Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Articolo

Concordato semplificato: la giurisdizione come antidoto alla “coattività” dello strumento e alla “tirannia” dell’esperto*


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
27 ottobre 2023

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Sommario 1. Il concordato semplificato (e la sua autonomia) nella sistematica concorsuale: le scelte del legislatore e la loro coerenza di fondo - 2. La valutazione iniziale di ritualità e la centralità dello scrutinio omologatorio - 3. Le risultanze della relazione finale dell’esperto e il tema della loro (non) vincolatività - 4. Cenno ai pareri dell’esperto e dell’ausiliario


 

1. Il concordato semplificato (e la sua autonomia) nella sistematica concorsuale: le scelte del legislatore e la loro coerenza di fondo

Non sembrano esservi dubbi in ordine al fatto che il concordato semplificato[1], insieme alla composizione negoziata e al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, vada considerato il principale protagonista del biennio riformatore 2021-2022. Si è parlato non a caso di un istituto “rivoluzionario”[2] rispetto al previgente assetto ordinamentale, ma anche “enigmatico”[3] per i numerosi problemi che esso solleva, sia sotto il profilo del suo inquadramento, sia dal punto di vista interpretativo. Il tutto all’insegna di una “rivincita della liquidazione concordataria” di cui si è detto all’indomani della conversione del decreto legge n. 118/2021[4], ponendola a raffronto con l’opzione “riduzionistica” adottata dal legislatore del codice della crisi in materia di concordato preventivo liquidatorio.

La scelta stessa del nomen iuris è stata messa in discussione, giacché secondo alcuni esso non sarebbe “appropriato: infatti l’istituto si chiama «concordato», ma non si concorda nulla, né fra il debitore e i suoi creditori (anzi proprio la mancanza di un accordo con i creditori o con taluni di essi in sede di composizione negoziata è uno dei presupposti della nuova disciplina), né con il tribunale; ai creditori è concesso unicamente il potere di proporre opposizione all’omologazione”[5].

In realtà, lo strumento in questione rientra nel novero dei concordati “coattivi”, così definiti in quanto la relativa disciplina non contempla il voto dei creditori, il cui consenso si inferisce invece dalla mancata opposizione all’omologazione[6]. Il nostro ordinamento concorsuale conosce da tempo tali fattispecie: basti pensare ai concordati nella liquidazione coatta amministrativa (art. 314 C.C.I.I.), nell'amministrazione straordinaria (art. 78. l. 270/1999) e nel sovraindebitamento (art. 12-bis, 1. 3/2012). Ma esempi di concordati “coattivi”, seppur esterni a detto segmento ordinamentale, sono anche quelli in materia bancaria (art. 93 T.U.B.) e assicurativa (art. 262 del codice delle assicurazioni)[7].

L’errore si rinviene, piuttosto, nella Relazione illustrativa al d.l. n. 118/2021, ove si dice testualmente che il concordato semplificato rappresenta “una nuova tipologia di concordato preventivo”. 

Ed invero, di là da alcune analogie e dalle disposizioni sul concordato preventivo espressamente richiamate, nel rimedio di cui trattasi è diverso il presupposto soggettivo (che è lo stesso della composizione negoziata) e difettano la possibilità di una domanda “con riserva”, la fase di ammissione[8], la nomina del giudice delegato e del commissario giudiziale, nonché la necessità dell’attestazione indipendente; e soprattutto non vi è traccia – come si diceva – di quell’aspetto qualificante del concordato preventivo che risiede nella sua essenza “negoziale”: il consenso (o dissenso) dei creditori espresso attraverso l’esercizio del voto.

Da qui la configurazione di un istituto senz’altro autonomo rispetto al concordato preventivo, come messo in luce fin dai primi commenti[9], a dispetto dell’erronea indicazione – peraltro nient’affatto vincolante sul piano ermeneutico – contenuta nella predetta Relazione illustrativa[10]. Istituto, quello del concordato semplificato, riconducibile tanto al novero delle procedure concorsuali quanto a quello degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[11], con la precisazione che relativamente a questi ultimi occorre sostituire il verbo “possono” di cui all’art. 2, lett. m bis), con “devono” prima dell’espressione “essere preceduti dalla composizione negoziata”.

