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La prescrizione nel concordato preventivo: brevi note sul(l’impossibile) diritto di credito perenne anche alla luce del codice della crisi


Antonio Pezzano e Andrea Goretti

Data pubblicazione
17 aprile 2023

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Sommario: 1. Prologo. - 2. La Cassazione n. 35960/2022. - 3. Una sentenza può far… primavera? - 4. L’esercizio del diritto di credito in ipotesi di inadempimento al patto concordatario: la richiesta di adempimento e quella di risoluzione.  - 5.  Conclusioni, anche prospettiche, a lume del codice della Crisi.


1. Prologo.

Come noto, il tema della decorrenza della prescrizione [1] nel concordato preventivo si è arricchito della statuizione della Cass., 7 dicembre 2022, n. 35960 [2], di segno diametralmente opposto rispetto a più decisioni della stessa Suprema Corte, anche recenti [3].

Il tutto, comunque, sulla base di argomentazioni che non convincono se comparate con le motivazioni della predetta giurisprudenza di legittimità, decisamente, appunto, maggioritaria.

Non solo: non persuadono  soprattuto se raffrontate con alcuni significativi spunti ricavabili, pur se in altro ambito decisorio, dall’indagine effettuata dagli Ermellini Uniti in tema di art. 168 l. fall. [4] e della cui esistenza la Suprema Corte, sicuramente per un’involontaria disattenzione, neppure si è avveduta, nonostante potesse condurla ad individuare, rispetto al sentenziato, un ben diverso momento di decorrenza della prescrizione. 

 

2. La Cassazione n. 35960/2022.

La decisione qui in rassegna si caratterizza per la particolare motivazione, che sposta l’asse focale dall’art. 168 all’art. 184 l. fall. (anzi, più all’art. 185 l. fall, come fra un attimo chiariremo), concludendo con un’interpretazione del tutto contrapposta rispetto ai sicuri approdi giurisprudenziali di maggioranza [5], nonché, come accennato, delle stesse Sezioni Unite.

In sintesi, secondo tale solinga decisione, in sede concordataria preventiva, se è pur vero che non opera la causa sospensiva di cui all’art. 2941, n. 6, c.c. e gli atti interruttivi della prescrizione, come il riconoscimento del credito, devono   provenire direttamente dal debitore ovvero contro lo stesso indirizzati (e non, invece, dal/contro il LG),[6] comunque, in assenza di una normativa ad hoc che regoli compiutamente il fenomeno prescrittivo, è necessaria una lettura di sistema sulla base dei principi generali codicistici (ndr: e fin qui nulla da obiettare).

Dunque, il divieto di agire in via esecutiva e cautelare sancito dall’art. 168 l. fall., come la speciale sospensione della prescrizione sempre ivi regolata, se è vero che pone come limite temporale la definitività del decreto di omologazione, non può che coordinarsi con gli effetti propri di tale decreto e di cui all’art. 184 l. fall.

Effetti che, imponendo a tutti i creditori anteriori il rispetto del patto concordatario, precludono (ndr: precluderebbero), di conseguenza, al singolo creditore la possibilità di esigere il credito ristrutturato, non onorato nei termini concordatari, sino a quando, completata la fase esecutiva del concordato, non risultasse  predisposto il relativo piano finale  di riparto (ndr: allora, come accennavamo, più ai sensi dell’art. 185 l. fall., che dell’art. 184 cit. richiamato dalla Suprema Corte, rilevando che la  fase esecutiva e successivi riparti possono andare ben oltre - anche per  anni  e teoricamente  senza  limiti, almeno a stare al decisum della SC - rispetto alle tempistiche del patto omologato, ove non rispettato e nessuno dei creditori si attivi per la risoluzione).

Quindi - prosegue la Corte - non essendo possibile esercitare il diritto di credito nelle more dell’esecuzione concordataria, anche il regolare corso della prescrizione non potrà cominciare a maturare alla luce del disposto dell’art. 2935 c.c.

