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L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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La sostenibilità finanziaria del cambiamento climatico. Scenari economici verso la carbon neutrality


Simone Pesucci

Data pubblicazione
17 dicembre 2023

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Sommario: 1. Premessa. – 2. La transizione ecologica della regolamentazione bancaria. – 3. Un nuovo modello di valutazione del rischio: il “Green Swan” del sistema creditizio. - 4. Eco-sostenibilità del bilancio degli istituti di credito. – 5. Modelli operativi bancari per l’ambiente. – 6. Il ruolo della cartolarizzazione nella transizione ecologica. – 7. Le cartolarizzazioni green in Italia – 8. Conclusioni.


1.       Premessa

Le numerose crisi finanziarie vissute nell’ultimo quarto di secolo hanno imposto un cambio di passo nell’approccio al credito.

La sostanziale differenza che tuttavia esiste tra una crisi finanziaria e lo scenario delineato dal cambiamento climatico è la immutabilità di quest’ultimo: non esiste una tempesta da attraversare prima di tornare ad uno stadio anteriore in quanto il cambiamento climatico non porta con sé il carattere di temporaneità.

Al di là del tema etico e ambientale esiste - ed è oggetto di questa riflessione - un fondamentale tema economico: sebbene non si tratti di una crisi finanziaria, la transizione ecologica verso una neutralità carbonica trascina, tuttavia, il mondo bancario verso un territorio inesplorato, impossibile da percorrere con i mezzi attuali.

Con l’Accordo di Parigi del 2015, durante la 21ª conferenza delle parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), gli stati firmatari si sono dati l'obiettivo principale di limitare l'aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi Celsius, impegnandosi altresì a raggiungere una significativa riduzione delle emissioni di gas serra e ad adottare misure per mitigare e adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici.

Il perseguimento di tali obiettivi passa attraverso una riscrittura in due fasi del sistema economico-finanziario attuale.

La prima fase conduce, per un verso, a un ripensamento della regolamentazione bancaria, proiettata verso la valutazione dei rischi imprenditoriali connessi al cambiamento climatico e, per un altro, al progressivo adattamento degli strumenti finanziari imposto dall’obbligato passaggio nella direzione della “carbon neutrality”.

La seconda fase determina, invece, una riflessione sulla gestione della concessione del credito che, muovendo da un’idea di merito creditizio esteso all’impatto ambientale del progetto finanziato (con un ruolo non marginale però dell’imprenditore, chiamato a modificare verso la sostenibilità i suoi modelli economici), approdi ad una cartolarizzazione sostenibile, che tenga conto del valore del rapporto sottostante anche nell’ottica del suo impatto ambientale.

I modelli virtuosi nello scenario intercorso dalle sigle sugli Accordi di Parigi si stanno moltiplicando e sempre più sta concretamente prendendo piede l’importanza di una linea operativa condivisa.

2.       La transizione ecologica della regolamentazione bancaria

Come sottolineato dall'IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change) nel suo rapporto di aprile 2023, i flussi finanziari sono attualmente molto lontani dalla strada verso la neutralità carbonica[1].

Si sta imponendo un drastico cambio di direzione perché ad oggi la considerazione del rischio climatico da parte del settore finanziario è ancora insufficiente mentre questo impatta sul sistema finanziario in modo imprevedibile, di fatto costringendo gli operatori o a lavorare al buio, con l’enorme spada di Damocle sulla testa che un cambiamento climatico possa cambiare drasticamente le sorti economiche dei soggetti che hanno finanziato, o a dover riscrivere i modelli previsionali lungo un tracciato inedito.

La svolta non avverrà, tuttavia, spontaneamente richiedendo uno sforzo concertato da parte delle autorità monetarie e finanziarie pubbliche, delle banche centrali e delle autorità di vigilanza per virare al “green” le proprie azioni. Le prime sono disposte a rendere le proprie politiche monetarie più ecologiche, ma tale disponibilità non si è ancora tradotta in azioni specifiche. Le seconde stanno limitando l’intervento ad alcune raccomandazioni, senza tuttavia produrre specifiche regole.

All’osservatore risulta che allo stato il dibattito su quella che potremmo definire “la transizione ecologica della regolamentazione bancaria” si stia muovendo a passi lenti e rimanga circoscritto alle questioni legate alla trasparenza del mercato.

Alla luce di ciò sorge un interrogativo: a cosa assomiglierebbe una regolamentazione finanziaria decisamente "proattiva” che spingesse le istituzioni – con ciò intendendo tutti gli attori finanziari, che siano banche o meno - verso il rispetto degli accordi di Parigi?

Poiché le banche rimangono attori principali all'interno del sistema finanziario europeo e sono relativamente più regolamentate rispetto ad altri attori finanziari, questa analisi si concentra su una proposta relativa ad una possibile realizzazione della svolta “green” della regolamentazione bancaria.

In primo luogo, l’efficacia della regolamentazione bancaria dipenderà dalla combinazione di due tipi di approccio: non solo mediante l'approccio "prudenziale", attraverso il quale i regolatori si limitano a valutare la transizione green, ma anche un approccio "strutturale", nell’immediato almeno, di non semplice adozione.

Il processo di transizione ecologica della regolamentazione bancaria potrebbe però offrire l'opportunità di rafforzare due pilastri deboli dell'attuale sistema: la regolamentazione macroprudenziale e quella strutturale.

Entrambi risultano, infatti, essenziali per il corretto funzionamento del settore bancario, sia in termini di stabilità che di contributo al finanziamento dell'economia, tenendo conto che dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, gli interventi sul pilastro macroprudenziale sono stati scarsi e che il pilastro strutturale è stato smantellato dalla liberalizzazione finanziaria degli anni '80 e non è stato ricostruito, nonostante l'articolo 2 dell'Accordo di Parigi (2015) abbia specificamente sollevato la questione dell'allineamento tra flussi finanziari e obiettivi climatici, sottolineando la necessità di "rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas serra e uno sviluppo resiliente al clima".

Questa combinazione di approcci macroprudenziali e strutturali sarà possibile solo se verranno rimossi ostacoli che appaiono ideologici[2] in quanto coinvolge i regolatori che devono essere pronti a esaminare il ruolo della regolamentazione bancaria e finanziaria non solo in termini di stabilità finanziaria, ma anche in termini di allocazione del finanziamento.

A tal fine dovranno essere riconosciuti inizialmente i trade-off tra rischio fisico e rischio di transizione come parte di un "approccio basato sul rischio" che inevitabilmente porta a troppo poca azione, adottata troppo lentamente, permettendo all'imbalance ecologico di continuare. Da tale approccio non potrà essere assente una considerazione sulla inefficienza dei mercati sia in punto di informazioni rese – assenti rispetto al rischio climatico – sia di allocazione della finanza, prendendo in considerazione i limiti planetari. Riconoscere ciò è possibile solo abbandonando il quadro teorico dominante basato sull'efficienza informativa e allocativa dei mercati finanziari.

Questa dissociazione ideologica è il prezzo da pagare se si vuole che la regolamentazione bancaria sia rivista e che le banche possano contribuire al finanziamento della transizione ecologica. Una transizione ecologica della regolamentazione bancaria offre l'opportunità per questo processo. 

3.       Un nuovo modello di valutazione del rischio: il “Green Swan” del sistema creditizio

Gli operatori finanziari stanno cominciando a considerare il rischio climatico o ecologico muovendo tuttavia da una prospettiva puramente prudenziale che necessariamente non sarà più sufficiente. Più specificatamente, un approccio microprudenziale basato sulla valutazione dei rischi individuali passati non sarà adatto al rischio climatico, mentre l'approccio macroprudenziale sarà necessario ma non sufficiente.

