, 06 dicembre 2023, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1-. Premessa: la nozione di gruppo e di direzione unitaria nel codice civile; 2-. Controllo e attività di direzione e coordinamento nel codice civile: l’art. 2497 c.c.; 3-. Gruppo e direzione unitaria nel nuovo codice della crisi; 4-. Impresa “di gruppo” e direzione unitaria tra codice civile e codice della crisi d’impresa.
1-. Premessa: la nozione di gruppo e di direzione unitaria nel codice civile
Come noto, il codice civile non definisce la nozione di “gruppo”, che si presenta all’interprete come eterogenea e variegata, essendo frammentata (e dispersa) in una pluralità di discipline, con significati, ambiti applicativi e funzionali differenti, difficilmente riconducibili a unità[1]. In questa luce, quella di gruppo – com’è stato efficacemente osservato – è nozione che potrebbe qualificarsi come “relazionale” o “funzionale” (Zweckbegriff), nel senso che va appunto ricostruita in relazione alla (e in funzione della) “classe di interessi che nella specie si vogliono tutelare”[2], nelle diverse discipline in cui essa è postulata come “fattispecie” [3].
Ad ogni buon conto, le varie discipline in cui è dato ritrovare la nozione di gruppo si rifanno per lo più, sia pur con specifiche addizioni e variazioni, a quella di base ricavabile dal codice civile e dal diritto societario comune che, almeno a certi fini, appare costruita intorno alla nozione di “controllo” [4], che il legislatore si cura invece di definire in via diretta (art. 2359 c.c.). Infatti, è proprio dall’accertamento di una situazione di “controllo”[5] che si inferisce, almeno per solito e per “derivazione”, la sussistenza della fattispecie “gruppo” (per come rilevante nel contesto normativo di riferimento)[6].
Secondo altra tesi, che ha trovato nella riforma del 2003 almeno un’indiretta conferma, la nozione di gruppo postulerebbe invece la diversa (e più intensa) relazione della “direzione e coordinamento”[7]; e se questa è la nozione adottata, sul piano del diritto positivo, dalla disciplina riformata del Capo IX del codice civile (artt. 2497 e ss.), deve aggiungersi che la stessa impostazione (di ricavare cioè la nozione di “gruppo” da quella di “direzione unitaria”, indipendentemente da una relazione di controllo ex art. 2359 c.c.), è stata di recente seguita dal legislatore anche ai fini, si vedrà, delle definizioni dettate nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.
2-. Controllo e attività di direzione e coordinamento nel codice civile: l’art. 2497 c.c.
Si ricorderà che il legislatore delegante del 2001 aveva chiesto al Governo di prevedere, ai fini della riforma complessiva del diritto societario, “una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza, tale da assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemper[asse] adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime”[8]. Nella Relazione tecnica al decreto legislativo il Governo ha spiegato di aver scientemente deciso di regolare unicamente l’aspetto, ritenuto centrale, della responsabilità della controllante nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata, senza introdurre invece una disciplina preventiva, volta a regolare in via normativa le modalità di formazione, di organizzazione e di funzionamento del gruppo.
Si è scelta così la strada – che certo lascia aperte molte questioni[9] – di intervenire solo ex post, al fine di garantire una tutela (successiva e di carattere risarcitorio) al verificarsi di un’altra fattispecie tipica, quella cioè di non corretto esercizio dell’attività di “direzione e coordinamento”[10].
Nel diritto societario comune l’attività di direzione e coordinamento è dunque espressamente riconosciuta come legittima[11], e risulta anzi in alcuni casi persino doverosa (almeno secondo alcuni, ad esempio quanto alla preventiva istituzione di assetti organizzativi “adeguati” per l’impresa di gruppo[12]), ma rileva “in negativo”, in quanto la relativa disciplina codicistica si limita in definitiva a individuarne le conseguenze sul piano patologico[13], al fine cioè di stabilire la responsabilità delle “società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime” (art. 2497 c.c.)[14].
Com’è stato notato, la disposizione in parola postula invero anche il concetto di “attività di direzione e coordinamento”, che non viene definito dalla norma; nondimeno, un insieme di disposizioni contenute nella (pur scarna) disciplina consente di individuarne, in via ricostruttiva, i principali connotati qualitativi. In estrema sintesi: i) il principio di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” (art. 2497 c.c.); ii) la prescrizione di adeguate forme di pubblicità in merito all’esistenza di una situazione di direzione e coordinamento (art. 2497-bis c.c.), che impongono anche all’amministratore della società eterodiretta di indicare – nella relazione sulla gestione – i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati; iii) l’obbligo di postergazione del rimborso dei finanziamenti concessi dalla eterodirigente alla eterodiretta rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali della seconda (art. 2497-quinquies c.c.) [15].
È bene precisare che i concetti di controllo e di attività di direzione e coordinamento sono normalmente contigui e connessi, ma non sempre coincidenti (lo si desume oggi, per tabulas, dall’art. 2497-septies c.c.[16]). Almeno nel codice civile e nel diritto societario comune le due nozioni restano dunque autonome e concettualmente distinte: vi può essere infatti una situazione di controllo senza esercizio di un’attività di direzione e coordinamento[17]; e al contrario può darsi l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento senza che ricorrano (almeno propriamente) gli elementi qualificanti del “controllo” ex art. 2359 c.c.[18]. Ciononostante, ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c. “si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente […] che […] le controlla ai sensi dell’articolo 2359”[19].
Benché “la prova contraria presenti […] cospicui margini di ambiguità” e sia nella pratica tutt’altro che agevole[20], dovendosi dare “in negativo”, la giurisprudenza di merito mostra una certa propensione a vagliare le circostanze di fatto, ritenendo che sussista direzione e coordinamento “solo in presenza di un accentramento nella capogruppo delle funzioni gestorie fondamentali, inerenti alla società controllata, in grado di imporre l’unità dell’indirizzo amministrativo-gestionale attraverso l’esercizio di un’influenza dominante”.Al riguardo si è altresì precisato che l’attività di direzione e coordinamento postula l’esercizio di “una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali”[21].
Si noti peraltro che il mancato accertamento di una situazione di direzione e coordinamento secondo i criteri appena ricordati non fa venir meno, in ogni caso, la rilevanza del gruppo ai fini del consolidamento dei conti, né della relazione di controllo, ove sussistente, ai fini dell’applicazione di altre discipline[22].
Nel diritto societario “comune” può inoltre verificarsi, come detto, anche l’ipotesi in cui una società (o, secondo almeno una parte della dottrina, anche una persona fisica[23]) eserciti l’attività di direzione e coordinamento su basi esclusivamente contrattuali, senza detenere il controllo della società eterodiretta (almeno ai sensi della nozione comune dettata dall’art. 2359 c.c.)[24]. Secondo la dottrina prevalente, il contratto di dominio di natura cd. “forte”[25] non sarebbe però ammesso nel nostro ordinamento[26], mentre potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui, in virtù di un contratto di dominio cd. “debole” (o “di collegamento”)[27], un soggetto esterno al capitale, in forza di uno specifico accordo contrattuale[28], possa legittimamente esercitare un’attività di direzione e coordinamento: ciò purché non sia pregiudicata l’autonomia gestoria degli amministratori delle singole società eterodirette[29] e l’attività di direzione resti improntata, in senso sostanziale, al rispetto delle regole di buona fede e di “corretta gestione societaria e imprenditoriale”[30].