 

3.  Una sentenza può far… primavera?

Come anticipato, la sentenza de qua si pone in netta, quanto consapevole, discontinuità, rispetto a più decisioni della S.C. (e per alcuni versi delle stesse SS.UU, come vedremo meglio  fra un attimo), che invece, sotto più angoli visuali, reputano che, in difetto in sede (normativa) concordataria di una previsione che sancisca la generale sospensione (o interruzione)  delle prescrizioni sino all’avvenuto pagamento, nonché di fasi di accertamento del passivo e di riparto come quelle fallimentari,[7] non può giungersi al paradosso di tutelare il credito, nella piena inerzia del relativo titolare, in forma “perenne”, come invece avverrebbe ove si dovesse attendere, comunque, il “piano di riparto” finale del singolo credito, a prescindere, dunque, da quando avvenga tale riparto rispetto ai tempi di adempimento della proposta omologata.

Addirittura, offrendo al creditore in tale procedura minore  una guarentigia maggiore di quella di cui fruisce nel fallimento, in cui, infatti, senza domanda di ammissione al passivo ex art. 93 l. fall., il credito inesorabilmente si prescrive (art. 94 l. fall.), saldandosi addirittura, in difetto di tale domanda, anche l’eventuale periodo prescrittivo maturato ante fallimento (come, d’altra parte, continua a succedere - con le precisazioni di poi daremo conto - in sede di liquidazione giudiziale, alla luce del disposto dell’art. 202 CCII, omologo dell’art. 94 l. fall.).

Ed in linea con tale incidere, si indirizzano, come accennavamo, anche le cit. SS.UU. 4696/2022, allorché affermano che il singolo creditore ben può esercitare i propri diritti anche durante la fase esecutiva del concordato (addirittura potendo richiedere anche al fallimento omisso medio), senza quindi dover restare silente ed inerte per anni, pur in difetto di adempimento del patto di concordato da parte del debitore, in attesa di un “piano di riparto” finale che un giorno, forse, ci sarà.

Per la chiarezza e l’autorevolezza della fonte, diamo comunque “parola” al Supremo Consesso:

va del resto osservato che la preclusione all’esperimento, da parte dei creditori anteriori, di azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore che abbia chiesto il concordato preventivo ha effetto, a pena di nullità, dalla presentazione del ricorso e “fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo“ (art.168 l. fall.), sicchè dopo questo momento essi riacquistano piena legittimazione ad agire contro il debitore per ottenere l’esecuzione del patto. E non è dato comprendere perché non lo possano fare con tutti i mezzi consentiti dalla legge e, quindi, perché alla tutela esecutiva individuale - non necessariamente condizionata all’istanza di risoluzione - non possa in questo caso associarsi, in presenza dei relativi presupposti ed anche al fine di tutelare la par condicio nella crucialità di questa fase, quella concorsuale”.

D’altro canto, anche volendo far riferimento all’art. 184 l. fall., su cui tanto fa affidamento Cass. 35960/2022, non può non rilevarsi che trattasi di norma che non prevede blocchi - interruttivi o sospensivi che siano - al decorso della prescrizione successivamente al decreto ex art.180 l.fall., anche perché, come noto, l’omologazione non comporta novazione dell’obbligazione.[8]

Difatti, alla  pronuncia di tale decreto, consegue unicamente la mera parziale inesigibilità del credito[9], che dunque, cessati i divieti di cui all’art. 168 l. fall. a seguito della definitivita’ del decreto di omologazione, può immediatamente pretendersi, anche in via esecutiva individuale, qualora il debitore non rispetti il patto concordatario.

Già con tali intuitive, ci pare, considerazioni, vacilla fortemente l’assunto di Cass. 35960/2022, secondo cui addirittura sino al “piano di riparto” finale che interessa il credito, il relativo titolare nulla può fare che stare… a guardare, visto che non avrebbe la possibilità di esercitare direttamente il proprio diritto di credito, con quanto ne conseguirebbe ex art. 2935 c.c. sul piano prescrittivo.

Ma vi è (tanto) dell’altro che confuta in radice l’assunto di tale solitaria decisione.