Infatti, il quadro "microprudenziale" non è adatto a gestire la dimensione sistemica del rischio climatico. Se la transizione ecologica della regolamentazione bancaria dovesse, però, iniziare con l'inclusione del rischio climatico nei requisiti patrimoniali microprudenziali[3], allora - almeno - i pesi dei rischi dovrebbero essere ridotti e dovrebbero essere utilizzati rapporti di leva settoriali. La misurabilità del rischio climatico non dovrebbe, tuttavia, essere sopravvalutata, né dovrebbe essere aperta - più di quanto già non lo sia - alla manipolazione dei pesi da parte delle istituzioni autorizzate all'uso di modelli interni.

Il rischio finanziario e il rischio climatico condividono una dimensione sistemica, che pone immediatamente l'azione per mitigare il rischio climatico a livello "macroprudenziale" piuttosto che "microprudenziale".

Poiché il quadro macroprudenziale è ancora relativamente poco sviluppato, ciò potrebbe essere ritenuto come un limite alla transizione ecologica della regolamentazione offrendo allora l’occasione per approfondire il tema.

Il quadro macroprudenziale ha il merito di offrire una trasposizione al rischio climatico che è al tempo stesso possibile e anche facilmente identificabile dai regolatori. Uno dei suoi strumenti esistenti, il “Systemic risk buffer”, sarebbe particolarmente adatto a protezione del rischio connesso al cambiamento climatico. Questo sarà necessario ma non sufficiente[4].

La transizione ecologica della regolamentazione bancaria deve essere, infatti, operata non solo muovendo dalla prospettiva dei rischi finanziari indotti dal cambiamento climatico e dalla crisi ecologica, ma anche dai problemi che la finanza pone al clima e alla sostenibilità.

Nella sua forma attuale, la finanza contribuisce al riscaldamento globale, alla perdita di biodiversità, all'inquinamento e altro ancora. Di fronte a questa doppia materialità del rischio ecologico, il quadro prudenziale ha i suoi limiti. La transizione ecologica della regolamentazione bancaria non può essere limitata a questo; deve coinvolgere anche un approccio strutturale.

Tuttavia, il rischio climatico è caratterizzato dall'incertezza radicale e dall'irreversibilità del suo verificarsi.

L'incertezza radicale del rischio climatico è stata evidenziata nel rapporto del Green Swan (2020). Il rapporto prende spunto dal termine “Black Swan” usato precedentemente da Nassim Nicholas Taleb, i cui lavori si concentrano sulla probabilità e sulla casualità, sul "cigno nero", che consiste in un evento imprevisto (e imprevedibile) di grande portata, e sul capire come porsi nei confronti della casualità che governa il mondo[5].

L’imprevedibilità dei mutamenti climatici rende obsoleti i modelli tradizionali di gestione del rischio che guardano al passato e che sono basati su rischi misurabili. Quando la perdita è imprevedibile, non può essere, infatti, protetta da una stima ex ante[6]. Inoltre, il confronto tra la crisi climatica e la crisi finanziaria non regge a lungo.

Come ho già osservato nella premessa,  una crisi finanziaria, se non prevenuta, può essere "gestita" per ridurre le sue conseguenze economiche e sociali e permettere un ritorno controllato alle condizioni pre-crisi. Il cambiamento climatico, d'altra parte, procede attraverso soglie di irreversibilità.

Da questo punto di vista, la logica prudenziale - che, sia a livello micro che macro, consiste essenzialmente nel garantire che gli attori esposti al rischio siano in grado di assorbire eventuali perdite - non è adatta al rischio climatico. Con la prospettiva di una crisi climatica irreversibile, non si tratta di "prepararsi" ad essa finanziariamente, ma di evitare che avvenga e di evitare tutte le sue conseguenze, tra le quali non solo quelle finanziarie.

Sebbene lo scenario appaia inedito, occorre partire dalla metodologia già in uso nelle prassi bancarie; occorre, anzitutto, ripensare il sistema di valutazione del merito creditizio, come vedremo meglio nei paragrafi seguenti; ma occorre altresì rileggere il sistema del finanziamento, con un approccio in chiave green degli strumenti finanziari adatti per sorreggere e agevolare la transizione ecologica; infine è necessario porre l’attenzione ad un sistema di cartolarizzazione sostenibile che tenga conto del rapporto sottostante anche in termini di impatto ambientale e resa del credito nel tempo rispetto agli obiettivi di carbon neutrality.

4.       Eco-sostenibilità del bilancio degli istituti di credito

La gestione del cambiamento climatico in chiave di regolamentazione bancaria passa necessariamente attraverso una rilettura del bilancio degli istituti di credito[7].

E’, infatti, attraverso una regolamentazione strutturale che mira alla composizione dei bilanci bancari e alla direzione e destinazione dei flussi finanziari, oltre alle regole prudenziali che hanno scarso o nessun impatto sul clima, che la finanza invertirà il suo impatto sul clima.

Attraverso la ricomposizione dei loro asset e la partecipazione attiva al finanziamento della transizione ecologica, le banche saranno in grado di proteggersi dal rischio climatico e di ridirigere i flussi finanziari verso percorsi sostenibili nelle varie dimensioni della transizione ecologica (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento).

Gran parte dell'azione avrà, quindi, un impatto sul lato degli asset del bilancio e sulla loro composizione.

In questo senso la struttura dei bilanci delle banche deve cambiare. Questo cambiamento non può dipendere semplicemente da impegni volontari in quanto esige misure "strutturali" e sistemiche che consentano la pianificata ricomposizione dei bilanci delle banche. Potrebbero essere previste  regole sia per vietare nuovi finanziamenti ai combustibili fossili sia guidare i nuovi finanziamenti verso asset allineati agli obiettivi climatici sia per ridurre progressivamente gli investimenti in alto tenore di carbonio.

Molte azioni avranno quindi un impatto sull'attivo del bilancio e sulla sua composizione.

Questa ricomposizione dei bilanci delle banche comporterebbe, però, la gestione del problema degli "asset inesigibili". Ciò condurrebbe a espellere progressivamente i titoli emessi da società nei settori dei combustibili fossili, inquinanti o ad alto contenuto di carbonio, il cui valore è diminuito o diminuirà notevolmente.

Ci potrebbero quindi essere tre ragioni per ripulire i bilanci da questa massa di asset inesigibili:

• in primo luogo, la stabilità finanziaria. I bilanci devono essere protetti dal rischio di instabilità finanziaria derivante da una massa destabilizzante di asset inesigibili;

• in secondo luogo, la riorganizzazione dei bilanci e la necessaria riorientazione dei modelli di business delle banche, senza l'ostacolo di un bilancio "inutilmente" rischioso;

• in terzo luogo, l'eliminazione del freno che gli asset inesigibili sui bilanci delle banche costituirebbero in quanto una banca è incentivata a continuare a finanziare aziende non allineate nel caso in cui detenga asset in quelle aziende.

Per “ripulire” i bilanci da queste masse di asset inesigibili, le tradizionali forme di cartolarizzazione potrebbero, quindi, non essere sufficienti. Non si tratta di garantire la liquidità di questi asset, ma di non scambiarli più e di sistemarli nel bilancio di un'istituzione in grado di sopportare la perdita senza subire danni significativi, mentre le attività associate a questi asset scompaiono o si trasformano.

