, 09 novembre 2023, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
L’articolo affronta la delicata dicotomia tra l’importanza che riveste il ceto bancario per l’erogazione del credito ed il ruolo protetto che la legislazione gli ha riconosciuto negli anni; con il risultato di preferire l’esclusione dalla possibilità di un default anche a discapito delle posizioni debitorie di massa, creando un ampia categoria di “debitori per sempre”. In particolare, dopo una disamina sullo strumento rappresentato dalla società veicolo e sulla cartolarizzazione come forma di investimento, si affronta il tema della proposta di legge 843 del 31 gennaio 2023 che consentirebbe l’esercizio di un diritto di opzione in favore dei debitori ceduti; proposta che dovrà trovare accoglienza nella prossima legge di bilancio. Questo strumento potrebbe anche ribaltare le regole del “Galateo delle trattative” all’interno della composizione negoziata.
Sommario: 1. Dal credito deteriorato al credito potenzialmente deteriorabile – 2. Istituti di credito e istituti di “debito”: le società veicolo e l’operazione di cartolarizzazione – 3. Verso una “cartolarizzazione sostenibile” anche per il debitore – 4. La banca al tavolo della composizione negoziata: “Il galateo delle trattative” – 5. IL destino del debitore ceduto: il debitore “per sempre” – 6. Le prospettive di riforma: un epilogo necessitato
1.
Dal Credito deteriorato al Credito potenzialmente deteriorabile
Per proteggere questo strumento l’istituto di credito, a prescindere dalle sue vesti sacrali, statali o private, è sempre trattato in modo speciale.
Senza il credito non si avvia l’esercizio dell’impresa, non si creano famiglie, non si costruiscono strade e ferrovie.
Pertanto uno scenario di crisi del sistema bancario è sempre stato visto come un rischio che non si può e non si deve correre; nel tempo questo spauracchio ha portato a scelte anche molto discutibili, sempre coperte dal brocardo “il sistema bancario non deve conoscere crisi”.
Ecco perché i primi segnali di cedimento del sistema bancario sono stati un punto di rottura della relativa tranquillità in cui versava nei decenni precedenti.
Il meccanismo bancario era così ignaro dell’eventualità di possedere punti deboli che in un primo tempo non si è preoccupato troppo del fenomeno di deterioramento dei propri crediti.
Ma, con l’aggravarsi della situazione e con l’effetto Titanic generato dal “fallimento” di alcuni istituti di credito, non sarebbe più stato possibile mettere la testa sotto la sabbia.
E’ nato così il merito creditizio, locuzione esteticamente positiva ma che racchiude in sé un profondo giudizio sull’operato, sulla fiducia, sulla libertà imprenditoriale e in ultimo, sull’uomo che si affaccia allo sportello a chiedere l’aiuto sperato.
Il meccanismo tutto sommato sarebbe risultato anche logico e sensato, a tutela del risparmiatore oltreché dell’istituto di credito, se non fosse stato progressivamente contaminato da suggestioni economiche che hanno spinto le Banche ad erogare somme con estrema discrezionalità, causando in breve tempo un importante situazione di instabilità finanziaria che doveva necessariamente trovare una fine.
Già da tempo le principali Banche centrali dei singoli stati del mondo si erano date una struttura, creando la Banca dei regolamenti internazionali, una sorta di Banca centrale delle Banche centrali che consentisse di individuare obiettivi comuni allineando quindi le rispettive regolamentazioni.
In seno a tale istituto nacque il Comitato di Basilea, il quale ne corso dei decenni ha partorito vari accordi (rispettivamente Basilea 1 del 1988, Basilea 2 del 2004 e Basilea 3 del 2017) nel tentativo di porre un freno al pericolo di un fallimento degli istituti bancari.
Anzitutto si è scelto di aumentare progressivamente i controlli in seno ai singoli istituti di credito proprio sul credito circolante, sulla qualità dello stesso in rapporto al capitale effettivo della Banca.
All’interno di questo meccanismo progressivamente più stringente è stato possibile distinguere dalla massa dei crediti gestiti quelli che non risultavano effettivamente funzionanti: il termine utilizzato per indicarli è stato NPL (Non Performing Loans).
La percentuale di credito non performante detenuto dalla Banca è stato definito e circoscritto con il termine NPE Ratio.
Il credito “non performa” quando il soggetto debitore non è più in grado di far fronte ai pagamenti che ha comportato la sua erogazione.
Per evitare il rischio che tali crediti potessero trasformarsi in perdite all’interno del bilancio della Banca, si è scelto (rectius: si è consentito per legge agli istituti di credito) di estrarli dal patrimonio e cederli ad una società veicolo al solo fine di gestirne la fase di recupero, di eventuale trattativa per un saldo stralcio e in generale tutte le operazioni che comunque avrebbero occupato del tempo a fronte di un comunque incerto margine di rientro del capitale erogato.
L’operazione, nata per il fine di tenere pulito il bilancio delle Banche e quindi di salvarle in alcuni casi da un potenziale default, è diventata nel corso degli anni una fonte alternativa di business.
Questo ha creato due letture del fenomeno di cartolarizzazione: quella degli investitori, che vedono nell’operazione un sistema virtuoso che consente alle Banche di continuare a fare le Banche e alle SPV di riconvertire potenziali perdite in opportunità di investimento; e quella dei debitori, i “terzi incomodi” dell’operazione, che di questa operazione non sanno molto altro se non che il soggetto a cui dovevano i soldi adesso si chiama con un nome diverso.
Due letture per due interpretazioni diverse dell’operazione e conseguentemente anche due fronti politici che nel corso degli anni hanno cercato di mediare tra l’esigenza di salvaguardare investitori e banche e quella di non mandare sul lastrico buona parte delle famiglie italiane.
Questo anche e soprattutto perché il fenomeno è in aumento: vi è stato infatti dal 2020 un costante innalzamento della percentuale di crediti deteriorati, passata dal 9% al 15% e tutt’ora in parziale contrazione per una ripresa economica rilevata solamente nell’ultimo semestre 2023[1].
Le società veicolo sono diventate moltissime[2], regolamentate, come vedremo meglio nel capitolo successivo, ma anche tutelate al pari degli istituti di credito.
In assenza di regole particolari sul tema della trasparenza di tali operazioni, si può dire che, almeno fino ad oggi, le operazioni di cartolarizzazione sono state gestite con uno schema analogo a quello riservato alla contrattazione privata: il soggetto cedente sotto una certa soglia di crediti ceduti neanche ha l’obbligo di istituire una procedura competitiva e il cessionario non ha ancora oggi obblighi di rivelare il valore attribuito alle singole cessioni; l’operazione ripulisce anche il credito dalle contestazioni possibili in seno alla contrattualistica bancaria di origine; il cessionario può immediatamente reintrodursi nelle cause in corso nel medesimo ruolo e posizione del cedente.
La società veicolo viene infatti trattata come la Banca che ha ceduto a questa il credito: stessi diritti, meno doveri.
Ed è sempre e solo stata la Giurisprudenza di merito – in certi casi - a ristabilire eventuali confini tra di esse, rimodulando le singole eccezioni che il debitore sollevava sul rapporto originario su quello dell’operazione di cessione stessa – che in molti casi ancora oggi resta una operazione oscura che a volte fatica anche solo a dimostrare se il debitore in questione sia effettivamente rientrante nell’operazione di cartolarizzazione o meno.
Dopo aver comunque compreso che il meccanismo di autopulizia dai crediti deteriorati non era solamente il salvacondotto per mantenere saldo il bilancio bancario senza troppi sacrifici, ma era addirittura una opportunità di business, il sistema analitico del merito creditizio ha fatto un passo avanti.
La fase di “derisking” infatti ha previsto una classificazione dei vari crediti deteriorati degradandoli dal non performante sino alle inadempienze probabili (ovvero a ciò che oggi viene denominato UTP).
Crediti che, per situazioni esogene o endogene del soggetto debitore, rischiavano di passare a non performanti entro breve o che erano già instabili ma non ancora irreversibilmente spezzati.
Isolandoli il sistema bancario ha, da un lato, fatto una operazione virtuosa: porre l’attenzione su queste posizioni per dar loro gli strumenti idonei ad una possibile ristrutturazione, salvaguardando la funzione principale ovvero la tutela dei risparmiatori e la possibilità di restare in grado di erogare credito a privati e imprese; dall’altro ha comunque in molti casi preferito trattarli alla stregua dei precedenti NPL e quindi cederli alle società veicolo di cui sopra.
Il meccanismo in questo caso è però molto meno virtuoso: infatti la cessione sancisce in molti casi una irreversibilità del processo di deterioramento, mancando alla società veicolo lo strumento, proprio del tradizionale istituto bancario, della ristrutturazione per rimetterlo a regime; dall’altro ne ha reso interessante il prodotto, poiché è inevitabile che una inadempienza probabile possa valere di più di un credito non performante.
Oggi gli UTP (Unlikely to pay) sono in costante aumento nelle cessioni[3], tanto da costringere ovviamente i cessionari ad imparare a gestire anche un processo di risanamento[4]: oltre al necessario cambio di mentalità si deve anche sempre più ampliare la gamma dei servizi che una Bad Bank possa offrire.[5]
Da un punto di vista sociale però lo scenario sopra descritto è ben più cupo: il merito creditizio sta diventando uno schema chiuso che progressivamente impedirà a determinati soggetti di accedere al credito (basti pensare anche ai lunghissimi tempi per essere cancellati dalla centrale rischi) costringendo chi ne abbia assoluta necessità a procurarsi un numero sempre più esteso di garanzie.
A questo si aggiunga la progressiva spoliazione del patrimonio immobiliare che viene sottratto a famiglie e imprese (in molti casi senza possibilità di riscattarlo) per destinarlo a fondi di investimento che lo utilizzano principalmente per consolidare il valore e attirare nuovi investitori.
Il risultato è la perdita di centralità che il sistema Bancario ha assicurato per secoli, la sua funzione sociale essenziale di cui sopra: una Banca che non concede credito può solo continuare ad accumulare, lentamente, i depositi dei risparmiatori; un processo di lento arricchimento senza la circolarità funzionale che l’ha resa invece così importante da avere una legislazione espressamente dedicata.
Nel frattempo, proprio per i segnali che rivelano in aumento il numero di crediti deteriorati, il processo iniziato dall’autorità bancaria europea ha superato la semplice fase di “derisking” approdando ad un modello “pro-active”: una analisi preventiva del soggetto (il merito creditizio) richiedente per verificarne i presupposti di solidità finanziaria nel breve e lungo periodo.
2.
Istituti di credito e Istituti di “debito”: la società veicolo e l’operazione
di cartolarizzazione
Alla ricerca costante di nuovi strumenti finanziari e, al contempo, nel rispetto delle regole introdotte dall’autorità bancaria europea, abbiamo assistito alla nascita e proliferazione delle “Società – Veicolo” (introdotte con la legge 130 del 1999 e di seguito anche esemplificate come SPV “Special Purpose Vehicle”): Una "società veicolo" è una società costituita con lo scopo di detenere attività o asset specifici, spesso con l'obiettivo di separarli da altre attività aziendali.
Prima però un altro punto cardine: Le operazioni di cartolarizzazione rappresentano una eccezione: infatti di norma e prima dell’introduzione di una legislazione speciale, i crediti derivanti da mutui e da finanziamenti non erano cedibili.
La legge 130 del 1999 ha, diversamente, normato le condizioni secondo cui è possibile la cessione di detti crediti, la prima delle quali è, appunto, che il soggetto cessionario sia uno speciale tipo di società che rispetti i requisiti di cui all’art.3 della medesima legge.
