Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Articolo

I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi).


Stefano Ambrosini
Articolo

Il piano di ristrutturazione omologato: un caso di “concorrenza sleale” tra istituti? *


Edgardo Ricciardiello

Data pubblicazione
12 settembre 2023

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Sommario: 1. Introduzione; 2. Il PRO nella nuova cornice normativa; 3. Gli elementi tipologici del PRO; 4. La conversione del PRO in concordato preventivo; 5. Il favor del legislatore per il PRO; 6. Conclusioni


1. Introduzione

Il percorso di riforma della legge fallimentare intrapreso con la legge delega 19 ottobre 2017 n. 155 è giunto a compimento a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 17 gennaio 2022, n. 83 recante il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII).

Come è noto, tuttavia, l’originario impianto normativo delineato dalla Commissione Rordorf ha subito in sede di stesura finale importanti modifiche al punto che, per certi aspetti, il tessuto della riforma è risultato profondamente modificato.

Ciò è accaduto a fronte di un sostanziale ripensamento dell’impostazione delle misure di allerta che, nell’originario disegno normativo, avrebbero dovuto assumere centralità nella riforma mediante la devoluzione della gestione della pre crisi ad organismi di diritto pubblico (gli OCRI) che mal si sarebbero potuti conciliare con una impostazione apertamente “liberista” del nuovo diritto concorsuale attribuita dai compilatori del Codice[1].

Ma, soprattutto, sono state le spinte unionali, per effetto della Direttiva 2019/1023/UE ( c.d. Direttiva “Insolvency”), ad aver giocato un ruolo centrale nella modifica dell’impianto normativo preesistente attraverso, dapprima, l’introduzione dell’istituto della composizione negoziata della crisi ad opera del D. Lgs del 24 agosto 2021, n. 117 (poi convertito in legge 21 ottobre 2021, n. 147); successivamente, mediante la previsione di strumenti di composizione della crisi o dell’insolvenza aventi una matrice contrattualistica e per certi aspetti ibridati rispetto alle procedure concorsuali maggiori (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti).

Con il CCII si sarebbe compiuto quel processo di contrattualizzazione del diritto concorsuale che attribuirebbe alle parti (debitore e creditori) il potere di stabilire le regole (sostanziali) del concorso prevedendo le modalità di distribuzione delle risorse dell’attivo[2].

Un percorso che sarebbe stato segnato, in senso evolutivo, dalle riforme che si sono succedute dal 2005 in poi e che avrebbero comportato una maggiore centralità del debitore nella ristrutturazione di impresa[3].

Tuttavia, anche nei Paesi a maggiore liberismo concorsuale si è assistito, a seguito degli scandali finanziari che hanno coinvolto le grandi imprese bancarie e finanziarie, ad un ripensamento rispetto al ruolo del giudice (ed in generale della pubblica amministrazione) nella gestione della crisi mediante un rafforzamento del controllo pubblico attraverso il potenziamento del ruolo del trustee e della court[4]. Ciò sul presupposto che le procedure concorsuali non attengano al solo rapporto debitore-creditori ma involgano interessi ben più diffusi anche, in certi casi, a matrice pubblicistica. Tant’è che anche le procedure quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti, seppure consentano al debitore e ai creditori di trovare una composizione dell’esposizione debitoria attraverso pattuizioni sostanzialmente libere sul piano dei contenuti e delle regole distributive; d’altra parte, impattano anche sui diritti di terzi (creditori dissenzienti, coobbligati, fideiussori, obbligati in via di regresso, soci illimitatamente responsabili e creditori non aderenti negli accordi ad efficacia estesa)[5].

 

2. Il PRO nella nuova cornice normativa

Il PRO si colloca in tale contesto normativo profondamente innovato ove le opzioni attribuite al debitore sono molteplici nell’ottica di un approccio “proporzionale” alla crisi, relegando la liquidazione giudiziale ad estremo rimedio e, d’altra parte, enfatizzando le potenzialità della ristrutturazione d’impresa mediante la preservazione della continuità aziendale ed il mantenimento della gestione dell’impresa in capo al soggetto imprenditore, evitando la spossessamento (Considerando n. 30, Direttiva Insolvency).

In questo senso il PRO si inserisce tra gli strumenti c.d. preventivi dell’insolvenza ovvero gli strumenti che anticipano, per evitarla quanto più possibile, la liquidazione[6].

In realtà, non si tratta di una novità assoluta in quanto, a seguito delle crisi finanziarie che si erano manifestate dagli Usa all’Europa a partire dal 2008, il legislatore unionale con la Bank Recovery and Resolution Directive (c.d. BRRRD) (UE/59/2014) aveva per la prima volta introdotto il concetto di misure di preparazione della crisi e di recovery plans, ponendosi la riforma del diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza sul solco di tali principi[7].

Per effetto dell’art. 16 del D.lgs. n. 83/2022 che ha recepito la Direttiva Insolvency è stato aggiunto all’interno del Titolo IV dedicato agli “strumenti di regolazione della crisi” il Capo 1-bis (artt. 64-bis, 64-ter, 64-quater) che disciplina il Piano di Ristrutturazione soggetto a omologazione[8].

All’indomani dell’introduzione di tale istituto non sono state poche le voci critiche che si sono levate, ponendo persino in dubbio la compatibilità del PRO con gli obiettivi fissati dalla Direttiva[9].

Del resto, la tecnica normativa non del tutto impeccabile impiegata dal legislatore, delinea un istituto poco autonomo sul piano disciplinare a cui l’interprete è chiamato a sopperire mediante l’analogia; ma tale opera di adattamento risulta tutt’altro che agevole stante la natura ibrida di tale istituto anche alla luce delle differenze strutturali che distinguono il PRO rispetto agli strumenti già noti[10].

Il PRO viene collocato nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza come definiti all’art. 2 lett. m-bis) CCII trattandosi di strumento (rectius: procedura), “volta al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volta alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.

Appare, tuttavia, difficile una sua categorizzazione rispetto non solo agli istituti di nuovo conio ma anche a quelli noti alla tradizione concorsualistica[11], risultando forse un po' semplicistica la sua collocazione in una via mediana tra accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa e concordato preventivo in continuità aziendale[12].

Ciò in quanto, rispetto agli ADR, anche nella versione più spinta degli accordi ad efficacia estesa si perderebbe quella “vocazione” negoziale tipica degli accordi di ristrutturazione ove le possibilità di estensione degli effetti dell’accordo ai non aderenti è retta da condizioni inderogabili (conseguimento dell’accordo con almeno il 75% di ciascuna categoria dei creditori; natura non liquidatoria dell’accordo, trattamento per i non aderenti in misura non inferiore a quella ad essi riservabile in sede di liquidazione).Inoltre, resta fermo il principio per cui, negli ADR, i creditori dissenzienti devono essere soddisfatti integralmente mentre nel concordato, la vigenza del principio maggioritario, determina la vincolatività del piano omologato per tutti i creditori. Anche sul piano procedurale il PRO presenta caratteristiche similari al concordato preventivo ove è prevista la nomina del commissario giudiziale (e del pre commissario in caso di procedura con riserva) e del giudice delegato sin nella fase preliminare ed un regime di autorizzazioni alla contrazione di finanziamenti prededucibili nonché la previsione del voto dei creditori e della esdebitazione che si estende anche verso tutti i creditori (inclusi quelli dissenzienti).

Occorre premettere che il legislatore europeo attraverso la Direttiva Insolvency ha voluto, non solo relegare la liquidazione giudiziale ad estremo rimedio, nel tentativo di preservare la continuità aziendale anche a fronte di una situazione di insolvenza conclamata, seppure reversibile; ma, nell’ottica di un arretramento della tutela alla fase di possibile emersione della crisi, ha inteso creare strumenti di matrice contrattuale caratterizzati dalla più ampia libertà delle parti sia sotto il profilo dei contenuti dell’accordo che del sacrificio richiesto al debitore in funzione del soddisfacimento dei creditori.

In tale contesto, la disciplina del concordato in continuità viene profondamente modificata attraverso il recepimento del principio della ristrutturazione trasversale (art. 11 Direttiva Insolvency) che rende omologabile il concordato che sia approvato anche da una sola classe che nella liquidazione sarebbe pregiudicata a patto che le classi dissenzienti ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altri classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori.

Ove sia prevista la cross class cram down (ristrutturazione trasversale) ovvero la possibilità per il tribunale di imporre l’accordo ai creditori dissenzienti suddivisi in classi, il legislatore unionale impone il giudizio di omologazione a tutela dei loro diritti[13] e del rispetto dei principi dettati in tema di responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.) e del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) che nel concordato rappresentano ancor oggi principi imprescindibili ed inderogabili.

L’intervento del tribunale soddisfa, da un lato, l’esigenza che il piano concordatario non sia “ostaggio” di minoranze aggregate di creditori e, dall’altro, garantisce che il piano assicuri ai creditori dissenzienti un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole rispetto a quello delle classi inferiori[14].

E’ possibile così distinguere il c.d. cram down semplice, che implica il giudizio di non minore convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale (criterio che sostituisce quello del miglior trattamento dei creditori rispetto alla liquidazione); ed il cross class cram down ovvero cram down trasversale che, viceversa, impone una gradazione di soddisfacimento tra creditori antergati e postergati mediante una distribuzione di risorse che tenga conto delle cause legittime di prelazione ovvero dell’ordine dei privilegi attribuendo al tribunale il potere di omologazione anche nel dissenso di alcune classi di creditori e il voto favorevole di una sola classe[15].

La regola recepita all’interno della emendata disciplina del concordato preventivo (art. 112, comma 2, CCII) è quella della priorità assoluta con riferimento al valore di liquidazione e che impone il soddisfacimento integrale dei creditori di una classe antergata prima di poter soddisfare i creditori di una classe inferiore mentre per quanto concerne il valore eccedente (c.d. surplus da continuità) la regola è quella della priorità relativa che, viceversa, consente di distribuire il surplus generato dalla continuità aziendale in maniera libera da parte del debitore pur sempre però nel rispetto dell’ordine della cause legittime di prelazione ovvero della necessità che i creditori di una classe superiore ricevano un trattamento pari o superiore rispetto a quello di una classe ad essa inferiore.