Quanto alle ragioni delle scelte operate dal legislatore con l’introduzione del concordato semplificato[12], esse appaiono perspicue: si è voluto dar vita a un istituto assai meno complesso del concordato preventivo, innestato nell’ambito di un procedimento più snello e celere, in cui il ceto creditorio ricopre una posizione schiettamente subalterna al tribunale[13], laddove è nella composizione negoziata – antecedente ontologico del concordato semplificato – che i creditori dispongono di ampie prerogative, di cui sono chiamati a fare buon uso a tempo debito. Ed è precisamente – se così può dirsi – lo spettro di un concordato coattivo come quello semplificato a costituire, nelle intenzioni del legislatore, un forte stimolo affinché i creditori recedano “da posizioni attendiste o da pretese eccessive”[14].

Il cerchio in tal modo si chiude, denotando una certa coerenza interna al sistema, nella misura in cui il contraltare della mancanza del voto è rappresentato dal ruolo-chiave attribuito alla giurisdizione[15], cui viene affidato, in chiave “vicariante”, il compito di scrutinare la fattibilità del piano e l’assenza di pregiudizio per i creditori rispetto a quanto accadrebbe nella liquidazione giudiziale[16] (espressione, quella di “assenza di pregiudizio”, che non sembra presentare differenze sostanziali rispetto al concetto di “soddisfacimento non inferiore” di cui all’art. 84, c. 1; laddove l’art. 112, c. 1, lett. f), richiede che nel concordato in continuità i nuovi finanziamenti “non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori”, ammettendo con ciò – parrebbe – un pregiudizio giustificato).

 

 

2. La valutazione iniziale di ritualità e la centralità dello scrutinio omologatorio

Al fine di una ricostruzione puntuale della disciplina in tema di esercizio del controllo giudiziale nel concordato semplificato, conviene trarre le mosse dalla formulazione dell’art. 25 sexies, sul presupposto che l’interpretazione letterale è per giurisprudenza da tempo consolidata il canone ermeneutico “principe”, non solo, evidentemente, nella materia che ci occupa.

Orbene, il terzo comma della norma demanda al tribunale, a valle del deposito della proposta di concordato semplificato, due specifici compiti in vista della nomina dell’ausiliario: (i) la valutazione della “ritualità della proposta”; (ii) l’acquisizione della relazione finale dell’esperto e del suo parere sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte. 

Null’altro dice la legge in proposito, astenendosi dal parlare di ammissione alla procedura (o di apertura della stessa, come fa l’art. 47) e dal menzionare quei controlli che ai sensi dello stesso art. 47 (difatti non richiamato) sono propri del concordato preventivo. Nessun riferimento quindi, a questo stadio del procedimento, alla fattibilità del piano né alla sua manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Questo assetto, con tutta evidenza, non è frutto del caso bensì di una scelta precisa: affidare al giudizio di omologazione – come prevede il quinto comma della disposizione in esame (di cui si dirà infra) – ogni verifica circa la regolarità del procedimento, la fattibilità del piano di liquidazione, l’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e l’assicurazione di un’utilità a ciascun creditore. E allo scrutinio in sede omologatoria è appunto finalizzata l’acquisizione dei documenti testé menzionati.

Da ciò emerge nitidamente la differenza di disciplina rispetto alla fase iniziale del concordato preventivo liquidatorio, per l’accesso al quale è richiesta, oltre all’ammissibilità della proposta, la fattibilità del piano intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prestabiliti.

La verifica in ordine alla ritualità della proposta rimanda invece a un controllo di mera legittimità formale[17], ovvero – anche sul piano etimologico – di “conformità al rito”, vale a dire alle regole procedurali prescritte: il corretto radicamento della competenza, la tempestività e l’ammissibilità (appunto formale) del ricorso e la presenza di una relazione finale dell’esperto dotata dei requisiti integrativi della fattispecie[18].

Un siffatto controllo di pura legittimità è per sua natura diretto a far emergere eventuali vizi procedimentali, senza alcuna verifica di merito, incompatibile con uno scrutinio di ritualità; indagine nel merito bensì prevista dall’art. 25 sexies, ma con precipuo ed esclusivo riferimento al giudizio di omologazione, in quanto il quinto comma della norma individua in tale giudizio – e solo in esso – la sede elettiva per i relativi accertamenti di merito: momento in cui lo scrutinio del tribunale diventa opportunamente pregnante, postulando le penetranti verifiche di cui si diceva.