Anzitutto, va ricordato che in sede concordataria non esiste, come noto e come già accennato, alcuna fase di accertamento del passivo e tantomeno di distribuzione dell’attivo secondo le regole sancite dai riparti fallimentari, che, infatti, non sono norme richiamate dagli artt. 169 e 185 l. fall., come in ogni caso, sotto altro angolo visuale, conferma l’art. 176, comma 1, l. fall., allorché precisa che “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi” [10].

Tanto che è assolutamente pacifico che ogni contesa sull’ “an” e sul “quantum” (rango, compreso) dei singoli crediti non è demandata all’esame del giudice concordatario [11], ma va instaurata innanzi al giudice ordinario da/nei confronti diretti del debitore, senz’altro capace d’agire/resistere al riguardo ex art. 167, comma 1, l. fall.[12].         

Come è altrettanto certo che ogni credito, anche con scadenza successiva al deposito del concordato preventivo, diviene comunque esigibile, e quindi invocabile, da tale deposito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 55, comma 2, l. fall.

In questo contesto, si innestano poi le specifiche disposizioni riguardanti in sede concordataria proprio la prescrizione (e il diritto ad acquisire diritti di prelazione), le quali ben chiariscono che i creditori che non si sono attivati ante c.p. con peculiari atti di messa in mora (art. 168, comma 1, l. fall.), neppure fruiscono della speciale quanto eccezionale causa di sospensione della prescrizione - e valente comunque solo sino alla definitività del decreto di omologazione [13] - prevista dall’art. 168, comma 2, l. fall. [14].

Prescrizione che, dunque, durante il concordato preventivo (ed anche post omologazione) continua a decorrere per tutti i creditori, i quali, dunque, solo essendo diligenti, proattivi potranno evitare l’estinzione dei loro diritti, soprattutto  allorché il debitore concordatario non rispetti gli assunti impegni.

Giova ricordare nuovamente che nella procedura concorsuale maggiore, a matrice ben più pubblicistica, qual è il fallimento, solo se il creditore si attiva con la domanda di ammissione al passivo si può generare, exart. 94 l. fall. l’effetto interruttivo della prescrizione.

 

4. L’esercizio del diritto di credito in ipotesi di inadempimento al patto concordatario: la richiesta di adempimento e quella di risoluzione. 

Orbene, in un tale contesto ed all’esito di questa disamina, diventa difficile anche solo immaginare [15] che, invece, nel concordato preventivo ogni singolo creditore, dopo che il relativo credito risulti anche scaduto ex artt. 169/55, comma 2, l. fall. ed alcuna novazione si sia verificata con l’omologazione, possa totalmente disinteressarsi dall’esercitare i propri diritti sino a quando l’ultimo riparto non risulti attuato, soprattutto in caso di inadempimento agli impegni concordatari.

Contrasterebbe contro ogni logica di sistema, tanto concorsuale che civilistica.

Concorsuale perché, a maggior ragione nel concordato rinnovato, in cui la natura privatistica si è molto accentuata, il diritto di credito, diritto disponibile per antonomasia, non può ricevere salvaguardie “perenni”, ove non invocato, recte esercitato nel termine prescrizionale (in difetto, ripetiamo, di una norma ad hoc che interrompa o sospenda il relativo decorso, come peraltro confermato anche dalla stessa Cass. 35960/2022).

E pensare che ciò potrebbe avvenire con una semplice richiesta di riconoscimento del credito indirizzata al debitore e da questi ottemperata ovvero, eventualmente dopo un previo atto di messa in mora (peraltro, già sufficiente di per sé allo scopo), con un’azione giudiziaria di accertamento.[16]

Ma, se si riflette, è nello scenario dell’inadempimento alla proposta concordataria, senza previo passaggio dal rimedio risolutorio, che è possibile, recte è necessario esercitare il diritto di credito (anche) per evitarsene la prescrizione, atteso che quantomeno da tale momento “il diritto può essere fatto valere” ai fini e per gli effetti dell’art. 2935 c.c.