In particolare:
a) I crediti relativi a ciascuna operazione (per tali intendendosi sia i crediti vantati nei confronti del debitore o dei debitori ceduti, sia ogni altro credito maturato dalla società di cui al comma 1 nel contesto dell'operazione), i relativi incassi e le attività finanziarie acquistate con i medesimi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi
b) Non sono ammesse azioni da parte di soggetti diversi da quelli di cui al comma 2 sui conti delle società di cui al comma 1 aperti presso la banca depositaria ovvero presso i soggetti di cui all'articolo 2, comma 3, lettera c), dove vengono accreditate le somme corrisposte dai debitori ceduti nonchè ogni altra somma pagata o comunque di spettanza della società ai sensi delle operazioni accessorie condotte nell'ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione o comunque ai sensi dei contratti dell'operazione. Tali somme possono essere utilizzate dalle società di cui al comma 1 esclusivamente per il soddisfacimento di crediti vantati dai soggetti di cui al comma 2 e dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti, nonchè per il pagamento degli altri costi dell'operazione. In caso di avvio nei confronti del depositario di procedimenti di cui al titolo IV del testo unico bancario, nonchè di procedure concorsuali, le somme accreditate su tali conti e quelle affluite in corso di procedura non sono soggette a sospensione dei pagamenti e vengono immediatamente e integralmente restituite alla società senza la necessità di deposito di domanda di ammissione al passivo o di rivendica e al di fuori dei piani di riparto o di restituzione di somme
c) Sui conti correnti dove vengono accreditate le somme incassate per conto delle società di cui al comma 1 corrisposte dai debitori ceduti - aperti dai soggetti che svolgono nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione dei crediti, anche su delega dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 6, i servizi indicati nell'articolo 2, comma 3, lettera c), non sono ammesse azioni da parte dei creditori di tali soggetti se non per l'eccedenza delle somme incassate e dovute alle società di cui al comma 1. In caso di avvio nei confronti di tali soggetti di procedimenti concorsuali, le somme accreditate su tali conti e quelle affluite in corso di procedura, per un importo pari alle somme incassate e dovute alle società di cui al comma 1, vengono immediatamente e integralmente restituite alle società di cui al comma 1 senza la necessità di deposito di domanda di ammissione al passivo o di rivendica e al di fuori dei piani riparto o di restituzione di somme
d) Le società di cui al comma 1 si costituiscono in forma di società di capitali. Fermi restando gli obblighi di segnalazione previsti per finalità statistiche, la Banca d'Italia, in base alle deliberazioni del CICR, può imporre alle società di cui al comma 1 obblighi di segnalazione ulteriori relativi ai crediti cartolarizzati al fine di censire la posizione debitoria dei soggetti cui i crediti si riferiscono
Non si può negare che il legislatore abbia posto più di un occhio di riguardo nei confronti di queste società, garantendo a loro (e per tramite, agli investitori che ne acquistano le obbligazioni) una sorta di scudo protettivo assai ampio.
Come sopra accennato, la cartolarizzazione infatti è un processo complesso di trasformazione di un elemento di per sé incedibile (una massa di crediti) in note emesse dalla società veicolo, e quindi cedibili, acquistate dai “Noteholder” ad un determinato valore.
All’interno di una operazione di cartolarizzazione si identificano determinate fasi regolamentate sia dalla sopra citata legge 130 del 1999 che dall’art. 58 (ma solo dei commi 2,3,4) del Testo Unico Bancario cui essa stessa rimanda.
In particolare quest’ultimo dispone che la Banca d'Italia emana istruzioni per la cessione a banche di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco.
Le istruzioni possono prevedere che le operazioni di maggiore rilevanza siano sottoposte ad autorizzazione della Banca d'Italia.
La banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La Banca d'Italia può stabilire forme integrative di pubblicità.
I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti.
Nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 producono gli effetti indicati dall'art. 1264 del codice civile.
Resta invece fuori dall’operazione di cartolarizzazione per come riportata dalla legge 130 del 1999 il resto dell’art. 58 (in particolare qui si riportano il comma 5 e 6) che stabiliscono che “i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l'adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”
“Coloro che sono parte dei contratti ceduti possono recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente”
Come detto nel capitolo precedente, infatti, il meccanismo di cartolarizzazione si esplicita nei confronti dei terzi in maniera parziale, ovvero limitandosi a comunicare l’avvenuta cessione su gazzetta ufficiale.
Anche i termini con cui deve riportare la cessione sono estremamente generici: non a caso spesso la pubblicazione rimanda per l’elenco delle posizioni cedute ad un link esterno che contiene solo i numeri dei singoli rapporti.
Il messaggio è chiaro: se c’è un soggetto che in questa operazione viene minimamente coinvolto, questo è proprio il debitore.
Tornando all’operazione di cartolarizzazione e al suo svolgimento, dunque, l’istituto di credito identifica il pacchetto dei crediti da cedere “in blocco”:
questi possono derivare da contratti di mutuo assistito da garanzia ipotecaria (secured) o semplici finanziamenti chirografari (unsecured).
Se l’operazione, per volume della massa dei crediti, lo impone, la cessione passa attraverso una procedura competitiva in cui ciascuna società veicolo può formulare la propria offerta di acquisto.
Per disporre della liquidità necessaria, le SPV emettono titoli (denominati “note” o anche ABS - Asset Backed Securities) in forma di obbligazioni che vengono acquistati dai NoteHolder.
Il termine in questo caso è una semplificazione, poiché questo strumento finanziario si comporta in modo leggermente differente: anche se gli ABS[6] presentano caratteristiche generali del tutto simili alle normali obbligazioni (pagano al detentore una serie di cedole a scadenze prefissate per un ammontare determinato sulla base di tassi di interesse fissi o variabili), si distinguono dai semplici bond per la correlazione esistente tra pagamento cedole/rimborso delle obbligazioni a scadenza con le somme incassate dai crediti ceduti (sia interessi, sia rimborso del credito a scadenza).
L’emissione di questi strumenti comporta una valutazione della massa dei crediti che si vanno ad acquistare, con particolare attenzione al “rischio” che si portano dentro, ovvero la percentuale di possibilità che detti crediti non possano mai essere recuperati.
Tale valutazione, denominata “Due Diligence” viene svolta da operatori specializzati ed è forse l’elemento della cartolarizzazione più importante: una buona due diligence consente di valutare il valore dei crediti nel miglior modo possibile, pagandone il reale giusto prezzo e quindi emettendo ABS ad un prezzo quanto più vicino alla reale potenzialità che i titoli possano o meno rendere nel periodo.
Questo, in estrema sintesi, il meccanismo di cartolarizzazione che coinvolge la Banca, la SPV e i sottoscrittori dei titoli emessi dalla SPV.
Ma cosa succede, invece, per il debitore?
La legislazione italiana, i vari accordi di Basilea e l’EBA hanno posto al centro delle operazioni il salvataggio del sistema bancario, creando in maniera più o meno inconsapevole uno strumento finanziario da cui generare profitti.
Basti pensare che il citato art.3 della lg. 130 del 1999 espressamente prevedendo la separazione dei patrimoni nelle società veicolo, paralizza l’ipotesi che il debitore ceduto possa a questa opporre eccezioni fondate sul contratto originario di mutuo o finanziamento, se questa domanda riconvenzionale possa condurre ad una condanna per la SPV.
La Corte di Cassazione infatti con l’ordinanza del 2 maggio 2022 n. 13735 afferma che “non è consentito al debitore ceduto proporre nei confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate su crediti vantati verso il cedente nascenti dal rapporto con quest'ultimo intercorso”, il cui importo, ignoto alla “società veicolo” al momento della cessione, debba essere accertato giudizialmente.
Nella situazione attuale, quindi, il debitore si trova innanzi un soggetto con gli stessi diritti del precedente creditore ma con doveri differenti, con cui quindi può dialogare parzialmente anche per la valutazione di una operazione di ristrutturazione.
Un primo però e precedente nodo che quindi resta essenziale per comprendere che strade possano essere intraprese dal debitore è quello del prezzo di cessione.
Con un passo indietro occorre quindi tornare alle obbligazioni emesse dalle SPV, diversificando le stesse in tre tranches: Junior, Mezzanine e Senior.
A questa suddivisione corrisponde una diversa tempistica dei pagamenti agli investitori, che partono dai titoli senior e terminano con i junior. Per tali motivi i titoli mezzanine e junior sono considerati subordinati: Se il recupero dei crediti è inferiore alle attese la prima classe a subire le perdite è quella dei sottoscrittori di tranche junior e poi quelli delle tranche mezzanine; questo diverso livello di rischio viene compensato offrendo un rendimento più elevato per le tranche subordinate. Per contro le tranche senior godono di un altro vantaggio introdotto di recente, ovvero le Gacs.
Le GACS (garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze) sono garanzie concesse dallo Stato finalizzate ad agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci delle banche e degli intermediari finanziari aventi sede legale in Italia, ovvero a favorire le transazioni aventi ad oggetto lo stock di crediti deteriorati sul mercato secondario.
Lo schema GACS è stato introdotto nell’ordinamento italiano con il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, a seguito di apposita approvazione della Commissione europea, con una validità iniziale di 18 mesi ed estesa successivamente fino al 6 marzo 2019.
Con il decreto-legge 25 marzo 2019 n. 22, convertito dalla legge n. 41/2019, la Gacs è stata rinnovata, con alcune modifiche, per 24 mesi. Con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 15 luglio 2021 (pubblicato sulla GURI del 3 agosto 2021, n. 184 – Serie generale) il periodo di operatività della GACS è stato infine prorogato, con alcuni aggiornamenti, per ulteriori 12 mesi, fino al 14 giugno 2022, termine in cui il regime è venuto a scadenza.
La garanzia (incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta) è stata concessa dal MEF e prevede il rimborso integrale esclusivamente della tranche senior e a copertura integrale sia del mancato pagamento delle somme dovute per capitale che per interessi.
Per eludere il rischio che venissero classificate aiuti di stato, le Gacs sono state “pagate” allo stato dalle società di cartolarizzazione mediante un calcolo di tasso che varia al variare degli anni in cui occorre tenerla in piedi per garantire crediti non ancora risolti.
Il sistema, se da un lato ha effettivamente incentivato la smobilizzazione dei crediti deteriorati, dall’altro ne ha ulteriormente “inquinato” il valore: l’incentivo di una garanzia totale ha alterato il prezzo delle cessioni creando ulteriori extra-profitti in capo agli investitori, senza che questo consentisse però e sempre ai debitori di intervenire o beneficiare della cessione della loro posizione.
La fallacia del sistema di cartolarizzazione infatti risiede nel fatto che il debito non subisce alcun tipo di variazione rispetto al valore della sua cessione: il debitore resta obbligato a pagare il prezzo intero; cambia solo il soggetto a cui deve restituirlo, perdendo la possibilità di ristrutturarlo o di accedere nel frattempo ad altre forme di finanziamento perché il suo score rating lo segna in maniera indelebile.
Il primo problema è rappresentato dal mancato obbligo per le Banche di esporre il valore di ogni singolo credito ceduto: il prezzo è al più indicato nel valore complessivo dell’intera operazione di cartolarizzazione in blocco.
Il secondo risiede nell’effettivo pagamento di tale prezzo: come si è sopra visto le SPV emettono diversi titoli in fasi differenti dell’operazione; i titoli iniziali, junior e mezzanine, coprono solo parte dell’acquisizione complessiva e pertanto risulta lecito pensare che il prezzo non sia corrisposto integralmente al perfezionamento dell’accordo, bensì in fasi successive.
Nel frattempo i Servicer (soggetti incaricati dalla SPV alla gestione dei crediti) cominciano l’attività di recupero che spesso ha un picco nei mesi immediatamente successivi alla cessione (mediante acquisizioni immobiliari o transazioni con i soggetti più capienti) e poi un lunghissimo periodo di gestazione per i crediti meno garantiti (che possono a loro volta poi essere quindi ricompresi in un’altra cessione).
Come si vede da questo schema non vi è un momento in cui il debitore possa frapporsi tra la Banca e la SPV nel processo di cessione della sua posizione, magari proponendo una ristrutturazione o uno stralcio proprio sulla scorta del valore attribuitogli in questo frangente[7].