Conseguentemente  potrebbero essere prese in considerazione strutture miste pubbliche/private per asset in cui il rischio di abbandono non sia troppo alto o diminuisca rapidamente a seguito dell'auspicato allineamento dei modelli di business con gli obiettivi a basso tenore di carbonio.

Se l'allineamento non fosse, però, abbastanza rapido, sarà necessario fare affidamento su una soluzione pubblica di trasferimento, o addirittura utilizzare la banca centrale, che potrebbe diventare il "compratore di ultima istanza degli asset esclusi" attraverso un programma di acquisto di asset inesigibili, eseguito secondo un piano definito e a prezzi necessariamente bassi, determinati in stretta collaborazione con le autorità di vigilanza. Per evitare il “moral hazard” che può sorgere dalla socializzazione delle perdite, i trasferimenti dovranno essere soggetti a condizioni rigorose.

In primo luogo la banca cedente dovrà riorientare le sue future attività, escludendo completamente qualsiasi nuovo finanziamento ad attività ad alto tenore di carbonio o inquinanti (quid pro quo) mentre la struttura di trasferimento supporterà la riorientazione dei bilanci. In secondo luogo il prezzo di trasferimento dovrebbe essere abbastanza basso (taglio significativo) per limitare le perdite pubbliche e gli effetti inaspettati.

Questo tipo di trasferimento condizionale sarebbe doppiamente positivo per la transizione: solleverebbe il peso inerziale del patrimonio degli asset inesigibili dai bilanci delle banche e riorienterebbe il flusso dei nuovi finanziamenti verso un obiettivo a basso tenore di carbonio. I trasferimenti dovrebbero sempre andare di pari passo con azioni strutturali per promuovere la ricomposizione dei bilanci.

La “green flag” dei bilanci bancari non sarà, tuttavia, possibile senza un benchmark comune e consensuale, sufficientemente dettagliato e scalabile. La tassonomia sviluppata dalla Commissione europea sta progressivamente entrando in vigore dal 2022.

Dal 2024 sarà attivo il GAR[8], il principale indicatore che le banche dovranno utilizzare per comunicare l'allineamento delle loro attività alla tassonomia UE. Se è da apprezzare la scelta di una misurazione standardizzata e l'introduzione di una terminologia comune, restano dubbi sull'affidabilità dei dati.

Il sistema di tassonomia introdotto dalla commissione europea nel 2019 e poi aggiornato con le risoluzioni di EBA del 2021 è in realtà già parzialmente in vigore, prevedendo l’obbligo di identificare nei propri investimenti quelli sostenibili dal punto di vista dell’impatto ambientale.

Ma la vera novità sarà rappresentata, nel 2024, dall’introduzione di una regola di trasparenza che spingerà gli istituti di credito ad una “sana” competizione per il miglioramento del proprio GAR; questo perché una percentuale di attività sostenibili maggiore dovrebbe spingere gli investitori verso gli strumenti finanziari proposti.

Purtroppo il meccanismo sotteso alla GAR non è ancora abbastanza dettagliato e rimane piuttosto statico[9]; è necessario un benchmark sufficientemente dinamico che possa tenere conto e promuovere gli sforzi di trasformazione delle aziende in tutti i settori industriali, finanziari e non finanziari. Le autorità pubbliche dovranno essere fortemente coinvolte nello sviluppare questo benchmark comune e nel sistema di valutazione extra-finanziaria che lo utilizzerà. Un'agenzia pubblica governata da tutte le parti interessate, responsabile della valutazione degli asset secondo la tassonomia e della certificazione dell'impronta di carbonio delle banche, sembra essere il miglior modo per realizzare questo in modo consolidato.

La transizione ecologica della regolamentazione bancaria certamente non sarà un percorso del tutto agevole; tra gli altri ostacoli, affronterà impedimenti istituzionali dovuti alla complessità del processo e alle responsabilità sovrapposte delle autorità nazionali e sovranazionali all'interno del sistema europeo di governance della regolamentazione e vigilanza finanziaria.

C'è un alto rischio di diluizione e allentamento regolamentare nell'area europea scarsamente integrata, dove i principi sanciti negli atti legislativi di primo livello potrebbero essere poi diluiti o annullati dagli atti delegati che dovrebbero supportare l'attuazione pratica di questi principi. Si può scegliere di considerare questo come un grave ostacolo all'effettiva transizione o, al contrario, come un'opportunità, nella misura in cui solo una ferma volontà politica di trasformazione “green” della regolamentazione potrà allontanare i pericoli che si celano nel cambiamento climatico imminente. Probabilmente questa potrebbe essere l’opzione migliore per affermare questa volontà affinchè la transizione ecologica non fallisca.

Infine, la regolamentazione bancaria non è certamente l'unica leva per la transizione ecologica; dovrà essere realizzata in connessione con politiche fiscali e monetarie, il vero fulcro della trasformazione ecologica. Questo nuovo approccio connesso cambierà inevitabilmente il quadro istituzionale sia nazionale che europeo.

5.       Modelli operativi bancari per l’ambiente

A questo punto è doveroso puntualizzare un concetto chiave: la transizione ecologica della regolamentazione bancaria non è spinta (solo) da logiche etiche e di sostenibilità ambientale; per quanto a tutti possa risultare importante la sorte del pianeta in cui viviamo, il vero motore di questa transizione deve essere ricondotto ad un canone finanziario tradizionale: evitare che il sistema banca possa crollare e non consenta più l’accesso al credito per privati e mondo impresa.

Solo che, mentre il rischio tradizionale con cui ci si è sempre scontrati è comunque di tipo economico (una crisi finanziaria più o meno caratterizzata da eventi endogeni al sistema o esogeni, come guerre o la recente pandemia) in questo caso il tema del cambiamento climatico porta con sé il concetto chiave di irreversibilità.

Se una situazione è definita come “senza ritorno”, allora il modello economico non deve semplicemente adottare strumenti protettivi per assorbire un colpo più o meno duro, ma temporaneo: deve, viceversa, invertire il tradizionale approccio. In questo senso si parla di “transizione ecologica della regolamentazione bancaria”: perché il modello innovativo non è una integrazione ma una sostituzione del modello precedente, in via permanente.

Il sistema Bancario a livello mondiale ha già cominciato questo percorso: Il 21 aprile 2021, diverse importanti banche internazionali annunciarono la creazione della Net-Zero Banking Alliance (NZBA) sotto gli auspici delle Nazioni Unite per promuovere la transizione verso economie a basse emissioni di carbonio. Aderendo a questa Alleanza, le banche dichiararono il loro impegno a "agevolare la necessaria transizione nell'economia reale attraverso un meccanismo di preferenza dell'interazione con i clienti e l'offerta di prodotti e servizi a sostegno della transizione dei clienti".

Nello stesso mese fu istituita la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ). Unendo la NZBA ad altre sette alleanze del settore finanziario, la GFANZ aspirava a essere una "coalizione globale di importanti istituti finanziari impegnati ad accelerare la decarbonizzazione dell'economia". Più di 650 istituti finanziari provenienti da 50 paesi ne fanno parte, con la responsabilità collettiva di oltre $130 trilioni di asset, sia in sospeso che sotto gestione[10].

Nel 2022 è uscito un report[11] contenente una serie di obiettivi finanziari che il forum persegue non soltanto nell’ottica di un “final goal” in termini di transizione ecologica, ma anche soprattutto di riduzione dell’impatto derivante dal cambiamento climatico.