Il PRO rappresenta certamente un punto di rottura rispetto alle regole previste per il concordato in continuità. Si tratta, infatti, di uno strumento che estremizza le potenzialità dell’accordo tra debitore e creditori sotto il profilo della deroga ai principi di ordine concorsuale tradizionali (rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione; responsabilità illimitata del debitore per i debiti; par condicio creditorum) in quanto non sussistono limitazioni di sorta nella costruzione del piano[16].

Tale libertà del debitore non sembra neppure ricevere quale pendant un così pervasivo controllo da parte del tribunale, quantomeno proprio con riferimento alle regole distributive prescelte nel caso concreto; anche se, si ritiene che l’intervento del tribunale non possa essere relegato ad un controllo di mera correttezza formale (rectius: ritualità) della proposta alla luce dei possibili abusi che tale istituto potrebbe celare.

Bisognerebbe, innanzitutto, chiarire per quale ragione dovrebbe essere garantito al debitore insolvente di poter usufruire di uno strumento siffatto attraverso una sistemazione della propria esposizione debitoria a suo piacimento derogando ai principi cardine del diritto concorsuale, destinando le risorse dell’attivo senza alcuna distinzione tra patrimonio esistente e surplus da (eventuale) continuazione dell’attività diretta o indiretta?

La risposta al quesito appare articolata e non del tutto lineare in quanto sembrerebbe prima facie che il legislatore unionale abbia previsto la possibilità di introduzione di piani omologabili se approvati dalla totalità delle classi dei creditori che possono derogare alle cause legittime di prelazione sul presupposto che la volontà unanime delle parti (seppure ancorata al principio maggioritario inter classe) sia sovrana e idonea ad escludere forme di sindacato sulla convenienza del piano per i creditori.

Ma è anche vero che, per certi aspetti, tale possibilità di deroga sussiste già all’interno del concordato preventivo in continuità aziendale ove, fermo il disposto di cui all’art. 2740 c.c., è possibile, attraverso il voto unanime delle classi (art. 109, comma 5) ovvero per effetto del cross class cramdown previsto dall’art. 112, comma 2, prevedere deroghe all’ordine dei privilegi con il limite di indistribuibilità del valore di liquidazione degli assets (esistenti e successivi) e purché il valore eccedente quello della liquidazione sia distribuito in modo tale che i creditori inclusi nelle classi dissenzienti ricevano, complessivamente, un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto quello delle classi di grado inferiore.

Condizione del cross class cram down è che la proposta, seppure non approvata all’unanimità, sia comunque stata approvata dalla maggioranza delle classi purché almeno una di queste sia formata da creditori privilegiati oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

In tal senso si coglie nella riforma un’impostazione profondamente innovativa rispetto a quella che aveva animato la legge fallimentare del ’42 che notoriamente era per lo più orientata al soddisfacimento dei creditori (creditor oriented) ed improntata alla loro tutela mediante il processo di disgregazione del patrimonio del debitore in funzione liquidatoria[17].

Oggi, la prospettiva, forse anche alla luce delle necessità di preservazione dell’impresa a seguito delle crisi finanziarie che si sono succedute e dell’emergenza Covid-19, è mutata con un netto favor per gli accordi di natura stragiudiziale.

Oltre al piano attestato di risanamento previsto dall’art. 56 CCII che ricalca l’art. 68 l.f. caratterizzato dalla più ampia libertà del debitore di individuare un accordo con tutti o parte dei creditori “idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria”, il CCII disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti prevedendo la variante, rispetto alla disciplina della legge fallimentare, degli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60) e degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61), la convenzione di moratoria (art. 62) e la transazione su crediti tributari e contributivi (art. 63).

A ciò si deve aggiungere una disciplina profondamente modificata del concordato preventivo con continuità aziendale, oltre alla introduzione del concordato (e/o l’accordo di ristrutturazione) a livello di gruppo di imprese.

I tentativi di sistematizzazione o meglio di catalogazione del PRO nel contesto degli istituti di soluzione della crisi di impresa e dell’insolvenza non hanno sinora condotto a risultati univoci in quanto la natura “ibrida” di tale strumento rende ancor più incerti i suoi profili applicativi, sino a dubitare della necessità effettiva che detto istituto venisse coniato se non altro alla luce della necessità di ricorrere alla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo per colmare i vuoti normativi di disciplina (anche sotto tale aspetto con non poche incertezze interpretative).

Perplessità che, in realtà, riguardano l’intero apparato della riforma e le incertezze che a volte alcune scelte normative denotano.

Si pensi al correttivo apportato dal d.l. 13 giugno 2023, n. 69 convertito in legge n. 103/2023 recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi derivanti dagli atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre infrazione nei confronti dello Stato italiano”, che ha inasprito le condizioni di ammissibilità (e omologabilità) della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57 e 60 CCII) denotando incertezze nell’approccio originario.

Come si legge nella Relazione illustrativa allo “Schema di d. lgs. di recepimento della direttiva (UE) 2019/1023”, approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 marzo 2022, il PRO dovrebbe rispondere all’esigenza di dare attuazione all’art. 11, par. 1, della Direttiva Insolvency[18] mediante la previsione di una tipologia di piano il cui contenuto possa essere predeterminato liberamente dal debitore derogando ai principi generali dettati in materia di responsabilità del debitore (art. 2740 c.c.), della par condicio creditorum e di ordine delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) purché intervenga mediante il giudizio di omologazione il controllo del tribunale sul (corretto) classamento dei creditori, sulla formazione unanime del consenso delle classi dei creditori e sulle regole di distribuzione adottate nel caso concreto.

L’enfasi attribuita al consenso unanime delle classi ha peraltro indotto prima facie a ritenere che il controllo del tribunale potesse essere completamente eliso, dovendo prevalere la volontà “suprema” dei creditori e del debitore proponente.

Si tratta, tuttavia, di un conclusione del tutto errata e non condivisibile in quanto, a prescindere dal contenuto del piano, è proprio l’approntamento di uno strumento, per certi aspetti “eversivo” quale il PRO, che induce a rafforzare il controllo del tribunale il quale non può ritenersi menomato o ridotto per effetto dell’approvazione da parte di tutte le classi evidenziandosi come il nuovo diritto della crisi, seppure abbracciando una diffusa convinzione liberista, possa prestarsi ad abusi nei confronti dei creditori ergendo l’istituto a mero simulacro formale di strumento di composizione della crisi che dissimula trattamenti vili ai creditori.

Ciò, a maggior ragione, se si pensi alla possibilità di utilizzare il PRO sia nel contesto di piani puramente liquidatori che in continuità aziendale[19]. Infatti, mentre nel concordato preventivo in continuità, il piano può essere approvato dalle classi anche a maggioranza o con il voto favorevole anche di una sola classe, in conformità con i principi della ristrutturazione trasversale che consentono di falcidiare crediti privilegiati secondo un classamento omogeneo di titolari di posizioni creditorie omogenee o che subiscono un pregiudizio (art. 11 par. 1 lett. b) i e ii Direttiva Insolvency) nel PRO l’unanimità delle classi costituisce principio del tutto inderogabile[20].

Nel piano soggetto ad omologazione, invece, l’approvazione richiede necessariamente il consenso di tutte le classi proprio per la libertà di destinazione delle risorse (sia quelle legate al valore di liquidazione che quelle generate dalla continuità aziendale).

In questo si coglie la differenza sostanziale rispetto al concordato in continuità ove comunque non sarebbe possibile ravvisare una destinazione delle risorse in deroga ai principi dell’art. 2741 c.c. seppure nella cornice della ristrutturazione trasversale[21]. In particolare, non residua alcuna possibilità di destinazione di risorse a favore del debitore, nemmeno quelle generate dalla continuità aziendale stante il principio per cui nel concordato con continuità aziendale i creditori sono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato della continuazione dell’attività d’impresa diretta o indiretta (art. 84, comma 3, CCII)[22]. Mentre le risorse esterne possono essere distribuite liberamente[23].

Ma dietro l’accordo unanime con i creditori potrebbero celarsi abusi: il debitore potrebbe, per es., raggiungere intese con i creditori forti delle rispettive classi a danno dei creditori deboli. Ciò a maggior ragione se si consideri, come evidenziato da autorevole dottrina, che il cross class cram down sostituisce solo nel concordato in continuità il classico cram down che, viceversa, nel PRO si basa sul “semplice” potere di omologazione in presenza dell’opposizione di uno o più creditori fondato sulla non minor convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria. Si consideri, inoltre, che il nuovo meccanismo basato sul “vecchio” cram down non supera solamente l’opposizione dei creditori pregiudicati ma anche il trattamento più sfavorevole rispetto all’ordine delle cause legittime di prelazione.

Vigente il principio maggioritario all’interno di ciascuna classe, resta fermo che i creditori dissenzienti, poiché vincolati alla decisione della maggioranza (diversamente dagli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa in cui residua comunque il potere di opposizione dei dissenzienti), devono ricevere tutela da parte del Tribunale potendo essi altresì contestare la convenienza della proposta ed il trattamento deteriore rispetto all’ipotesi di liquidazione giudiziale (cram down sempre rimesso al tribunale ai sensi dell’art. 64-bis, comma 8, CCII).