3.
Verso una “Cartolarizzazione sostenibile” anche per il debitore
Il tema è “caldo” anche perché a livello Europeo un regolamento per la trasparenza nelle operazioni di cartolarizzazione è stato emanato con la direttiva 2402/2017 che regolamenta e disciplina le operazioni di cartolarizzazione, nell’ottica di conformarle e uniformarle tra gli stati.
In particolare il punto di nostro interesse è l’art.7 che affronta la trasparenza nelle operazioni sopra menzionate.
Secondo tale articolo, il cedente, il promotore e la SSPE della cartolarizzazione, conformemente al paragrafo 2 del presente articolo, mettono a disposizione dei detentori di posizioni verso la cartolarizzazione, delle autorità competenti di cui all’articolo 29 e, su richiesta, di potenziali investitori almeno le informazioni seguenti:
a) informazioni trimestrali sulle esposizioni sottostanti oppure, nel caso degli ABCP, informazioni mensili sui diversi crediti sottostanti;
b) ove applicabile tutta la documentazione di base essenziale per la comprensione dell’operazione, tra cui, ma non solo, i documenti seguenti:
i) il documento o il prospetto di offerta finale insieme ai documenti relativi alla conclusione dell’operazione, esclusi i pareri giuridici;
ii) per la cartolarizzazione tradizionale, l’accordo di vendita, di cessione, di novazione o di trasferimento delle attività ed eventuali pertinenti dichiarazioni di trust;
iii) i contratti derivati e i contratti di garanzia personale, nonché gli eventuali documenti d’interesse sulle modalità di copertura della garanzia quando le esposizioni cartolarizzate restano esposizioni del cedente;
iv) gli accordi di gestione, di gestione di riserva (back-up servicing), di amministrazione e di gestione della liquidità;
v) l’atto di costituzione del trust, l’atto di costituzione di garanzia, il contratto di agenzia, il contratto relativo al conto bancario, il contratto di investimento garantito, i termini incorporati (incorporated terms) o il quadro del master trust o l’accordo sulle definizioni del master, ovvero la documentazione legale di valore giuridico equivalente;
vi) i pertinenti accordi tra creditori, la documentazione sui derivati, i contratti di prestito subordinato, i contratti di prestito alle start-up e gli accordi sulla linea di liquidità;
Tale documentazione di base include una descrizione particolareggiata della priorità di pagamento della cartolarizzazione;
c) quando il prospetto non è stato redatto conformemente alla direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, una sintesi dell’operazione o un riepilogo delle principali caratteristiche della cartolarizzazione, ivi compresi, se applicabile:
i) i particolari concernenti la struttura dell’operazione, compresi i diagrammi di struttura che presentano un quadro d’insieme dell’operazione, i flussi di cassa e l’assetto proprietario;
ii) i particolari concernenti le caratteristiche dell’esposizione, i flussi di cassa, la gerarchia di allocazione delle perdite (loss waterfall) e i dispositivi di supporto del credito e di supporto della liquidità;
iii) i particolari concernenti i diritti di voto dei detentori di una posizione verso la cartolarizzazione e il rapporto tra questi e gli altri creditori garantiti;
iv) l’elenco di tutti i valori di attivazione e gli eventi menzionati nei documenti trasmessi conformemente alla lettera b) che potrebbero avere un effetto rilevante sulla performance della posizione verso la cartolarizzazione;
La direttiva in questione è stata recepita in Italia con con il d.lgs 131 del 3 agosto 2022 istituendo un sistema di vigilanza e controllo sulle operazioni di cartolarizzazione da parte di Banca d’Italia, IVASS, Consob e Covip.
Da questo primo passo che già prevedeva una ulteriore e costante attenzione a livello europeo sul processo di cartolarizzazione, si è approdati alla 2167/2021 relativa ai gestori di crediti e agli acquirenti di crediti.
In particolare la direttiva mira ad una cartolarizzazione sostenibile (termine già coniato dalla Direttiva 2402 del 2017) volta cioè a consentire che l’operazione non si ripercuota negativamente sul soggetto debitore.
Esemplificativi sono alcuni passaggi di essa, tra cui:
(20) “I gestori di crediti e gli acquirenti di crediti dovrebbero sempre agire in buona fede, trattare in modo equo i debitori e rispettare la loro vita privata. Non dovrebbero nuocere né fornire informazioni fuorvianti ai debitori. Prima dell’avvio dell’attività di recupero dei crediti e ogniqualvolta richiesto dai debitori, è opportuno che i gestori di crediti forniscano ai debitori informazioni riguardanti, tra l’altro, il trasferimento che ha avuto luogo, l’identificazione e i dati di contatto dell’acquirente di crediti e del gestore di crediti, se designato, nonché informazioni sugli importi dovuti dal debitore e una dichiarazione attestante che continua ad applicarsi tutto il pertinente diritto dell’Unione e nazionale”.
Nel quadro di una partecipazione attiva del soggetto debitore alle operazioni di cartolarizzazione il legislatore ha più volte tentato di sviluppare il tema fornendo nuovi strumenti in tal senso: già nel 2018 con la proposta di legge la proposta di legge n. 788; successivamente con la proposta di legge n. 414 del 2022 e infine con la proposta di legge 843 del 31 gennaio 2023[8] che avrebbe dovuto essere recepita nella legge del 10 agosto 2023, n. 104 (c.d. “Decreto Omnibus”) e che ora è oggetto di nuovo esame per inserirla nella manovra finanziaria entro dicembre 2023 (anche perché entro tale data la direttiva deve essere recepita)[9].
Tra le altre, anche le opposizioni hanno presentato, sempre nella materia in esame, la proposta di legge n. 1246 del 23 giugno 2023 “Disposizioni per favorire la definizione transattiva delle posizioni debitorie classificate come crediti in sofferenza o inadempienza probabile” assegnata alla VI Commissione Finanze in data 1° agosto 2023.
Tutte le proposte prevedevano, in forme e modi leggermente diversi, la possibilità per il debitore di esercitare un diritto di opzione sul credito, riacquistandolo.
Nello specifico le misure vagliate attribuirebbero al debitore, in caso di cessione dei relativi crediti, il diritto di estinguere – a certe condizioni – una o più delle posizioni debitorie cedute, e questo anche a scapito di operazioni già concluse e fondate su accordi vincolanti.
In seguito all’avvenuto pagamento del debito verrebbe poi concessa l’automatica cancellazione della posizione debitoria in sofferenza dalla Centrale dei rischi della Banca d’Italia.
A questo punto è assai chiaro il motivo che impedisce e ha impedito l’entrata in vigore di uno strumento simile: il terremoto che causerebbe nel mercato dei NPL.
L’ultima proposta di legge che dovrebbe quindi trovare spazio nel nostro ordinamento entro dicembre prossimo e che oggi è al dibattito in parlamento è la 843 del 31 gennaio 2023.
Al fine di accelerare l’operazione di cartolarizzazione e il ritorno in bonis del debitore viene concesso al debitore ceduto, che sia persona fisica o microimpresa, titolare di credito classificato come deteriorato tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2021 e la cui posizione debitoria sia stata ceduta (volontariamente o nel corso di procedura concorsuale) a soggetti terzi, il diritto di estinguere una o più delle proprie posizioni debitorie, purché singolarmente o complessivamente non superino i 25 milioni di euro e siano in essere presso una singola società cessionaria, con il pagamento, a saldo di quanto dovuto, di un importo pari al prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria, aumentato del 20% (articolo 2).
Questo strumento viene chiamato “Adempimento liberatorio”.
I requisiti del debitore sono ben delineati ed in particolare deve essere persona fisica o impresa rientrante nella categoria delle microimprese e delle piccole e medie imprese (PMI), ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003[10]; tale soggetto deve essere debitore, nei confronti dei cedenti, di una o più posizioni classificate come deteriorate nel suddetto lasso di tempo, ai sensi della lettera a).
Si evidenzia che la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. Si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.
Sul valore della proposta si concentra il nodo di tutti i contrasti degli operatori del settore: infatti il valore delle posizioni debitorie è determinato dall'ammontare complessivo lordo e nominale della singola posizione, quale risultante dalle scritture contabili della società cessionaria all'atto dell'acquisto del credito, ovvero dall'ultimo saldo comunicato al debitore dalla società cessionaria.
Il prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria è invece (lettera b)) determinato dal rapporto percentuale tra valore nominale lordo del credito e prezzo effettivamente pagato per il portafoglio dei crediti in cui rientra la posizione debitoria di cui si chiede l'estinzione.
La società cessionaria sarebbe quindi onerata dall’obbligo di comunicare al debitore, entro 10 giorni, l’avvenuta cessione, l'indicazione del prezzo di acquisto (come determinato ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera b)) nonché idonea documentazione atta a comprovare la completezza e la veridicità di quanto dichiarato.
In mancanza della predetta comunicazione il soggetto cedente e la società cessionaria non possono, a pena di nullità, avviare azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.
Per quanto riguarda gli adempimenti del debitore, l'esercizio del diritto di opzione deve essere comunicato per iscritto dal debitore alla società cessionaria, o ai suoi successivi aventi causa, entro trenta giorni dalla data della comunicazione di avvenuta cessione.
La comunicazione deve contenere l'impegno irrevocabile ad effettuare il pagamento di, entro il termine massimo di novanta giorni, salvo diverso accordo tra le parti, nonché l'indicazione dell'indirizzo cui inviare le successive comunicazioni.
Per le cessioni già effettuate, invece, la comunicazione di avvenuta cessione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta e il diritto di opzione può essere esercitato dal debitore nei successivi trenta giorni dalla comunicazione stessa; in assenza della comunicazione il soggetto cedente e la società cessionaria non possono avviare azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore; qualora la società cessionaria, alla data di entrata in vigore della proposta, abbia già notificato al debitore un atto introduttivo del giudizio ovvero un primo atto stragiudiziale, il diritto di opzione può essere esercitato dal debitore entro trenta giorni dalla data della notifica;
qualora il richiamato termine (trenta giorni dalla notifica di atto introduttivo del giudizio o atto stragiudiziale, di cui alla lettera b)) sia scaduto o il procedimento giudiziario o la procedura stragiudiziale siano già in corso, il debitore può saldare la posizione debitoria pagando il prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria, aumentato del 40 per cento - in luogo del 20 per cento - salvo diverso accordo tra le parti.
E’ abbastanza chiaro per quale motivo questo strumento venga continuamente rimandato;
A tutela degli investitori e di quel sistema che strenuamente continua ad affermare l’inesistenza di extra-profitti nelle operazioni di cartolarizzazione, si sceglie di penalizzare il debitore individuale, privandolo di partecipare alla vendita della propria posizione.
Pensiamo anche brevemente ad uno scenario che veda la possibilità di riscattare la posizione creditoria di un soggetto, dopo che essa sia stata già ceduta, magari assistita da una Gacs che la Banca si prepara ad escutere; la liberazione del debitore, magari la cancellazione in parallelo della garanzia ipotecaria sull’immobile, comporterebbe una completa riscrittura dello scenario di valutazione del credito, anche con una variabile pesante sulle possibilità di escussione della garanzia e pagamento degli investitori senior.
E’ un sistema autoimmune che è stato creato per una emergenza economica da scongiurare (il dissesto del sistema degli istituti di credito) ma che ormai non può consentire spiragli alternativi per la risoluzione del medesimo problema, ovvero la ristrutturazione del debito.
Nella forte opposizione dei soggetti che partecipano a queste operazioni vi è il chiaro segnale anche della fine che può fare il mercato degli UTP: posizioni instabili che possono essere ricomposte ma che evidentemente si devono ricomporre solamente all’interno di determinate regole e strumenti finanziari che non consentono al debitore di scegliere come uscire dalla situazione di difficoltà temporanea.
Un sistema che predilige l’acquisizione del patrimonio immobiliare a dispetto della ripresa delle attività di impresa è un sistema malato.