D’altronde, lo scrutinio iniziale del giudice avviene “nella riservatezza della camera di consiglio senza alcun contraddittorio, valutazione che non può che risolversi nella conformità della proposta ai requisiti prescritti dall’art. 25 sexies, vale a dire nella corrispondenza di essa allo schema legale, ossia limitarsi alla mera legittimità formale”[19].

A dispetto della formulazione del precetto in esame e dei suoi perspicui corollari, tuttavia, in dottrina si è tentato di sostenere il contrario, essendosi considerato addirittura “certo” che il tribunale possa “vagliare – già in questa fase prodromica – sia che la proposta rispetti le cause legittime di prelazione, sia che il piano di liquidazione sia fattibile. Sarebbe infatti del tutto inutile nominare l’ausiliario e fissare l’udienza di omologa, quando la proposta del debitore non ha alcuna possibilità di ottenere un giudizio favorevole al termine della relativa fase”[20].

Senonché, a un esame attento e scevro da apriorismi culturali l’argomento, pur “suggestivo”, non persuade e ciò in virtù di una serie di concorrenti ragioni.

In primo luogo, esso si pone, sulla base dei rilievi anzidetti, ad un tempo contra litteram legis e contra tenorem rationis, diverse essendo le conclusioni da trarre, secondo i dettami dell’art. 14 delle Preleggi, sia dal dato letterale della norma sia da quella che pare essere stata l’intenzione del legislatore. Inoltre, l’orientamento qui criticato, nel limitarsi essenzialmente a segnalare le controindicazioni scaturenti dall’adesione alla tesi contraria, è destinato a scontare la nota insufficienza dell’argumentum ab inconvenienti, che nel “provare troppo” finisce a ben vedere per affidarsi a una dimostrazione non sufficientemente rigorosa.

Il fatto è – come correttamente osservato in dottrina – che “il legislatore ha statuito che il debitore chieda direttamente l’omologa del concordato semplificato, quando avrebbe ben potuto, pur escludendo la votazione, regolamentare una fase di ammissione non basata soltanto sul controllo della ritualità della proposta, e non lo ha fatto”[21].

Deve pertanto ribadirsi convintamente – tenuto anche conto di qualche precedente giurisprudenziale incline ad anticipare impropriamente il controllo di cui si diceva al momento iniziale della procedura[22] – che nel concordato semplificato non esiste, né risulta “edificabile” in via interpretativa, una fase di ammissione alla procedura e non è prevista (né appare configurabile) una convocazione del debitore volta all’esame “preventivo” di aspetti che costituiscono invece espressamente oggetto del giudizio di omologazione, insuscettibile per legge di anticipazioni di sorta, del tutto improprie in quanto non volute e difatti non previste. Al punto che la nomina dell’ausiliario e la contestuale fissazione dell’udienza di omologazione si configurano, in presenza di una proposta rituale, quasi come l’esercizio di un potere-dovere, da esercitarsi a valle dell’acquisizione della prescritta documentazione, che a cura del debitore va comunicata ai creditori.

Non appartengono dunque allo scrutinio iniziale, per chiara scelta del legislatore, né la valutazione circa l’attendibilità e la ragionevolezza delle conclusioni assunte dall’esperto, né il giudizio di fattibilità del piano di liquidazione in rapporto ai presumibili risultati di questa (neppure nell’ipotesi, peraltro non frequente, di manifesta inattitudine del piano agli scopi da esso perseguiti), trattandosi di aspetti che esulano dal controllo di ritualità nel senso proprio del termine e che come tali vanno scrutinati in sede di omologazione. Né risulta fondatamente predicabile l’idea che la proposta del debitore possa risultare irrituale a causa di motivazioni carenti o contraddittorie nella relazione dell’esperto[23], addebitandosi altrimenti, inaccettabilmente, al ricorso ex art. 25 sexies, c. 2, una causa di inammissibilità scaturente da un altro atto, per di più redatto da un soggetto diverso.