La Relazione illustrativa nella sua prima formulazione spiega(va) che “Si tratta di uno strumento con il quale si intende dare attuazione alla previsione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva che richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto. In tale ottica, l’articolo 46-bis predispone un nuovo quadro di ristrutturazione per il debitore che si trova in stato di crisi o di insolvenza, che prevede l’obbligatoria suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, e che consente di distribuire il ricavato del piano senza vincoli di distribuzione, facendo salvi i diritti dei lavoratori, per i quali il pagamento d sempre assicurato entro 30 giorni dall’omologazione. Si tratta quindi di uno strumento che riduce al minimo la fase dell’ammissibilità, fornisce al debitore una maggiore libertà di azione – tranne che per i lavoratori, che non sono mai considerate parti interessate e non votano – ma per poter essere omologata richiede l’approvazione di tutte le classi. La norma richiama le disposizioni del concordato preventivo sul contenuto del ricorso e sulla documentazione da depositare, sugli effetti del deposito della domanda (comma 2) e sulla necessità del deposito dell’attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano (comma 3); stabilisce che il tribunale verifica la sola ritualità della proposta e la corretta formazione delle classi prima di aprire le operazioni di voto (comma 4). Chiarisce inoltre l’assenza di spossessamento in capo all’imprenditore, chiamato comunque a gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori, e ribadisce il potere di vigilanza proprio delle funzioni del commissario giudiziale (comma 5), dettando disposizioni specifiche nel caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione (comma 6). Sono richiamate inoltre le disposizioni del concordato che disciplinano le operazioni di voto ed d affermata la regola della maggioranza nella singola classe introdotta nell’articolo 112 con riferimento al concordato in continuità aziendale al fine di agevolare il raggiungimento dell’accordo (comma 7). L’articolo prosegue dettando disposizioni sul giudizio di omologazione – possibile, come gii detto, solo in caso di approvazione da parte di tutte le classi – e disciplinando l’ipotesi dell’opposizione del creditore dissenziente con la quale viene eccepito il difetto di convenienza (comma B). L’ultimo comma contiene un ulteriore richiamo a tutte le disposizioni del concordato preventivo applicabili al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione al fine di completarne la disciplina”.

In realtà, come è stato osservato in sede di parere reso dal Consiglio di Stato in data 1° aprile 2022 (prima stesura), il riferimento all’art. 11 della Direttiva è apparso fuorviante in quanto si riferisce alla c.d. ristrutturazione trasversale dei debiti ovvero alla possibilità di omologare un piano di ristrutturazione anche prescindendo dal consenso di tutti i creditori (rectius: di classi dissenzienti) mentre il nuovo istituto richiede, all’opposto, il consenso di tutte le classi quale pendant rispetto alla possibilità di derogare agli artt. 2740 e 2741 c.c. rispettivamente in materia di responsabilità illimitata del debitore per le obbligazioni assunte e di ordine delle cause legittime di prelazione[24].

A conferma del fondamento dei rilievi mossi dal Consiglio di Stato con nota integrativa dell’11 aprile 2022 è stato precisato in sede di stesura finale della Relazione che il riferimento alla Direttiva non deve ritenersi limitato all’art. 11 ma anche agli artt. 9 e 10: “si è chiarito che le ragioni dell’introduzione della nuova procedura si ricavano dalla lettura combinata degli articoli 9, 10 e 11 della direttiva, di modo che, a fronte di tali disposizioni, si è ritenuto che “la direttiva richiedesse uno strumento nel quale in caso di unanimità l’intervento del tribunale fosse limitato proprio in ragione del consenso ottenuto dai creditori su una proposta che il debitore dovrebbe poter formulare senza vincoli distributivi”. Dalla lettura complessiva di tali norme si evince che, in presenza del consenso sul piano espresso da tutte le classi all’unanimità, non dovrebbe esservi alcun accertamento svolto d’ufficio dal tribunale sulle condizioni del piano, e quindi neanche sul rispetto della par condicio creditorum. Ciò che chiede la direttiva è, in particolare, che il tribunale controlli la ritualità della procedura, la regolarità delle operazioni di voto e la corretta formazione delle classi. In altre parole, il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione rappresenta uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto”.

Contrariamente a quanto si era ritenuto alla luce della prima relazione illustrativa ciò che viene derogato non è il controllo del tribunale tout court quale presidio di legalità nella formazione delle classi e del voto e che permane attraverso il giudizio di omologazione; quanto le regole distributive che possono essere adottate in concreto attraverso il nuovo istituto all’interno di un piano che può avere potenzialità pressoché illimitate sotto il profilo del sacrificio che viene richiesto ai creditori[25].

La Relazione illustrativa nella versione definitiva ha preso posizione sui rilievi mossi dal Consiglio di Stato osservando come in realtà non sussistessero problemi di eccesso di delega rispetto alla Direttiva Insolvency chiarendo la portata della riforma rispetto al perimetro delineato dal legislatore unionale.

Riguardo al richiamo all’art. 9 par. 6 è stato precisato che la regola dell’unanimità non è collegata tanto al contenuto del piano (e in particolare all’assenza o meno di vincoli distributivi), quanto alla possibilità che, in caso di mancanza di classi dissenzienti, si possa prescindere dall’omologazione giudiziale, a meno che non ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 10, paragrafo 2, che prevede il test sul rispetto del miglior soddisfacimento dei creditori.

Si è osservato chementre è logico che la direttiva guardi al contenuto del piano dal punto di vista del giudizio di omologazione, e perciò detti prescrizioni direttamente in una logica ex post, le norme di recepimento, per consentire al debitore di superare quel giudizio in caso di dissenso delle classi, debbono prevedere innanzitutto le indicazioni necessarie alla redazione del piano, e rivolgersi perciò in primo luogo al debitore che, coi suoi professionisti, predispone la domanda di accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e non direttamente al tribunale, in sede di omologa (come peraltro esse fanno in seconda battuta, nell’articolo 112, secondo comma), e dunque debbono essere scritte anche in una logica ex ante. “è in questa prospettiva che è stato scritto l’articolo 84, comma 6, che prevede le “istruzioni per l’uso” per il debitore che propone domanda di concordato in continuità, confermando la regola dell’absolute priority rule sul valore di liquidazione e la relativa priority rule sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Si è ritenuto, pertanto, che le norme di diritto interno non siano deputate solamente a disciplinare le regole relative al giudizio di omologazione stabilendone la portata obbligatoria o meno «ma regolino anche il contenuto del piano, perché un sistema che, in attuazione di quanto previsto all’articolo 11, paragrafo 1, si limitasse a prevedere quel che accade quando la proposta non venga approvata, stabilendo la regola della ristrutturazione trasversale, mancherebbe della norma che chiarisce al debitore cosa fare nel predisporre il piano per affrontare il giudizio di omologazione, in una logica che è tradizionale del nostro sistema della legge fallimentare, il quale agli articoli 160 e 161 della legge fallimentare si preoccupa del contenuto del piano, e non va direttamente a disciplinare le regole di giudizio da applicare in sede di omologazione». Ne consegue che «E’ proprio il fatto che il contenuto del piano, in vista della regola di omologazione stabilita all’articolo 11 della direttiva per il caso di classi dissenzienti, debba rispettare certe regole distributive, che giustifica l’introduzione degli articoli 64-bis, ter e quater, i quali, sempre nella logica ex ante di cui si è detto, si fanno carico di disciplinare la diversa alternativa di quale è il contenuto del piano quando il debitore sia convinto (perché ciò è emerso durante la composizione negoziata, o comunque nei contatti coi creditori avuti durante la predisposizione del piano, o in ogni caso per la particolare composizione del ceto creditorio) di poter ottenere l’unanimità delle classi e non già di dover contare sulla ristrutturazione trasversale».

In assenza di una norma ad hoc non ci sarebbe risposta all’interrogativo di quale debba essere il contenuto del piano che il debitore propone ai creditori quando ipotizza di poter ottenere l’unanimità delle classi: se lo stesso contenuto che si ha in caso di maggioranza delle classi oppure – come sembra più logico, dato che altrimenti l’unanimità non avrebbe senso - un contenuto diverso, in cui il debitore non incontra alcun vincolo di distribuzione.

La Relazione spiega come l’articolo 64-bis risponda a questo interrogativo, sul presupposto che «l’unanimità delle classi non possa che portare al debitore vantaggi aggiuntivi: il debitore che incontri il consenso di tutte le classi, sia pure con le regole di maggioranza ad esse interne, non deve rispettare i vincoli distributivi dell’articolo 84, sesto comma, ma è libero di distribuire il valore in deroga non solo agli articoli 2740 e 2741 ma anche, più in generale – e da qui una correzione che si è ritenuto di apportare al solo riferimento a queste due norme – alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione, perché, diversamente da quanto accade in qualunque forma di esecuzione forzata, individuale o concorsuale, in caso di unanimità non deve rispettare il principio della parità di trattamento e dell’ordine delle prelazioni. In altre parole, l’articolo 64-bis è norma di disciplina, più che non di fattispecie: disciplina cioè quel che accade quando la proposta aspiri a incontrare il consenso unanime delle classi in cui è stato suddiviso il ceto creditorio».

Sembrerebbe, pertanto, che il PRO, in effetti, vada a colmare un vuoto normativo rappresentando un istituto che si fonda sulla atipica e inusuale situazione di consenso unanime delle classi dei creditori già conseguito o auspicato dal debitore proponente. Istituto che premierebbe la fiducia del debitore in un rinnovato patto con i propri creditori fondato sulla prospettiva prevalente (ma non esclusiva) della continuità aziendale.

Restano i dubbi tuttavia che la scelta del legislatore italiano costituisca una forzatura rispetto ai principi dettati dalla Direttiva Insolvency[26].

 

3. Gli elementi tipologici del PRO

Il PRO secondo la poco felice formulazione di cui all’art. 64-bis, comma 1, parrebbe rappresentare istituto che sul piano del presupposto soggettivo sia dedicato al solo imprenditore commerciale sopra soglia soggetto alla liquidazione giudiziale con esclusione dell’imprenditore agricolo.

La formulazione in realtà è declinata “al contrario” facendosi riferimento all’imprenditore commerciale “che non dimostra il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2 comma 1 lett. d)” vale a dire l’imprenditore minore [27].

Pertanto, spetta all’imprenditore che ambisca accedere a tale istituto la prova di non essere un imprenditore minore per il quale sono stati pensati altri istituti come il concordato minore.

Quanto al presupposto oggettivo, il PRO è accessibile all’imprenditore commerciale in crisi o insolvente secondo la definizione fornita dall’art. 2, comma 1, lett.) a) e b) CCII.