Ciò detto si deve anche osservare come l’introduzione di questa disciplina non sia immune da problematiche “in corso d’opera”.
Sicuramente l’obbligo di inviare tempestivamente una comunicazione a tutti i debitori ceduti è assai oneroso; a ciò si aggiunga che problemi di reperibilità per soggetti con debiti risalenti potrebbero poi ripercuotersi sulla possibilità di avviare le azioni giudiziali volte al recupero del credito (con danno a caduta sul valore delle cartolarizzazioni e quindi sul valore delle obbligazioni rilasciate dalle SPV agli investitori).
Altra questione riguarda le azioni in corso, avviate già dalla Banca cedente, la cui sorte non risulta chiara; da un lato si potrebbe pensare ad una sospensione in attesa delle determinazioni del debitore ceduto, ma i termini risultano dalla proposta così stringenti da non essere in sintonia con i tempi della giustizia.
E infine una riflessione più complessa: un sistema di cartolarizzazione “sostenibile” dovrebbe permettere un equilibrio tra i soggetti che vi partecipano; il rischio nell’inserimento di un nuovo protagonista senza adeguati accorgimenti è quello di alterare il prezzo di vendita delle cessioni, allontanando gli investitori e conseguentemente privando le società veicolo della liquidità necessaria per portare a termine l’operazione: con il danno di lasciare in pancia agli istituti di credito le posizioni deteriorate.
Uno scenario che collide proprio con il tentativo della proposta di salvaguardare i soggetti debitori, poiché se da un lato gli si offre uno strumento per rimediare allo squilibrio patrimoniale, dall’altro li si priva potenzialmente ancor di più dell’accesso al credito, aumentando le variabili di composizione dello score rating durante la valutazione del merito creditizio[11].
Le ultime riflessioni però rivelano proprio ciò che non funziona più nel processo di erogazione del credito: si è persa la centralità dello scopo sociale; si è dimenticato che l’esigenza di avere accesso al credito è sorretta dalla necessità che il sistema impresa progredisca, che le famiglie possano costruirsi attorno ad una casa, che si possa continuare a costruire edifici e strade; adesso al centro si vede solo la salvaguardia della banca, la salvaguardia del processo di cessione dei crediti in blocco, la salvaguardia degli investitori e dei fondi che sostengono queste cessioni e accumulano patrimonio immobiliare rilevandolo dalle posizioni assistite da garanzia ipotecaria.
Per salvare la possibilità di erogare il credito si sceglie di rendere l’accesso allo stesso progressivamente impossibile.
4.
La Banca al
tavolo della composizione negoziata: “il galateo delle trattative”
L’art. 4 CCII prevede un generale obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza[12].
Nella Sez. I del Capo II del CCII, dedicato ai “Principi generali”, sono scolpiti negli artt. 3, 4 e 5, gli “Obblighi dei soggetti che partecipano alla regolazione della crisi o dell’insolvenza” scanditi tra:
a) il dovere dell’imprenditore di predisporre specifiche misure organizzative idonee a una rilevazione tempestiva dei segnali di crisi (art. 3)[13];
b) le regole di condotta (art. 4, comma 1), che devono improntare l’agire del debitore e dei creditori;
c) quelle - dirette all’autorità giudiziaria e alla commissione di cui all’art. 13 del codice - che devono presidiare le nomine degli organi e degli esperti della composizione negoziata.
I suddetti principi generali trovano poi un’ulteriore specificazione nell’art. 16 CCII.
Tali canoni comportamentali, pilastri del diritto delle obbligazioni, rinvengono le origini nel Codice Civile, nella disciplina del contratto, sia relativamente alle trattative (art. 1337 c.c.), che alla interpretazione (art. 1366 c.c.) e all’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), mentre l’art. 1175 c.c. sancisce,nella disciplina generale delle obbligazioni, che debitore e creditore debbono comportarsi secondo le regole della correttezza e buona fede.
A mente del citato art. 4 CCII gli obblighi del debitore sono distinti in tre diverse categorie, afferenti rispettivamente:
a) agli obblighi di informazione dei creditori sulle condizioni dell’impresa;
b) alla tempestiva individuazione delle soluzioni idonee a risolvere la crisi o l’insolvenza ed al rapido avviamento della procedura prescelta;
c) alla gestione del patrimonio e dell’impresa nell’interesse prioritario dei creditori.
Tra gli obblighi informativi si colloca il dovere del debitore di illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto. Per quanto riguarda “la tempestività” la legge impone una rapida individuazione e applicazione dello strumento idoneo, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori.
L’informazione deve, quindi, essere esauriente, dovendosi trasmettere e rappresentare tutto quanto non solo necessario ma anche idoneo, “rispetto alle trattative avviate”. Le informazioni saranno appropriate quando il creditore potrà da esse desumere un quadro sufficientemente completo delle condizioni in cui versa l’impresa. In sostanza non sono ammessi “silenzi ed omissioni strategiche” nel tentativo di “carpire” un assenso dei creditori che, dinanzi ad adeguate informazioni, avrebbero dato una valutazione contraria[14].
Con tutta evidenza si tratta di una specificazione del dovere di correttezza e buona fede.
L’obbligo di “assumere tempestivamente le iniziative adeguate alla individuazione delle soluzioni idonee a risolvere la crisi o l’insolvenza ed al rapido avviamento della procedura prescelta”, costituisce un leit-motiv del nuovo diritto della crisi; infatti, un tale risultato (il risanamento dell’impresa) sarà appunto possibile quanto più tempestivamente la crisi sarà affrontata e celermente gestita la sua soluzione evitando, così, un pregiudizio per i diritti di tutti i creditori.
Sotto questo profilo il legame tra la regola in esame ed il principio di buona fede è particolarmente stretto perché, ancora una volta, si rientra nell’ambito dei doveri di protezione dell’altro contraente che sono una declinazione tipica del principio generale.
Rilevante, sotto un profilo di responsabilità, è il momento della gestione, da parte del debitore, del patrimonio o dell’impresa, durante la composizione negoziata, le trattative ovvero la pendenza dei procedimenti propedeutici all’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi.
L’art. 16, co. 4, CCII prevede, infatti, che l’imprenditore debba gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori.
L’art. 21, CCII, sotto la rubrica “gestione dell’impresa in pendenza di trattative” sancisce invece che l'imprenditore in stato di crisi gestisce l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività. Quando, nel corso della composizione negoziata, risultainvece che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori[15].
Intanto l’art. 4, co. 2, lett. c) CCII distingue tra i “procedimenti” (id est i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza) per i quali vale la regola gestoria funzionale all’interesse prioritario dei creditori e “la composizione negoziata” alla quale si applicano, come regole gestorie, quelle di cui al combinato disposto di cui agli artt. 16, co. 4, (“gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”) e 21 CCII, che distingue tra situazione di crisi (la gestione deve evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria) e situazione d’insolvenza reversibile (la gestione deve essere condotta nel prevalente interesse dei creditori).
I limiti alle scelte gestorie, quindi, sono due: a) non recare pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’attività e b) gestire nel prevalente interesse dei creditori in caso di insolvenza, purché vi siano concrete prospettive di risanamento.
Ora, la lettura congiunta delle succitate norme spinge alla considerazione che siamo dinanzi a due fattispecie diverse - da una parte i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza (art. 4, comma 2, lett. c) e dall’altra il percorso volontario della composizione negoziata (art. 12 e ss.), funzionale a giungere, attraverso trattative regolate, protette e facilitate da un esperto, a una delle soluzioni di cui all’art. 23 CCII.
In tale contesto in relazione agli obblighi dei creditori (comma 4 dell’art. 4 CCII) è da salutare con aperto favore l’inedito segnale dell’attenzione che il legislatore imprime alle trattative; sui creditori, fino ad oggi concepiti come titolari di diritti, si appuntano specifici doveri verso il debitore: da una parte il dovere di leale collaborazione con il debitore e con gli organi istituzionali coinvolti nelle singole procedure - per quanto attiene alla composizionenegoziata, con l’esperto, - e, dall’altra, quello di riservatezza “sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite”.
L’art. 4, co. 4, CCII dispone che i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e amministrativa.
Siamo dinanzi al dovere di cooperazione fondato sul canone della correttezza che nel codice civile (art. 1175) è configurato quale vero e proprio dovere di cooperare oltre la propria sfera di competenza, perché è imposto “di attivarsi anche in ciò che non è previsto dal titolo o che non attiene al suo potere di controllo, ma sempre nella misura in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio”[16].
Il dovere di correttezza si fonda sul principio di solidarietà sociale, previsto dall'art. 2 della Costituzione, che impone in particolare ai soggetti dell'obbligazione un dovere reciproco di collaborazione. Rientra in questa fattispecie il concetto di buona fede in senso oggettivo, cioè il dovere di comportarsi con lealtà ed onestà. Entrambi i concetti sono generici, privi di specifico contenuto precettivo, che deve essere loro attribuito dal giudice in sede di definizione dei casi concreti a lui sottoposti.
Da tali clausole derivano: i) per il debitore il dovere di eseguire tutte quelle prestazioni strumentali o accessorie necessarie a soddisfare in maniera completa l'interesse del creditore; ii) per il creditore il dovere alla cooperazione con il debitore, al fine di evitare che l'adempimento sia per quest'ultimo eccessivamente o inutilmente oneroso.
Per quanto attiene alla posizione della banca nel contesto del codice della crisi e dell'insolvenza possono individuarsi norme che, sia pure collocate in differenti prospettive, consentono una possibile ricostruzione del sistema.
Innanzitutto, si tratta di obblighi di comportamento che assumono particolare rilievo nel procedimento di composizione negoziata della crisi, inteso come percorso negoziale strutturato, condotto sotto la guida di un esperto che, unitamente alla previsione di obblighi di comportamento e alle misure di protezione del patrimonio dell'impresa debitrice, deve assicurare una “reale effettiva negoziazione”, che si assuma utile e proficua per tutte le parti interessate (nella prospettiva della continuità dell'attività). In questo contesto viene richiamato il nuovo, dirompente precetto, specificato nell’art. 16, co. 5, CCII, che contempla l’obbligo (delle banche, degli intermediari finanziari, dei loro mandatari e dei cessionari dei loro crediti) di partecipare attivamente e in modo informato alle trattative.
Questo disposto va completato con la previsione successiva del comma 6, che impone alle parti coinvolte nelle trattative il dovere di leale collaborazione, di rispettare l'obbligo di riservatezza e di dare riscontro alle proposte e alle richieste (dell'esperto e dello stesso debitore) che i creditori ricevono durante le trattative, con risposte tempestive e motivate (obbligo, naturalmente, esteso anche alle banche che risultano coinvolte nelle stesse trattative).
Si tratta, quindi, di obblighi che, sia pur espressamente previsti nel contesto della composizione negoziata della crisi, configurano e specificano quegli “obblighi generali di comportamento” che sono indicati per i creditori dell'art. 4, comma 4 del codice, non a caso collocato tra i "principi generali", si da consentirne il richiamo anche per tutti gli strumenti, definibili "negoziali", di regolazione della crisi e dell'insolvenza.
Può ritenersi, quindi, che gli obblighi declinati nei citati commi dell'articolo 16 CCII, altro non siano se non specificazioni, tipizzate, del dovere di tutti i creditori (nel contesto dei principi generali di correttezza e buona fede) di collaborare lealmente con il debitore e con l'esperto, nonché con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria e amministrativa.
Così, la previsione, certamente non precettiva, di cui all’art. 4 del CCII (norma manifesto principe), che individua nella buona fede e nella correttezza(principi declinati dalla disciplina generale del contratto) il criterio cui, come visto, il comportamento delle parti (imprenditore e suoi creditori), deve informarsi nell’esecuzione degli accordi e delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in modo tale da non vanificare il lavoro di mediazione degli interessi e di superamento delle posizioni antagoniste, risulta fondamentale nell’orientamento e nella valutazione dei comportamenti tenuti.