Si pensi ad un inadempimento di scarsa importanza che, come sappiamo, non consente la risoluzione ovvero ad un creditore prelatizio non stralciato, che non ha necessità della risoluzione per ambire ad incassare il 100% del proprio credito oppure ad un inadempimento relativo ad un concordato in continuità aziendale che  il creditore,  fornitore abituale, preferisce non far naufragare, dopo la previa risoluzione, verso il fallimento (rectius verso la  liquidazione giudiziale, ove anche  si tratti di “vecchio” concordato)[17].

In tali casi di inadempimento, nei limiti della percentuale del credito ristrutturato e quindi del patto omologato, ben si potrà agire, anche in sede esecutiva individuale, come ci ricordano le citate SS. UU n. 4696/2022, che, proprio perciò,  giungono a sostenere (anche) l’ammissibilità della richiesta di fallimento omisso medio,[18] che invece, a stare all’iter logico del decisum della pronuncia qui in esame, neppure potrebbe invocarsi, non essendo esigibile il credito sino al “completamento della fase esecutiva del concordato, con la predisposizione, da parte del liquidatore, del riparto che contempli tale credito.” (dalla massima ufficiale di Cass. 35960/2022).

D’altra parte, anche l’agire contro il debitore per la risoluzione del concordato sarebbe, recte è un esercizio del diritto di credito in sede concordataria, rappresentando senz’altro l’inadempimento di non scarsa importanza che lo consente un altro topico momento in cui “il diritto può essere fatto valereex art. 2935 c.c.[19]

Anzi, l’iniziativa per antonomasia, perché consente, ottenuta la risoluzione, di conseguire integralmente il credito.

Dunque, azione sicuramente atta ad interrompere la prescrizione (ove accompagnata, all’interno dell’atto introduttivo, dall’intimazione di pagamento del dovuto ai sensi dell’art. 1219 c.c.), senza, dunque, che possa fondatamente sostenersi che il creditore debba, recte possa, restar supino sino all’ultimo “piano di riparto”, a prescindere dal tempo in cui ciò avvenga rispetto al mancato ossequio ai patti concordatari.[20]

Ma, oltre logiche concorsuali, anche principi di sistema civilistico  impediscono di ritenere ammissibile l’esistenza di un diritto di credito‘perenne’ (per quanto all’interno di una procedura concorsuale), in difetto di una norma ad hoc che lo preservi (ma) secondo i canoni di legge in tema di prescrizione (cioè dell’interruzione e sospensione), come ,appunto, succede in caso di fallimento ed ora parimenti in caso di liquidazione giudiziale (anche per la notoria eccezionalità e quindi stretta interpretazione delle norme deroganti alle previsioni in materia di prescrizione) [21].

 D’altro canto, ricorrere alla via indiretta dell’impossibilità di esercitare il diritto ex art. 2935 c.c., rispetto a fattispecie legali ben tipizzate, come quella(e) di cui all’art. 184 (e art. 185) l. fall. - in cui, quindi, sarebbe stato più appropriato, ove il legislatore lo avesse davvero voluto, prevedere il più coerente regime legale dell’interruzione o sospensione della prescrizione, come, infatti, avvenuto all’art. 168, comma 2 ovvero 94 l. fall. -  rischia di apparire come un modo per evitare l’applicazione delle generali regole codicistiche in materia, appunto, di interruzione e sospensione della prescrizione dei crediti.

 

5.  Conclusioni anche prospettiche a lume del Codice della Crisi.

Alla luce di quanto sopra, ci sembra evidente che la solitaria decisione qui in rassegna non può ritenersi una pronuncia convincente, destinata dunque a germinare un solido revirement sul delicato tema della prescrizione.

Cioè uno dei capisaldi del nostro sistema civilistico, approdo sicuro che non può essere piegato a logiche di assunta giustizia sostanziale, non poggianti su rassicuranti basi normative.