Tra i principali obiettivi si riporta:

·          fornire ai supervisori microprudenziali e macroprudenziali, così come ai regolatori, un'analisi su come le transizioni delle istituzioni finanziarie, individualmente e collettivamente, possano influenzare i rischi di stabilità finanziaria specifici dell'azienda e a livello di settore, inclusa la trasparenza sugli sforzi che le singole aziende stanno compiendo per mitigare i rischi legati alla transizione;

·          fornire ai governi e ai responsabili delle decisioni una visione su come il sistema finanziario, attraverso l'allocazione del capitale, sia in grado di sostenere la transizione a zero emissioni nette e di individuare sfide che richiedono interventi normativi, in modo che i governi possano rispettare i propri impegni per raggiungere lo zero netto;

·          fornire ai regolatori dei mercati mobiliari e ad altre parti interessate una visione sulle azioni intraprese dalle istituzioni finanziarie e dalle aziende per attuare i loro impegni dichiarati;

·          fornire alle aziende della vita reale una visione sulle informazioni legate alla transizione di cui le istituzioni finanziarie hanno bisogno per il proprio piano di transizione a zero emissioni nette e che pertanto si aspettano dalle aziende della vita reale;

·          fornire alla società civile informazioni coerenti per formare una visione globale e intersettoriale della pianificazione della transizione a zero emissioni nette per le istituzioni finanziarie, consentendo il monitoraggio e la misurazione dei progressi nel settore.

Si devono identificare all’interno del portafoglio finanziario le varie tipologie di “emissioni finanziate” ovvero le fasi operative delle aziende rientranti nel portafoglio clienti che vengono supportate dalla finanza bancaria mentre generano emissioni.

E’ fondamentale saper isolare questi momenti per poter effettuare una azione di riduzione efficace e costante che possa limitare al massimo l’impatto nel mondo imprenditoriale.

Al tempo stesso è evidente come il mondo bancario debba farsi portavoce e stimolo verso le aziende dell’importanza di un cambiamento verso lo zero indicato dagli obiettivi di Parigi: la leva della finanziabilità delle operazioni di transizione e della successiva scalabilità di un rating per l’accesso al credito è probabilmente la migliore per spingere le imprese verso un risultato comune, condiviso e temporalmente adeguato.

Il blocco di raccomandazioni indicato dal progetto GFANZ elenca le fasi virtuose che l’istituto bancario dovrebbe approcciare per condurre il proprio portafogli clienti agli obiettivi prefissati.

La fase 1 è praticamente già stata descritta: delineare e definire gli obiettivi dell'organizzazione per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 o prima, in linea con percorsi basati sulla scienza per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius, stabilendo obiettivi interinali e a lungo termine chiaramente definiti e misurabili, insieme a linee guida temporali strategiche, e identificare le strategie di finanziamento prioritario dell'azione di transizione a emissioni zero per consentire la riduzione delle emissioni nell'economia reale.

La fase 2 consiste nell’utilizzo degli strumenti finanziari già in uso presso gli istituti di credito per sostenere e “istruire” il portafoglio clienti verso la transizione ad emissioni zero. Molti sono ad oggi già gli strumenti in campo nel sistema della cd. “Climate Finance” che si avvale di una serie di strumenti e metodologie specifiche per massimizzare l’impatto positivo dei propri interventi.

Tra questi figurano i Green Bonds[12], i Carbon Credits[13], le garanzie finanziarie per progetti green e le forme di finanziamento della ricerca scientifica in ambito ambientale. Inoltre, vengono utilizzate metodologie avanzate per la valutazione dei progetti e per la misurazione del loro impatto sul clima.

Basti pensare come si sta muovendo la Commissione europea in tal senso[14].

I governi hanno a loro volta un ruolo chiave. Attraverso politiche appropriate, possono incentivare gli investimenti privati in progetti green, promuovere la ricerca scientifica nel campo dell’ambiente e contribuire al processo di definizione degli standard per la misurazione dell’impatto climatico dei vari interventi. Inoltre, i governi possono agire direttamente come finanziatori di progetti legati al clima.

Attualmente, il debito finanzia la maggior parte degli investimenti nelle infrastrutture a bassa emissione di carbonio (LCR), ma la sfida sarà quella di spostarsi dagli investimenti ad alta intensità di emissioni mentre si aumenta gli investimenti nelle infrastrutture LCR. Il tipico rapporto debito-equity nel finanziamento complessivo di progetti infrastrutturali è del 70:30 (McKinsey Global Institute, 2013), con una proporzione leggermente più alta di debito nel finanziamento delle energie rinnovabili (75:25) e quote uguali nel finanziamento per l'efficienza energetica e i veicoli a basse emissioni (OCSE 2016).

Come si vede il ruolo degli strumenti finanziari è rilevante in senso bilaterale: da un lato spinge le aziende verso la carbon neutrality e gli obiettivi del 2050, ma dall’altro consente loro di dare una stabilità economica maggiore proprio in vista di tali obiettivi, riducendo il rischio di un impatto che il cambiamento climatico avrebbe a cascata prima sull’imprenditoria e poi sul sistema creditizio.

La sensibilizzazione, che parte dalla regolamentazione bancaria, è probabilmente la strategia più efficace per ottenere entrambi i risultati prefissati.

La Fase 3 del progetto delineato da GFANZ prevede, infatti, l’integrazione e il dialogo tra Banche e Clientela per produrre insieme un percorso di transizione ecologica che coinvolga proattivamente il sistema finanziario e le strategie industriali.

Quando si interpreta questo cambiamento si devono scambiare, se opportuno, competenze sulla transizione e lavorare collettivamente su sfide comuni e rappresentare in modo coeso le opinioni del settore finanziario verso gli stakeholder esterni, come clienti e governi.

Quindi entrerebbe in campo un terzo soggetto nell’operazione descritta dallo schema di GFANZ, ovvero il coinvolgimento dei governi, attraverso attività di lobbying diretta e indiretta che dovrebbero, in modo coerente, sostenere una transizione ordinata verso il Net Zero e, se opportuno, incoraggiare la coerenza degli sforzi – non solo di lobbying ma anche di advocacy - dei clienti e delle aziende del portafoglio con gli obiettivi stessi dell'istituzione.

A questo punto si entrerebbe in Fase 4, ovvero nella fase di monitoraggio dell’operazione di transizione ecologica.

In questa fase è fondamentale stabilire un insieme di metriche e obiettivi per guidare l'esecuzione del piano di transizione e monitorare il progresso dei risultati nel breve, medio e lungo termine. Includere metriche e obiettivi focalizzati sull'allineamento dell'attività finanziaria a sostegno della transizione dell'economia reale; sull'esecuzione del piano di transizione; e sulla misurazione dei cambiamenti nelle emissioni di gas serra da parte di clienti e aziende del portafoglio.

Il sistema deve funzionare e può funzionare solamente con il supporto di un sistema di Governance strutturalmente preparato per la conduzione di queste fasi.

Per quanto sembri astratto il ragionamento sin qui elencato, si deve sottolineare come il progetto sia già in corso e espressamente diretto da una “community” formata dalle più importanti banche del mondo. Il fatto che queste fasi siano pensate dal settore privato e non già da una commissione sul cambiamento climatico (ispirata dallo spirito di salvaguardia ambientale), dovrebbe far riflettere sulla concretezza di questi step e sulla logica economica a loro sottesa, diversamente correndo il rischio di banalizzare il percorso riducendolo ad una disquisizione teorica con poche applicazioni nel modello bancario attuale mentre l’adeguamento del sistema finanziario si impone per la salvaguardia della funzione creditizia che gli è propria.