3-. Gruppo e direzione unitaria nel nuovo codice della crisi
Colmando quella che era considerata una grave lacuna dell’ordinamento concorsuale[31], il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza reca oggi una disciplina generale sulla regolazione della crisi o insolvenza del gruppo (Titolo VI, artt. 284 ss.) e sulla gestione della crisi di imprese appartenenti a un gruppo (art. 289)[32], che viene poi integrata da altre disposizioni, dettate in relazione a singoli istituti (in particolare quanto alla composizione negoziata)[33].
A questi fini, esso detta innanzitutto una definizione normativa di “gruppo di imprese” (art. 2, comma 1, lett. h del nuovo codice) che, come si è anticipato, viene in questo caso ricavata da quella di direzione e coordinamento[34] (come “l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545 septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”); si aggiunge altresì che, a tal fine, “si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure dalla società o ente che le controlla, direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto”.
Il nuovo codice della crisi consente dunque, in modo innovativo rispetto al passato, che una situazione di “crisi di gruppo” possa essere affrontata con uno strumento unitario e nell’ambito di un unico procedimento di regolazione, quale momento di naturale estrinsecazione dell’attività di direzione e coordinamento[35] e quando ciò appaia conveniente nell’interesse dei creditori, dell’economicità di gestione della procedura e della stessa impresa di gruppo in crisi, pur nel (tendenziale, si vedrà) rispetto del principio di separazione delle masse patrimoniali[36].
Si stabilisce inoltre che ciò possa avvenire, anche per l’impresa “di gruppo”, attraverso la scelta dello strumento di regolazione che appaia più opportuno ai fini della conservazione della continuità aziendale[37] (anche parziale, se del caso), tra i vari all’uopo predisposti dal codice[38] e di intensità variabile, quanto al rapporto tra negozialità e giurisdizione[39] (la preminenza accordata, nel nuovo diritto concorsuale riformato, alla continuità aziendale dell’impresa in crisi e alla salvaguardia, ove possibile, della sua capacità e organizzazione produttiva, in tutti i casi in cui il “risanamento” appaia obiettivo ragionevolmente perseguibile, è peraltro particolarmente evidente nell’istituto della composizione negoziata[40]).
Al contempo, si prevede altresì che l’appartenenza di un’impresa in crisi a un gruppo, anche quando non sia scelta la strada dalla regolazione unitaria “di gruppo”, costituisca in ogni caso elemento di necessaria evidenza, ai fini della più corretta e trasparente gestione della sua vicenda di crisi, a beneficio dei suoi creditori e degli organi preposti alla sua regolazione[41].
Per quanto qui più interessa, e rinviando per profili di maggior dettaglio agli studi richiamati in nota, mette conto almeno di evidenziare che la disciplina della crisi di gruppo recata dal nuovo codice della crisi risulta innanzitutto costruita – anche in termini classificatori e definitori – in senso oggettivo e con espresso riferimento all’impresa (“di gruppo” o “appartenente ad un gruppo”), e non, invece, in punto di relazioni “tra società”, come avviene per le nozioni di controllo e di direzione unitaria nel codice civile[42].
In secondo luogo, l’individuazione della “direzione unitaria” quale presupposto della fattispecie “gruppo”, in continuità con quanto stabilito dall’art. 2497 c.c. (ai fini dell’applicazione di uno strumento di regolazione della crisi che ad esso dia adeguata e opportuna evidenzia), sembra in questo caso giustificarsi anche in considerazione del fatto che poco senso avrebbe la trattazione unitaria della situazione di crisi “di gruppo” se non vi fosse a monte una “cabina di regia unica” che la governasse e con cui gli organi della procedura potessero utilmente confrontarsi.
In terzo luogo vale la pena di evidenziare, in un senso ancor più ampio, che ai fini della gestione della crisi – di gruppo e non – vengono enfatizzate (in modo talora criticabile) le competenze dell’organo gestorio, anche ai fini dell’assunzione di deliberazioni che, nel diritto societario comune, sarebbero (e invero nel codice civile sono) riservate alla competenza assembleare[43].
In quarto luogo, la nozione di gruppo dettata dal nuovo codice della crisi differisce da quella dell’art. 2497 c.c. anche perché essa espressamente contempla il caso di direzione e coordinamento esercitato da una persona fisica[44] e dà espressa rilevanza anche alla situazione di “controllo congiunto”[45].
4-. Impresa “di gruppo” e direzione unitaria tra codice civile e codice della crisi d’impresa
La definizione di gruppo “di imprese” (e, per derivazione, di impresa “di gruppo”) recata dal nuovo codice della crisi insieme con la previsione di strumenti di regolazione unitaria della sua crisi sembra assumere, anche in virtù dei rinnovati profili funzionali della disciplina (in particolare dopo il recepimento della Direttiva Insolvency[46]), una rilevanza più ampia per l’interprete: innanzitutto, come si vedrà, in punto di qualificazione e contenuti dell’attività di direzione unitaria.
Sotto altro profilo, può osservarsi ancora che le definizioni normative (di impresa di gruppo e di direzione unitaria sul gruppo) adottate dal legislatore ai fini del codice della crisi sembrano avvalorare ulteriormente le ricostruzioni di vertice in chiave “oggettiva” della disciplina generale sull’impresa del codice civile (all’apice delle quali si colloca l’attività esercitata, in sé considerata, piuttosto che il soggetto che la eserciti), che sembrano pertanto farsi preferire – anche quale categoria “epistemologica”[47] – allo schema logico-formale “a soggetto”, che pure il codice civile sembra, come noto, delineare al riguardo[48].
Vale poi ancora la pena di osservare che nel nuovo codice della crisi – così come avviene del resto nell’ordinamento bancario e nel diritto antitrust[49] – l’attività di direzione e coordinamento è apprezzata quale momento del tutto connaturale e funzionale alla gestione unitaria dell’impresa di gruppo ed è, come tale, priva (in sé) di qualunque valenza critica o patologica, tanto da essere al contrario considerata, almeno a certi fini, fors’anche “doverosa”, almeno tutte le volte in cui vi sia un’attività d’impresa da conservare e risanare, nella logica della continuità aziendale, a beneficio degli stessi creditori[50].