Un approccio opposto a quello qui adottato, a ben vedere, comporta il serio rischio – da cui mette giustamente in guardia, in via generale, Renato Rordorf – “di guardare le nuove norme con occhiali vecchi”[24], pretendendo di applicare “in via forzosa” regole pensate per un istituto tradizionale come il concordato preventivo ad uno che viceversa è di nuovo conio e che per di più è connotato da presupposti e finalità largamente diversi. È quindi lecito sperare sommessamente che, stavolta (a differenza di quanto sovente accaduto, nel passato, in materia di concordato preventivo), non vi sia bisogno di attendere l’affermazione, da parte della Suprema Corte, di principi aderenti alla lettera e allo spirito delle norme quali suggeriti fin dall’inizio da larga parte della dottrina[25] e che a ciò saggiamente provveda, motu proprio, la giurisprudenza di merito già dalle prime applicazioni della disciplina: il che potrà avvenire, detto in metafora, grazie a una guida che tenga lo sguardo sulla strada davanti a sé e non sullo specchietto retrovisore.

 

3. Le risultanze della relazione finale dell’esperto e il tema della loro (non) vincolatività

Com’è noto, il primo comma dell’art. 25 sexies richiede che l’esperto dichiari che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 23, commi 1 e 2, lettera b) non sono praticabili.

Al riguardo, mentre l’insuccesso delle trattative può considerarsi un dato oggettivo, non altrettanto sembra predicabile relativamente alla impraticabilità delle anzidette soluzioni e, soprattutto, alla sussistenza del requisito della buona fede e correttezza. Requisito il cui possesso – pur in assenza di una precisazione espressa in tal senso – deve potersi ravvisare in capo al debitore, essendo il concordato semplificato un beneficio, oltre tutto per nulla trascurabile, a lui destinato e non venendo quindi in rilievo, da questo punto di vista, la buona fede dei creditori, prescritta invece dall’art. 4 sui doveri delle parti.

Con la precisazione esegetica, alla luce della giurisprudenza di legittimità, che ai fini che ci occupano per buona fede deve intendersi, in estrema sintesi, la condizione soggettiva tesa a non ledere i diritti del ceto creditorio e per correttezza la ricerca del soddisfacimento dei creditori senza troppo pregiudicare la posizione dello stesso debitore[26]. Laddove qualche dubbio pare doversi nutrire, al contrario, in merito alla connessione teleologica, predicata da un autore[27], fra il requisito di cui trattasi e l’adeguatezza degli assetti aziendali: tesi, questa, che prima facie non appare immune da qualche forzatura, pur meritando la questione un approfondimento incompatibile con l’oggetto (e i limiti) del presente lavoro.

Ciò detto e tornando al contenuto della funzione giurisdizionale nell’ambito del concordato semplificato, va rilevato che l’art. 25 sexies non annette – del tutto comprensibilmente – alcun carattere vincolante alla dichiarazione dell’esperto, posto che “l’ultima parola” spetta, sempre e per definizione, al tribunale: aspetto, questo, su cui la più attenta dottrina appare concorde, sottolineandosi da vari autori l’inaccettabilità di un approccio “che limiti la funzione giudiziale al mero recepimento della dichiarazione dell’esperto”[28].

Nel momento iniziale della procedura – si diceva – il legislatore richiede la semplice valutazione di ritualità della proposta e il tribunale, proprio perché non è tenuto nella fase iniziale a valutare nel merito la relazione e il parere dell’esperto, ben può, “anche in presenza di un giudizio negativo di questi”[29], disporre la nomina dell’ausiliario e fissare l’udienza di omologazione[30], nella quale concentrare l’accertamento anche della meritevolezza e della fattibilità, nel contraddittorio con il debitore. E pure dal punto di vista dei princìpi in tema di diritto di difesa appare configurabile una lettura costituzionalmente orientata (e comunque conservativa) della norma, pena un rischio di illegittimità costituzionale della disposizione di cui trattasi.

A ben vedere, del resto, il giudice è sempre peritus peritorum, come accade – l’esempio è paradigmatco – quando è chiamato a valutare una consulenza tecnica d’ufficio, dalle risultanze della quale egli ben può discostarsi, aderendo piuttosto, in ipotesi, alla prospettazione di uno dei consulenti di parte. 

E ciò deve valere in special modo quando la legge demanda, come nel caso di specie, una valutazione squisitamente giuridica, qual è quella circa la buona fede e correttezza (basti pensare all’annoso dibattito sulla disciplina codicistica degli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.), a un soggetto che di regola è un dottore commercialista[31] ed ha quindi una formazione di tipo aziendalistico: valutazione che non può che essere resa “in prima battuta” e salva ogni diversa – più ponderata e, appunto, “qualificata” – decisione del tribunale.