6.       Il ruolo della cartolarizzazione nella transizione ecologica

Per un radicale mutamento dell’approccio al credito da parte di imprese e istituti di credito, occorre affrontare il problema del credito deteriorato e di come possa essere influenzato da politiche di green economy.

L’approccio, in estrema sintesi, dovrebbe essere quello di ripensare al sistema di valorizzazione attuale del credito in fase di cessione, prendendo in considerazione se lo stesso abbia o meno origine da una finanza sostenibile.

Per farlo, quindi, dobbiamo affrontare proprio l’integrazione dei principi di ESG (Ambientali, Sociali e di Governance) con il modello attuale di valutazione del merito creditizio[15].

D’altro canto a suggerirlo è proprio la Direttiva UE 2022/2464 sulla rendicontazione societaria di Sostenibilità – CSRD entrata in vigore il 1 Gennaio 2023 che modifica il precedente regime della rendicontazione non finanziaria ponendo le basi per un flusso coerente ed efficiente di informazioni - sulla base di standard europei prefissati - circa la sostenibilità lungo l’intera catena di valore economico-finanziaria.

Si potrebbe coniare il termine di “merito eco-creditizio” per indicare quegli elementi che, se presenti, classificano l’impresa come eco-compatibile con un modello standard adatto all’impatto con il cambiamento climatico in corso.

Questo valore incide in forma rilevante sul tessuto economico e quindi, direttamente, sul merito creditizio, laddove lo stesso possa quindi basarsi anche sulla progressiva sostenibilità ambientale dell’impresa nel tempo.

Un credito – seppur deteriorato – erogato ad una azienda a basso impatto ambientale deve essere valutato con un criterio differente[16].

Il meccanismo di valutazione del credito sotto la lente dell’impatto ambientale deve, quindi, avere riguardo ad alcuni parametri che, inevitabilmente, devono risultare presenti al momento dell’erogazione del credito.

Ecco l’importanza di introdurre modelli di valutazione del merito creditizio che spingano le imprese interessate a dotarsi di un sistema di autovalutazione (come ad esempio la carbon footprint[17]) per familiarizzare con l’impatto climatico della propria azienda, sia nell’ottica di un prospetto premiante terminale (una valorizzazione del progetto aziendale che abbia tenuto conto costantemente delle emissioni riducendole progressivamente), sia per intraprendere un percorso di decarbonizzazione che conduca l’impresa a livello competitivo nel traguardo dettato dagli accordi di Parigi.

Una corretta classificazione dei crediti anche con questi marker consente quindi, laddove gli stessi subiscano una degradazione che li porti nella bolla degli NPL, una diversa valutazione in fase di cessione in blocco.

Attenzione particolare dovrà essere portata alle imprese che diversamente hanno operato in “greenwashing”: tale pratica consiste nell’ottenere un vantaggio sulla concorrenza in modo sleale commercializzando un prodotto finanziario come ecocompatibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti[18]

La sostenibilità sta diventando un argomento sempre più importante per i partecipanti al mercato, ma in questa fase sembra che l'applicazione dei requisiti di sostenibilità dell'UE esistenti nel contesto della cartolarizzazione sia insufficientemente specificata.

La tassonomia dell'UE non si applica alle transazioni di cartolarizzazione, e gli strumenti finanziari emessi all'interno delle transazioni di cartolarizzazione non sono considerati "prodotti finanziari" come definito nel SFDR. Tutte le cartolarizzazioni in Europa sono regolamentate dal Regolamento sulla Cartolarizzazione dell'UE (SECR)[19], che già stabilisce dettagliati standard di due diligence e di divulgazione per la cartolarizzazione, compresa la divulgazione di informazioni relative alle prestazioni ambientali di prestiti residenziali o di prestiti per auto e portafogli di leasing nel contesto della cartolarizzazione STS.

Inoltre, nonostante la finanza sostenibile sia stata inizialmente implementata nella finanza azionaria e obbligazionaria aziendale, dove le decisioni di investimento potevano essere basate sulle performance ESG dell'ente emittente, l'implementazione della sostenibilità nella cartolarizzazione deve considerare diversi parametri a causa della varietà di prodotti di cartolarizzazione, compresi i molteplici soggetti coinvolti nelle cartolarizzazioni e i vari tipi di attività sottostanti e strutture.

Sebbene i requisiti obbligatori di divulgazione non siano ancora in vigore, la BCE e le Agenzie di Sorveglianza Europee (ESAs) stanno comunque invitando le Banche a raccogliere già, al momento dell'origine del prestito, i dati necessari agli investitori per valutare i rischi legati al clima degli asset sottostanti. Nel caso della cartolarizzazione, Banche e Imprese finanziate dovrebbero compilare i campi volontari relativi al clima nei modelli di divulgazione esistenti per la cartolarizzazione. L'accesso, senza soluzione di continuità ai dati relativi al clima, dovrebbe essere disponibile attraverso i repository registrati di cartolarizzazione per migliorare ulteriormente la trasparenza e la chiarezza per gli investitori. Ciò eviterebbe informazioni frammentate attraverso diversi punti di accesso e comporterebbe costi e rischi inferiori per Banche, investitori e supervisori.

Infine, l'introduzione di nuovi requisiti di divulgazione legati al cambiamento climatico per le cartolarizzazioni potrebbe diventare rilevante anche per strumenti di finanziamento simili garantiti dallo stesso tipo di asset sottostante, come i covered bonds[20]. Requisiti coerenti ed armonizzati per questi strumenti sono necessari per valutare e affrontare adeguatamente i rischi legati al clima e garantirebbero una parità di condizioni tra classi di attività simili, promuovendo la comparabilità per gli investitori e agevolando un trattamento equo da parte degli supervisori dell'UE. Le ESAs e la BCE sono impegnate a sostenere la comparabilità dei futuri requisiti di divulgazione all'interno dei rispettivi mandati.

Inutile, però, negare la realtà: al momento, all’interno delle cartolarizzazioni i crediti brown (ovvero i finanziamenti concessi a modelli imprenditoriali ad alto impatto ambientale) rappresentano la maggioranza schiacciante.

Questo trend deve far riflettere proprio alla luce dei modelli proposti, sull’importanza di una sub-classificazione dei crediti in base all’impatto sul cambiamento climatico, che consenta quindi di creare piattaforme diverse di cessione dei crediti isolando i “brown” dai “green[21]

7.       Le Cartolarizzazioni Green in Italia

In Italia ci sono già stati esempi precursori del modello di cartolarizzazione green che viene oggi all’attenzione mondiale.

Già nel 2021 il gruppo Intesa San Paolo concludeva una cartolarizzazione di soli strumenti green trasferendo al mercato dei capitali il rischio a lungo termine di un portafoglio di 42 project finance strutturati per la costruzione di impianti eolici (50% del totale), fotovoltaici (40%) e a biomassa (10%), per un importo complessivo di €1,3 miliardi.

Banca d’Italia dal 2019 integra criteri finanziari e di sostenibilità ambientale, sociale e di governo societario (ESG) nella gestione dei propri investimenti non di politica monetaria; a tal proposito nel 2021 ha pubblicato la Carta degli investimenti sostenibili[22] che “definisce la visione che la Banca ha della sostenibilità, contiene i principi e i criteri di riferimento per la gestione sostenibile dei propri investimenti finanziari e indica precisi impegni mediante i quali intende dare concretezza alla propria azione a favore di un modello di crescita economica sostenibile”.