Ciò risulta forse ancor più evidente ove si consideri – come fa in modo assai chiaro anche Stefania Pacchi (in particolare in punto di controlli interni alla procedura di regolazione della crisi d’impresa) – che il nuovo orientamento del diritto concorsuale recato dal codice e dalla Direttiva porta verso “una disciplina dell’impresa in procedura per la quale la conservazione degli skills impone la permanenza dell’imprenditore alla guida. Nel contempo la disciplina degli effetti della procedura per l’imprenditore si allontana dall’imposizione originaria dello spossessamento”, posto che “oggi la tutela dei creditori passa sempre meno dal pagamento di una somma di denaro e sempre più dalla conservazione dei rapporti commerciali” [51].
Se questo è vero (e a me pare che lo sia), ne discende come logico corollario che l’esercizio della direzione unitaria non debba affatto cessare con il manifestarsi della situazione di crisi e che, al contrario, esso risulti utile e opportuno – quando non anche necessario[52] – in funzione del suo superamento, innanzitutto ai fini della scelta dello strumento e della forma di regolazione della crisi ritenuta nel caso di specie più opportuna; e, in secondo momento, per l’assunzione di decisioni e il compimento degli atti ritenuti all’uopo utili (o anche necessari) e che ne estrinsecano l’esercizio.
Ne offre nitida riprova Piergaetano Marchetti[53], evidenziando che la gestione unitaria della situazione di crisi (del gruppo o nel gruppo) ben potrebbe essere funzionale al suo più opportuno superamento e all’attuazione di un programma di complessivo risanamento aziendale che possa essere meglio perseguito attivando (ovvero rafforzando), a livello organizzativo, una direzione unitaria di gruppo prima non sussistente (o non particolarmente intensa); così com’è ipotizzabile, al contrario, che si ritenga più opportuno seguire una direzione (almeno apparentemente) opposta, che tenda cioè a ridimensionare la geometria e il perimetro del gruppo in crisi (ad esempio tramite operazioni di scissione, fusione, cessione, conferimento e persino scioglimento), ovvero ad affrontarne i problemi di fondo mediante altre operazioni straordinarie e di riorganizzazione dell’attività d’impresa sin lì esercitata[54] (si tratterebbe comunque, in tutti i casi, di decisioni di direzione unitaria del gruppo, assunte a livello apicale e funzionali al superamento della sua crisi). Peraltro (com’è stato già correttamente evidenziato), innovando sul punto rispetto alla disciplina previgente, il codice della crisi ammette oggi espressamente la possibilità di trasferimenti di risorse infragruppo proprio nell’ambito di simili operazioni di riorganizzazione del gruppo e dell’attività d’impresa da questo esercitata, laddove necessarie a preservare la continuità aziendale (art. 285, secondo comma, in riferimento a concordati, accordi di ristrutturazione e piani attestati di risanamento di gruppo)[55].
Alla luce di tali (innovativi e incontrovertibili) elementi normativi, sembra doversi superare la concezione “riduttivistica” (e in chiave tendenzialmente patologica) della direzione unitaria dell’impresa di gruppo[56]. Infatti, alla luce di linee evolutive chiaramente apprezzabili nell’ordinamento nazionale ed euro-unitario (e non solo in ambito concorsuale[57]), nonché in ragione del dato empirico (già ricordato da Montalenti[58] e che la storia successiva ha ampiamente confermato) secondo cui il gruppo è la scelta organizzativa tipica e di maggior successo pressoché univocamente adottata, a livello internazionale (e anche in Italia), per la grande (e anche solo medio-grande) impresa azionaria, siano da superare in via definitiva le concezioni con cui troppe volte si è guardato all’attività di direzione e coordinamento in un’ottica limitativa o riduttivistica[59], evidenziandone solo i potenziali pericoli; che sia ormai tempo di considerarla, invece, connaturale al fenomeno considerato[60], accettando che, in quanto tale, essa possa quindi fisiologicamente esercitarsi – nel rispetto formale e sostanziale dei presidi normativi che l’assistono[61] – in modo utile ed efficiente, anche al fine di superare una situazione di crisi che mini in tutto o in parte la continuità aziendale, nell’interesse dell’impresa di gruppo (unitariamente considerata) nonché nell’interesse delle varie società che ne fanno parte e dei loro azionisti di minoranza e creditori particolari[62] e ferma restando la possibilità di attivare gli opportuni rimedi, tutele e responsabilità[63] quando tali presidi siano stati, invece, violati e la direzione unitaria distrugga (o distragga) ricchezza[64], invece che produrla, a beneficio di tutti i portatori di interessi coinvolti[65].
Al di là dei possibili “abusi” (che sono certamente da reprimere), sembra difficilmente revocabile in dubbio (anche sulla scorta di quanto ampiamente studiato dalla scienza aziendalistica[66]) che, oltre al beneficio giuridico della segmentazione dell’attività con la conservazione del privilegio della limitazione di responsabilità per ciascuno dei settori societarizzati[67] e della (consentita) scissione tra proprietà e controllo dell’impresa (che ne aumenta le opportunità di finanziamento, di espansione e crescita)[68], l’organizzazione “di gruppo” possa essere – almeno in tesi e tutte le volte in cui il controllo sia effettivamente contendibile sul mercato[69] – un sistema di governo di gran lunga più efficiente di quello che replichi, per intero, ciascuna delle funzioni aziendali dell’impresa di gruppo atomisticamente, in ciascuna delle società che lo compongono, con gestione separata dei flussi economici e finanziari (si pensi ad es. alle importanti efficienze operative generabili dalla gestione accentrata – almeno sotto il profilo “direzionale” – della funzione amministrativa e contabile, di quella finanziaria e di tesoreria, di quella legale, di compliance e di internal audit, di ricerca e sviluppo, di acquisti e approvvigionamenti, pubblicitaria, commerciale, di relazioni industriali e istituzionali, ecc.).
Sotto altro profilo, è pure innegabile che la gestione centralizzata di queste funzioni aziendali è in grado di arricchire enormemente il patrimonio informativo e conoscitivo a disposizione dell’impresa, consentendo così la riduzione dei costi organizzativi e di transazione e il conseguimento di condizioni (ad esempio nell’acquisto di beni e servizi) e risultati (ad esempio in termini di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e materiali o di forza e notorietà del marchio) certamente migliori di quelli ottenibili da ciascuna società singolarmente.
Ciò appare peraltro utile e desiderabile anche in una logica di benessere complessivo e collettivo e richiede, semmai, un controllo di altro tipo, onde fugare i pericoli connessi all’eccessiva concentrazione di potere privato, che tipicamente finiscono per essere associati ad imprese che assumono dimensioni particolarmente rilevanti[70].
A parte ciò, il vero tema, allora, non è l’efficienza della direzione unitaria dell’impresa di gruppo (che andrà semmai calibrata opportunamente – e poi nel tempo dinamicamente valutata – in funzione delle caratteristiche specifiche della singola impresa, dell’attività svolta e dei mercati in cui essa opera, anche ai fini della regolazione di eventuali vicende di crisi), ma quello dei suoi possibili “abusi”, in senso patologico (che l’analisi economica definisce in termini di estrazione di benefici impropri): il che porta al – diverso, ma correlato – problema dell’adeguatezza e dell’effettiva efficacia e deterrenza delle tutele apprestate dall’ordinamento e degliorientamenti più opportuni da adottare, a questo scopo[71], ad esempio nella valutazione dell’interesse “di gruppo” (in relazione a quello delle singole società che ne fanno parte) e nella corretta misurazione e allocazione dei vantaggi compensativi[72], anche quanto al programma di risanamento e di salvaguardia della continuità aziendale, in caso di crisi[73].