Elementi tipologici del PRO che renderebbero tale strumento speciale rispetto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione vanno individuati (i) nella possibilità esclusiva per questo istituto di prevedere da parte del debitore il soddisfacimento dei creditori previa suddivisione in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei distribuendo il valore generato dal piano anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione; (ii) nella necessità che il piano sia approvato all’unanimità delle classi (senza deroghe come previsto all’art. 112 CCII per il concordato in continuità) ove la corretta formazione delle classi è condizione di ammissibilità della domanda e non attiene viceversa al giudizio di omologazione[28]; (iii) nell’assenza di spossessamento anche attenuato del debitore al quale non viene preclusa in alcun modo la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa (non sussistendo neppure le limitazioni previste in tema di composizione negoziata della crisi relative al compimento di atti di straordinaria amministrazione, fermi i poteri del commissario giudiziale); (iv) nell’obbligo di riservare ai creditori dissenzienti un trattamento quantomeno equivalente a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale senza applicare i principi della ristrutturazione trasversale di cui all’art. 112, comma 2, CCII.; (vi) nell’inderogabilità dell’obbligo di soddisfacimento integrale dei crediti dei lavoratori dipendenti assistiti da privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c. che devono essere soddisfatti integralmente entro 30 gg dall’omologazione.

Si evidenzia che l’unanimità delle classi opera a prescindere dal fatto che il piano nel caso concreto preveda o meno regole distributive in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. in quanto il dettato normativo non pone eccezioni di sorta. Anche se si è osservato come elemento caratterizzante il PRO sia proprio la deviazione dalle regole distributive tipiche non avendo, al contrario, tale procedura ragione di esistere[29]. Ragionamento diverso andrebbe fatto rispetto al concordato preventivo in cui non sarebbe comunque ammessa alcuna deroga al principio di responsabilità patrimoniale illimitata del debitore ai sensi dell’art. 2740 c.c.: infatti, nella nuova disciplina permarrebbe il limite della indistribuibilità assoluta del patrimonio esistente al momento dell’apertura del concorso dei creditori (Absolute priority Rule) rispetto alle risorse generate dalla continuità aziendale che, viceversa, potrebbero essere destinate al soddisfacimento dei creditori in mondo non vincolato (Relative priority rule) con possibilità di destinare risorse ai creditori chirografari e persino ai soci purché una classe di rango inferiore non riceva più di quanto spetterebbe sulla base del piano ad una classe superiore[30].

Dal punto di vista dei contenuti, come si è già osservato, è opinione del tutto prevalente che il PRO possa avere natura sia liquidatoria che prevedere la continuazione (diretta o indiretta) dell’attività d’impresa[31]. Anzi, si ritiene che l’apparente anomia sia voluta dal legislatore per rendere contendibile nell’ambito concorsuale il concordato liquidatorio già fortemente osteggiato attraverso la previsione incrementale dell’apporto di risorse esterne pari al 10% ai fini della sua ammissibilità [32].

Nella Relazione illustrativa la scelta di prevedere il PRO quale istituto tipologicamente autonomo rispetto agli accordi di ristrutturazione ed al concordato preventivo viene giustificata sull’assunto che nel concordato «la regola del rispetto delle cause di prelazione è stata mantenuta (nei termini di cui all’art. 84, sesto comma), per evitare che un piano privo di vincoli di distribuzione rappresentasse la base di un concordato, sì da non rinunciare a coniugare la tradizione giuridica italiana con le indicazioni provenienti dalla Direttiva».

Ma sul punto si vedrà come i maggiori vantaggi forniti apparentemente dal PRO rispetto al concordato preventivo in continuità si assottiglino alla luce del fatto che il controllo del tribunale in sede di omologazione non appare in alcun modo ridimensionato alla mera presa d’atto dell’unanimità delle classi dei creditori votanti. Esso, viceversa, proprio per la natura dello strumento, interviene preliminarmente sulla correttezza del processo di formazione delle classi dei creditori affinchè i creditori dissenzienti (all’interno di ciascuna classe) non ricevano un pregiudizio per effetto del voto maggioritario e possano in sede di omologazione contestare la convenienza economica del piano rispetto alla liquidazione giudiziale provocando la decisione del tribunale (v. infra).

E’ proprio la deviazione dai principi sanciti dagli artt. 2740 e 2741 c.c. che impone il controllo del tribunale al fine di scongiurare abusi del diritto da parte del debitore. Né la fase preliminare, contrariamente a quanto sembrerebbe da una lettura superficiale della norma, sarebbe relegata ad una valutazione di ritualità “formale” del ricorso dovendo il tribunale valutare sul piano oggettivo se sussistano le condizioni affinché lo strumento prescelto assolva alla sua funzione precipua di strumento di soluzione della crisi dell’imprenditore.

Rispetto agli accordi di ristrutturazione si è osservato che “Al tempo stesso si è doverosamente escluso che si trattasse di un accordo di ristrutturazione, dato che, diversamente da questo, il piano in questione non è basato sulla volontà negoziale vera e propria, ma su una volontà comunque raggiunta in base a regole di maggioranza. E ciò lo differenzia dagli accordi ad efficacia estesa”. Ma si è rilevato, sempre in occasione del parere espresso, che «In realtà, la regola dell’unanimità posta dall’articolo 9, § 6, della direttiva è collegata non tanto al contenuto del piano (e in particolare all’assenza o meno di “vincoli distributivi”) quanto alla possibilità che, in caso di mancanza di classi dissenzienti, si possa prescindere dall’omologazione giudiziale, a meno che non ricorra un’altra delle ipotesi dell’art.10, § 1, lett. b) e c), della Direttiva»[33].

A definitivo chiarimento della diversa finalità dell’istituto rispetto alla ristrutturazione trasversale che sembrava sottesa nel richiamo all’art. 11 si pone la Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante modifiche al Codice della Crisi e dell’Insolvenza”. La Relazione Illustrativa, infatti, così argomenta: «In assenza di una norma ad hoc non ci sarebbe risposta all’interrogativo di quale debba essere il contenuto del piano che il debitore propone ai creditori quando ipotizza di poter ottenere l’unanimità delle classi: se lo stesso contenuto che si ha in caso di maggioranza delle classi oppure – come sembra più logico, dato che altrimenti l’unanimità non avrebbe senso – un contenuto diverso, in cui il debitore non incontra alcun vincolo di distribuzione».

Il legislatore ha così voluto prevedere nella sola ipotesi di unanimità delle classi (ovvero di ambizione del debitore a conseguirla) la possibilità per il debitore di attuare una distribuzione basata su regole diverse da quelle dettate in materia di concorso. Lo scopo è che sia attribuita voice a tutte le classi dei creditori che devono aderire alla prospettazione del debitore.

Come si è correttamente evidenziato l’ambiguità interpretativa derivava dal fatto di ritenere che la deroga prevista dal nuovo istituto non afferisse ai contenuti del piano (appunto discostanti dalle disposizioni degli art. 2740 e 2741 c.c.) bensì del giudizio di omologazione. Di contro, è stato chiarito come non sia in discussione la cogenza dell’omologazione a prescindere dalla scelta adottata dal debitore col piano di ristrutturazione (se lesivo o meno della par condicio creditorum e delle cause legittime di prelazione)[34].

E’ possibile a questo punto svolgere una riflessione di carattere sistematico: gli strumenti di nuovo conio oscillano tra procedure concorsuali caratterizzate dal controllo del tribunale sulla distribuzione ai creditori dell’attivo liquidatorio o generato dalla continuazione dell’attività d’impresa anche se in deroga ai principi dettati dagli art. 2740 e 2741 c.c. ed istituti che, viceversa, esulano dal controllo del tribunale (v. composizione negoziata della crisi e piani di risanamento attestati).

In tal senso l’art. 9 della Direttiva Insolvency, con riferimento ai piani di ristrutturazione (da notare che la Direttiva non parla di accordi), prevede al § 5 che “i diritti di voto e la formazione delle classi sono esaminati da un'autorità giudiziaria o amministrativa quando è presentata la domanda di omologazione del piano di ristrutturazione. Gli Stati membri possono esigere che un'autorità giudiziaria o amministrativa esamini e convalidi i diritti di voto e la formazione delle classi in una fase anteriore a quella di cui al primo comma”.

Vengono così eretti a principi inderogabili il diritto di voto e la formazione nelle classi nel contesto dei piani di ristrutturazione dei debiti a voler affermare la necessità di un controllo giudiziario sulle modalità di distribuzione di valore a favore dei creditori nei processi ristrutturativi nei quali non sia previsto il soddisfacimento integrale dei creditori.

Il giudizio di omologazione diviene, pertanto, presidio di legalità del piano e rappresenta un presupposto ineliminabile di vincolatività del piano stesso per tutti i creditori (aderenti e non come accade negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa) ovvero per i soggetti che subiscono un pregiudizio per effetto del piano in termini di riduzione dell’aspettativa di soddisfacimento del proprio credito.

Sotto tale profilo l’art. 10 della Direttiva Insolvency prevede che «Gli Stati membri provvedono affinché almeno i seguenti piani di ristrutturazione vincolino le parti solo se sono omologati dall'autorità giudiziaria o amministrativa: a) piani di ristrutturazione che incidono sui crediti o sugli interessi delle parti interessate dissenzienti; b) piani di ristrutturazione che prevedono nuovi finanziamenti; c) piani di ristrutturazione che comportano la perdita di più del 25 % della forza lavoro, se tale perdita è ammessa dal diritto nazionale. 2. Gli Stati membri provvedono affinché le condizioni per l'omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa siano specificate chiaramente e prevedano almeno che: a) il piano di ristrutturazione sia stato adottato in conformità dell'articolo 9; b) i creditori con una sufficiente comunanza di interessi nella stessa classe ricevano pari trattamento, proporzionalmente al credito rispettivo; c) la notificazione del piano di ristrutturazione sia stata consegnata, conformemente al diritto nazionale, a tutte le parti interessate; d) nel caso vi siano creditori dissenzienti, il piano di ristrutturazione superi la verifica del migliore soddisfacimento dei creditori; e) se del caso, qualsiasi nuovo finanziamento sia necessario per attuare il piano di ristrutturazione e non pregiudichi ingiustamente gli interessi dei creditori. Il rispetto del primo comma, lettera d), è esaminato da un'autorità giudiziaria o amministrativa solo se il piano di ristrutturazione è stato contestato per tale motivo. 3. Gli Stati membri assicurano che l'autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa. 4. Gli Stati membri provvedono affinché, nei casi in cui l'autorità giudiziaria o amministrativa è tenuta a omologare il piano di ristrutturazione per renderlo vincolante, la decisione sia adottata in modo efficace ai fini del trattamento della materia in tempi rapidi».

