Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

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Articolo

Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese: criteri di progettazione


Paolo Bastia

Data pubblicazione
27 luglio 2021

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Sommario: 1. Finalità e soggetti coinvolti. - 2. Il concetto di “adeguatezza”. - 3. Circa la insindacabilità delle scelte organizzative. - 4. Verso il modello di “impresa manageriale”. - 5. Gli adeguati assetti organizzativi: i paradigmi aziendalistici. - 6. L’assetto organizzativo. - 7. L’assetto amministrativo. -  8. L’assetto contabile. – 9. Conclusioni.

§ L’articolo costituisce una sintesi del Capitolo XX del Volume “Crisi e ristrutturazioni aziendali” di Paolo Bastia, in corso di pubblicazione, 2021.


1. Finalità e soggetti coinvolti.

Con l’intervento normativo del secondo comma dell’art. 2086 c.c. l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’impresa diviene il supporto attraverso il quale la percezione della crisi può raggiungere tempestivamente gli organi societari, affinché la sua completa conoscenza consenta di predisporre con prontezza i rimedi più opportuni.

L’art. 375 del d.lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14 recante il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha infatti modificato l’art. 2086 c.c. mediante l’aggiunta del comma 2 ai sensi del quale «L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». Ai sensi dell’art. 389 del citato decreto legislativo, la modifica è entrata in vigore il 16 marzo 2019.

Pertanto, agli amministratori, quali soggetti apicali della società, competono prerogative e responsabilità di valutazione dei fabbisogni, di progettazione e di realizzazione degli assetti organizzativi e contabili della società (in breve “assetti organizzativi”), mentre il collegio sindacale dovrà vigilare sull’effettività e sull’efficacia di questi impegni, nonché proprio sull’adeguatezza, conformemente al dettato dell’art. 2403 c.c..

La nuova nozione di crisi, ora proiettata nell’ottica della predittività e quindi dell’anticipazione dell’insolvenza, rappresenta una delle più rilevanti novità del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

L’art. 2 del CCII fornisce le seguenti definizioni:

a) «crisi»: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate;

b) «insolvenza»: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

La Legge delega n.155/2017 aveva già introdotto una definizione dello stato di crisi, inteso come probabilità di futura insolvenza, “anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza di cui all’articolo 5 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.

Si introduce così un concetto probabilistico di insolvenza, che implica una vigilanza preventiva su questo rischio, sollevando l’esigenza da parte dell’organo amministrativo di contrastare un rischio di insolvenza, che può essere previsto sulla base di opportuni parametri e indizi rivelatori. Si vuole quindi internalizzare, con l’istituzionalizzazione di un nuovo profilo di rischio (il “rischio” di insolvenza futura), un’attività di presidio rafforzata, condotta dall’imprenditore o dall’organo amministrativo, con la vigilanza, ai fini di eventuali segnalazioni, degli organi di controllo[1].

Il novellato art. 2086, secondo comma, c.c. non specifica, opportunamente, le soluzioni organizzative, ma si limita a definire gli obblighi e a dettare criteri generali di adeguatezza: “natura e dimensioni” dell’impresa.  In   questa clausola generale vi sono quindi ampi margini di discrezionalità, ma non di arbitrarietà, perché la scienza aziendale è già assai sviluppata in materia da molti anni. L’art. 2086 secondo comma, peraltro, non concerne propriamente la gestione, vale a dire il “sistema delle operazioni aziendali”, ma gli adeguati assetti, che sono funzionali all’ottimizzazione del “sistema delle decisioni”, quale presupposto per il sistema operativo. Tali assetti, a loro volta, non sono neutri rispetto alla gestione, sia perché devono conformarsi al modello di business, sia perché costituiscono supporti per la gestione in termini di razionalità, verificabilità, attendibilità, trasparenza, in un quadro sistemico in cui tutti gli elementi sono interconnessi e si alimentano in maniera diacronica secondo processi iterativi.

L’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi non è una novità assoluta, essendo stato introdotto nel codice civile dalla riforma del diritto societario e, secondo alcuni interpreti, potendo essere ricavato anche prima della riforma, quale riflesso del più generale dovere di diligenza, che imporrebbe di dotare la società di un adeguato assetto organizzativo, funzionale al fine di garantire corretti processi decisionali e gestionali.

Con la riforma del diritto societario, poi, tale dovere risulta espressamente codificato con l’introduzione dell’art. 2381 c.c., che - in particolare ai commi 3 e 5 - prevede: “il Consiglio di amministrazione valuta, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; e gli organi delegati curano che tale assetto sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa”.

Con il nuovo comma introdotto all’art. 2086 c.c., infine, si è prodotta un’evoluzione ulteriore sul piano finalistico, in quanto al dovere di adottare adeguati assetti organizzativi viene attribuito uno scopo ben preciso, non presente nella precedente normativa: quello di consentire di “rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità e di attivare tempestivi interventi per adottare gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità”.