Il parere contenuto nella relazione dell’esperto, poi, non è – né può considerarsi – vincolante, essendo notoriamente tassative le ipotesi di pareri e relazioni definite espressamente tali, peraltro relativi a organi della liquidazione giudiziale (tipicamente, quelli del comitato dei creditori ex artt. 211, c. 5, e 241, c. 2), le cui valutazioni sono dotate, nei suddetti casi eccezionali, di un “peso” comprensibilmente diverso, oltre a provenire dall’organo che “rappresenta” il ceto creditorio: funzione del tutto aliena da quelle proprie dell’esperto.

Se così non fosse, del resto, la (pretesa ma insussistente) valenza ostativa del “giudizio” dell’esperto comporterebbe una inaccettabile “delega in bianco” dell’attività giurisdizionale a un soggetto che alla giurisdizione è estraneo; il che appare vieppiù inconcepibile ove si consideri che tale relazione non è in alcun modo impugnabile.

Del resto, anche chi parla, in dottrina, di “condizioni di ordine formale”[32] non esclude – né per vero sarebbe possibile – che sulla loro sussistenza possa insorgere qualche incertezza (e che su di ciò debba giocoforza pronunciarsi il tribunale).

Non a caso, la più recente e avvertita giurisprudenza ha confermato le misure protettive e richiesto all’esperto il prescritto parere a dispetto delle conclusioni, da questi assunte nella propria relazione finale, circa l’insussistenza del requisito della buona fede e correttezza[33]: conclusioni confutate dal debitore (in modo verosimilmente persuasivo nel proprio ricorso ex art. 25 sexies, dato appunto il tenore del provvedimento), e comunque destinate a essere vagliate funditus nella sede omologatoria prevista dalla legge.

Ne consegue, in definitiva, che il tribunale, per poter nominare l’ausiliario, è chiamato a valutare la correttezza e la completezza del percorso relativo alla presentazione della domanda, con esclusione di ogni valutazione di merito circa la relazione finale dell’esperto, che contiene anche le considerazioni sulla correttezza e buona fede del debitore durante la fase della negoziazione, e circa il parere sui presumibili risultati della liquidazione, il cui complessivo vaglio è affidato dalla legge – si torna a dire – al (solo) giudizio di omologazione, nell’imprescindibile contraddittorio con il debitore.

Ciò evidentemente vale, per così dire, in entrambi i sensi di marcia e cioè tanto se l’esperto abbia concluso per l’assenza quanto per la sussistenza dei requisiti di legge, avendo il tribunale il potere-dovere, in sede di omologazione, di discostarsi dalle sue conclusioni ogniqualvolta ne venga dimostrata l’erroneità. 

E nell’ipotesi in cui il tribunale si orienti nel senso della mancanza di detti requisiti, al debitore non resta altro, per scongiurare la liquidazione giudiziale, che presentare, sussistendone i presupposti, una domanda di concordato preventivo[34], sottoponendosi però giocoforza, a quel punto, al giudizio dei creditori.

In ultima analisi, è il corretto ed equilibrato esercizio delle prerogative giudiziali a costituire, nell’impalcatura del concordato semplificato, l’antitodoto, in thesi efficace, tanto al carattere coattivo di questa tipologia di concordato sui generis quanto a ciò che altrimenti rappresenterebbe un corollario indesiderato – ed invero inaccettabile – del ricorso a questo istituto: la “tirannia” dell’esperto, intesa come automatica dipendenza degli esiti della procedura dall’esclusiva valutazione di un soggetto estraneo alla giurisdizione.

 

4. Cenno ai pareri dell’esperto e dell’ausiliario

Merita infine riservare un cenno al contenuto dei pareri che sono rispettivamente chiamati a rendere, in momenti diversi, l’esperto e l’ausiliario[35].

Quanto al primo, la norma parla – come già si diceva – dei “presumibili esiti della liquidazione”.