La carta ruota attorno ai Principi stabiliti dal Global Compact delle Nazioni Unite, da quelli relativi all’agenda 2030 e dagli accordi di Parigi sul Clima.

 La Carta si ispira anche alle raccomandazioni del Network for Greening the Financial System, al quale la Banca partecipa attivamente dal 2019, e alla posizione comune emersa nell'Eurosistema per l'applicazione ai portafogli non di politica monetaria di criteri di investimento sostenibile e responsabile.

Il nucleo di nostro interesse emerge là dove si spiega come la Banca d’Italia miri ad “integrare i criteri ESG nell’allocazione degli investimenti e nei sistemi di misurazione e gestione dei rischi, promuovendo la diffusione di buone pratiche di investimento sostenibile e di gestione dei rischi nel sistema finanziario. Nelle proprie scelte la Banca privilegia gli investimenti che presentano il miglior profilo ESG ed applica esclusioni basate sulle convenzioni fondamentali in materia di lavoro e sui trattati internazionali in materia di armi controverse sopra richiamati; esclude infine i produttori di tabacco[i]

In un recentissimo studio[23] sempre sviluppato da Banca d’Italia di Ottobre 2023 si illustra che tra gli strumenti finanziari “green”, le cartolarizzazioni rappresentano un nuovo strumento per le istituzioni finanziarie per accedere a finanziamenti per iniziative ambientali.

Nonostante la loro crescente rilevanza nei mercati finanziari, le cartolarizzazioni verdi sono strumenti finanziari per i quali attualmente non esistono definizioni universalmente accettate o metodologie standard per identificarli.

Secondo Fitch Ratings (2021, 2022), il mercato delle cartolarizzazioni “Green” è ancora in una fase iniziale e, nel breve termine, dovrebbe rimanere concentrato su tre principali classi di attività green (mutui per miglioramenti dell'efficienza energetica, prestiti per impianti solari sul tetto e veicoli elettrici); tuttavia, c'è spazio per una rapida crescita del mercato poiché gli investitori nel settore della finanza strutturata stanno sempre più considerando la sostenibilità nelle loro decisioni di investimento e le istituzioni finanziarie sono in grado di trasferire gran parte dei rischi di credito.

L'iniziativa Climate Bond (CBI, 2017 e 2018) evidenzia come le cartolarizzazioni “green” siano in grado di sbloccare fondi per progetti a bassa emissione di carbonio su piccola scala. I potenziali e gli svantaggi delle cartolarizzazioni di questo tipo sono descritti da Petit e Schlosser (2020), che sottolineano che la principale difficoltà per lo sviluppo delle cartolarizzazioni verdi è l'assenza di definizioni standardizzate e metodologie comuni per identificare rischi e contratti di prestiti “green”.

La Banca d'Italia produce regolarmente statistiche sugli elementi del bilancio e sui prestiti cartolarizzati (estinti dal bilancio) originati dalle banche italiane. Queste statistiche vengono prodotte con frequenza mensile con molti dettagli, ad esempio il settore ESA del mutuatario, il tipo di prestito (ad esempio, mutuo per famiglie o credito al consumo), il settore NACE del mutuatario quando si tratta di una società non finanziaria.[24]

Ora, il meccanismo che può portare all’individuazione dei crediti “green” consiste nell’analizzare i prestiti a soggetti il cui settore NACE rientri tra quelli dotati di standard adeguati di sostenibilità.

Con questa operazione è possibile isolare i crediti green in modo da poterli analizzare e trattare in maniera adeguata.

La sostenibilità è un concetto multidimensionale che coinvolge aspetti ambientali, economici e sociali. Dato il carattere orientato al futuro del concetto, non sarebbe appropriato identificare settori economici "verdi" e "marroni" basandosi semplicemente su misure dirette e tipicamente retrospettive delle emissioni inquinanti, ad esempio quelle disponibili nei Conti Ambientali di Eurostat. Infatti, ci sono attività "intrinsecamente ad alta emissione" che possono comunque essere considerate sostenibili in termini di futuri "obiettivi ambientali". In questo contesto, per identificare attività economiche "verdi" o "sostenibili", è più sensato e diretto fare riferimento alla Tassonomia dell'UE delle attività sostenibili[25].

 La Tassonomia dell'UE è un sistema di classificazione ufficiale, entrato in vigore il 12 luglio 2020, che stabilisce un elenco di attività economiche ambientalmente sostenibili. In particolare, il Regolamento alla base della Tassonomia stabilisce i requisiti che un'attività economica deve soddisfare per essere qualificata come ambientalmente sostenibile.

Poter identificare le attività a basso impatto ambientale mediante la classificazione proposta dal sistema di Tassonomia UE è il miglior modo per perseguire lo scopo preposto, ovvero iniziare un processo di separazione dei nuclei di crediti e procedere ad una diversa valutazione nel sistema di cartolarizzazione attuale.

Lo sviluppo della “Green Economy” è uno dei principali motori per indirizzare risorse finanziarie a progetti dedicati al clima. A questo scopo, la promozione di nuovi strumenti "green" è un punto chiave per generare ulteriori finanziamenti.

Dal punto di vista teorico, una cartolarizzazione può essere definita "green" se sia il collaterale[26] della cartolarizzazione sia i proventi derivanti dall'operazione sono dedicati a attività e progetti green.

Valutare se una determinata cartolarizzazione è garantita da un “green collateral” non è sempre fattibile, e valutare come saranno utilizzati i proventi dell'operazione in pratica è ancora più difficile. Per questi motivi, per il momento e data la disponibilità di informazioni, il modo più praticabile per etichettare una cartolarizzazione come "verde" e analizzare il mercato delle cartolarizzazioni verdi è valutare la sostenibilità dell'attività economica - in termini di classificazione NACE - del mutuatario dei prestiti cartolarizzati sottostanti.

Utilizzando le evidenze disponibili nel database centralizzato dei titoli della BCE, emerge che, sebbene in Europa il mercato sia ancora di dimensioni ridotte, i volumi emessi stanno aumentando nel tempo. Concentrandoci sul mercato italiano, si evince che i prestiti cartolarizzati delle banche a attività economiche "brown" sono cresciuti molto più rapidamente rispetto a quelli a attività "green", suggerendo che le banche hanno preferito mantenere nel loro bilancio prestiti a attività a basso impatto ambientali ed estinguere prestiti ad attività meno sostenibili.

8.       Conclusioni

Un corretto piano finanziario per sostenere la transizione ecologica e ridurre l’impatto dell’industrializzazione sul cambiamento climatico è un tema di assoluta centralità.

Indispensabile per questo processo di cambiamento è che sia un processo condiviso a livello mondiale, integrato in un sistema che tenga conto di tutte le fasi a cui è legata la gestione finanziaria a sostegno del “fare impresa”.

Per tali motivi il primo passo deve risultare da una armonizzazione della regolamentazione bancaria nell’ottica di spingere l’economia nella direzione di processi a basso impatto ambientale.

Per farlo è necessario cambiare in parte l’approccio alla gestione del rischio e alla valutazione del merito creditizio, riscrivendo quest’ultimo sotto la lente della sostenibilità ed educando anche le imprese stesse all’importanza del percorso di decarbonizzazione; percorso che non parte e finisce solo nei processi produttivi, ma che anzi deve passare attraverso la consapevolezza che un alto impatto climatico aumenta i costi e nel lungo periodo danneggia l’impresa stessa aumentando il rischio di restare fuori dai modelli virtuosi e, quindi, dall’accesso al credito.

