del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza è sicuramente presente la volontà di tutelare la conservazione dell'attività d'impresa e sono state sicuramente introdotte norme che danno piena attuazione a tale volontà facilitando il percorso volto alla conservazione dell'attività d'impresa.

Al contempo è anche sempre presente la volontà di evitare che tale continuazione possa pregiudicare i creditori.

In particolare, non sembra trovare accoglimento la tutela dell'occupazione. Indicativa la disposizione dell'art. 84 comma 2, secondo cui, nel concordato preventivo, la continuità aziendale “tutela l'interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”[7].

Stranamente la disciplina più attenta alla tutela dell'insieme degli interessi coinvolti nella continuazione dell'attività è quella dettata dall'art. 212 per l'affitto dell'azienda nella liquidazione giudiziale. Si precisa infatti che la scelta dell'affittuario deve tenere conto, oltre all'ammontare del canone e alle garanzie prestate “dell'attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”.

Analoghe preoccupazioni non sono invece presenti, ad esempio, nella disciplina delle proposte concorrenti e delle offerte concorrenti nel concordato preventivo[8], ove l'unico parametro che sembra venire in evidenza è soltanto l'entità del soddisfacimento dei creditori.

La insistenza a volte ridondante con la quale si enfatizza l'interesse dei creditori conferma che la tutela di questo presupposto è il fulcro sul quale poggia l'intero sistema del codice. Dimostra anche la volontà di discostarsi dalla filosofia della procedura di amministrazione straordinaria ove la tutela della continuazione dell'attività di impresa sovrasta la tutela dei creditori, come è dimostrato dall'art. 63 commi uno e due del d.lgs. 279/99. Infatti, nel primo comma si precisa che nel caso di vendita di aziende o rami di azienda in esercizio la valutazione del prezzo di vendita” tiene conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo”. Ne consegue, ai sensi del secondo comma, l'obbligo dell'acquirente di “proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita”

 

(*) Il presente contributo, destinato a un volume collettaneo a cura di Stefano Ambrosini.

[1] Sull’istituto v. Bozza, Il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022; Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022; Ambrosini, sub art. 64 bis, in Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al codice della crisi e dell’insolvenza, Padova, 2023 (in corso di stampa); Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 711 ss.

[2] Panzani, I doveri delle parti, in Dirittodellacrisi.it, 14 settembre 2022.

[3] Cfr. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 giugno 2022; Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 12 settembre 2022.

[4] Sulla disciplina di tale requisito nella legge fallimentare v. A Rossi, Il migliore soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fall., 2017, 637 ss.

[5] In argomento, con particolare riferimento all’ipotesi della cosiddetta gestione “in perdita”, v da ultimo Ambrosini, La gestione dell’impresa “in perdita” tra vecchia e nuova sistematica concorsuale, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 marzo 2023.

[6] Rinvio al mio Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 29 gennaio 2022; sul tema cfr. anche Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d.lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall., 2022, I, 837 ss., Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 25 agosto 2022; cui adde, da ultimo Panzani, Le finalità del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 10 ottobre 2022.

[7] Maffei Alberti, Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività, cit. Osserva invece Ambrosini, La gestione dell’impresa “in perdita” tra vecchia e nuova sistematica concorsuale, cit., 14: “Risulta quindi opportunamente confermato quell’assetto normativo che attribuisce rilevanza non solo al profilo economico dell’operazione (canone e garanzie), ma anche a quello industriale e occupazionale, tutelando in tal modo interessi altri rispetto a quelli del ceto creditorio”; in quest’ultimo senso anche Censoni, Il diritto delle crisi e i nuovi concordati, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 maarzo 2023, 15, secondo il quale: “Gli interessi tutelati non sono più solo quelli dei creditori, ma sono anche quelli dei lavoratori”.

[8] In argomento Guidotti, Le proposte (e le offerte) concorrenti nel concordato preventivo, in Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 805 ss.