Ma è sul trattamento riservabile ai creditori che la Direttiva Insolvency apporta le maggiori innovazioni recependo la c.d. relative priority rule ovvero la possibilità nel contesto del piano di ristrutturazione di derogare i diritti dei creditori secondo le cause legittime di prelazione purchè non sia riservato al creditore di rango superiore un trattamento quantomeno equivalente se non superiore a quello di un creditore di rango inferiore.

L’art. 10 della Direttiva Insolvency prevede che «1. Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all'articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l'accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti: a) è conforme all'articolo 10, paragrafi 2 e 3; b) è stato approvato: i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale. c) assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori; e d) nessuna classe di parti interessate può ricevere o conservare in base al piano di ristrutturazione più dell'importo integrale dei crediti o interessi che rappresenta».

 

4. La conversione

In forza dell’art. 64-ter CCII, qualora il piano non sia approvato da tutte le classi dei creditori secondo il meccanismo di adesione previsto dall’art. 110 CCII (espressamente richiamato), il debitore entro 15 giorni dal deposito della relazione commissariale sull’esito delle operazioni di voto, se ritiene di aver ottenuto l’approvazione di tutte le classi, può chiedere al tribunale di accertare l’esito della votazione e di omologare il piano di ristrutturazione.

Si tratta chiaramente di un presidio di tutela formale del debitore rispetto alle operazioni di voto che sfocia in un giudizio, seppure sommario, di accertamento da parte del Tribunale sulla correttezza e proclamazione delle operazioni di voto, in mancanza del quale verrà acclarata, secondo l’art. 111 CCII, la mancata approvazione del piano e l’apertura della liquidazione giudiziale.

L’art. 64-quater CCII attribuisce al debitore, tuttavia, in alternativa allo sbocco nella liquidazione giudiziale, la possibilità di conversione dal PRO al concordato mediante la modifica della domanda. Ciò può avvenire qualora il PRO non sia approvato da tutte le classi o laddove un creditore contesti il difetto di convenienza in occasione delle osservazioni formulate ai sensi dell’articolo 107, comma 4, CCII.

Ma l’accesso alla procedura di conversione è previsto proprio per permettere anche debitore che confidi erroneamente nel conseguimento dell’approvazione da parte di tutte le classi comunque la possibilità di accedere allo strumento concordatario.

Il favor per il PRO è comunque confermato dalla possibilità inversa di “trasformare” il piano concordatario in PRO qualora si verifichi l’inatteso scenario del conseguimento del voto unanime delle classi purché non siano iniziate le operazioni di voto.

 

5. Il favor del legislatore per il PRO

Anche se si può dubitare che l’ordinamento concorsuale necessitasse effettivamente di uno strumento quale il PRO esso introduce tali elementi di preferenza rispetto al concordato preventivo in continuità aziendale da eliminare ogni possibilità di concorrenza tra gli istituti; ciò anche alla luce dell’opzione di conversione prevista dall’art. 64-quater CCII.

Del resto costituiscono elementi di forte incentivo per il debitore la possibilità di derogare completamente e senza eccezioni alle regole di distribuzione e persino al canone della responsabilità del debitore sancito dall’art. 2740 c.c. in aggiunta ad un controllo debole del tribunale (limitato alla formazione delle classi e alla correttezza del voto), della permanenza del c.d. cram down debole (ovvero limitato alla sola valutazione di non deteriorità del trattamento riservato ai creditori rispetto all’ipotesi liquidatoria) sembrerebbe rendere scontato l’accesso al PRO in situazioni di continuità aziendale.

La disciplina del PRO sembra sotto tale profilo costruita in modo chirurgico al fine di lasciare al debitore piena libertà di azione nei rapporti con i propri creditori e mutuando le sole disposizioni in materia di concordato preventivo di carattere procedurale con adattamento alla peculiarità dell’istituto.

In tale maniera è ipotizzabile che in futuro possa ricorrere a piani del tutto privi di vincoli rispetto all’ordine delle cause legittime di prelazione e della responsabilità del debitore (quantomeno per quanto concerne l’utilizzo del PRO per il perseguimento della continuità aziendale).

Tale strumento, anche se vigilato attraverso la nomina del commissario giudiziale e del giudice delegato e potenzialmente arrestabile prematuramente in presenza di atti di frode, in concreto pare potersi sottrarre al controllo del Tribunale sotto il profilo del controllo di merito (i.e. del perseguimento della causa in concreto) in quanto alla formazione obbligatoria delle classi non corrisponde l’obbligo di soddisfare i creditori offrendo loro in concreto forme di utilità economica come invece è previsto per il concordato preventivo (art. 84, comma 3, CCII che non viene richiamato dall’art. 64-bis.

Il debitore insolvente sembra incentivato ad accedere primariamente a a tale strumento puntando sulla sua capacità di persuasione nei confronti dei creditori e farne convergere il consenso su un piano che apporti loro più utilità rispetto alla liquidazione giudiziale. Gli sarà sufficiente conseguire il “controllo” all’interno di ciascuna classe dei creditori (anche alla luce delle scarse maggioranze previste) per esdebitarsi attraverso piani che potrebbero essere del tutto carenti ed offrire poco o nulla ai creditori[35].

Il PRO dovrebbe rispondere all’esigenza di consacrare un nuovo patto tra creditori e il debitore offrendogli la possibilità di ripartire con un piano in continuità aziendale nella prospettiva che la fiducia rinnovata sia ripagata attraverso la distribuzione “selettiva” delle risorse generate dalla continuazione dell’attività di impresa.

Il debitore usufruendo di un controllo del tribunale in sede di omologazione basato sul trattamento non deteriore dei creditori rispetto alla liquidazione giudiziale senza che il tribunale, (diversamente da quanto previsto per il concordato), possa interferire effettivamente sulla gradazione dei creditori e sull’utilizzo delle risorse da destinare al loro soddisfacimento, sembra potersi certamente svincolare dalle maglie del concordato preventivo che, al contrario, presenta elementi di controllo ben più pervasivi.

Il debitore potrà esercitare ogni pressione sui creditori prospettando il trattamento deteriore che riceverebbero in sede di liquidazione per offrire poco o nulla con l’aggravante di poter compiacere in via selettiva alcune categorie di creditori essenziali alla continuazione dell’attività di impresa e lasciare al proprio destino altri.

La stessa “minaccia” insita nell’opzione di conversione in concordato potrebbe rappresentare in sé elemento di pressione per i creditori i quali subirebbero nella seconda ipotesi il peso di un più incisivo potere in sede di omologazione da parte del tribunale in caso di classi dissenzienti.

Non si vede infatti, sulla base dell’impianto normativo prescelto dal legislatore, come il tribunale potrebbe sindacare, al di là dell’effettiva formazione di classi per categorie di creditori omogenee, il trattamento che verrebbe riservato ai creditori in concreto nell’ambito del PRO.

L’unanimità delle classi sembra allora segnare una zona franca ostentando al tribunale l’intesa raggiunta con tutti i ceti creditori senza che possa successivamente esercitarsi un serio controllo sulla effettiva destinazione ed utilizzo delle risorse concordatarie, soprattutto quelle generate dalla continuità aziendale.

Senza tacere del fatto che anche nel PRO, pur mancando una disciplina ad hoc, possano applicarsi le regole sulla falcidia dei debiti tributari e previdenziali alla stregua del concordato preventivo in quanto anche l’amministrazione finanziaria collocata in apposita classe appartiene al novero dei creditori che obbligatoriamente il debitore deve interpellare ai fini del voto unanime delle classi richiesto[36]

Il tentativo di “convincimento” dei creditori in caso di esito negativo offrirebbe comunque al debitore la carta di accesso al concordato preventivo; per tale ragione si ritiene che il PRO, per come congeniato, sia destinato a fungere da “filtro”, o quantomeno da “trampolino di lancio”, verso il concordato preventivo in continuità. Un passaggio necessitato visti gli irresistibili incentivi che esso parrebbe offrire.

In altri termini, il PRO potrebbe divenire uno strumento di mero passaggio alla procedura concordataria tenuto anche conto dei vantaggi processuali e sostanziali che esso offre: in caso di domanda con riserva la stay rule opererebbe in modo automatico ed immediato come nel concordato con riserva ma con la sostanziale differenza che non sarebbe precluso al debitore il compimento di atti di straordinaria amministrazione non essendo richiamato il regime di autorizzazione previsto per il concordato a seguito del deposito del ricorso introduttivo (art. 46 CCII).

Ma anche sul piano dei controlli l’accesso con riserva non consente al commissario giudiziale, stanti i diversi tempi della procedura, di acquisire piena cognizione del compimento di atti di frode che condurrebbero alla revoca del decreto di ammissione essendo il controllo del tribunale “limitato” alla ritualità della proposta da intendersi come non manifesta inettitudine della domanda a conseguire gli scopi prefissati dal legislatore.

Nella fase in bianco o con riserva, del resto, pare difficile rinvenire un controllo pieno del tribunale sul redigendo piano anche sulla gestione finanziaria che, di converso, permane indiscutibilmente appannaggio del debitore a cui spetta la gestione totale dell’impresa.

La possibilità di gestione straordinaria dell’impresa senza limitazioni (anche rispetto alla disciplina della composizione negoziata della crisi che, com’è noto, attribuisce all’esperto il solo potere di espressione di un parere sfavorevole destinato ad incidere sulla revocabilità dell’atto in sede di liquidazione giudiziale) costituisce incentivo a preferire il PRO al concordato in continuità aziendale. Ciò anche se si pensi al fatto che, a differenza della composizione negoziata della crisi, la cessione dell’azienda o di rami segue le regole codicistiche ordinarie senza possibilità di conseguire effetti premiali come quelli previsti dall’art. 22 CCII che sottopone a regime autorizzatorio del tribunale il trasferimento di azienda o di suoi rami in deroga al regime previsto dall’art. 2560 c.c. (solidarietà del cedente e cessionario per i debiti d’impresa) anche ai fini dell’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 24 CCII.