Diventa, così, rilevante anche il processo di cartolarizzazione che deve prendere in considerazione non soltanto la tipologia di credito che si veicola, ma anche l’impatto ambientale che si porta sulle spalle; poiché un credito con un alto impatto ambientale non si potrà giovare di strumenti finanziari green che possano ristrutturarlo e al tempo stesso essere garantiti anche in seno all’istituto di credito che li eroga. Diversamente, un credito affidato ad una impresa virtuosa, potrà sfruttare tutta una linea di supporti collateral che ne sosterrebbe i costi e, anzi, ne manterrebbe interessante il valore in fase di cessione.

Anche se l’obiettivo è comunque e sempre la salvaguardia dell’ambiente, il nodo cruciale è che un approccio più sostenibile non è soltanto un approccio eticamente virtuoso; è un sistema economicamente vantaggioso che apre nuove frontiere nei mercati finanziari e verso nuovi strumenti performanti.



[1] Cfr. IPCC 2023 in https://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/downloads/report/
IPCC_AR6_SYR_SPM.pdf
dove riferisce che “Current global financial flows for adaptation are insufficient for, and constrain implementation of, adaptation options, especially in developing countries”.
 

[2] Una precisazione in merito: il riferimento alle ideologie qui è legato a due distinti approcci rispetto al cambiamento climatico; tralasciando volutamente l’approccio antiscientifico di chi nega la sua esistenza, restano infatti due categorie di pensiero che comunque lo affrontano in modo poco prudente: la prima, che lo pone come un problema risolvibile con gli attuali modelli macro e micro prudenziali già in atto presso gli istituti bancari; la seconda che pur non sottostimando il problema, ritiene che la soluzione vada cercata unicamente in una completa riscrittura dei modelli imprenditoriali attuali, negando che possa essere un problema bancario.

[3] I requisiti bancari microprudenziali sono norme e criteri che le istituzioni finanziarie devono rispettare per garantire la stabilità e la sicurezza del sistema finanziario. Questi requisiti sono progettati per limitare i rischi e assicurare che le banche abbiano abbastanza capitale e liquidità per far fronte a potenziali perdite.

Le normative microprudenziali includono diverse misure, come ad esempio i requisiti di capitale (Basilea III), che stabiliscono quanto capitale le banche devono mantenere in relazione agli attivi ponderati per il rischio. Altre misure possono riguardare la gestione dei rischi, i test di stress e i requisiti di liquidità, garantendo che le banche siano in grado di far fronte a situazioni di crisi finanziaria senza compromettere la stabilità del sistema.

Queste regolamentazioni sono essenziali per proteggere i depositanti e gli investitori, nonché per prevenire crisi finanziarie che potrebbero avere impatti negativi sull'economia nel suo complesso.

Sul punto cfr. Articolo 114 e articolo 127, paragrafo 6, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il “Capital markets union 2020 action plan” redatto dalla Commissione Europea reperibile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM:2020:590:FIN

[4] Ad oggi sono 3 le risoluzioni adottate da paesi dell’Unione europea che comprendono il buffer sistemico (misure di cumulo patrimoniale per periodi di rischio economico): cfr. Risoluzione Banca d’Italia 2 settembre 2022 che riporta “Le raccomandazioni ESRB/2021/3, ESRB/2022/1 e ESRB/2022/3 del Comitato europeo per il rischio sistemico (European Systemic Risk Board, ESRB) invitano le autorità degli Stati membri dello Spazio economico europeo a riconoscere tre misure macroprudenziali norvegesi, una misura lituana, una misura olandese e una misura belga.

Le misure norvegesi riguardano l'obbligo di riserva di capitale a fronte del rischio sistemico (Systemic Risk Buffer, SyRB) per le esposizioni verso residenti in Norvegia e un livello minimo per il coefficiente di ponderazione del rischio per le esposizioni garantite da immobili residenziali e non residenziali situati in Norvegia facenti capo a banche che utilizzano modelli interni (Internal Ratings-Based, IRB) per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito.

La misura lituana introduce un SyRB su tutte le esposizioni al dettaglio verso persone fisiche residenti in Lituania garantite da immobili residenziali.

La misura olandese prevede un livello minimo per il coefficiente di ponderazione del rischio per le esposizioni verso persone fisiche garantite da immobili residenziali situati nei Paesi Bassi facenti capo a banche che utilizzano modelli IRB.

La misura belga introduce un SyRB per le esposizioni verso persone fisiche garantite da immobili residenziali ubicati in Belgio facenti capo a banche che utilizzano modelli IRB.

[5] N. N. TALEB, Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita, Milano, 2007.

[6] Cfr. P. BOLTON - M. DESPRES – L. A. PEREIRA DE SILVA - F.SAMANA - R. SVARTZMAN (a cura di), The Green Swan, in WFE (World Economic Forum), 2020.

[7] Cfr. “Toward a green economy: the role of central bank’s asset purchases“ a cura di Alessandro Ferrari e Valerio Nispi Landi in Working Paper Series, No. 2779 Febbraio 2023 reperibile al seguente link: https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scpwps/ ecb.wp2779~a4eca2101a.en.pdf

in cui, a pag.5, si legge che “Central banks such as the ECB, the Bank of England, and the Sverige Riksbank have indeed started to study how to decarbonize their balance sheets and in particular their monetary policy portfolios

[8] Il “Green Asset Ratio” indicato dalla Comunicazione della Commissione del 20 giugno 2019 – Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: integrazione concernente la comunicazione di informazioni relative al clima. Sul punto cfr. “Green Asset Ratio (GAR): ESG e trasparenza nel mondo bancario” a cura di Vincenzo M. Dispinzeri in Diritto Bancario, Maggio 2023.

[9] In generale, la diffusione della misurazione delle performance di sostenibilità è vantaggiosa perché offre una terminologia comune che rende le informazioni fruibili, trasparenti e comparabili e riduce il rischio di greenwashing, in quanto si focalizza su una misurazione degli impatti tecnica e standardizzata. Quella del GAR però è una notizia incoraggiante solo a metà, perché diverse deroghe e via di fuga permettono di mostrarsi più sostenibili senza realmente esserlo. Infatti, l’esclusione di alcuni settori, la determinazione del perimetro e il necessario utilizzo di stime nella determinazione del GAR rischiano di minare l’efficacia dell’indicatore. Andiamo con ordine. Il GAR si basa sulle attività sostenibili definite secondo la tassonomia UE che, di per sé, non copre ancora tutti i settori economici né tutti gli obiettivi ambientali. Inoltre, dal GAR sono al momento esclusi i titoli sovrani, gran parte delle esposizioni del settore pubblico, le esposizioni volatili e quelle a breve termine. Il grande assente saranno le esposizioni della banca verso le imprese che per legge non devono pubblicare la dichiarazione non finanziaria (DNF), ovvero la maggior parte delle imprese, dal momento che a redigere la DNF sono obbligati soltanto gli enti di interesse pubblico, come banche o assicurazioni, a prescindere dalla dimensione, e le aziende quotate con almeno 500 dipendenti e un bilancio consolidato con un attivo superiore a 20 milioni di euro o ricavi netti superiori a 40 milioni di euro. Questo, solo in parte, sarà arginato dall’applicazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che estende gli obblighi informativi a una platea più ampia di imprese. Per giunta, poi, saranno anche le banche stesse, senza troppi sforzi, a decidere di non includere ciò che abbasserebbe il loro GAR: infatti potrebbe verosimilmente accadere che le banche scelgano di “spostare” attività meno sostenibili al di fuori del perimetro di rendicontazione, riuscendo così ad alzare il proprio GAR senza realmente finanziare imprese e attività con un minore impatto sull’ambiente.