Al riguardo pare pienamente condivisibile la linea interpretativa, seguita anche dalla giurisprudenza, secondo la quale, se l’attività di direzione e coordinamento deve considerarsi pienamente legittima (ove esercitata nel rispetto dei vincoli di legge), ciò non significa affatto che gli amministratori delle società eterodirette siano anche giuridicamente obbligati a seguire le indicazioni ricevute quand’esse danneggino la società cui sono preposti, essendo al contrario tenuti piuttosto a ricercare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco secondo la prospettiva propria della società direttamente amministrata. Con la precisazione che un tale equilibrio non può sindacarsi in relazione al compimento di un singolo atto, postulando piuttosto la valutazione “degli esiti complessivi per la società eterodiretta e per i suoi soci e creditori dell’attività di direzione e coordinamento[74]” (di attività, non a caso, si tratta) e che la ricerca del corretto bilanciamento tra le diverse istanze può generare una (anche vivace) dialettica interna, nella quale spesso i soci di minoranza e gli organi di controllo della società eterodiretta diventano i principali “alleati” dei suoi amministratori. Il che è ancor più vero al cospetto della situazione di crisi.
In questa luce, a vent’anni di distanza, si apprezza forse meglio la saggezza della scelta legislativa, compiuta nella riforma del 2003, di limitare la disciplina codicistica “del gruppo” di diritto comune appunto alla repressione delle (certo sempre possibili) “patologie”, lasciando in tal modo massima flessibilità alle scelte di costruzione, organizzazione, finanziamento e gestione operativa e strategica dell’impresa di gruppo, anche in ragione della necessità di adeguarne dinamicamente i termini in funzione delle variazioni volta a volta riscontrabili nei vari mercati e sostrati economici, finanziari e industriali di riferimento, nonché nelle complesse dinamiche competitive che li connotano. Tale scelta appare invero congrua all’interesse di consentire, attraverso un’organizzazione flessibile e dinamica dell’impresa di gruppo e l’esercizio dell’attività di direzione unitaria a livello apicale, la massimizzazione dei guadagni di efficienza e il conseguimento di economie di scala, di scopo e di coordinamento non ottenibili (nello stesso modo e a livello atomistico) dalle singole società che ne fanno parte, anche quando occorra fronteggiare e superare una situazione di crisi che minacci la continuità aziendale.
Ciò richiede però, in primo luogo, che sia data piena e rigorosa attuazione all’obbligo – posto oggi anche quale principio normativo primo di organizzazione dell’impresa esercitata in forma collettiva o societaria: art. 2086, comma 2 c.c.[75] – di predisporre (e poi di mantenere nel tempo), innanzitutto a livello di gruppo, “assetti organizzativi adeguati” alla dimensione e consistenza dell’attività d’impresa così esercitata[76], “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita di continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”, secondo quanto perspicuamente dispone al riguardo la disposizione appena richiamata, certamente applicabile anche all’impresa di gruppo.
La lettura “a sistema” di tale disposizione, chiaramente orientata al risanamento e alla tutela della continuità aziendale, con le varie discipline di regolazione della crisi di gruppo (e dell’impresa di gruppo) contestualmente introdotte dal nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, sembra avvalorare ulteriormente la conclusione sopra proposta, che vede l’esercizio della direzione unitaria quale momento chiave e connaturale di gestione unitaria del gruppo, quanto mai rilevante e cruciale proprio al cospetto di una situazione di crisi e in funzione del suo superamento.
* Il presente contributo è destinato, con alcune modifiche e integrazioni, a un volume collettaneo (editrice Zanichelli), nonché a essere sottoposto per la pubblicazione alla Direzione della rivista Diritto fallimentare e delle società commerciali.
[1] Così, già a livello manualistico, ad es., Jaeger - Denozza, Appunti di diritto commerciale. Vol. I, Impresa e società, II ed., Milano, 1992, 309 (e ora Jaeger - Denozza - Toffoletto, Appunti di diritto commerciale. Vol. I, Impresa e società, VIII ed., 2010, 337 ss.) o anche Jaeger, Considerazioni parasistematiche sui controlli e sui gruppi, in Giur. comm., 1994, I, 484.
[2] Così, in particolare, Libonati, Holding e investment trust, Milano, 1959, 151; nello stesso senso P. Marchetti, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, 1 e, da ultimo, Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, Pisa, 2023, 19.
[3] Si pensi ad esempio, in questo senso, alla prima definizione normativa di gruppo, ossia quella di “gruppo insolvente”, delineata ai fini dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi dalla legge 95 del ’79, su cui v. ancora, per tutti, Libonati, Il gruppo insolvente, Firenze, 1981 (ora in Opere monografiche, vol. II, Milano, 2017, 199 ss., da cui le citazioni che seguono sono state tratte).
[4] Cfr. ancora Jaeger - Denozza, Appunti di diritto commerciale, cit., ibidem; si veda anche, più diffusamente, Lamandini, Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, 1995 (in partic. 245 ss.).
[5] Il termine viene qui utilizzato in senso puramente atecnico e descrittivo, senza voler entrare nel dibattito dottrinale, pur acceso, sulla configurabilità del controllo in termini di “concetto” o di “tipo”; per i diversi orientamenti v. in particolare Lamandini, Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, cit., 54 ss.; Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, 457; Notari, La nozione di «controllo» nella disciplina antitrust, Milano, 1996 (in partic. 149 ss.); Cariello, Controllo congiunto e accordi parasociali, Milano, 1997 (in riferimento al tema qui specificamente indagato 185 ss.); Lamandini, Art. 2359 cod. civ. (commento a), in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa e Portale, tomo I, Milano, 2016, 751.
[6] Si afferma comunemente che “gruppo” è l’insieme di imprese, o società, sottoposto ad un unico centro di controllo. Questa è la definizione offerta anche a livello manualistico (oltre alla citazione che precede, nello stesso senso v. in particolare Libonati, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, 296, ove anche un’elencazione, non esaustiva, di diverse discipline che alla nozione di “gruppo” sono per diversi profili riconnesse, anche nel diritto societario comune). Dalla sussistenza del controllo può variamente ricavarsi, a cascata, la sussistenza del fenomeno “gruppo”.
[7] Per questa tesi, sempre a livello manualistico, v. ad es. G. F. Campobasso, Diritto Commerciale, Vol. 2, Diritto delle società, X ed., Torino, 2020, 288 .
[8] Art. 10, lett. a) legge n. 366/2001.