Inoltre, la norma in commento, in armonia con il divieto previsto dalla Direttiva delle c.d. clausole ipso facto, dispone che l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore, ferma restando naturalmente la liceità della revoca per motivi obiettivi relativi all’andamento del conto o al mancato rispetto dei limiti dell’affidamento o quando la decisione della banca sia imposta dal rispetto dei principi di sana e prudente gestione ai quali essa è tenuta a conformarsi[17], onde evitare che ciò possa rappresentare, strutturalmente e cronicamente, invece di un mezzo per la risoluzione di una crisi probabile, l’incipit di un fenomeno perverso noto come profezia autoverificantesi[18].
L'espresso richiamo della norma alla “disciplina di vigilanza prudenziale” comporta il rinvio, in sede interpretativa, ad una serie di disposizioni normative (art. 5 TUB) e regolamentari (disposizioni di vigilanza della Banca d'Italia, Circolare nr 285 del 17 dicembre 2013 e succ. mod.), idonee a disciplinare l'attività delle banche e degli intermediari con specifico riferimento al rischio di credito, che, nel complesso, consentono ai suddetti soggetti, per ragioni diverse dal mero accesso dell'imprenditore alla composizione negoziata, di disporre la revoca o la sospensione degli affidamenti. Si tratta, come è stato correttamente evidenziato, di evocare una scelta di tipo "prudenziale", in tal modo evitando l'ulteriore effetto negativo che, per le linee di credito già concesse, "potrebbe prodursi nel momento in cui l'impresa, contestualmente all'istanza di accesso alla composizione negoziata, abbia pure fatto richiesta delle misure protettive di cui all'art. 18 CCII, ovvero il rischio di non poter rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti e, quindi, dover mantenere disponibile all'impresa l'eventuale margine di accordato presente. Orbene, proprio nella “valvola di salvaguardia”, rinveniente nell'espresso richiamo alla disciplina prudenziale, può trovarsi l'equilibrio tra l'interesse a favorire la salvaguardia del credito pregresso, attraverso il sostegno al tentativo di risanamento dell'impresa e quello contrario di evitare un possibile aggravamento delle perdite e il conseguente coinvolgimento della banca nella responsabilità per la causazione e l'aggravamento del dissesto, oppure l'ipotesi di segno contrario, di responsabilità per "brutale ed immotivata interruzione del credito".[19]
Così tirando le fila del discorso, può ritenersi che gli obblighi di cooperazione, idonei ad assicurare la funzione ed il risultato dello strumento utilizzato, ed in quest’ottica la loro violazione, oltre che sul piano dell’inadempimento degli obblighi discendenti da “contratto”, diventano presupposto di una reazione sotto un profilo procedurale e giudiziale. Gli obblighi dell’imprenditore, come visto, sono individuati con un certo grado di precettività, in ragione del loro contenuto tipizzato e delle conseguenze connesse alla loro violazione, mentre, gli obblighi posti a carico dei creditori (banche in primis), eccezion fatta per quello della riservatezza, restano abbastanza indefiniti e, forse, privi di un concreto contenuto precettivo, tanto che la stessa reazione potrà essere limitata ad incidere sulla posizione del “singolo creditore non leale”, in stretta relazione al trattamento del credito[20].
Sulle conseguenze connesse all'inadempimento del leale obbligo di cooperazione del creditore (anche banca), si sono sviluppate diverse opzioni interpretative, delle quali certamente non si può dare concreto riscontro in questa sede, che hanno ritenuto applicabili, nell'ipotesi di esito negativo delle trattative e di conseguente implosione dell'insolvenza dell'impresa, diverse discipline di responsabilità, contrattuale, da contatto sociale qualificato, con richiamo conseguente del sintagma della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Del resto, già la relazione di accompagnamento al D.L. nr. 118/2021, riconosce allo stesso curatore, nella sopravvenuta liquidazione giudiziale, come dipendente dal comportamento assunto dal creditore nel corso delle trattative, in violazione dei predetti obblighi, l'esperimento dell'azione risarcitoria a tutela degli interessi della massa[21].
A sommesso avviso di chi scrive, per le banche e per gli intermediari finanziari si profileranno fondati rischi di incorrere in responsabilità precontrattuale (culpa in contrahendo) per intervenuta lesione della libertà negoziale.
Infatti, la violazione dell’obbligo di “collaborare lealmente, in modo sollecito, attivo e informato con l’imprenditore e con l’esperto, rispettando l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite durante le trattative”, integrerà l’ipotesi principe di illecito precontrattuale riguardante, appunto, la violazione dell’obbligo di buona fede, che deve governare tutta la vita del rapporto contrattuale in quanto essa esprime un’esigenza di tutela fondamentale delle parti[22].
La buona fede, come noto, è un canone ermeneutico di condotta che, nel Codice civile, può essere inteso in senso soggettivo o oggettivo:
· la buona fede soggettiva è l’ignoranza incolpevole di ledere una situazione giuridica altrui (ad esempio, in materia di possesso art. 1147 c.c.);
· la buona fede oggettiva coincide con la correttezza (art. 1175 c.c.).
Come già detto in precedenza, il concetto di buona fede oggettiva si articola negli obblighi di lealtà e salvaguardia e nel rapporto contrattuale o nel rapporto obbligatorio ciascuna parte ha l’obbligo di salvaguardare l’utilità della controparte nei limiti in cui ciò non determini un apprezzabile sacrificio. Infatti, l’obbligo di buona fede in senso oggettivo rientra nel principio di solidarietà[23]
Così, la parte per avere un comportamento improntato ai canoni della buona fede deve, durante le trattative, evitare condotte che intenzionalmente o consapevolmente arrechino un danno all’altro contraente. Da quanto detto emerge che una componente della buona fede è anche la diligenza, pertanto, violano il dovere di correttezza anche comportamenti connotati da incompetenza o superficialità.
L’obbligo di buona fede postula il dovere di informare la controparte sulle circostanze rilevanti relative al negozio giuridico in fieri. Un comportamento contrario a tale obbligo è considerato reticente; ovviamente, il dovere di informazione è più stringente nel caso in cui una delle parti sia un operatore professionale, si pensi proprio all’operatore bancario o all’intermediario finanziario.
Infine, in ottemperanza all’obbligo di informare, ebbene, esiste un obbligo di informare secondo verità (obbligo di verità): la sua violazione comporta responsabilità per false informazioni ed è ravvisabile, soprattutto nei casi in cui il soggetto sia tenuto per legge a fornire determinate informazioni (si pensi, a titolo di esempio, agli intermediari finanziari e alla c.d. responsabilità da prospetto).
Dall’esame delle norme in commento si evince che la composizione riserva un ruolo importante alle banche, ancor più di quello che fisiologicamente loro spetta nella crisi di impresa considerato il fatto che normalmente sono, insieme al fisco, i creditori più importanti e spesso viene loro chiesta l’indispensabile erogazione di ulteriore finanza. Di questo ruolo rilevante vanno soppesati non solo le opportunità, ma anche i rischi. Ed è proprio in questa ottica che si rivela l'importanza del comportamento degli Istituti di Credito durante la composizione negoziata e della buona fede rinforzata che viene loro richiesta.
Quindi, ai dubbi sollevati dalla dissertazione che precede, si può rispondere utilizzando alcune frasi di un giurista straniero[24]: "l’attenzione tra il salvataggio dell'impresa e l'inevitabile danno o pregiudizio che un accordo arreca al credito è un tema intrinseco al concorso. Non esiste una procedura concorsuale senza questa tensione. … Nè angeli, nè demoni … e, quindi, senza premi per il debitore e punizioni per i creditori … Tutti vittime, alcuni di più, alcuni di meno, della crisi che economicamente è sempre perdita sia per il debitore che per il creditore. … Solo la frode - che dobbiamo sempre combattere - squalifica perchè tutto corrode. Il resto è legge del concorso"[25]
5.
Il destino del debitore ceduto: il debitore “per sempre”
Nel 506 D.C., imperante Anastasio, nella necessità di arginare il crescente fenomeno dell’usura, con un conseguente impoverimento della popolazione (quante analogie con i tempi odierni), costui emanò la legge “per diversas“, secondo la quale il cessionario di un credito poteva pretendere dal debitore ceduto, oltre agli interessi, esclusivamente l’importo pagato a titolo di cessione. Questa legge, successivamente integrata da Giustiniano nel 531 D.C., mirava ad evitare un abuso del diritto di cessione per l’acquisto dei crediti. Non aveva come specifico fine quello di vietare l’acquisto professionale di crediti oltre il loro valore nominale però, di fatto, lo impediva indirettamente, poiché il cessionario veniva privato della possibilità di ottenere un margine di guadagno dall’operazione di cessione rendendo, quindi, la stessa economicamente non vantaggiosa.
La “finalità nobile” della c.d. Lex Anastasiana fu individuata, nel corso della lunga vita che la normativa ebbe nelle diverse legislazioni europee che la adottarono, nella protezione del debitore, il quale, contraente debole per definizione, a causa della sua debolezza economica era alla mercé del suo creditore e conseguentemente di coloro che da quest’ultimo, per sola ragione speculativa, ne acquistavano il credito[26].
L’attuale grave crisi economica che investe il nostro paese - caratterizzata per la sua complessità, quale conseguenza di avvenimenti che hanno influito negativamente sia a livello globale che nazionale - riporta, prepotentemente, all’attenzione la tematica della tutela del debitore.
Dalla fase di ripresa post pandemica, in cui diversi indicatori economici sembravano essere tornati positivi e facevano presagire una decisa crescita, la crisi geopolitica legata ai conflitti bellici in atto, ha complicato nuovamente lo scenario internazionale.
L'economia mondiale si ritrova in un periodo particolarmente delicato caratterizzato da incertezze, le cui conseguenze si riverberano sui principali indicatori macroeconomici.Il tasso di inflazione che rasenta il massimo storico incide particolarmente sui costi di produzione delle imprese e porta alla riduzione del reddito reale delle famiglie, oltre a costringere le Banche Centrali a politiche monetarie restrittive con conseguente rallentamento dell'attività economica. La grande incertezza economica e il considerevole aumento dei prezzi hanno avuto, come prima conseguenza, un deciso cambio di rotta nella politica monetaria delle maggiori banche centrali, il cui primo effetto è stato l'aumento del tasso di interesse di riferimento, ovvero, per quanto riguarda l'Area Euro, il tasso al quale la BCE presta denaro alle banche, che operano nell'unione monetaria.
L'aumento del tasso di riferimento rende più onerosi gli investimenti per le imprese e influenza la domanda di beni e servizi da parte dei consumatori, rallentando l'attività economica.
In un dilagante contesto di scarsa liquidità, gli “inadempimenti a catena” costringeranno molte aziende ad una “liquidazione forzosa”, mentre le iniziative giudiziarie, attivate dai creditori, ben poca utilità potranno trarne e, certamente, con tempi estenuanti e costi rilevanti.
Lo scenario che abbiamo davanti agli occhi è quello, in un rigido inverno socio-economico, di una reale pandemia strutturale e finanziaria con forti ripercussioni, anche a livello sociale, su imprenditori e non solo (familiari e altre persone vicine all’imprenditore, ma anche dipendenti e le loro famiglie, gruppi sociali di riferimento, etc.), in una evidente e imperante “insolvenza di massa”[27].
Il nuovo, corretto, approccio alle situazioni di crisi impone al centro dell’attenzione il vero protagonista, ovvero il soggetto consumatore/debitore/imprenditore, sopra o sottosoglia, che sia, il quale si trovi in situazioni di difficoltà.
L’aumentare della necessità di credito per imprese e famiglie, va di pari passo con l’aumento degli stock di crediti non performing.
Le banche hanno nei loro bilanci crediti che devono essere trattati non più solo in ottica di recupero diretto, ma anche con cessioni e cartolarizzazioni, operazioni quest’ultime sempre più ricorrenti, che riverberano gli effetti su famiglie e piccole imprese, che rischiano di pagare un prezzo altissimo[28].