Si rischierebbe, infatti, di dar vita ad astratte categorie di crediti “perenni”, che l’Ordinamento, però, non prevede:  una volta che il concordato (in particolare liquidatorio) risulti  omologato, ciascun creditore, pur omettendo qualsiasi iniziativa a tutela delle proprie ragioni inadempiute  (a partire da quella tipizzata risolutoria, che, come noto, gode di un ampio termine d’esercizio: un anno sì, ma dall’“ultimo adempimento previsto dal concordato”),[22] si potrà, recte si potrebbe  adagiare nell’inerzia più totale (ricordando ancora    che basterebbe anche una semplice lettera di messa in mora, ove non si voglia già agire, anche in sede esecutiva individuale, come sentenziano gli Ermellini Uniti), senza rischiare alcuna conseguenza (cioè l’eccezione di prescrizione da parte del debitore), in tranquilla attesa, dunque, dell’esaurimento della fase esecutiva del concordato e della successiva conseguenziale di riparto.[23]

D’altra parte, il Codice della Crisi, che avanza con poliedrici strumenti di concorsualità negoziale, ci sembra vada nella stessa direzione, pur se, necessariamente (in primis per via del procedimento unitario), con soluzione di continuità rispetto alla legge fallimentare.

Anzitutto, in sede di composizione negoziata, come in caso di procedure di sovraindebitamento (tranne, come vedremo, nello scenario della liquidazione controllata), non opera alcuna specifica ipotesi di interruzione o sospensione della prescrizione, restando, quindi, applicabile la generale disciplina civilistica.

Di contro, in sede di (tutti gli) strumenti di regolazione della crisi, sussiste un’ipotesi ad hoc di sospensione della prescrizione, ricompresa fra le misure protettive di cui all’art. 54, comma 2, CCII, prevista, sì, a favore di qualsiasi creditore  verso cui operano le misure protettive (mentre, nella vigenza della legge fallimentare,  sussistente  pro soli creditori agenti, pre sede concordataria, con le iniziative  di cui all’art. 168, comma 1, l. fall.), ma limitata al  breve periodo in cui operano le misure stesse (art. 55, commi 3/5, CCII), che comunque non possono eccedere il globale termine di 12 mesi ex art. 8 CCII.

Con la conseguenza che, ove nelle more, nessuna omologazione (di CS, ADR, PRO o CP che sia ) risulti conseguita, i creditori, non più soggetti alle misure protettive - né, dunque, fruenti ancora della sospensione della prescrizione - dovrebbero preoccuparsi di interromperla, risultando (salvo, forse, coloro i quali avessero già espresso l’adesione allo strumento di regolazione della crisi) pienamente legittimati ad agire, anche in via esecutiva individuale (ma, pur potendo sempre  instare per la liquidazione giudiziale, senza comunque diritto a conseguirla sino all’eventuale esito negativo dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto dal debitore, alla luce  dei disposti dell’art. 49, commi 1 e 2, CCII).

D’altra parte, ove pure l’omologazione sia pervenuta nell’interinale termine di efficacia delle misure protettive di cui all’art. 8 CCII, i creditori dovrebbero tenere in conto che le prescrizioni riprenderanno comunque il loro regolare corso, una volta cessata l’efficacia delle misure protettive e quindi, con essa, anche la sospensione delle prescrizioni stesse (come, parimenti, delle decadenze).

In alternativa, ove si ritenga che il patto omologato impedisca comunque l’esercizio del diritto di credito e quindi in tutti i casi l’inizio del decorso della prescrizione ex art. 2935 c.c., tale decorso di verificherà senz’altro dal momento in cui il patto risultasse inadempiuto e quindi ogni creditore potrà liberamente attivarsi per conseguire, a propria scelta, l’adempimento coattivo individuale (nell’eventuale minore misura ristrutturata) ovvero, ove si tratti di inadempienza di non scarsa importanza, la risoluzione del patto (anche) pro restanti creditori, riaffiorando così ogni credito nell’originaria consistenza.

D’altro canto, pur dinanzi  a tali  elementi di discontinuità,[24] non può non attribuirsi un valore esegetico alla circostanza  che il legislatore del Codice della  Crisi, nonostante un dibattito mai sopito in tema, nulla abbia disciplinato al riguardo, mantenendo, dunque, negli artt. 108 e 117 CCII  le stesse disposizioni  concordatarie degli  omologhi  artt. 176 e  184 l. fall., tanto che anche nel nuovo concordato non è prevista   alcuna fase di accertamento del passivo e di normata ripartizione dell’attivo. 