[10] Cfr www.gfanzero.com – Costituisce attualmente il più importante forum finanziario globale per far collaborare i sistemi bancari verso l’obiettivo prefissato dagli accordi di Parigi (zero emissioni entro il 2050): tra i membri vi sono il gruppo AVIVA, Bloomberg e Intesa San Paolo.

[11] per una rapida consultazione del report: https://assets.bbhub.io/company/sites/63/2022/09/Recommendations-and-Guidance-on-Financial-Institution-Net-zero-Transition-Plans-November-2022.pdf

[12] Termine in uso già dal 2013 e di cui si trova una chiara definizione, sia nella sua progettualità che nel suo parametro di utilizzo nel prospetto redatto dall’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico reperibile al link: https://www.oecd.org/environment/cc/Green%20 bonds%20PP%20%5Bf3%5D%20%5Blr%5D.pdf in cui il “green bond” viene definito come lo strumento ottimale per il finanziamento delle LCR (Low Carbon Resilient) ovvero le infrastrutture a bassa emissione di carbonio resilienti al cambiamento climatico (cfr anche Climate Adapt Novembre 2022 report)

[13] I carbon credits sono certificati negoziabili, ovvero titoli ciascuno dei quali equivalente ad una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita grazie ad un progetto di tutela ambientale realizzato con lo scopo di ridurre o riassorbire le emissioni globali di CO2 e altri gas ad effetto serra. Il carbon credit viene generato tramite la realizzazione di un progetto di sviluppo con certificazione da parte di un Ente di terza parte, poi scambiato e successivamente annullato su un registro pubblico per compensare l'emissione di una tonnellata di anidride carbonica equivalente.

[14] In tal senso cfr. “L’esercizio di stress test climatici tra esigenze di stabilità finanziaria e attuazione della politica climatica europea” a cura di Gianni Capobianco in Le crisi bancarie. Problemi e prospettive, Giappichelli 2023 in cui l’autore affronta proprio la problematica sottesa all’ingerenza delle decisioni della politica comunitaria sull’organizzazione bancaria.

[15] Sul punto cfr. S. PACCHI, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa,  in Ristrutturazioni Aziendali, il Caso.it , Maggio 2023.

[16] Sul punto cfr. Prodotti finanziari strutturati: ESAs e BCE sull’informativa sui cambiamenti climatici, in DirittoBancario.it, Marzo 2023 il quale riporta che “Le Autorità Europee di Vigilanza (ESMA, EBA ed EIOPA, insieme ESAs) unitamente alla Banca centrale europea (BCE), hanno pubblicato oggi una dichiarazione congiunta sull’informativa relativa al clima per i prodotti finanziari strutturati.

La dichiarazione incoraggia lo sviluppo di standard informativi per le attività cartolarizzate attraverso l’armonizzazione dei requisiti dei dati relativi al clima.

Le ESAs e la BCE sono impegnate a contribuire alla transizione verso un’economia più sostenibile nell’ambito dei rispettivi mandati.

Poiché gli investimenti in prodotti finanziari che rispettano elevati standard ambientali, sociali e di governance (ESG) sono sempre più importanti nell’Unione europea (UE), è diventata una priorità anche per i prodotti finanziari strutturati la divulgazione di informazioni relative al clima sulle attività sottostanti.

Attualmente, mancano dati relativi al clima sulle attività sottostanti i prodotti finanziari strutturati.

Ciò costituisce un ostacolo per la classificazione dei prodotti e dei servizi ai sensi del Regolamento UE sulla tassonomia e del Regolamento sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR) e impedisce la corretta valutazione e gestione dei rischi legati al clima.

L’ESMA, con il contributo dell’EBA, dell’EIOPA e della BCE, si sta quindi adoperando per migliorare gli standard di informativa per le attività cartolarizzate, includendo informazioni nuove, proporzionate e mirate sui cambiamenti climatici.

La dichiarazione illustra gli sforzi congiunti della BCE e dalle autorità di vigilanza europee per facilitare l’accesso ai dati relativi al clima al fine di migliorare la trasparenza in materia di sostenibilità nelle cartolarizzazioni e promuovere requisiti coerenti e armonizzati per strumenti simili.

Le autorità di vigilanza europee e la BCE invitano inoltre gli emittenti, i promotori e i produttori di tali attività a livello europeo a raccogliere in modo proattivo informazioni complete e di alta qualità sui rischi legati al clima durante il processo di creazione.

[17] Un processo virtuoso passa attraverso il calcolo delle emissioni di gas serra di:

SCOPE 1 (emissioni dirette), cioè le emissioni generate dagli asset aziendali,

SCOPE 2 (emissioni indirette energetiche)

SCOPE 3 (altre emissioni indirette), cioè le emissioni lungo la value chain aziendale

[18] In tal senso cfr. “REGOLAMENTO (UE) 2020/852 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088

[19] Cfr: REGULATION (EU) 2017/2402

[20] I covered bonds non sono considerati "prodotti finanziari" ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 12, del SFDR e, pertanto, non sono soggetti alle regole di divulgazione dei prodotti finanziari stabilite dagli articoli da 6 a 11 del SFDR (2019/2088) o nei modelli degli allegati II-V del Regolamento delegato del SFDR. Tuttavia, sono inclusi come "investimenti" ai sensi della divulgazione degli impatti avversi principali (PAI) di cui all'articolo 4 a livello di entità, proprio come avviene per le cartolarizzazioni. La divulgazione ESG correlata ai covered bonds, se presente, è regolamentata anche dall'articolo 14 della Direttiva sui Covered Bond (2019/2162), che si applica su base aggregata.

[21] Sul punto cfr. “A Market for Brown Assets To Make Finance Green” di Laura Cerami e Domenico Fanizza in IMF Working Papers, Gennaio 2023.

[22] La Carta è reperibile nel suo testo integrale al seguente link: https://www.bancaditalia.it/compiti/riserve-portafoglio-rischi/cis/CIS-ita.pdf

[23] “A First Analysis on the Green Securitizations in Italy” a cura di Francesco Cusano, Danilo Liberati, Stefano Piermattei and Lorenzo Rubeo in Questioni di Economia e Finanza – Banca d’Italia Ottobre 2023

[24] Suddivisione per “Nomenclatura generale delle Attività economiche nelle Comunità Europee” di cui siamo alla ver. 2.0

[25] Per maggiori informazioni cfr. https://ec.europa.eu/sustainable-finance-taxonomy/home

[26] Il termine deriva dal corrispettivo inglese “collateral” che indica lo strumento finanziario che assiste l’operazione finanziaria; un “collateral green” potrebbe essere rappresentato proprio da titoli obbligazionari come i “Sustenaibility Linked Bonds”; Questa tipologia di titoli obbligazionari dal 01 Gennaio 2021 è divenuta idonea come “collateral” sia per le operazioni di credito dell’Eurosistema sia (fermo restando la validità di tutti gli altri criteri di idoneità) per gli acquisti a titolo definitivo da parte dell’Eurosistema, all’interno dei programmi App (Asset Purchase Programme) e Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), per favorire una politica monetaria espansiva, attraverso iniezioni di liquidità. Sul punto cfr. il comunicato stampa di BCE del Settembre 2020 reperibile al link: https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ ecb.pr200922~482e4a5a90.en.html