Secondo il Market Watch NPL del Febbraio 2023, pubblicato da Banca Ifis, l’ammontare delle transazioni NPE nel corso del 2022 si è attestato a 40,2 miliardi di euro, dei quali ben 31,6 miliardi di euro sono costituiti da portafogli di NPL (e “solo” 8,6 miliardi di euro da portafogli di UTP), inferiori di 6,4 miliardi di euro rispetto alle stime di settembre 2022, a causa di cessioni (NPL e UTP) posticipate al 2023 e di un mercato secondario di NPLs inferiore alle previsioni; le operazioni di NPLs hanno infatti rappresentato quasi il 79% dei volumi del 2022 (mentre gli UTP hanno assorbito il restante 21%); nella previsione per il biennio 2023-2024 il mercato manterrà volumi elevati, rispettivamente di 40 e 33 miliardi di euro, con un’incidenza crescente del mercato secondario che si attesterà intorno al 35% sul transato NPLs[29].
I dati in commento evidenziano l’importanza e la centralità del problema che registra, al contempo, due approcci complementari: da un lato, si rafforzano i meccanismi per facilitare la dismissione dei crediti problematici e dall’altro ci si interroga sulla necessità di accompagnare queste misure, pur necessarie, con un forte sostegno alle persone e alle imprese che quegli interventi dovranno subire.
Il fenomeno dei crediti deteriorati, così come l’istituzione e diffusione delle SPV (ovvero società veicolo cessionarie di gruppi di crediti omogenei, solitamente in blocco e pro soluto), ha trovato specifica regolarizzazione nella Legge n. 130 del 30/04/1999 (“Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti”), modificata da ultimo con la Legge n. 8 del 28/02/2020.
Un attento osservatore potrà rilevare che il fenomeno della cessione dei crediti deteriorati ben può essere rappresentato dall’immagine mitologica del Giano bifronte: da un lato infatti, con uno sguardo al passato, il flusso dei crediti deteriorati ingenera un certo allarmismo sociale per la crisi economico-finanziaria in atto (basti pensare alla difficoltà di porre un freno all’incessante ed insano aumento dei c.d. “cattivi pagatori” e, del pari, alla proporzionale crescita di derivate manovre di due diligence sempre più complesse ed “ostili” all’accesso al credito per ogni tipologia di clientela, dal piccolo risparmiatore alla società quotata in borsa, sotto l’occhio vigile delle istituzioni non solo europee); dall’altro, tuttavia, con uno sguardo al futuro, lo stesso fenomeno è occasione di risanamento finanziario per i vari sellers (si pensi, nello specifico, alle operazioni di NPE realizzate dai più importanti istituti di credito) e, al contempo, di opportunità imprenditoriale, quest’ultima equamente suddivisa tra gli ‘operativi’ (gli studi legali incaricati delle concrete attività di recupero e di difesa del credito ceduto), i buyers (investitori finanziari) e gli intermediari (servicer e loan manager)[30].
Come sempre, economia e diritto percorrono destini incrociati, influenzandosi vicendevolmente: il diritto deve uniformarsi a tempi e regole di mercato.
Alla luce delle più recenti statuizioni della giurisprudenza italiana, infatti, vi è il rischio concreto di un congelamento del mercato dei crediti deteriorati in Italia e del consolidarsi di un orientamento teso a dichiarare come irrecuperabili i crediti (per miliardi di euro) giudizialmente azionati dai cessionari che hanno già concluso le predette operazioni.
La gestione dei crediti deteriorati e l’attento monitoraggio della loro evoluzione, sono da anni oggetto delle attenzioni delle banche e della normativa europea: l’aumentare della necessità di credito per imprese e famiglie, va di pari passo con l’aumento degli stock di crediti non performing che le banche hanno nei loro bilanci e che devono essere trattati non più solo in ottica di recupero diretto, ma con sempre maggiore ricorso a cessioni e cartolarizzazioni.
Le operazioni di cessione e cartolarizzazione sono considerate operazioni utili per il buon funzionamento dei mercati finanziari, in quanto consentono agli enti e agli altri interlocutori del mercato possibilità di investimento aggiuntive, permettendo loro di diversificare il portafoglio e agevolare il flusso di finanziamenti verso le imprese e i privati sia negli Stati membri che, su base transfrontaliera, in tutta l’Unione; ma non va trascurato, nelle politiche di recupero dei crediti, un approccio che coniughi alla redditività dell’intervento anche l’impatto sociale che tali politiche, in un contesto di grave difficoltà come quello attuale, necessariamente producono.
Quindi, gli aspetti sociali ed economici, unitariamente considerati, sono indispensabili per consentire una soluzione ordinata ed eticamente praticabile ad un problema già di grande rilievo al giorno d’oggi e che, certamente, esploderà nei prossimi anni.
Come già in precedenza evidenziato, una delle “soluzioni” al problema del proliferare dei crediti deteriorati è stata individuata, dagli enti regolatori e dagli stessi operatori finanziari, nel ricorso in misura sempre più crescente alla cessione dei crediti, siano essi non performing o in bonis.
Nel dare una chiave di lettura al fenomeno in commento (per tentare di evitare che il debitore ceduto rimanga debitore per sempre) appaiono indispensabili alcune riflessioni in ordine al rapporto tra la banca, l’originario creditore e il debitore ceduto il quale, ad un certo punto dell’evoluzione del suo credito, cambia, a sua insaputa ed inaspettatamente, interlocutore e interrompe, a volte in modo traumatico, un rapporto spesso consolidato e che era fondato su un relazione spesso longeva[31].
La cessione del credito rappresenta quindi un esito sempre più probabile nella vita di un cliente e che, soprattutto per la clientela non professionale (cd retail), può rappresentare un problema.
Tanto è ancora più evidente nel caso di cessione di crediti “in blocco” per la quale esiste una legislazione (speciale), di favore, che consente di procedere senza che al cliente si sia obbligati a comunicare alcunché, essendo previsto come unico adempimento la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione.
Il debitore (ceduto) di un credito bancario conoscerà dell’avvenuta cessione dalla Gazzetta Ufficiale, (che ciascuno di noi legge quotidianamente) ovvero, in una fase patologicamente avanzata del rapporto, allorquando, il cessionario provveda “alla prima occasione utile” ad intimare il pagamento al debitore ceduto, ovvero, nel corso del procedimento esecutivo; ma, come facilmente intuibile, la notifica in tali ultimi casi avviene, proficuamente, solo in epoca successiva alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ma, soprattutto, questa notizia arriva al debitore in un momento in cui si è già nella fase esecutiva, di recupero, da parte di un soggetto che fino a quel momento era “un perfetto sconosciuto”.
Con questa logica, il credito e quindi il debitore, persona fisica o giuridica che sia, soggetto passivo di questa operazione, diventa solo un asset da gestire in un’ottica di profittabilità.
A livello di sistema economico questo può rappresentare un elemento positivo, ma il fatto di trascurare la dimensione sociale di questo fenomeno, lo rende un grave problema.
Ogni progresso del mondo economico non può considerarsi tale se misurato solo su parametri di quantità e di efficacia nel produrre profitto, ma va commisurato anche alla qualità della vita che produce e all'estensione del benessere, non solo materiale, che diffonde e va coniugato con la responsabilità sociale[32].
Tutto, quindi, va riletto in chiave di sostenibilità economica e sociale.
La questione ci pone dinanzi ad un interrogativo di non poco momento: deve in ogni caso prevalere, anche a scapito della sostenibilità, il diritto dei creditori al miglior soddisfacimento possibile o alla massimalizzazione degli utili? E’ il concetto di sostenibilità a suggerire (imporre) un limite all’affermazione di un’assoluta prevalenza degli interessi dei creditori, promuovendo un bilanciamento con la necessità di salvaguardare i molteplici diritti che si incontrano nell’impresa (sia essa in bonis che in crisi), così come nella vita di qualsivoglia debitore[33].
Deve giocoforza schiudersi un nuovo cammino, quello della sostenibilità, che è ambientale ma anche sociale e prima ancora culturale: un'economia al servizio della società e non viceversa, un'impresa che lavora non soltanto per il benessere dell'azionista (come avviene anche e soprattutto per gli istituti di credito), ma per il benessere della comunità in cui si trova, un assetto istituzionale che assicuri a tutti, a prescindere dalle loro condizioni, i medesimi livelli di protezione. Un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, a partire dallo spazio in cui si svolge l'esistenza che opera sul modo di vedere, sentire e agire[34].
E’ giunto il momento che la solidarietà dei vantaggi compensativi (con creditori, lavoratori, fornitori, clienti, erario, banche) entri in campo, dominando la scena.
D’altronde il diritto della crisi ha fatto proprio un nuovo lessico concorsuale che lascia intravedere, grandi e opportuni cambi di prospettiva: i) il bilanciamento tra interessi suppone il venir meno di una preminenza di qualcuno; ii) la sostenibilità è il baricentro delle valutazioni; iii) la tempestività è la cifra della nuova concorsualità; iv) il comportamento delle parti e non solo del debitore è oggetto di valutazione; v) l’esdebitazione taglia trasversalmente tutte le procedure liquidative e concordatarie[35].
Elementi di convenienza economica e fattori di trasparenza, solidarietà ed equità si incrociano quando si parla di consumatori e debitori latu sensu intesi; così, le soluzioni auspicabili, con una modifica normativa, possono essere inquadrate in un contesto giuridico di più ampio respiro, dove passato e presente si fondono per offrire prospettive di intervento più ampie e rassicuranti, mirate al riequilibrio del riassetto del regolamento contrattuale.
Infatti la stessa attenzione che nel passato è stata rivolta nei confronti del debitore, quale contraente debole del rapporto, deve costituire un patrimonio irrinunciabile per l’attuale legislatore, sia nazionale che europeo, con la necessità di una serie di nuovi interventi a tutela dei debitori (consumatori, piccoli imprenditori, etc.), di prevenzione dei fenomeni usurari, in un generale tentativo di limitare i danni derivanti di politiche di credito da un lato sempre più aggressive e dall’altro, soprattutto in tema di NPL, condizionate da scelte legislative che impongono misure di classificazione dei clienti automatiche e sempre meno legate alla conoscenza diretta del percettore del credito.
Del resto, in tal senso, sempre in quel turbinio prodotto dal nuovo diritto della crisi, vanno ricordate le recenti norme in tema di esdebitazione e ristrutturazione preventiva, che hanno riportato in evidenza il tema fondamentale della tutela del debitore in quelle situazioni che, ove non governate, potrebbero determinare notevoli danni sia al singolo sia al complesso sociale, aprendo la strada a forme di sfruttamento e di usura.
Sia consentita un’ultima notazione: il concetto di solidarietà, sin qui tratteggiato a grandi linee, va inteso come partecipazione ed impegno nei confronti di un soggetto debole e, quindi, come esplicazione del principio personalista, della misura in cui la partecipazione e l'impegno si traducono nella rimozione degli ostacoli, di qualunque tipo e natura, compresi quelli economici, che impediscono (o, quanto meno, mettono a repentaglio) il pieno sviluppo della persona umana.
La solidarietà va presa in considerazione non solo dall'angolo visuale del soggetto debole, ma da quello di un soggetto altro, chiamato ad impegnarsi al fine di consentire il pieno sviluppo dell'istanza solidaristica, onde garantire il godimento dei diritti, come sancito dai principi fondamentali della carta costituzionale.
Del resto … “La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai” (Hanry David Thoreau, filosofo statunitense).
6.
Le prospettive di riforma: un epilogo necessitato
Nelle ultime settimane, articoli di stampa hanno riportato all’attualità l’esame della problematica, poiché è all’attenzione del legislatore una possibile (auspicabile) riforma dei crediti deteriorati che consenta alle famiglie, ai debitori e alle piccole e medie imprese, in difficoltà, di sanare la propria posizione e di tornare in bonis.