Ciò significa che il professionista a suo tempo designato per la composizione negoziata deve esprimere la propria opinione, indipendentemente dall’esito di quest’ultimo percorso, in ordine a quelli che appaiono come i risultati che ragionevolmente si potranno ritrarre dalla vendita dei beni - unitariamente o atomisticamemte considerati - sulla base del contenuto del piano concordatario; e ciò sia per quanto attiene all’entità della recovery a beneficio dei creditori, sia per quanto concerne le tempistiche del loro soddisfacimento.

Dalle finalità di detto elaborato, oltre che dalla formulazione della norma, si evince chiaramente che esula dal perimetro di indagine qualsivoglia comparazione con l’alternativa della liquidazione giudiziale, espressamente menzionata dal legislatore, invece, quando ha voluto renderla oggetto di un elaborato indipendente (basti pensare al disposto dell’art. 87, c. 3, sullo scrutinio dell’attestatore circa l’idoneità del piano a riconoscere a ciascun creditore “un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”).

Oltre a ciò, il parere dell’esperto deve fare riferimento alle “garanzie offerte”.

L’espressione, che è la stessa usata nell’art. 105 sul contenuto della relazione commissariale nel concordato preventivo (dove si precisa “ai creditori”), attiene certamente alle eventuali garanzie reali e personali prestate da terzi a supporto della sostenibilità del piano, ma sembra potersi riferire anche a quelle situazioni – quali una proposta di acquisto o un impegno a  versare del denaro nelle casse del debitore – che siano tali da corroborare la fattibilità, soprattutto economica, del piano.

Analogamente a quanto previsto dall’art. 105, non pare trattarsi di elemento indefettibile, cioè prescritto a pena di inammissibilità della proposta, ferma tuttavia l’anzidetta rilevanza delle “garanzie” in questione ai fini del giudizio omologatorio di fattibilità.

Per questa attività dell’esperto, ulteriore alla scrittura della relazione finale nell’ambito della composizione negoziata, pare doversi riconoscere un compenso aggiuntivo, risultando altrimenti iniqua l’equiparazione al caso in cui il suo compito si esaurisca con il deposito di quest’ultima.

Con riguardo al parere dell’ausiliario, nulla dice l’art. 25 sexies in ordine al suo contenuto. Esso sembra nondimeno potersi ricavare, per relationem, dal tenore del quinto comma di questa previsione in tema di controlli demandati al tribunale, ad ausilio del quale il professionista in questione è per l’appunto nominato. Non tanto, evidentemente, ai fini della soluzione di questioni prettamente giuridiche quali la regolarità del contraddittorio e del procedimento o il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, quanto piuttosto con riferimento alla fattibilità del piano di liquidazione, all’utilità assicurata a ciascun creditore e – in questo caso sì – all’assenza di pregiudizio rispetto alla liquidazione giudiziale.

Una prerogativa specifica si evince dall’ultimo comma della norma, che richiama fra gli altri l’art. 106, “sostituita la figura del commissario con quella dell’ausiliario”: donde la necessaria segnalazione degli atti di frode eventualmente riscontrati. Pur con la precisazione che si ritiene difetti, in capo all’ausiliario, quella profondità indagatoria tipica della funzione commissariale[36]. Va ad ogni modo evidenziato che molti compiti commissariali non sono richiamati dalla legge in quanto già in precedenza espletati dall’esperto.

Altri compiti ben possono essere attribuiti all’ausiliario nel provvedimento di nomina, come in effetti di regola accade in sede di applicazione dell’art. 68 c.p.c. Il tribunale può quindi demandargli, sempre in vista del proprio vaglio omologatorio, la verifica della veridicità dei dati aziendali (tanto più in ragione dell’assenza, in questa procedura, della figura dell’attestatore), nonché, probabilmente, una prognosi sui risultati attesi[37], anche perché rientrante nel controllo di fattibilità economica, sebbene tale compito sia espressamente attribuito dalla legge all’esperto (donde qualche possibile rischio di “sovrapposizione”).

Se dunque sono queste, in sintesi, le funzioni che la legge demanda all’esperto e all’ausiliario, può concludersi che le anzidette attività risultano complessivamente idonee a supportare in modo adeguato il tribunale ai fini dell’omologazione o meno del concordato.