Non solo, nonostante il legiferante sia intervenuto, sempre in materia di prescrizione, anche all’art. 202 CCII - l’omologo dell’art. 94 l. fall., come visto -, solamente in tal caso è stata avvertita la necessità di chiarire espressamente l’esatta (e più ampia rispetto alla legge fallimentare) portata del periodo prescrizionale.[25] 

Naturalmente, la predetta, è previsione applicabile anche in sede di liquidazione controllata, alla luce del rinvio effettuato ivi (art. 270, comma 2, lett. d), CCII) allo strumento che interrompe la prescrizione nella procedura maggiore e cioè la domanda di ammissione al passivo di cui all’art. 201 CCII.

In conclusione: ancor più con il Codice della Crisi,[26] il fenomeno della prescrizione dei diritti mantiene intatta la sua forza “epurativa” di sistema, anche nella galassia degli strumenti della regolazione della crisi e dell’insolvenza, salve le espresse eccezioni di Legge (come ferme le guarentigie risarcitorie contro chi consenta negligentemente il decorso del tempo allorché il soggetto danneggiato risulti privo di strumenti per tutelarsi altrimenti).[27]

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. Dir., XVI, Milano, 1965; Azzariti - Scarpello, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. Scialoja, Branca sub artt. 2934 - 2969, Bologna - Roma, 1977; Ferrucci, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. cod. civ., Torino, 1980; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986; Roselli - Vitucci, La prescrizione e la decadenza, in Tratt. Rescigno, 20, Torino, 1998; Travaglino, La prescrizione nella sua elaborazione teorica: aspetti morfologici funzionali, in AA. VV., La prescrizione e la decadenza, Milano, 2008. Per una delle prime pronunce in tema di  decorrenza della prescrizione, si veda Cass., 7 gennaio 1942, n. 15, in Italgiure.giustizia.it.

[2] In IlCaso.it, 17 dicembre 2022. In senso adesivo, Baldissera, La prescrizione dei crediti nel concordato preventivo liquidatorio, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 16 dicembre 2022. Prima della pronuncia de qua, si erano espressi sulla stessa linea propugnata ora dalla Suprema Corte, Trib. Roma, 3 febbraio 2021; Trib. Milano, 15 marzo 2021; Trib. Brescia, 12 febbraio 2022; tutte in IlCaso.it.

[3] Tra gli arresti della giurisprudenza di merito, si segnala, per la sua esaustività argomentativa, Trib. Benevento, 19 luglio 2018, in Ilfallimentarista.it, con commento di Gambi, La prescrizione dei crediti nel concordato preventivo”, 15 febbraio 2019. In modo variegato sul tema, cfr. anche Zanichelli, Effetti sul concordato della prescrizione dei crediti, in Il Fallimento, 2003, 312; Restano, Prescrizione e concordato preventivo, in Giur. Comm., 2010, 811; Nardecchia, L’accertamento e la prescrizione dei crediti nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2012, 869; Trentini, Cessione dei beni e liquidazione nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2018, 97; Farolfi, Disciplina della liquidazione del patrimonio, in Il Fallimento, 2021, 1623.

[4] Ci riferiamo a Cass., SS.UU., 14 febbraio 2022, n. 4696, in IlCaso.it, vertente sul tema dell’ammissibilità del fallimento omisso medio. Per un peculiare approfondimento della decisione de qua, cfr. Ambrosini, Il ricorso “a corrente alternata” alla continuità normativa fra legge fallimentare e codice della crisi: la diversa (dubbia) soluzione adottata dalle sezioni unite, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17 marzo 2022.