La proposta di legge nr. 843, denominata “Disposizioni per agevolare il recupero dei crediti in sofferenza e favorire e accelerare il ritorno in bonis del debitore ceduto”, presentata il 31 gennaio 2023, in continuità con altre proposte similari già presentate in passato (si pensi alla proposta di legge n. 788 del 2018 e alla proposta di legge n. 414 del 2022), analogamente alla proposta di legge n. 1246 del 23 giugno 2023, “Disposizioni per favorire la definizione transattiva delle posizioni debitorie classificate come crediti in sofferenza o inadempienza probabile”, attribuirebbe, opportunamente, al debitore, in caso di cessione dei relativi crediti, la possibilità di riacquistare il proprio debito al prezzo di vendita iniziale (con una maggiorazione in percentuale variabile dal 20% al 40%), estinguendo una o più delle posizioni debitorie, anche relative ad operazioni già concluse e riferite ad accordi vincolanti tra le parti interessate.
La proposta di legge, ha destato allarme tra gli operatori del settore, preoccupati dall’impatto che le misure in parola potrebbero avere su un mercato caratterizzato da un alto volume di crediti deteriorati, gestiti annualmente (si stima oltre 300 miliardi di Euro di valore lordo di portafoglio) e da operazioni complesse, in cui l’acquisto dei crediti NPLs, spesso è realizzato tramite operazioni di cartolarizzazione e gare d’acquisto; a ciò si aggiunga la stretta interazione con il mercato dei capitali: si pensi, per esempio, alle operazioni di cartolarizzazione con titoli ABS collocati sul mercato – fra cui, ad esempio, le operazioni con titoli ABS senior coperti da garanzia dello Stato italiano.
Tuttavia, ciò nonostante, è da salutare con aperto favore, in quanto, rispetto alle perplessità manifestate dai molteplici attori, tutti del mondo creditizio (banche cedenti, società cessionarie del credito, società di servicing, agenzie di rating, debitori ceduti, soggetti investitori, ciascuno portatore di rispettivi interessi):
a) consentirebbe di riallineare le posizioni socio-economiche anche nei confronti dei numerosissimi debitori ceduti, portatori anch’essi di interessi meritevoli di tutela; sarebbe iniquo e controproducente, infatti, che un debitore non possa avere il diritto, o almeno l’opportunità, di liberarsi del debito in proporzione a quanto il suo creditore sia disposto a rinunciare al proprio credito cedendolo, fortemente scontato, a terzi. Impedirlo avrebbe come unica conseguenza che le perdite della banca cedente creerebbero un rilevante vantaggio economico (spesso non tassabile per la residenza all’estero del cessionario) per un investitore votato alla speculazione. La circostanza che alcuni milioni di cittadini ed imprese siano costretti alla marginalizzazione economica e sociale rischiando, se non già avvenuto, di essere spogliati di beni e prospettive legittime di vita è un tema di cui il legislatore deve farsi carico. Cosicché la prospettiva di riportare in bonis centinaia di migliaia di aziende e di famiglie, oggi in default, va rivalutata in relazione alla capacità futura di queste entità di tornare a produrre reddito ed essere remunerativamente imponibili;
b) in relazione all’alto volume dei crediti deteriorati gestiti, comporterebbe, da un lato la riduzione del delta differenziale o di marginalità dell’utile delle singole operazioni da parte degli istituti di credito o società finanziarie e, dall’altro, sotto l’egida del principio solidaristico costituzionalmente garantito, la tutela del debitore esecutato/sovraindebitato ovvero delle PMI in crisi, con conseguente salvaguardia dei beni primari di sopravvivenza (casa di abitazione, serenità nei rapporti familiari, gestione aziendale in continuità in linea con la sostenibilità dell’impresa medesima);
c) non da ultimo e forse con effetto assorbente, la definizione negoziale (nei limiti oggettivamente predeterminati dal legislatore) consentirebbe, per certo, di ottenere la chiusura definitiva di migliaia di procedure esecutive o da crisi da sovraindebitamento pendenti, in uno a tutto il contenzioso che normalmente viene generato dalla gestione delle procedure medesime [basti pensare alle sistematiche istanze cautelari, ai conseguenti reclami al collegio, ai ricorsi di merito (generalmente opposizioni), che finiscono con il far degenerare e dilatare, oltremodo, le pendenze e i tempi di definizione dei procedimenti]. Non v’è chi non veda, così, come la riforma avrebbe anche un rilevante effetto deflattivo sulla giurisdizione, in ossequio all’immanente interesse pubblico (“chiodo fisso” del legislatore riformista) alla rapida definizione delle procedure, obiettivo primario, altresì, del PNRR in ambito giurisdizionale. Infatti, la “definizione consensuale”, prevista ex lege, consentirebbe agli istituti di credito e/o ai cessionari di conseguire utili, se pure in misura ridotta rispetto a quanto (ipoteticamente) pianificato e ai debitori di adempiere, seppur in maniera parziale l’obbligazione assunta, e liberare dai gravami i beni staggiti, con conseguente estinzione e cancellazione delle procedure esecutive e concorsuali pendenti, con grandissimo sgravio dei ruoli appesantiti da procedimenti, caratterizzati, quasi sempre da gravi difficoltà gestorie e che pendono oramai, indecorosamente, da decenni.
Perno intorno al quale ruota, de iure condendo, la struttura dell’istituto in commento è la concessione al debitore, sia esso persona fisica o impresa, la cui posizione debitoria, deteriorata, sia stata ceduta (volontariamente o nel corso di procedura concorsuale) a soggetti terzi, il diritto di estinguere il proprio debito, con il pagamento, a saldo, di un importo pari al prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria, aumentato di un indice percentuale predeterminato ex lege. Conseguentemente il debitore, dovrà, entro un termine prestabilito decorrente della comunicazione di cessione, esercitare per iscritto: i) la volontà di esercitare l’opzione; ii) manifestare, contemporaneamente, l’impegno ad effettuare l’adempimento liberatorio nel termine normativamente predeterminato; iii) ottenere l’automatica cancellazione della posizione debitoria in sofferenza dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, una volta effettuato il pagamento.
Punctum pruriens dell’operatività dell’adempimento liberatorio è sia la previsione dell’obbligo (generico) di comunicazione al relativo debitore (in un termine perentorio, pena l’impossibilità del cessionario di procedere con azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore) dell’avvenuta cessione e del prezzo corrisposto, che, la retroattività dell’applicazione dell’istituto in relazione ad operazioni già concluse e, quindi, dirette ad accordi già consolidati ed acquisiti dalle parti.
Alcuni commentatori hanno sollevato qualche perplessità al riguardo poiché, in tal modo, i soggetti cedenti e cessionari coinvolti sarebbero onerati di un gravosissimo obbligo di comunicare a un considerevole numero di debitori ceduti – soprattutto in considerazione dei notevolissimi volumi di mercato dei crediti NPLs – l’intervenuta cessione, con impatti pratici ed economici di non poco conto. Tuttavia l’uso dei mezzi informatici, ai fini della comunicazione, consentirebbe di elidere in radice sia il rischio della difficoltà della individuazione dei destinatari degli avvisi di cessione medesimi che degli aumenti dei costi (maggiori di quelli preventivati) posti a carico dei cessionari derivanti, appunto, dall’adempimento degli obblighi di comunicazione all’ampio novero di debitori ceduti (in particolare nelle operazioni di cartolarizzazione).
Tale previsione consentirebbe di eliminare una delle criticità della vigente normativa che proprio nel caso di cessione di crediti “in blocco”, come detto, vede una disciplina di estremo favore, ponendo quale unico adempimento di comunicazione la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione. Tanto genera, in punto di preteso difetto di legittimazione e titolarità del credito in capo al cessionario, un gravoso contenzioso che, magicamente, sarebbe eliminato in radice.
Di fondamentale importanza sarà, inoltre, la previsione dell’automatica cancellazione della posizione debitoria in sofferenza dalla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, a seguito dell’avvenuto pagamento del debito. A tale proposito sono state evidenziate alcune criticità: infatti è stato ritenuto che non andrebbe tralasciato l’effetto negativo che la cancellazione automatica dalla Centrale Rischi avrebbe sul mercato della concessione del credito. Tale registro, tenuto da Banca d’Italia, consente, appunto, ai soggetti finanziatori di valutare con più attenzione i possibili destinatari di un finanziamento, evitando concessioni disinvolte a soggetti con bassa affidabilità creditizia. La cancellazione prevista dalla proposta di legge al vaglio del nostro legislatore – che originerebbe dal semplice adempimento liberatorio – sarebbe distorsiva delle finalità della Centrale Rischi, non solo per le tempistiche istantanee con cui interverrebbe, ma anche perché fornirebbe un dato non completamente veritiero. Infatti, il debitore cancellato a seguito di un adempimento liberatorio apparirebbe come un debitore affidabile, pur non avendo adempiuto integralmente al proprio debito[36].
Va invece, evidenziato, come la ratio sottesa al suddetto principio giuridico si pone, in stretta analogia, con l’istituto dell’esdebitazione, entrato a far parte del nostro ordinamento orami da oltre un decennio e, da ultimo, sacramentato e teorizzato massimamente nel vigente Codice della Crisi, con la previsione dirompente di cui all’art. 283 (esdebitazione del sovraindebitato incapiente). Non si tratta quindi di una “misura puramente remissoria”, ma applicazione concreta del cd. fresh start, principio cardine del diritto della crisi, secondo cui occorre garantire, ai soggetti irreversibilmente insolventi o sottoposti a procedure liquidatorie, una seconda chance, per permettere loro di ripartire con slancio ed essere reimmessi nel circuito economico e produttivo, piuttosto che lasciati ai margini, reietti dalla società e, spesso, in balia di fenomeni usurari o di attività illegali.
Queste energie, liberate dal fardello del debito e dalla tradizionale illimitata responsabilità patrimoniale, potranno produrre indubbie ricadute positive generali, sia sul piano dell'emersione del “sommerso”, che su quello dell'incremento del PIL, e quindi, indirettamente, dello stesso aumento del gettito fiscale[37].
A supportare quanto sin qui sostenuto, ove ce ne fosse bisogno, soccorre la previsione, nel nostro ordinamento, nell’ambito dell’autonomia negoziale indotta, dell’istituto ristrutturazione del debito riconosciuta discrezionalmente al debitore, sin dalla riforma della Legge Fallimentare dell’anno 2005[38], come da sempre ammesso, quale mantra della gestione della crisi di impresa.
Diverso e più delicato, infine, è il discorso degli effetti distorsivi sulle condotte dei debitori, che potrebbero essere indotti ad inadempimenti strategici che rendano conveniente non onorare, originariamente, il debito contratto per poi accedere, in un momento successivo, al beneficio dell’opzione.
Evidentemente, sarà, onere del legislatore prevedere un sistema premiale e di incentivi (o deterrenti) in capo al debitore, al fine di scoraggiare tali condotte fraudolente.
Il richiamo alla meritevolezza sarà il criterio discretivo. Infatti, nel concetto di “meritevolezza” è ravvisabile un elemento di valutazione comune alle variegate ipotesi in cui la definitiva liberazione dai debiti consegue ad una procedura di composizione della crisi, dell’insolvenza o del sovraindebitamento. Tale clausola identificativa di una precipua regola di comportamento, assurge a presupposto per l’agire dell’imprenditore, del debitore e, più in generale, di tutte le “parti” coinvolte a vario titolo in situazioni sovraesposizione debitoria.