[9] La cui analisi travalica i limiti della presente indagine: per qualche riflessione in merito piace tuttavia richiamare in particolare G. Minervini, La capogruppo e il “governo” del gruppo, in I gruppi di società. Atti del convegno internazionale di studi. Venezia, 16-17- 18 novembre 1995, a cura di Balzarini, Carcano e Mucciarelli, Vol. II, Milano, 1996, 1565 ss., ove anche ampie testimonianze del dibattito dottrinale svoltosi su questi temi prima della riforma del 2003.
[10] Per maggiori dettagli, anche sulle scelte politiche della riforma in tema di gruppi, si vedano, tra gli altri, Angelici, Introduzione alla riforma delle società di capitali, in Liber Amicorum G.F. Campobasso, I, Torino, 2006, 5 ss. e G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Riv. dir. priv., 2011, 517 ss.; entrambi rimarcano (a mio avviso correttamente) che la norma del 2497 c.c. detti in definitiva una disciplina della direzione e coordinamento come attività.
[11] Per questo significato da ascrivere alla disciplina, anche nel senso di riconoscere la legittimità di un “potere gestorio a carattere discrezionale”, come tale “insindacabile nel merito”, almeno fino a quando i princìpi di corretta gestione “societaria e imprenditoriale” non siano stati violati v. in particolare G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, cit., 533 (la quale aveva peraltro sostenuto la legittimità dell’esercizio di una direzione unitaria anche nell’assetto anteriore alla riforma del diritto societario, in Autonomia e coordinamento nella disciplina dei gruppi di società, Torino, 1996); contra, e in senso fortemente limitativo, v. invece Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 65.
[12] Così, in particolare, P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, in Riv. soc., 2022, 1412 ss. (ivi, 1415), che richiama, tra gli altri, Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, ivi, 1149 ss..e Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, ivi, 1330 ss. (ma sul punto v. meglio infra).
[13] Lo rileva, da ultimo, anche Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit. 57.
[14] Così ad es. Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, in Diritto ed Economia dell’Impresa, n. 5/2016, p. 76 ss. (in partic. par. 4); v. anche Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, I, 661 ss.. Sulla possibilità di individuare un interesse della società, non riducibile a quello (o quelli) del gruppo dei soci di controllo, v. ad es. Libertini, Un commento a Francesco Denozza in tema di contratto, impresa e società. In difesa dello “istituzionalismo debole”, in Giur. comm., 2014, I, 669 ss. (e ora anche nel bel volume Passato e presente del diritto commerciale, Torino, 2023, 419 ss.).
[15] Sul punto v. in particolare ancora G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, cit. (specie 530 ss.); Angelici, Noterelle quasi metodologiche in materia di gruppi di società, in Riv. dir. comm., 2013, I, 377 ss..; L.A. Bianchi, Problemi in materia di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, in Riv. Soc., 2013, 420 ss.; Montalenti, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giur. comm., 2016, I, 111 ss..
[16] Cfr. ad es. ancora Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, cit. (in partic. par. 7). V. anche infra su questo.
[17] Ad esempio perché tale attività viene esercitata solo dalla holding posta al vertice della piramide societaria che costituisce il gruppo, pur in assenza di una situazione di controllo rilevante ai fini dell’art. 2359 c.c. ovvero perché il controllo (pur detenuto secondo le fattispecie previste dall’art. 2359 c.c.) non si manifesta anche in un’attività continuativa di direzione e coordinamento delle società del gruppo, secondo un indirizzo unitario, verticisticamente definito (ad esempio perché il socio di controllo non intenda - o non abbia interesse a - esercitare la direzione unitaria sulle attività delle società controllate). Sul punto si veda anche quanto argomentato da Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, cit., 983 ss. e Rondinone, I gruppi di imprese fra diritto comune e diritto speciale, Milano, 1999 (in 122 ss. e 355 ss.), secondo il quale l’attività di direzione e coordinamento richiede comunque un quid pluris rispetto al (semplice) controllo; tesi ampiamente condivisa e ripresa ora in Id, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 23 ss..
[18] Nell’esempio appena formulato, si pensi ad esempio alla posizione della holding rispetto a una società del gruppo che venga stabilmente coordinata nella sua attività attraverso atti di indirizzo provenienti a cascata da una serie di altre società, sottoposte a controllo solo esterno e di fatto, o anche alla fattispecie disciplinata dall’art. 2497-septies c.c., ossia di un contratto avente ad oggetto la direzione e coordinamento, anche in assenza di un rapporto di controllo societario. Per la riconduzione del rapporto di direzione e coordinamento nell’ambito contrattuale e per le implicazioni che ne derivano sul piano normativo e disciplinare v. ancora in particolare Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, cit., ivi; in senso contrario, per la tesi cioè che si tratti di un “fatto” e della conseguenza dell’esercizio di un “potere”, di cui occorra apprezzare e disciplinare opportunamente le conseguenze sul piano normativo, v. invece ad es. Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, 2^ ed., Padova, 2006 e, sotto diversa angolazione, Lamandini, Il gruppo bancario alla luce delle recenti riforme, in Banca Borsa Tit. Cred., 2016, 665 ss..
[19] In argomento, cfr. Galgano - Sbisà, Direzione e coordinamento di società. Art. 2497-2497 septies, Bologna, II ed., 2014, 61 ss.; Guizzi, Eterodirezione dell’attività sociale e responsabilità per mala gestio nel nuovo diritto dei gruppi, in Riv. dir. comm., 2003, I, 439 ss.; Casadei, Gruppi di società nel codice civile, in Digesto comm., IV, Torino, 2008; L.A. Bianchi, Problemi in materia di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, in Riv. Soc., 2013, 420 ss. Secondo Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, ord. 20 dicembre 2013, in Riv dir. comm., 2015, II, 335, la finalità dell’art. 2497 c.c. è ampliare l’area di responsabilità dell’ente dirigente verso soggetti e rispetto a posizioni giuridiche che prima non potevano attingerla.
[20] Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento cit., 993 ss..
[21] Tribunale di Torino, Sez. I, 16 febbraio 2015, cit., ove il richiamo a Trib. Pescara, 2 febbraio 2009, in Foro It., 2009, I, 2829 (citata anche da Sbisà, Controllo contrattuale esterno, direzione unitaria e abuso di dipendenza economica, cit. 822 e da Barbara,Covenants e “fattispecie aggregative”. Contributo alla teoria del controllo e del collegamento “esterni”, cit., 216). In termini, anche Tribunale di Milano, Sez. spec. imprese, 28 gennaio 2015, in OneLegale, in cui è stata rilevata “la carenza di specifica dimostrazione circa la ricorrenza di un preciso nesso causale tra specifiche condotte dei singoli convenuti […] e l’andamento negativo delle controllate riferibili all’attore”, nonché Tribunale di Catania, 26 febbraio 2015, in Società, 2016, 73 secondo cui, in mancanza di uno specifico potere contrattuale della parte dirigente di imporre le proprie decisioni, le condotte della parte asseritamente eterodiretta devono ricondursi alla libera strategia imprenditoriale di quest’ultima e gli effetti di tali scelte non possono in alcun caso imputarsi ad altri.