Vero è che la presenza del commissario giudiziale attribuisce alle sue segnalazioni effetti ben più pregnanti rispetto al parere contrario dell’esperto nella composizione negoziata della crisi potendo essa condurre alla revoca del decreto di apertura. A differenza, infatti, della composizione negoziata della crisi, il compimento di atti di straordinaria amministrazione deve essere preceduto da una informativa scritta da parte dell’imprenditore al commissario giudiziale (medesima informativa per i pagamenti che non sono coerenti rispetto al piano di ristrutturazione) il quale, valutatone il disvalore, potrebbe richiedere l’apertura del sub procedimento funzionale all’accertamento di atti di frode. Ciò avviene però previo ammonimento da parte del commissario sia all’imprenditore che all’organo di controllo prima che l’atto sia compiuto e solo successivamente al suo compimento il commissario informa il tribunale.

Alla luce degli elementi tipologici sopra illustrati è lecito domandarsi se effettivamente il PRO introduca “surrettiziamente” elementi tali da eliminare ogni possibilità di concorrenza da parte del concordato preventivo.

Se l’osservatore si arrestasse ad una valutazione superficiale e di primo impatto dell’istituto sarebbe indotto a dare una risposta affermativa al quesito stante gli elementi di favor che la disciplina prevede: su tutti la deroga ai principi dettati dagli artt. 2740 e 2741 c.c. che può essere totale nel PRO a differenza che nel concordato.

Occorre, tuttavia, domandarsi, altresì, quale capacità potrà avere l’imprenditore insolvente di convincere tutte le classi di creditori ad aderire ad un piano di rilancio della continuità aziendale ove un ruolo centrale è riservato proprio ai creditori strategici già insoddisfatti della precedente gestione. Tale fiducia si ritiene che potrà essere accordata solamente a patto che ai creditori strategici sia assicurato un ritorno dalla continuità aziendale mediante incentivi che non possono non sacrificare altre categorie di creditori e stakeholders.

Sul punto diviene allora centrale comprendere quali possibilità di intervento avrà il tribunale non solo in sede di omologazione ma anche di verifica delle regole di accesso alla procedura e del suo impiego concreto non ritenendo che la fase di ammissione, seppure compressa, elida i poteri di controllo del tribunale.

Come è stato autorevolmente evidenziato neppure il PRO «sfugge completamente al controllo del giudice» [37].

Al richiamo da parte dell’art. 64 bis, comma 9, della sezione IV del capo III del titolo IV del codice ne consegue l’applicabilità dell’art. 106.

In particolare, dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 64-bis si evince che all’esito del procedimento il tribunale revochi il provvedimento di apertura del concordato anche nel caso in cui “in qualunque momento risulti che mancano le condizioni prescritte dagli articoli da 84 a 88”.

 Ma il richiamo all’art. 106 non rende agevole l’opera interpretativa del giudice sia perché il comma 2 si riferisce al procedimento nel concordato con riserva «sia perché le condizioni di apertura sono quelle del concordato preventivo e, come già si è osservato, sono richiamate norme che disciplinano i requisiti sostanziali della disciplina di tale procedura»[38].

Infatti, anche volendo ritenere che il rinvio sia operato con riferimento alle condizioni di apertura del piano soggetto ad omologazione e non alla fase di omologazione, non sarebbe possibile argomentare che la norma possa legittimare un controllo sulla fattibilità che, viceversa, non è previsto né nella fase di apertura della procedura né in sede di omologazione[39].

 

5. Conclusioni

L’analisi della disciplina del PRO lascia aperti numerosi problemi interpretativi e di ricostruzione della fattispecie che potrebbero rilevare significativamente sul suo concreto utilizzo.

Innanzitutto partendo dalle disposizioni relative alla disciplina del concordato preventivo che non sono state richiamate occorre rilevare che: l’art. 64-bis CCII non richiama l’art. 46 circa gli effetti della domanda di accesso al concordato preventivo che, come è noto, prevede che il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa l’autorizzazione del tribunale.

In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all’art. 44, comma 1.

Ebbene il mancato richiamo all’art. 46 CCII apporta indebiti vantaggi competitivi al debitore che, volendo fare precedere il PRO dalla domanda con riserva o in bianco, può già usufruire del regime speciale previsto dall’art. 64-bis in tema di gestione dell’impresa senza spossessamento.

In sostanza, il debitore in pendenza del termine per depositare il piano ovvero per esercitare l’opzione relativa allo strumento di composizione della crisi da proporre ai creditori, potrebbe gestire indisturbato l’impresa ponendo in essere persino atti di disposizione del patrimonio e di straordinaria amministrazione sottraendosi al regime autorizzatorio del tribunale tipico del concordato preventivo.

Seppure l’art. 64-bis, comma 6, CCII (norma ispirata all’art. 21 CCII sui poteri informativi verso l’esperto nella composizione negoziata della crisi) obblighi il debitore ad informare preventivamente il commissario giudiziale del compimento di atti di straordinaria amministrazione ovvero dell’effettuazione di pagamenti che non siano coerenti con il piano di ristrutturazione, non si preclude al debitore la possibilità di porre in essere siffatti atti in quanto la segnalazione del commissario giudiziale al tribunale, ai fini dell’eventuale apertura del procedimento, per atti di frode (art. 106 CCII) non ha la medesima funzione dissuasiva nel PRO.

Non si vede, infatti, come il pre commissario, informato del compimento di tali atti, nella fase in bianco, senza che alcun piano sia stato ancora disvelato, possa esprimere un giudizio di disvalore giuridico dell’atto compiuto ovvero ritenere che l’atto sia in contrasto con gli obiettivi del risanamento prefissati dal debitore.

Ma anche osservando la disciplina relativa al trattamento dei creditori prevista dall’art. 64-bis attraverso la chirurgica opera di richiami alla disciplina del concordato preventivo si pone il dubbio se effettivamente le maglie concesse dal legislatore nel nuovo istituto siano larghe al punto da poter consentire la libertà di falcidia dei creditori muniti di privilegio[40].

Convinzione che sembrerebbe confermata, in ogni caso, (e a prescindere dall’art. 84, comma 5) dall’art. 96 che, riprendendo l’art. 169 l.fall., richiama a sua volta l’art. 153 che ribadisce il principio contenuto nell’art. 54 l. fall. per il quale «I creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese; se non sono soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto e’ ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo».

In sede di omologazione il tribunale non sarebbe certamente esonerato dal rilevare la violazione del disposto di cui all’art. 96 qualora effettivamente il debitore operasse una riduzione del credito garantito da diritti privilegio potendosi, forse, solo ammettere per la parte del credito incapiente che viene classata al chirografo un trattamento differenziato. Ma trattasi di disciplina che non devia rispetto alle regole del concordato preventivo.

Come è stato autorevolmente osservato tale regola eliderebbe completamente la specialità del PRO che, viceversa, si fonda proprio sull’enunciazione del principio di libertà distributiva a meno che non si fornisca una lettura dell’art. 64-bis CCII tale da ritenere che il debitore potrebbe distribuire le risorse del piano senza rispettare i limiti di capienza dei beni gravati da privilegio trincerandosi dietro l’approvazione unanime delle classi[41].

Si addiverrebbe in tal modo al sostanziale “annullamento” delle garanzie reali anche consolidate ante apertura di una liquidazione giudiziale. Ma anche gli altri richiami alla disciplina del concordato come quello all’art. 90, sulle proposte concorrenti di concordato, farebbero ritenere del tutto inutile il ricorso al PRO al fine di usufruire di regole distributive speciali in quanto le proposte concorrenti, come è noto, non sono ammissibili se nella relazione di cui all'articolo 87, comma 2, comma 3 ilprofessionista indipendente attesta che la proposta di concordato del debitoreassicura il pagamento di almeno il trenta per cento dell'ammontare dei creditichirografari. Norma che presuppone l’integrale soddisfazione deicreditori prelatizi e che imporrebbe di offrire almeno il 30_% ai creditori chirografari proprio per evitare proposte concorrenti [42].

È possibile concludere, quindi, che dietro lo strumento del PRO si celi, in realtà, un istituto che di democratico ha poco o nulla e che è rimesso all’arbitrio del debitore. Infatti, dietro l’approvazione unanime delle classi si annida la vigenza del voto maggioritario (peraltro con possibilità di quorum assai ridotti all’interno di ciascuna classe, ponendosi come alternativa all’approvazione della maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure se hanno votato favorevolmente i 2/3 dei crediti dei creditori votanti su un quorum costitutivo rappresentato dall’espressione di voto da almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe).

Il dissenso della minoranza all’interno di ciascuna classe non necessariamente precluderebbe l’omologazione alla luce dell’applicazione del cram down semplice ovvero basato sulla comparazione rispetto al trattamento dei creditori nella liquidazione giudiziale.

Ma, fermi gli strettissimi termini accordati a ciascun creditore dissenziente per contestare la convenienza della proposta (in quanto la contestazione di cui all’art. 64-bis, comma 8 presuppone che il creditore abbia già contestato il difetto di convenienza già nelle osservazioni di cui all’art. 107, comma 4, CCII), si ritiene che difficilmente troverà applicazione l’istituto dell’opposizione.

La previsione di tale istituto come rilevato dalla più autorevole dottrina[43] rappresenta un disincentivo per le banche ad erogare credito in presenza di istituti che possono vanificare le ragioni di privilegio ad essi accordate e che limitino fortemente per effetto del meccanismo del voto maggioritario intra classe il potere di reazione o opposizione dei creditori dissenzienti.



*Il presente lavoro sottoposto a referaggio anonimo è destinato alla pubblicazione in un volume collettaneo curato da Maurizio Irrera e Stefano Cerrato, Editore Zanichelli.

[1] Per una critica al sistema di allerta che era stato proposto in sede di prima stesura dalla Commissione Rordorf anche per le ricadute rispetto al controllo esterno del tribunale sia consentito rinviare a Ricciardiello, Riflessioni in tema di procedure di allerta e controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. alla luce del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: una difficile convivenza? in Jus, 2019, 111 ss.