Come noto, la meritevolezza da “dispositivo” finalizzato a scongiurare un utilizzo improprio di tale procedura, diviene “strumento” per salvaguardare l’efficienza della garanzia patrimoniale le cui esternalità assicurano la correttezza dei mercati e consentono il governo dei canali di credito; tanto sino a concludere il suo percorso con un proficuo utilizzo dei rimedi pensati per la composizione “dell’indebitamento incolpevole”. Come si intuisce la ratio sottostante all’intervento legislativo invocato, ha strettissime analogie con la legge n. 3/2012 e successive modificazioni (ribattezzata legge antiusura e salva suicidi, completamente trasfusa nel vigente CCII), che ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento rivolta la c.d. debitore civile, nella prospettiva di una “fisiologica” gestione della crisi, finalizzata alla conservazione dell’unità produttiva (anche se solo di consumo), e privilegiando il momento negoziale in un’ottica di conservazione non solo della singola unità imprenditoriale, ma anche del singolo operatore economico, in quanto anch’esso autonoma “unità produttiva”, inserita all’interno dell’articolata rete del mercato, capace di interagire con le altre unità generando ricchezza e lavoro.
Così, in un’ottica economica (anche a voler prescindere, ma non si vede come, dai devastanti effetti personali che la situazione di sovraindebitamento produce sul singolo individuo e sul suo ambito familiare e sociale) sin dalla legge del 2012 anche il default del debitore civile, in quanto inserito all’interno del tessuto economico, viene considerato come evento potenzialmente destabilizzante, perché sottrae al mercato il suo necessario apporto. La generalizzata incapacità del singolo operatore ad adempiere (è questo il vero problema che ci occupa sin dall’inizio di questa trattazione) genera ulteriori asincronie che, espandendosi progressivamente, si ramificano all’interno del mercato in misura esponenziale.
Da questi concetti germina la necessità di gestire il fenomeno nell’interesse dello stesso debitore, dei creditori e, in ultima analisi, del mercato all’interno del quale tutte le parti operano.
A fronte dei benefici sociali ed economici a prodursi, le misure in commento non esporranno, quindi, il cessionario a un prolungato periodo di incertezza – nell’attesa dell’esercizio (o meno) dell’opzione – prima di poter considerare “stabile” l’operazione di acquisto, in quanto al massimo potranno incidere sulla “marginalità degli utili” che rimarranno in cassa all’operatore specializzato che, in ogni caso, prima di procedere ad un’operazione di acquisto dovrà tenere in debita considerazione la possibilità o l’opportunità, riconosciuta al debitore, di esercitare l’opzione per l’adempimento liberatorio nel tasso percentuale predeterminato per legge, con nessuna alea ricadente sul cessionario, vertendosi solo in un’ipotesi di due diligence di valutazione, più mirata e prudente, dell’utilità dell’operazione.
Quindi, “un po’ meno ricchi … ma sempre per legge”.
[1] Forecast 2022-2024 Banca Ifis; in tal senso cfr. anche “Securitisation Data Report Q1-Q2/ 2023” operato da Association for Financial Markets in Europe (AFME) che riporta: “Nel primo trimestre del 2023, sono stati emessi prodotti cartolarizzati per un totale di 35,9 miliardi di euro in Europa, registrando un calo del 43,9% rispetto al primo trimestre del 2022 e del 45,2% rispetto al quarto trimestre del 2022. Dei 35,9 miliardi di euro emessi, ne sono stati collocati 19,9 miliardi, che rappresentano il 55,4% del totale, in confronto al 51,2% delle emissioni nel primo trimestre del 2022 e al 17,7% delle emissioni nel quarto trimestre del 2022; Nel secondo trimestre del 2023, sono stati emessi prodotti cartolarizzati per un totale di 95,4 miliardi di euro in Europa, registrando un aumento rispetto ai 35,9 miliardi di euro nel primo trimestre del 2023 e un aumento rispetto ai 34,5 miliardi di euro nel secondo trimestre del 2022. Dati rilevati al 27 Settembre 2023.
[2] Secondo il registro tenuto dal 2017 presso Banca d’Italia, le SCV sono oltre 1300 (solo in Italia)
[3] In tal senso cfr. “Gestione e Valorizzazione degli Unlikely to pay: Aspetti Normativi, Fiscali e Operativi” a cura di Paolo Rinaldi, Giannicola Rocca – I Quaderni num.88 Febbraio 2022.
[4] In tal senso cfr. “Assetti Aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca” a cura di Stefano Ambrosini – Pacini Giuridica 2023 in cui Dino Crivellari fa un importante excursus sulla figura dei gestori interni del servicer e sul problema della loro formazione pp.386 e ss.
[5] In tal senso anche Banca d’Italia ha più volte sottolineato la necessità di dotare le società veicolo di strumenti che consentano anche a loro di offrire servizi finanziari alle imprese di cui hanno in gestione i crediti, per consentire la ristrutturazione delle inadempienze temporanee e la ripresa delle economie
[6] In ambito europeo esiste in realtà una tripartizione tra gli strumenti finanziari che possono essere emessi a seguito di una operazione di cartolarizzazione, di cui gli ABS sono solo una di queste tipologie (riconducibili al credito al consumo); le altre sono i MBS (Mortgage Backed Securities) legati ai mutui e i CDO (Collateralized Debt Obligation) che è un pacchetto di ABS o MBS.
[7] In tal senso Cfr. “The economics of securitization: evidence from the European markets” - João Pinto and Paulo Alves, 2016 in cui si evidenzia bene l’influenza nel mondo economico rappresentato dalle operazioni di cartolarizzazione.
[8] In realtà vi sono state nel mezzo altre numerose proposte di legge, poi in gran parte trasfuse nelle citate, nonché altre due proposte di legge ancora al vaglio delle commissioni: la 669 primo firmatario Ancorotti e la 4141 primo firmatario Sallemi; sul punto cfr. “Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Primi commenti” a cura di Dino Crivellari in Quaderni di ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, fascicolo 4/2022.
[9] Per una analisi critica dei testi cfr. “Crediti deteriorati, nuove proposte in Parlamento: prime osservazioni” a cura di Dino Crivellari in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17 Agosto 2023.
[10] Passo importante rispetto alla proposta 1246 portata dall’opposizione è l’esclusione dell’esercizio del diritto di opzione in caso di imprese e società. In tal senso cfr. “NPL e UTP: In parlamento ci sono diversi DDL per affrontare il fenomeno del credito deteriorato bancario” a cura di Dino Crivellari, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, ILCASO.it 17 Settembre 2023.
[11] Un recente studio promosso da “Der Spiegel” a cura di Isabella Mueller Huyen Nguyen Trang Nguyen evidenzia anche il delicato rapporto tra l’aumento delle operazioni di cartolarizzazione e le difficoltà nella transizione ecologica: “le banche possono gestire anche i rischi di transizione climatica attraverso la cartolarizzazione di prestiti a entità meno regolamentate nei mercati secondari (Mueller et al. 2022). Si ritiene che l'uso della cartolarizzazione come strumento di trasferimento del rischio potrebbe indebolire l'efficacia delle politiche climatiche bancarie, specialmente quando la cartolarizzazione consente alle banche di offrire uno sconto ambientale sui prestiti concessi a imprese ad alta intensità di carbonio. Inoltre, mentre le banche possono trasferire il rischio anche attraverso altri canali come l'uso di derivati del credito, le dimensioni dei mercati di cartolarizzazione dei prestiti alle imprese sono enormi e in rapida crescita, superando più di 1,3 trilioni di dollari in tutto il mondo nel 2019, diventando quindi un focus di indagine prioritario”.
[12] L. Panzani Doveri delle parti, in Diritto della crisi, 22 febbraio 2022.
[13] Tale obbligo consiste nella predisposizione, per l’imprenditore individuale, di generiche misure e per l’imprenditore societario negli specifici assetti idonei/adeguati alla rilevazione tempestiva dello stato di crisi – a tal fine strutturati secondo i canoni sfissati nel comma 3 per essere funzionali a recepire i segnali indicati nel comma 4 - e all’assunzioni di conseguenti idonee iniziative).
[14] Sul punto anche L. Panzani, Doveri delle parti, cit.
[15] Sulla tutela del credito v. anche la giurisprudenza della CEDU, e in particolare le decisioni 15 aprile 2014, causa Steffanetti c. Italia e CEDU, 3 settembre 2012, causa M.C. e altri c. Italia, con le quali è stato affermato che l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione tutela il diritto di credito da ogni illegittima ingerenza.
[16] S. Ambrosini, Principi generali, in Pacchi – AmbrosinI, Diritto della crisi e dell’insolvenza2, Bologna, 2022, 64.
[17] L’art. 16, co. 5, prevede che: a) L'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore e che b) in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta. La norma è stata ritenuta possibile causa di comportamenti “non collaborativi della banca in quanto” i principi affermati dal legislatore non varranno ad impedire comportamenti formalmente corretti, con cui la banca comunichi la mancanza di interesse alla trattativa. La loro violazione comporterà però la possibilità che, in caso di fallimento, la curatela possa agire nei confronti del creditore con l’azione di danni ove sia in grado di provare che il silenzio o il ritardo nella risposta ha causato quantomeno un aggravamento del dissesto. Per altro verso il dovere di rispondere alle proposte del debitore determinerà necessariamente una diversa organizzazione interna di alcuni creditori bancari e v’è da sperare che, una volta presa in considerazione la posizione del debitore, non vi siano più ragioni per perseverare in pratiche attendiste, prive di reale utilità anche per il creditore” (L. PANZANI, l doverti delle parti, cit., e Id., D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Diritto della Crisi, 25 agosto 2021.
[18]Cfr. P. Riva in “Ruolo e funzioni dell’esperto “facilitatore”, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 30 settembre 2021, Blog.ilcaso.it
[19]Così,G. Fauceglia, in Il Codice della Crisi e dell’insolvenza e le banche: qualche spunto di riflessione, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali 2/2023
[20] Cfr. G. Fauceglia, in Il nuovo Diritto della crisi e dell’insolvenza, seconda edizione, Giappichelli, 2021
[21]Per un orientamento della giurisprudenza che ha riconosciuto la legittimazione del curatore a far valere la responsabilità di terzi per fatti anteriori e colpevolmente causativi dello stato di insolvenza si veda Cass. Civ. 15 giugno 2020 n. 11596 in www.jusexplorer.it
[22]Così M. Monteleone, in Gli Organi nel vigente codice della Crisi di Impresa, Milano, Wolters Kluvert, 2023
[23] Così C. M. Bianca, Diritto Civile. L’obbligazione, 4, Milano, Giuffrè, 1993, 86 ss.
[24] A.A.Dasso, Derecho Concorsual Comparado
[25] S. Pacchi in Il concordato semplificato: un epilogo ragionevole della composizione negoziata, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it del 23 ottobre 2023
[26]Così, per una puntuale e analitica ricostruzione E. Fabbiani “Ipotesi di riforma della cessione di credito e opportunità per il Terzo Settore” in www.dirittobancario.it, 4 novembre 2021
[27]Cfr. M. Monteleone, op. cit.
[28] E. Fabbiani, op. cit.
[29] Così T. D’Avenio in Crediti deteriorati ad un bivio, tra economia e diritto vivente. Focus: preteso difetto di legittimazione e di titolarità del credito in capo al cessionario, in www.officiumnpl.com, 17 aprile 2023
[30] Così T. D’Avenio, op cit.
[31] E. Fabbiani, cit.
[32] E. Fabbiani, op.cit.
[33] Così S. Pacchi, La gestione sostenibile della Crisi di Impresa, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 settembre 2022
[34] Cfr. S. Pacchi op. cit.
[35] Rimando alle belle pagine di S. Pacchi in Il concordato semplificato: un epilogo ragionevole della composizione negoziata, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it del 23 ottobre 2023
[36] Così P. Messina in La proposta di legge nr. 843 e l’effetto distorsivo sul mercato italiano degli NPLs, in wwwdirittobancario.it, 8 settembre 2023;
[37] per una disamina approfondita A. Farolfi “Il nuovo codice della crisi e l'esdebitazione” in www.giustiziacivile.it n. 10/2022, 18 ottobre 2022.
[38] L’art. 160 l.fall., come modificato, con effetto dal 17 marzo 2005 dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in Legge con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, recitava che: “l’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, …”