[22] Ad esempio per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni della controllante, secondo le previsioni di cui agli articoli 2359-bis c.c. e ss..
[23] Per questa tesi (che pare condivisibile) e per la sua giustificazione v. ad es. G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, cit., 545 ss..
[24] Si pensi ad es. proprio al caso di un’attività di direzione e coordinamento esercitata da una persona fisica che detenga la partecipazione di maggior rilievo in una società posta al vertice di una piramide societaria, attraverso la quale “controlli” solo indirettamente una o più società a valle, anche senza detenerne azioni; ovvero alla direzione e coordinamento esercitata su basi solo contrattuali (su cui v. ad es. ancora Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 34 ss..
[25] Ossia il contratto che, per suo stesso oggetto, attribuisca un’incondizionata influenza dominante al soggetto cui viene delegata la direzione e il coordinamento, anche in assenza di qualsivoglia partecipazione o relazione commerciale.
[26] Così, ad es., Cariello, Commento art. 2497-sexies, in Alpa, Mariconda (a cura di), Commentario civile, Milano, 2005, 1840; in senso diverso v. invece Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, cit. (in partic. le conclusioni).
[27] Tombari, Il gruppo di società, Torino, 1997, 279.
[28] E tuttavia non sarebbe agevole, in tal caso, distinguere la relazione societaria determinata dal contratto di dominio da quella rilevante ai fini del “controllo esterno” ex art. 2359, comma 1, n. 3 c.c..
[29] Per il gruppo “orizzontale paritetico” si veda l’art. 2497-septies c.c., nonché, per il gruppo “cooperativo paritetico”, l’art. 2545-septies c.c..
[30] Sul punto, anche per la valorizzazione del binomio, v. in particolare G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, cit., 527 ss.; per una rilettura d’insieme della disciplina e delle prassi applicative a vent’anni dalla riforma v. ora Angelici, Direzione e coordinamento: casi e questioni, in Giur. comm., 2022, I, 951 ss..
[31] Autorevolmente stigmatizzata ad es. da A. Nigro, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali, Scritti in ricordo di M. Sandulli, Torino, 2019, 492 ss. (ivi 501).
[32] Le due fattispecie sono ben distinte da Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., in partic. 165 ss., che finisce però per offrirne un’interpretazione a mio avviso “riduttivistica”, per piegare le nuove disposizioni alla lettura parimenti limitativa della direzione unitaria da codice civile; pur rilevando la possibile frizione tra i due corpi normativi, giunge invece a valorizzarne le differenze in chiave evolutiva Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, cit., 1151; così anche, direi, di recente P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1415 e 1420 ss. (in un itinerario concettuale che, appunto “in senso evolutivo” e a più limitati fini, appare tuttavia pienamente coerente a quello qui proposto).
[33] Per più puntuali riferimenti normativi sui singoli strumenti di regolazione della crisi dell’impresa di gruppo v. ad es. Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, ivi, 1330 ss. (oltre a quanto si preciserà meglio infra, testo e note).
[34] Lo mette in luce tra i primi, illustrandone anche la genesi e la giustificazione logica, G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, cit., 669 ss..
[35] Cfr. ancora P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1421 ss.; in senso analogo v. anche D. Galletti, La gestione della crisi attraverso la direzione e coordinamento: appunti sulle compensazioni “concordatarie” infragruppo per la ricostruzione del sistema, in Dir. Fall., 2022, I, 639 ss..
[36] Secondo A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, 5^ ed., Bologna, 2021, 492, “mantenere nettamente distinte le masse attive e le masse passive delle singole imprese del gruppo, anche qualora si proceda alla gestione unitaria della crisi” è una delle “tre idee di fondo” (corsivo nel testo) cui il legislatore sembrerebbe essersi ispirato nel dettare la nuova disciplina di regolazione della crisi di gruppo. V. meglio infra sul punto.
[37] A sommesso avviso di chi scrive, valore cardine della regolazione della crisi d’impresa, in particolare dopo il recepimento della Direttiva Insolvency, quando non sia (invece) distorsivo del corretto funzionamento delle dinamiche competitive (sul punto si veda quanto più ampiamente argomentato in Dalla legge fallimentare alla Direttiva Insolvency. Il diritto della crisi come strumento per la costruzione e il corretto funzionamento del mercato interno, in Giur. comm., 2023, I, 499 ss. (e in partic. 517 ss.); v. anche, autorevolmente, A. Maffei Alberti, Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività, in Ristrutturazioni Aziendali, 29 gennaio 2022, che evidenzia altresì l’incerta trasposizione del principio nel codice della crisi novellato: Id., L’interesse dei creditori e la continuazione dell’attività nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: un’analisi trasversale, in Ristrutturazioni Aziendali, 30 marzo 2023.
[38] Un’ampia disamina trasversale in Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, cit., in partic. 1333 ss., ove anche il rilievo della priorità accordata alla tutela della continuità aziendale.
[39] È notazione comune: per un esempio, v. per tutti, in termini generali e di ricostruzione del sistema concorsuale della crisi d’impresa, Ambrosini, Evoluzione della disciplina della crisi d’impresa: dalla legge fallimentare al codice della crisi (attraverso la Direttiva UE del 2019 e l’emergenza epidemiologica, in Diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di S. Pacchi e S. Ambrosini, 2^ ed., Bologna, 2022, 1 ss. (e ivi, in partic., 27), nonché, per un’analisi più di dettaglio dei vari strumenti di regolazione della crisi d’impresa predisposti dal nuovo codice e delle loro diverse caratteristiche di negozialità e giurisdizionalità, gli studi raccolti nel volume collettaneo Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, a cura dello stesso Ambrosini, Bologna, 2022.
[40] Sul punto rinvio, per non ripetere qui cose già dette, a quanto già osservato in La nuova “composizione negoziata” alla luce della direttiva “Insolvency”. Linee evolutive (extracodicistiche) dell’ordinamento concorsuale italiano, in Dir. fall., 2/2022, I, p. 251 ss.). È noto peraltro che alla composizione negoziata l’impresa di gruppo può avere accesso in quanto tale (artt. 25 e ss. c.c.i.: sul punto, per maggiori dettagli, v. in particolare Abriani – G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Diritto della crisi, 23 dicembre 2021 e G. Scognamiglio, La gestione dei gruppi di imprese nella prospettiva del risanamento. Spunti dalla recente disciplina della “composizione negoziata della crisi”, in Ristrutturazioni Aziendali, 6 maggio 2022; P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., in partic. 1423-4).
[41] Per una analisi di maggior dettaglio di questi profili, qui solo sinteticamente enunciati, si rinvia, tra i tanti, in particolare a G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, cit.; Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Diritto della crisi, 10 novembre 2022; Id., La crisi dei gruppi di imprese tra composizione negoziata e codice della crisi, in Riv. dir. comm.,2022, I, 391 ss.; Guerrera, La regolazione negoziale della crisi dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 6/2019, 1318 ss.; Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, cit.; profili puntualmente indagati ora anche da Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 7 ss. e 153 ss..