[2] V. nel Sistema del Bankrupcy Code statunitense Bebchuk, A new approach to Corporate Reorganizations, 101 Har. Law Review, 775 (1988); Rasmussen, Debtor’s Choice: A Menu

Approach to Corporate Bankruptcy, 71 Tex L. Rev., 51, 117 (1992); Schwartz, A Contract TheoryApproach to Business Bankruptcy, 107 Yale L. J., 1807, 1850-1851 (1998).

[3] V. C. Ferri, L’esperienza del Chapter 11. Procedura di riorganizzazione dell’impresa in prospettiva di novità legislative, in Giur. comm, 2002, I, 69 ss.; v. anche Manganelli, The Evolution of the Italian and U.S. Bankruptcy Systems. A Comparative Analysis, in Journal of Business and Technology Law, 2010. In senso critico Ricciardiello, Il ruolo del commissario giudiziale nell’era del fallimento del contrattualismo concorsuale, in Giur. Comm., 2015, I, 720.

[4]V.Warren-Westbrook, Contracting Out of Bankruptcy: An Empirical Intervention, in Harvard Law Review, 2005, 1198 ss.; Block-Lieb, The Logic and Limits of Contractual Bankruptcy, 2001, University of Illinois Law Review, 2001, 2, 504-508.

[5] Sul punto v. Pagni, Evoluzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, protezione del patrimonio e omologazione, in Fall., 2014, 1079.

[6] Direttiva Insolvency (Considerando n. 4) “(Omissis…) Alcuni Stati membri prevedono una gamma limitata di procedure che consentono di ristrutturare le imprese solo in una fase relativamente tardiva, nell'ambito delle procedure d'insolvenza. Altri invece permettono la ristrutturazione in una fase precoce ma le procedure disponibili sono meno efficaci di quanto potrebbero essere oppure sono molto formali; in particolare poiché limitato l'uso di metodi stragiudiziali. Le soluzioni preventive costituiscono una tendenza in crescita nelle legislazioni in materia di insolvenza. La tendenza favorisce metodi che, a differenza di quello classico che prevede la liquidazione di un'impresa in difficoltà finanziarie, puntano a risanarla o almeno a salvarne le unità che sono ancora sane (Omissis)”.

[7] Sia consentito rinviare a Ricciardiello, Gli accordi di sostegno finanziario infragruppo nella crisi dei gruppi bancari, in Dir. Banca Merc. Fin., 2016, 1 ss. Nella prospettiva dei gruppi di imprese Ricciardiello, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, in Quaderni Romani di Diritto commerciale, Milano, 2020

[8] Tra i numerosi contributi sul tema v. Ambrosini, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa e una (non lieve) criticità’, in ristrutturazioniaziendaliilcaso.it, 19 agosto 2022; Pacchi, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, 156; Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022; Stanghellini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della Direttiva europea in materia di quadri di ristrutturazione preventiva”, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 luglio 2022, 11; Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto da omologazione, in dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022; Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in dirittodellacrisi.it, 1 luglio 2022, 14; Dorini, Crisi d’impresa, ecco il Piano di Ristrutturazione Omologato: come funziona?, in www.econopoly.ilsole24ore.com, 1 aprile 2022; Platania, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in ilfallimentarista, 12 aprile 2022.

[9] Del resto la stessa Direttiva Insolvency prevedeva la possibilità per gli Stati membri di introdurre nuovi istituti che recepissero i principi dettati a livello unionale ovvero di adattare quelli già esistenti (art. 4 par. 5). Ma sul puto v. Fabiani, Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fall. 2022, 1026 ss., ove si evidenzia che l’introduzione del PRO non attiene alla scelta dettata dalla Direttiva in quanto appare preponderante la modifica del concordato preventivo in continuità aziendale ed è in tale solco che si colloca il nuovo istituto.

[10] Ne evidenzia le caratteristiche del tutto peculiari rispetto alla tradizione concorsualistica Ambrosini, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Cedam, 2023, 456 ss.; v. anche Oltolini, Il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione: una prima riflessione, in diritto dellacrisi.it, 27 marzo 2022; v. Consiglio di Stato, parere n. 359/2022, pubblicato in data 13 maggio 2022 (in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it). In senso critico anche il documento congiunto di Confindustria e del CNDCEC del 4 maggio 2022.

[11] Cfr. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 26 agosto 2022.

[12] Fabiani, L’avvio del codice della crisi, in dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022, 10 ss.; in senso critico v. infatti Ambrosini, Sub art. 64-bis, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Padova, 2023, 456 ss.; Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022, 7; nello stesso senso Stanghellini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della Direttiva europea in materia di quadri di ristrutturazione preventiva”, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 luglio 2022, 11.

[13] V. Direttiva Insolvency (Considerando n. 48) “L'omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa serve per garantire che la riduzione dei diritti dei creditori o delle quote dei detentori di strumenti di capitale sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione e che tali soggetti abbiano accesso a un ricorso effettivo. L'omologazione è particolarmente necessaria ove: vi siano parti interessate dissenzienti; il piano di ristrutturazione contenga disposizioni su nuovi finanziamenti; o il piano comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro. Ciononostante, gli Stati membri dovrebbero poter prevedere che l'omologazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa sia necessaria anche in altri casi. L'omologazione di un piano che comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro dovrebbe essere necessaria solo se il diritto nazionale ammette che i quadri di ristrutturazione preventiva prevedano misure aventi effetti diretti sui contratti di lavoro”.

[14] V. Direttiva Insolvency, Considerando n. 49.

[15] Sulla distinzione tra cram down semplice e cross class cram down v. Panzani, op cit., 8 n. 11, il quale evidenzia come nella versione emendata dell’art. 112 CCII sia stato sostituito il meccanismo del cross class cram down a quello semplice.

[16] V. sempre Ambrosini, op. cit.

[17] Sul punto v. Fabiani, Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fall. 2022, 1025 ss.

[18] In realtà la Relazione illustrativa alla legge di riforma pare erroneamente fare riferimento all’art. 11 della Direttiva Insolvency che riguarda viceversa la c.d. ristrutturazione trasversale ovvero la possibilità di omologare il piano anche in assenza del consenso unanime delle classi in presenza delle condizioni stabilite dall’art. 11 della Direttiva. Sui problemi interpretativi conseguenti all’erroneo richiamo all’art. 11 della Direttiva v. Ambrosini, op. cit., 456 ss. il quale prospetta problemi di rilevanza costituzionale per eccesso di delega rispetto al legislatore unionale. Sul tema v. anche Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022.

[19] Questione tutt’altro che pacifica anche se prevale la soluzione permissiva sulla base del testo letterale della norma che non fa distinguo tra piano liquidatorio e continuità aziendale seppure la naturale collocazione dell’istituto sia tra gli strumenti di ristrutturazione che presuppongo la continuazione dell’attività d’impresa v. Panzani, op. cit., contra Bozza, op. cit., il quale evidenzia come nel tessuto normativo di cui agli artt. 64-bis e ss. non si accenni mai alla liquidazione dei beni, ma al contrario si ponga in evidenza la gestione dell’impresa che l’imprenditore conserva dalla presentazione della domanda fino all’omologazione sotto la vigilanza del commissario (comma 5); sul fatto che non sia prevista una soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari né l’apporto di risorse, né sono richiamate le norme specifiche del concordato con piano liquidatorio, bensì quelle sul concordato preventivo in generale e specifiche a quello in continuità, tra cui, di estrema importanza, il comma quinto dell’art. 109, che detta le regole dell’approvazione del concordato in continuità, che sono diverse da quelle previste per il concordato liquidatorio, dal primo comma (non richiamato) dello stesso articolo, o l’art. 94-bis che contiene disposizioni speciali per i contratti pendenti nel concordato in continuità aziendale. Ancor più significativo è che l’art. 64-bis,

nell’affermare che nel PRO trovano applicazione le disposizioni di cui alla Sezione IV del Capo III del Titolo IV, escluda espressamente le disposizioni di cui all’art. 114, che tratta del concordato con cessione di beni riprendendo l’art. 182 l. fall.

[20] Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022.

[21] V. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022.

[22] V. sul punto Panzani, op cit., 12.

[23] Fabiani, L’avvio del codice della crisi, in dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022.

[24] V. sempre in dottrina Ambrosini, op. cit.

[25] Nel parere del Consiglio di Stato veniva osservato che esaminata la nota integrativa dell'11.4.2022, con la quale questo ufficio ha chiarito che la nuova procedura attua le disposizioni degli articoli 9 10 e 11 della direttiva, si rappresenta che:

·            la regola dell'unanimità posta dall'articolo 9, paragrafo 6, della direttiva è collegata non tanto al contenuto del piano, e quindi all'assenza di vincoli distributivi, quanto alla possibilità che in caso di mancanza di classi dissenzienti si possa prescindere dall'omologazione giudiziale a meno che non ricorra una delle ipotesi previste dell'articolo 10, paragrafo 1 della direttiva;

·            l'articolo 10 della direttiva ha un modesto impatto sul Codice, in considerazione del fatto che l'ordinamento nazionale prevede sempre l'omologazione dei piani di ristrutturazione preventiva conformi al modello europeo;

·            il richiamo all'articolo 11, norma che disciplina la ristrutturazione trasversale dei debiti attuata con il concordato preventivo, non è esatto;

·            il nuovo istituto non sarebbe del tutto in linea neanche con l'articolo 10, paragrafo 3 della direttiva, secondo il quale l'autorità giudiziaria deve poter rifiutare l'omologazione di un piano che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa, e con lo stesso articolo 10, paragrafo 2, lettera f), che, in caso di nuovi finanziamenti, richiede la verifica giudiziale sulla loro necessarietà per l'attuazione del piano e sull'essenza di ingiusto pregiudizio per i creditori;

·            la direttiva impone comunque agli Stati membri di rispettare il criterio della priorità, assoluta o relativa e quindi non richiede la deroga ai principi della garanzia patrimoniale e dalle regole distributive proprie delle procedure concorsuali.