[1] In argomento cfr. su questa rivista, in ordine di pubblicazione, R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, 8 settembre 2021; S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, 23 settembre 2021; A. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul d.l. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, 1° dicembre 2021; P. F. Censoni, Il concordato «semplificato»: un istituto enigmatico, in Giur. comm., 2023, I, 187 ss. (anticipato su ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it in data 22 febbraio 2022 e destinato agli Studi in onore di Sabino Fortunato); S. Pacchi, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, 17 gennaio 2023; Ead., Il concordato semplificato: un epilogo ragionevole della composizione negoziata, 23 ottobre 2023, cui adde, fra gli altri, L. Panzani, I limiti all’autonomia negoziale nella disciplina della crisi, in S. Ambrosini (a cura di ), Le crisi d'impresa e del consumatore, Bologna, 2021, 201 ss.; G. D’AttorreIl concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, nel Fallimento, 2021, 1603 ss; G. Bozza, Il concordato semplificato, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 307 ss.; V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 26 ottobre 2021, 14 ss.; G. Fichera, Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata, in F. Santangeli, (a cura di), Il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2023, 202 ss.; M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, in Nuove leggi civili comm., 2022, 120 ss., M. Spiotta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in M. Irrera – S. A. Cerrato (diretto da), La crisi d'impresa e le nuove misure di risanamento, Bologna, 2022, 409 ss.; S. Leuzzi, Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, in dirittodellacrisi.it. 19 maggio 2023; A. Piccolo, Sub art. 25 sexies, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi di impresa e insolvenza, Padova, 2023, 168 ss.; nonché il volume di C. Esposito, Il concordato semplificato, Milano, 2023.

[2] L. A. Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in dirittodellacrisi.it, 9 agosto 2021. E sul carattere fortemente innovativo dell’istituto si veda anche il contributo di A. Pezzano - M. RattiIl Concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa), in dirittodellacrisi.it, 19 ottobre 2021.

[3] P. F. Censoni, Il concordato «semplificato»: un istituto enigmatico, cit.

[4] S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, cit., 1, richiamato da S. Pacchi, op. ult. cit., 11.

[5] P. F. Censoni, Il concordato «semplificato»: un istituto enigmatico, cit., 188.

[6] Cfr. G. D’AttorreIl concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 1604; A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Fallimento, 2022, 746, nota 7, secondo il quale “la natura “concordataria” dell’istituto risiede nella individuazione delle modalità di soddisfacimento dei creditori tramite una proposta ed un piano rimessi alla volontà del debitore ed implicitamente “accettati” tramite l’omologazione (ove può trovare espressione il dissenso dei creditori)”.

[7] L. Panzani, I limiti all’autonomia negoziale nella disciplina della crisi, cit., 229.

[8] Cfr. L. Panzani, cit., 228: “I tratti più significativi del nuovo concordato liquidatorio sono certamente rappresentati dalla mancanza della fase di apertura della procedura”.

[9] S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, cit., 7-8; G. Bozza, Il concordato semplificato,cit., 313; A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 745, cui adde V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, cit., 15, che tra i primi aveva parlato dell’introduzione di “una nuova tipologia di concordato nell’ordinamento”.

[10] Sui profili distintivi dei due istituti si vedaS. LeuzziAnalisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in Diritto della crisi, 9 novembre 2021.

[11] A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 746; C. Esposito, Il concordato semplificato, cit., 19 ss.

[12] Sul tema v., da ultimo, S. Pacchi, op. ult. cit.

[13] L’espressione è di A. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul d.l. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, cit., 12.

[14] L. PanzaniIl D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, 37, già da me richiamato in S. Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, cit., 4.

[15] All’indomani del decreto n. 118/2021 avevo infatti parlato di un significativo rafforzamento delle prerogative giudiziali in Il concordato semplificato: primi appunti, cit., 4, richiamato da A. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul d.l. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, cit., 12, nota 20. E v. anche G. Fichera, Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata, cit., 218, a detta del quale si assiste “a un curioso ritorno alla legge del ‘42” relativamente alla verifica giudiziale della convenienza economica del concordato per i creditori.

[16] In modo non dissimile – mutatis mutandis – da quanto avviene nel caso del c.d. cram down.

[17] Così, in luogo di altri, G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 377.

[18] In giurisprudenza v. Trib. Ivrea 27 maggio 2022, in dirittodellacrisi.it.

[19] G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 377.

[20] G. Fichera, op. cit., 211.

[21] G. BozzaIl ruolo del giudice nel concordato semplificato, in S. Ambrosini (a cura di), Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, 216.