[5] Cfr. tra le tante Cass., 11 febbraio 2021, n. 34437, in IlCaso.it; cfr anche Cass., 5 agosto 2019, n. 20889; Cass., 31 luglio 2019, n. 20642; Cass., 8 maggio 2019, n. 12059, tutte in Italgiure.giustizia.it,nonché Cass., 20 novembre 2018, n. 29982, in IlCodiceDeiConcordati.it

[6] Quanto al primo aspetto, nello stesso senso, cfr. Cass., 13 aprile 2005, n. 7661, in DeJure.it; quanto al secondo, cfr. Cass., 20 novembre 2018, n. 29982, in IlCodiceDeiConcordati.it.

[7] A prescindere dalla prassi di settore che vede in taluni decreti di omologazione il rinvio alla corrispondente disciplina fallimentare (soprattutto rispetto a quella della fase di riparto), nonostante il mancato richiamo alla stessa ad opera delle deputate norme concordatarie edi cui agli artt. 169 e 185 l. fall. Cfr. Cass., 23 novembre 2020, n. 26567 e Cass., 25 settembre 2014, n. 20298, entrambe in IlCodiceDeiConcordati.it.

[8] Cfr., da ultima, Cass., SS.UU., n. 4696/2022, cit.

[9] Come ci ricordano anche le richiamate SS.UU. n. 4696/2022: “ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che l’omologazione non comporta di per sé novazione dell’obbligazione anteriore, quanto soltanto il diverso e più circoscritto effetto della parziale inesigibilità del credito”.

[10] Si vedano in tema, oltre le già cit. Cass. n. 26567/2020 e Cass. n. 20298/2014, anche Cass., 30 luglio 2009, n. 17748, in IlCodiceDeiConcordati.it, nonché Cass., 22 dicembre 2006, n. 27489; Cass., 27 luglio 2006, n. 17159; Cass., 14 febbraio 2002, n. 2104 e Cass., 22 settembre 2000, n. 12545, tutte in DeJure.it; nello stesso senso anche la cit. Cass. n. 34437/2021.

[11] Cfr. le già cit. Cass. n. 34437/2021 e Cass. n. 26567/2020.

[12] Sul punto, si vedano più nello specifico le già cit. Cass. n. 34437/2021 e Cass. n. 26567/2020.

[13] Cfr. Cass., 17 aprile 2003, n. 6166, in IlCaso.it.

[14] Cfr. al riguardo la già cit. Cass. n. 34437/2021.

[15] V. sul punto, sempre la già cit. Cass. n. 34437/2021.

[16] Invero anche di condanna, purché da attivarsi solo in caso di mancato rispetto del patto concordatario e negli eventuali limiti di riduzione del credito ivi previsti.

[17] Cfr. Trib. Prato, 17 gennaio 2023, in DirittoDellaCrisi.it. In dottrina, sul regime intertemporale fra la legge fallimentare ed il Codice della Crisi, si veda Bortolotti - Pezzano - Ratti, I Codici della Concorsualità, sub Legenda operativa sul regime transitorio , in IlCodiceDeiConcordati.it, 14 luglio 2022.

[18] Per un’interessante, quanto condivisibile, prima critica sulle conclusioni in punto di fallimento omisso medio della Cass., SS. UU. n. 4696/2022, cfr. Ambrosini, Il ricorso “a corrente alternata” alla continuità normativa fra legge fallimentare e codice della crisi: la diversa (dubbia) soluzione adottata dalle sezioni unite, cit. Sullo stesso solco, ma attraverso un percorso argomentativo in parte diverso, ci sia permesso il rinvio a Pezzano, Una nuova pronuncia delle SS. UU. in tema di fallimento omisso medio?, in DirittoDellaCrisi.it, 13 Febbraio 2023. In senso adesivo alla pronuncia, si veda De Santis, Le sezioni unite e la dichiarazione di fallimento omisso medio, in Il Fallimento, 2022, 467.

[19] E senza dimenticare che alla risoluzione si può accedere anche prima che si verifichi la scadenza dell’adempimento, previsto nel patto concordatario a favore del creditore agente, “qualora emerga che il concordato  sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati” (Cass., 20 giugno 2011, n. 13446, in  IlCodiceDeiConcordati.it).

[20] Ovviamente, nel caso di pretesa avanzata rispetto al patto concordatario, potrà pretendersi il solo credito nell’entità ristrutturata, mentre, con la previa richiesta risolutoria, nell’originaria maggiore misura, appunto.