[42] Il tema è stato diffusamente indagato in uno studio più ampio di prossima pubblicazione, cui si fa rinvio sul punto.
[43] Per tutti, sul punto, v. ancora Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, cit., 1150, che parla in proposito di “esautoramento … dell’assemblea nella predisposizione degli strumenti di regolazione della crisi”; la questione è oggetto di analisi anche in Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Riv. Dir. Soc., 2/2020, I, 295 ss. e Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Riv. soc., 2022, 1254 ss. e, da diversa angolazione, in Guerrera, L’espansione di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, ivi, 1271 ss..
[44] Lo nota ad es. P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1422, che richiama sul punto, in senso conforme, anche Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, cit., 1332.
[45] Lo evidenziano ancora P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1422 e G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, cit., 682 ss., ove altre osservazioni più puntuali, tra cui quella che evidenzia, in senso critico, che la realtà fenomenica presenta esempi molteplici e anche assai differenziati di “organizzazione di gruppo” e che la nozione di “gruppo assoggettato a una direzione unitaria” assunta quale parametro di riferimento nel nuovo codice della crisi sembra ben attagliarsi alla situazione dei gruppi cd. “virtuosi” (nei quali la direzione unitaria è esercitata in modo trasparente e nel rispetto delle condizioni di legittimità stabilite dal Codice Civile) e molto meno, invece, a quelli (definiti in contrapposizione come “confusi”) nei quali vi sia, invece, confusione di patrimoni e organizzazioni e opacità assoluta di rapporti, di gestione e di rilevazione contabile.
[46] Per brevità sia consentito, sul punto, il richiamo a quanto più ampiamente argomentato in Dalla legge fallimentare alla Direttiva Insolvency. Il diritto della crisi come strumento per la costruzione e il corretto funzionamento del mercato interno, cit., passim
[47] Il riferimento è ovviamente a P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Milano, 1971, con le precisazioni svolte però da Libertini (v. in particolare Diritto civile e diritto commerciale. Il metodo del diritto commerciale in Italia (II), cit., in partic. 41 ss. e ora anche I contratti associativi di Paolo Ferro-Luzzi, in Passato e presente del diritto commerciale, cit., 377 ss.), non dissimili mi pare, nella sostanza (quanto alle critiche rivolte alla “pars construens”), da quelle di recente riproposte da F. D’Alessandro, Paolo Ferro-Luzzi e il contratto: le ragioni della teoria e quelle dell’ideologia, in Giur. comm., 3/2023, 533 ss..
[48] Sulla nozione codicistica di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., con accenti e angoli visuali diversi, si vedano in particolare le attente ricerche e ricostruzioni storico-normative condotte da Rondinone, Lo spettro dell’organizzazione in forma d’impresa nel libro del lavoro, Torino, 2022 e, su un piano invece di scrupolosa analisi dei profili disciplinari, anche quanto alle loro applicazioni giurisprudenziali, G. Marasà, L’imprenditore. Artt. 2082-2083, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli e Ponzanelli, Milano, 2021.
[49] Come ho cercato di evidenziare in un più esteso lavoro in tema di linee evolutive apprezzabili nell’ordinamento in punto di nozioni di controllo, gruppo e direzione unitaria nel codice civile, nel nuovo codice della crisi, nel Testo Unico Bancario e nel diritto antitrust, di prossima pubblicazione.
[50] Sul punto v. in particolare le (lucide e pienamente condivisibili) notazioni di P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1415 ss., che dal novellato art. 2086 c.c. ricava, in senso generale (dall’«anche» che precede la formulazione precettiva) il dovere di organizzare l’impresa di gruppo secondo assetti organizzativi adeguati alla sua natura ed estensione quale momento di estrinsecazione dell’attività di direzione unitaria anche in fase “genetica” dell’impresa, oltre che ai fini della rilevazione e ordinata gestione delle sue vicende di crisi (v. anche infra). Di doverosità dell’attività di direzione e coordinamento nell’affrontare la crisi di gruppo che ne minacci la continuità aziendale parla anche Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, in Rivista Orizzonti del Diritto Commerciale, n. 2/2021, 627 ss. (e ivi in partic. 643 ss.).
[51] Pacchi, I canoni per la gestione dell’impresa nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, 105 ss., richiamata anche da Ambrosini, Adeguatezza degli assetti, sostenibilità della gestione, crisi d’impresa e responsabilità della banca: alla ricerca di un fil rouge, in Ristrutturazioni Aziendali, 19 maggio 2023 (ora anche Introduzione del volume collettaneo, a cura dello stesso Ambrosini, Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, cit., 1 ss).
[52] Come afferma anche Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, cit., 643 ss.; in senso conforme per tutte le procedure che mantengano la gestione dell’impresa in capo al debitore v. anche Scognamiglio, La gestione dei gruppi di imprese nella prospettiva del risanamento. Spunti dalla recente disciplina della “composizione negoziata della crisi”, cit., 4.
[53] Cfr. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1423, ove anche altri interessanti esempi.
[54] Temi diffusamente indagati in particolare nell’ampio studio di Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, cit., 627 ss..
[55] Sul punto v. ancora Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, cit., 665 ss., il quale esamina, specie in relazione al concordato di gruppo, anche il tema dei limiti in cui tali trasferimenti possano essere ammissibili e della loro esecuzione nel necessario rispetto dei corretti principi di direzione unitaria, che differirebbero però, per “specialità” e “specificazione”, rispetto quelli generali desumibili dall’art. 2497 c.c. (ivi, in partic. 677 ss.).
[56] Ad oggi non del tutto archiviata: v. ad es., e di recente, Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., in partic. 69 ss., che ne parla in termini di “alienazione del governo societario”.
[57] Per una più puntuale giustificazione dell’assunto, qui enunciato in modo che potrebbe risultare almeno in parte assertivo, si rinvia a quanto diffusamente argomentato in un più ampio studio in punto di linee evolutive osservabili in ordine alla nozione di controllo, di gruppo e di direzione unitaria nel codice civile, nel codice della crisi d’impresa, nel Testo Unico Bancario e nel diritto antitrust, di prossima pubblicazione.
[58] Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, cit., 76 ss., il quale ricorda che anche nel tessuto economico italiano “il gruppo di società rappresenta la forma organizzativa della maggioranza delle imprese italiane”, non solo di quelle di grandi dimensioni, ed è anche “la forma giuridica tipica della moderna società per azioni”. Del resto, sul piano empirico, assai rara è, invece, l’articolazione organizzativa alternativa basata sulla “destinazione patrimoniale” e la costituzione di “patrimoni destinati ad uno specifico affare”, secondo la disciplina – pur fortemente innovativa sul piano concettuale – recata dagli artt. 2447-bis c.c. (su cui mi permetto di richiamare, da ultimo, il mio Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in corso di pubblicazione in Codice delle società, diretto da Nazzicone, 2^ ed., Milano, 2023). Da segnalare invece che, sul piano concettuale, Montalenti respinge l’idea di “impresa di gruppo”, preferendo seguire la diversa tesi secondo cui “esiste una pluralità di imprese che sono imputate alle singole società” e che “la dimensione del gruppo trasforma”, rendendole (secondo la fortunata espressione di Ariberto Mignoli) “società a sovranità limitata”.