[22] Cfr. S. Leuzzi, Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, cit.

[23] Come invece sembra ritenere Trib. Monza, 17 aprile 2023, in ilcaso.it.

[24] R. Rordorf, Magistratura Giustizia Società, Bari, 2020, 275.

[25] Gli autori che nel corso del tempo si sono espressi in tal senso, soprattutto a seguito delle novelle del 2005 e del 2012, sono numerosi. A mo’ di mera sintesi, richiamo quanto da me osservato, a valle della riforma del 2012, nel lavoro monografico Il concordato preventivo, in F. Vassalli - F.P. Luiso - E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 11: “Di fronte al novellato assetto legislativo in tema di concordato, due sono gli atteggiamenti di fondo che l'interprete può decidere di assumere: valorizzare la portata delle nuove regole prendendo atto dell'innegabile favor per la soluzione negoziata della crisi, ovvero, all'opposto, circoscriverne il più possibile la portata, cercando di restituire spazio a quelle prerogative giudiziali che pure il legislatore ha inteso, in modo espresso e come tale inequivoco, ridimensionare. Questo secondo approccio è stato oggetto di numerose critiche in dottrina, dettate – se non solo, certo anche – dall'impressione che esso sia ascrivibile non tanto all'opzione per un determinato criterio interpretativo, quanto piuttosto a una forma di "resistenza" ai cambiamenti introdotti dal legislatore. Sotto questo profilo, si è ribadito, anche da parte di chi scrive, che, di là dall'approdo ermeneutico sulle singole questioni, la migliore giurisprudenza è quella realmente scevra da apriorismi ideologici e da "nostalgismi" di sorta; quella che, rinunciando a facili quanto sterili laudationes temporis acti, si accosti alle norme in modo laico e non condizionato da preferenze soggettive e che, senza naturalmente rinunciare a stroncare i comportamenti abusivi che abbiano a manifestarsi, sappia cogliere le non poche opportunità che la disciplina riformata, pur non immune da mende, è in grado di offrire”. Vedute consonanti si ritrovano nel coevo lavoro di M. Fabiani, Fallimento e concordato preventivo – II, Concordato preventivo, in Commentario del Codice Civile e Codici collegati, a cura di Scialoja – Branca – Galgano, Bologna, 2014, passim. 

[26] Cass., 20 gennaio 2022, n. 1825, richiamata anche da C. Esposito, Il concordato semplificato, cit., 85.

[27] C. Esposito, Il concordato semplificato, cit., 85 ss.

[28] A. Jorio, op. cit., 12; nel medesimo senso P. F. Censoni, op. cit., 195; G. Fichera, op. cit., 206.

[29] G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 379. Dubitativamente, ma tra i primi ad aver affacciato il dubbio, A. Pezzano - M. RattiIl Concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa), in dirittodellacrisi.it, cit.

[30] In tal senso, non a caso, si è espressa la più autorevole dottrina: oltre a G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 380, si vedano A. Jorio, op. cit., 12; P. F. Censoni, op. cit., 20. In una direzione dubitativamente diversa, ma in termini non persuasivi, cfr. invece S. Leuzzi, op. ult. cit., 18, ad avviso del quale il tribunale “non sembra tenuto a fissare, per economia del processo e logica del giudizio, l’udienza di omologazione, adottando piuttosto, immantinente, un provvedimento di inammissibilità della domanda”.

[31] Cfr. i Dati UnionCamere aggiornati al 15 ottobre 2023,in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 20 ottobre 2023, in base ai quali nel 79,39% dei casi è stato nominato come esperto un dottore commercialista.

[32] S. PacchiConcordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in S. Pacchi - S. AmbrosiniDiritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2023, 104. Di “condizioni di procedibilità” parla al riguardo M. Spiotta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 416.

[33] Trib. Vicenza, 20 ottobre 2023, inedito.

[34]  Nello stesso senso, fra gli altri, A. Jorio, op. cit., 12; G. Fichera, op. cit., 206

[35] Sui pareri dell’esperto e dell’ausiliario cfr. G. Bozza, Il concordato semplificato, cit., 335 ss. e 384 ss., nonché A. Piccolo, Sub art. 25 sexies, cit., 179.

[36] A. Piccolo, Sub art. 25 sexies, cit. 179.

[37] M. Spiotta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 420.