[21] Si veda, ex multis, Cass., SS. UU., 22 settembre 2016, n. 18574 in Italgiure.giustizia.it; cfr. anche Cass., 18 aprile 2018, n. 9589, in DeJure.it e Cass., 28 maggio 2020, n. 10093, in IlCaso.it.

[22]  Ricordando a noi, che se “è ben possibile accertare oggettivamente il venir meno della funzione del concordato - per l'impossibilità di soddisfare i creditori nella misura proposta ed omologata (sempre che non si tratti di inadempimento di scarsa importanza) - anche prima della scadenza del termine annuale stabilito dall'art. 186 co. 3 1.f. (contra debitorem), ciò non implica, né consente, che il suddetto termine decadenziale di cui dispongono i creditori per far valere la risoluzione del concordato sia abbreviato (contra creditorem) rispetto ad un dato normativo chiaro e inequivocabile (Cass., 29 Maggio 2019, n. 14601, in IlCaso.it).

[23] Tra l’altro, senza neppure poter fidare nel risarcimento danni da ritardo nel processo,  atteso che “in  tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole durata del processo, deve escludersi la responsabilità dello Stato ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, con riferimento alla protrazione nel tempo dell'attività dei liquidatori nominati con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, poiché, chiudendosi questo con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, ed essendo i liquidatori non organi della procedura pubblica, bensì mandatari dei creditori per il compimento di tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni ceduti, detta attività non rientra nell'organizzazione del servizio pubblico della giustizia”  (Cass., 8 maggio 2012, n. 7021, in DeJure.it).

[24] Impedenti, secondo i dettami di legittimità (ex multis, Cass., SS.UU., 24 giugno 2020, n. 12476, in Fallimento, 2020,1526, con commento di Panzani, La natura costitutiva dell’azione revocatoria ed il credito per equivalente della curatela del solvens nei confronti del fallimento dell’accipiens), il ricorso esegetico al Codice della Crisi per interpretare la legge fallimentare. Si interroga, criticamente, su tale metodologia di approccio all’interpretazione, Ambrosini, Il ricorso “a corrente alternata” alla continuità normativa fra legge fallimentare e codice della crisi: la diversa (dubbia) soluzione adottata dalle sezioni unite, cit.

[25] Passata, dalla chiusura della procedura, “fino all’esaurimento dei giudizi e delle operazioni che proseguono dopo il decreto di chiusura a norma dell’articolo 235”, così finalmente ricomprendendosi anche i periodi “franchi” tra chiusura del fallimento (art. 130, comma 2, l. fall.), recte liquidazione giudiziale (art. 246, comma 2, CCII) e fase esecutiva del concordato fallimentare (art. 136 l. fall.), recte nella liquidazione giudiziale (art. 249 CCII).

[26] Neppure va dimenticato che, oggi, il rimedio risolutorio è reso, dall’art. 119, comma 1, CCII, ancora più semplice ed economico per il singolo creditore che, infatti, potrà limitarsi all’invio al commissario di una mera richiesta scritta (a nostro modesto avviso, valevole già come messa in mora, ove  indirizzata anche al debitore con l’intimazione di pagamento dell’intero importo “ripristinato” post risoluzione).

[27] Si pensi, ad es., alla responsabilità degli organi sociali verso i soci (ed i creditori sociali, ove si incida sulla sufficienza patrimoniale) allorché facciano prescrivere un importante credito. Naturalmente, la responsabilità potrà sussistere anche rispetto al solo negligente ritardo ove fonte di danno, come nel caso del liquidatore giudiziale di un concordato preventivo che ritardi un riparto a favore di un creditore chirografario, privo, come noto, della  remunerazione degli  interessi o, ancor peggio, ove l’emergenza di un privilegiato lo privi della possibilità di riparto, che diversamente, una volta intervenuto, diverrebbe irripetibile, ove si ritenga applicabile, anche in caso di concordato preventivo, l’art. 114 l. fall., oggi art. 229 CCII.