[59] Come sembra faccia ad es., da ultimo, Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 65 ss..
[60] Mi sembra questa, del resto, la tesi riproposta oggi, con nuovi argomenti (e riferimenti normativi), da P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1424.
[61]Ben illustrati, ad es., da G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, cit., 527 ss..
[62] Tali problemi sono approfonditamente esaminati nello studio di Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, cit., in partic. 686 ss..
[63] Si veda, sul punto, la puntuale disamina svolta dallo stesso Rondinone, I gruppi fra diritto societario e diritto dell’impresa, cit., 81 ss..
[64] Attento studio di questi problemi, secondo una prospettiva di analisi economica del diritto, è ad es. in Enriques, Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un’analisi economica, in Giur. comm., 1997, I, 698 ss., ove anche ampi riferimenti alla letteratura internazionale e agli studi economici che ne sono alla base.
[65] Tema, questo, appena lambito da P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1419 e al centro invece delle riflessioni del Convegno di Venezia del 10-11 novembre 2023 (“La s.p.a. nell’epoca della sostenibilità e della transizione tecnologica”), per i settant’anni della Rivista delle Società, ai cui atti (in corso di pubblicazione) si fa dunque rinvio.
[66] In Italia, si vedano ad es. gli studi di P.E. Cassandro, I gruppi aziendali, 9^ ed., Bari, 1988 (in partic. 19 ss.) e di A. Lai, Le situazioni di equilibrio economico-finanziario di gruppo, 2^ ed., Milano-Roma, 2003 (in partic. 22 ss. e 110 ss.), ripresi e sviluppati, più di recente, da M. Celli – M. Paoloni, Teoria e fenomenologia dei gruppi aziendali, Torino, 2022 (in partic. 179 ss.); a livello internazionale, si vedano ad es. il monumentale studio di A.D. Chandler Jr., Scale and Scope. The Dynamics of Industrial Capitalism, Cambridge, 1994 e quelli di O. Williamson, Transaction Cost Economics: The Natural Progression, in American Economic Review, 100, n. 3/2010, 673 ss., S. J. Grossman – O.D. Hart, The Costs and Benefits of Ownership: a Theory of Vertical and Lateral Integration, in Journal of Political Economy, 94, n. 4/1986, 691 ss. e F. Lafontaine – M. Slade, Vertical Integration and Firm Boundaries: The Evidence, in Journal of Economic Literature, 45, 2007, 629 ss., ove numerosi altri riferimenti alla teoria economica e aziendale in tema.
[67] Su cui v. ancora ad es. Montalenti, I gruppi di società: dottrina, giurisprudenza e prassi, cit., 76 ss..
[68] Lo rileva anche Enriques, Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un’analisi economica, cit., 703 ss..
[69] Perché in tal caso è il rischio stesso di perdita dei cd. “benefici privati” (del controllo e da direzione unitaria, quando queste siano appunto contendibili) ad agire come contrappeso rispetto ad eventuali abusi (sul punto v. ancora Enriques, Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un’analisi economica, cit., 709 ss e la letteratura, anche economica, ivi richiamata).
[70] Il problema tipico fronteggiato dal diritto antitrust: tra gli innumerevoli studi in materia piace richiamare in particolare Amato, Antitrust and the Bounds of Power. The dilemma of Liberal Democracy in the History of the Market, Oxford, 1997 (e in traduzione italiana, Il potere e l’antitrust. Il dilemma della democrazia liberale della storia del mercato), Bologna, 1998 e, in una diversa ma complementare accezione, Libertini, Sugli strumentali giuridici di controllo del potere economico, in Dir. pubbl., 3/2021, 893 ss..
[71] Così mi pare, da ultimo, anche Angelici, Direzione e coordinamento: casi e questioni, cit., 951 ss..
[72] Tematiche che è evidentemente impossibile affrontare in questa sede e già oggetto degli studi dello stesso Luca Enriques e, in modo ancor più ampio e approfondito, di lavori monografici, alcuni dei quali già citati (tra i quali piace ricordare, in particolare, quelli di Pietro Abbadessa, Francesco Galgano, Duccio Libonati, Paolo Montalenti, Nicola Rondinone Giuliana Scognamiglio, Umberto Tombari) e da quelli successivi che ne hanno approfondito profili particolari (quali la validità e i contenuti dei regolamenti di gruppo, gli oneri di pubblicità, i flussi informativi interni ed esterni, il recesso, i meccanismi di imputazione della responsabilità, i finanziamenti e le garanzie intragruppo e così via).
[73] Temi oggetto dell’ampio e rigoroso studio di Miola, già più volte richiamato.
[74] Sono parole di Angelici, Direzione e coordinamento: casi e questioni, cit., 964, ove anche la tesi della non obbligatorietà delle direttive della capogruppo e l’indicazione dei precedenti giurisprudenziali in termini. Il problema diventa però quello di capire quale possano essere poi, in concreto, i criteri di verifica giudiziale di questo “equilibrio complessivo”, potendo entrare in gioco fattori opinabili e altamente discrezionali, difficilmente sindacabili dal giudice. Sul criterio enunciato nel testo sembra concorde anche Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, cit., 677 ss., che cerca di precisarne meglio l’operatività, in particolare in tema di trasferimenti di risorse attuati nei concordati di gruppo.
[75] Cfr. ad es. Calandra Buonaura, Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti amministrativi nella Società per azioni, in Giur. comm., 2020, I, 439 ss.; Mirone, Assetti organizzativi, riparti di competenze e modelli di organizzazione: appunti alla luce del “decreto correttivo” al Codice della crisi e dell’insolvenza, in Giur. comm., 2022, I, 183 ss.; Onza, Gli “adeguati assetti” organizzativi: tra impresa, azienda e società (Appunti per uno studio), in Riv. dir. comm., 2022, II, 1 ss..
[76] Sul punto, per tutti, v. ancora P. Marchetti, Del dovere di direzione e coordinamento: l’approdo al Codice della crisi di impresa di un tema caro a Paolo Ferro-Luzzi, cit., 1418-9. Si noti, al riguardo, che la norma di cui al comma 2 del novellato art. 2086 c.c. ha avuto (non a caso) origine in ambito bancario e finanziario, e più precisamente nell’art. 149, comma 1, lett.c) del TUF, come ben ricorda ad es. Ambrosini, Adeguatezza degli assetti, sostenibilità della gestione, crisi d’impresa e responsabilità della banca: alla ricerca di un fil rouge, cit., 1 ss).