 

[26] Come rileva opportunamente la dottrina “Come si vede, Consiglio di Stato, da un lato, Governo e Parlamento, dall’altro, si sono, per così dire, sintonizzati su lunghezze d’onda differenti e non è del tutto certo che le giustificazioni offerte dalla Relazione illustrativa siano in concreto ritenute completamente appaganti. Pertanto, ove in giurisprudenza dovessero riscontrarsi, nella disciplina di cui trattasi, profili di contrasto e comunque di discontinuità rispetto al contenuto della Direttiva Insolvency, potrebbe venire sollevata l’eccezione di incostituzionalità delle norme sul piano di ristrutturazione omologato per eccesso di delega; e ciò proprio perché potrebbe dubitarsi del fatto che l’introduzione dell’istituto in commento costituisca - come invece necessariamente dovrebbe essere - attuazione della Direttiva, non sembrando essere imposta da alcuna sua disposizione” cfr. Ambrosini, op. cit.

[27]Bonfatti, Il sostegno finanziario alle imprese in crisi. Finanziamenti pendenti e nuove erogazioni, Pisa, 2022, 271; Oltolini, Il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione: una prima riflessione, in dirittodellacrisi.it, 27 marzo 2022. In senso contrario Bozza, op. cit., 14 ss.

[28] cfr. Trib. Vicenza, 17 febbraio 2023, in dirittodellacrisi.it.

[29] Cfr. Bonfatti, op. cit., cui adde Nicotra, Pezzetta, Crediti prededucibili per il Piano di Ristrutturazione omologato, in www.vptl.it, 2 aprile 2022.

[30] Cfr. Acciaro, Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 16 aprile 2022.

[31] Trib. Vicenza, 17 febbraio 2023, cit.

[32] Cfr. Fabiani, Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Fall., 2022, 1025 ss.; contra Parere Consiglio di Stato del 13 maggio 2022, in ristrutturazioniaziendali.il caso.it.

[33] L’unanimità delle classi, d’altronde, è stata espressamente considerata con il testo dell’articolo 109, comma 5, per il concordato preventivo in continuità aziendale, come modificato dall’articolo 23 dello schema di decreto (“Il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”). In correlazione, soltanto in caso di dissenso di una o più classi, tenuto conto della necessità di dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 11 della direttiva sulla ristrutturazione trasversale dei debiti, lo stesso articolo 109, comma 5, contiene la previsione che “In caso di mancata approvazione si applica l’articolo 112, comma 2”. Per il caso della mancanza di unanimità provvede appunto l’art. 112, come novellato dall’articolo 24 dello schema di decreto, attuativo sia dell’articolo 10 che dell’articolo 11, § 1, della direttiva. L’articolo 10 della direttiva ha poi avuto un modesto impatto sul Codice, dal momento che l’ordinamento interno prevede sempre l’omologazione dei piani di ristrutturazione preventiva conformi al modello europeo, essendo soggetti a omologazione sia gli accordi di ristrutturazione dei debiti che il concordato preventivo in continuità aziendale (oltre che il concordato minore per le imprese sotto soglia).

Peraltro anche il “nuovo” piano di ristrutturazione soggetto a omologazione necessita dell’intervento giudiziale di omologazione, malgrado l’approvazione di tutte le classi, quindi nemmeno è utile a limitare la partecipazione dell’autorità giudiziaria, in attuazione dell’art. 4, § 6, della direttiva. I riferimenti agli articoli 9, 10 e 11 della direttiva non forniscono perciò adeguato supporto alle finalità perseguite col nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che la relazione illustrativa indica essere la possibilità di “distribuire il ricavato del piano senza vincoli di distribuzione, facendo salvi i diritti dei lavoratori, per i quali il pagamento è sempre assicurato entro 30 giorni dall’omologazione”, riducendo “al minimo la fase dell’ammissibilità” e fornendo “al debitore una maggiore libertà di azione”. Orbene, quanto ai profili concernenti il giudizio di ammissibilità e l’omologazione del piano, una volta che questa sia stata prevista come necessaria, l’art. 64-bis appare non del tutto in linea con l’articolo 10, § 3, della direttiva (“Gli Stati membri assicurano che l’autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa”) e con lo stesso articolo 10, § 2, lett. f) (che, in caso di nuovi finanziamenti, richiede la verifica giudiziale che questi siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori). Infatti, fermo il giudizio di ammissibilità – per il quale il tribunale deve valutare “la ritualità della proposta” e verificare “la correttezza dei criteri di formazione delle classi” (comma 4, in linea con l’articolo 9, § 5, della direttiva) - per l’omologazione del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis, il comma 9 esclude l’applicazione articolo 112, il cui comma 1, lettera f), è la norma attuativa delle citate previsioni della direttiva. Quanto al profilo concernente la “libertà d’azione del debitore”, non trova riscontro in alcuna delle disposizioni della direttiva la scelta, effettuata col primo comma dell’articolo 64-bis, di consentire al debitore di “prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione in classi degli stessi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, distribuendo il ricavato del piano anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile”. Si tratta di una deroga che non è imposta dalla direttiva, la quale, sia pure nel caso di classe dissenziente, impone agli Stati membri di rispettare comunque il criterio della “priorità”, assoluta o relativa. La (possibile) deroga ai principi della garanzia patrimoniale e del rispetto delle regole distributive proprie delle procedure concorsuali (pur se attenuata dal richiamo dell’articolo 84, comma 5, contenuto nel comma 9 dell’art. 64-bis), certamente rientra nella discrezionalità del legislatore, ma, nel caso in esame risulta estranea alla legge di delegazione europea. In definitiva, si sollecita una riflessione sia sugli evidenziati profili di discontinuità con i principi della direttiva sia sui possibili profili di illegittimità costituzionale dell’articolo 64-bis, comma 1, in relazione all’articolo 76 della Costituzione per eccesso di delega, oltre che sui possibili profili di violazione del divieto di gold plating esposti nella parte generale sui quadri di ristrutturazione preventiva…”.

 

[34] Cfr. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto da omologazione, in dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022.

[35] Cfr. Panzani, op. cit.

[36] V. sul punto Andreani, Il trattamento dei crediti tributari e contributivi nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (pro), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5 aprile 2023. In giurisprudenza v. Trib. Udine, 9 marzo 2023, in dirittodellacrisi.it.

[37] Espressione di Pazani, op cit.

[38] Cfr. sempre Panzani, op. cit.

[39] Ai sensi, tuttavia, dell’art. 7 il tribunale nel caso di proposizione di più domande, di cui alcune dirette alla liquidazione giudiziale, esamina prioritariamente la domanda di piano soggetto ad omologazione soltanto se il piano non è manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati. In questo caso vi è dunque una delibazione della fattibilità del piano, nei termini della non manifesta inadeguatezza.

Il par. 3 dell’art. 10 della Direttiva Insolvency prevede che l'autorità giudiziaria abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa con la conseguenza che le disposizioni del CCII dovranno essere interpretate alla luce della norma unionale.

 

[40] Come osservato da Bozza, op cit. il quale ritiene applicabile l’art. 84 comma 5 CCII «Si tratta della versione aggiornata del secondo comma dell’art. 160 l. fall. che costituisce chiaramente un limite alla libertà di manovra che, secondo la precedente ricostruzione, è stata consentita al debitore che propone un PRO, posto che, se la legge richiede che per soddisfare non integralmente un creditore prelatizio è necessaria una relazione di stima che fissi il rapporto tra ciò che il debitore offre in termini di recupero del credito e il valore stimato del bene che, al netto delle spese ipotizzabili, costituisce il limite della soddisfazione che quel creditore riceverebbe nella liquidazione giudiziale, vuol dire che il debitore non può offrire ad un creditore ipotecario, pignoratizio o privilegiato meno di quanto risulta realizzabile secondo la stima effettuata e la parte di credito che non trova capienza passa in chirografo».

[41] V. sempre Bozza, op. cit. il quale ritiene che «In primo luogo, non si spiega il richiamo del comma quinto dell’art. 84, che non è una norma processuale dettata ai fini del voto ma di natura sostanziale qualificante il concordato, ove, come precisa la disposizione, l’accertamento del valore del bene gravato attraverso la stima del professionista indipendente va effettuata proprio per poter soddisfare anche in modo non integrale i creditori muniti di privilegio pegno e ipoteca, che diversamente dovrebbero essere pagati per intero. E’ vero che questa (come le altre norme richiamate) è applicabile in quanto compatibile, ma poiché nel caso, dell’intero art. 84 si richiama solo il comma quinto, che detta un unico principiochiaro e in antitesi con la libertà distributiva attribuita al debitore, il legislatore nonavrebbe dovuto richiamare tale norma perché sempre incompatibile con la strutturadel PRO, o comunque avrebbe dovuto fornire qualche precisazione circa laprevalenza della libertà del debitore sui limiti di capienza. Egualmente sarebbe stataopportuna una spiegazione del richiamo dell’art. 153 ed anche del richiamo dell’art.91 sulle offerte concorrenti, che è del tutto estraneo ad un sistema che prescindedalla soddisfazione dei creditori dal valore di realizzo dei beni del patrimonio deldebitore».

[42] V. sempre Bozza, op. cit. “Anche l’art. 64-bis richiamando l’art. 86 sui concordati in continuità, consentirebbe una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, senza limiti di tempo e indipendentemente da altre forme di ristrutturazione del debito, tanto che si fa salvo quanto previsto dall’art. 109; di tal che il debitore può proporre un piano di ristrutturazione con cui non solo offre ai creditori prelatizi una quota di soddisfazione inferiore al valore del bene stimato ma anche pagabile nei tempi da lui scelti, con l’incertezza del trattamento dei crediti dei lavoratori dipendenti. Il primo comma dell’art. 64- bis dispone, infatti, che “In ogni

caso i crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, sono soddisfatti in denaro integralmente entro trenta giorni dall’omologazione”, ma l’art. 86 prevede che per gli stessi crediti “può essere prevista una moratoria per il pagamento fino a sei mesi dall’omologazione”, per cui sembrerebbe che il limite mensile, insormontabile nella la previsione dell’art. 64-bis, possa diventare semestrale ove il debitore offra, solo o anche, una moratoria agli altri creditori.

[43] V. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 186.