La finalità è, quindi, duplice: di tempestiva rilevazione e di immediato intervento, con una stretta concatenazione. Questo comporta interventi organizzativi rispondenti e soprattutto rilevazioni e flussi informativi particolarmente efficienti come modalità sia di misurazione e di generazione dei dati; sia di comunicazione a prescelti soggetti qualificati all’interno dell’impresa, con un’articolazione che nelle strutture complesse risponde a:

a)        amministratori;

b)        collegio sindacale;

c)        organi di controllo specialistico di terzo e di secondo livello (internal auditor, risk manager, compliance manager, controller);

d)        management operativo a vari livelli della struttura organizzativa, responsabile dei controlli di linea (o di primo livello).

È particolarmente importante, facendo riferimento all’impresa manageriale, considerare nel disegno dei modelli organizzativi anche e soprattutto i ruoli di cui alla lettera d), non sempre adeguatamente evidenziati, quando invece sono proprio questi i presidi principali e ineludibili per un effettivo ed efficace funzionamento dei modelli organizzativi. Questo perché l’imprenditorialità e la gestione strategica, così come quella corrente, nel moderno business non sono concentrate “soltanto” nei soggetti apicali, ma sono diffuse e distribuite ai diversi livelli manageriali e non da meno anche nell’ambito del personale di linea, se adeguatamente formato professionalmente e sufficientemente esperto.

In particolare, il management operativo - direzione commerciale,  direzione tecnica, direzione ricerca e sviluppo, direzione approvvigionamenti, direzione logistica, marketing, direzione risorse umane - possiede una superiorità specifica in azienda, dettata dalle proprie competenze funzionali: quindi tutte le criticità e anomalie sorgenti nella propria area possono essere opportunamente intercettate, con consapevolezza del grado di rischio e prontezza di rilevazione, soltanto al suo livello specialistico. Quanto alla ricaduta complessiva, sono poi i vari ruoli di general management (sempre operativo) a poter esprimere valutazioni di sintesi e a poter valutare rischi sistematici di crisi e di pericolo per la continuità aziendale, lungo la catena del valore colta nella sua interezza. Ruoli chiave a livello di general management sono l’amministratore delegato, la direzione generale, i direttori di area, i project manager, i product manager.

Quanto al management di cui al punto c), si tratta invero della cosiddetta tecnostruttura, a cui sono demandati servizi di alto profilo a supporto della corretta amministrazione aziendale e quindi più specificatamente all’adeguatezza degli assetti amministrativi. Tali ruoli sono essenzialmente deputati al coordinamento interno e ai sistemi di controllo e di analisi dei rischi. L’impianto regolamentare, procedurale, informativo interno, di risk assessment e di attuazione di controlli di secondo e di terzo livello che compete alla tecnostruttura, costituisce un decisivo presidio per l’adeguatezza degli assetti amministrativi per la correttezza e la mitigazione dei rischi nei diversi processi operativi dell’impresa.

Quanto agli amministratori, su cui grava l’obbligo di dotazione dell’azienda degli adeguati assetti organizzativi, nelle imprese minori hanno verosimilmente un rapporto diretto con la gestione e con gli interlocutori (banche, clienti, fornitori, attività produttive e commerciali); mentre progressivamente, con l’aumentare della complessità aziendale - più che della dimensione, che non è un criterio sempre aziendalmente equivalente a quelli assai più significativi della complessità e della varietà - gli amministratori possiedono solo un rapporto indiretto e mediato dal management e dal personale con la gestione concreta. Pertanto, la progettazione e la realizzazione di assetti organizzativi appropriati assume una crescente importanza, evolvendo verso maggiori livelli di formalizzazione e di modellizzazione dell’operatività aziendale. La formalizzazione, tuttavia, dovrà evitare di spingersi al punto di sclerotizzare il sistema, con percorsi informativi, autorizzativi e decisionali troppo lunghi e ridondanti, tali da precludere quell’esigenza di tempestività voluta dal legislatore.

L’attenzione posta ricorrentemente dal legislatore alla dimensione organizzativa dell’impresa è perfettamente consona con l’evoluzione della letteratura economica, che, superando la ristretta visione di mera “funzione di produzione”, ne ha chiarito la natura quale “forma di coordinamento” dell’attività economica, realizzata attraverso meccanismi peculiari, diversi da quelli del mercato: meccanismi organizzativi (prevalentemente gerarchici), di pianificazione, di contabilità manageriale[2].

 

2. Il concetto di adeguatezza.

Va osservato il fatto che, pur avendo chiarite la finalità, il legislatore non individua il contenuto degli assetti organizzativi, utilizzando tuttavia l’aggettivo “adeguati”. Il concetto di adeguatezza implica la strutturazione di un’organizzazione interna che sia in grado di “adeguarsi” all’andamento dell’attività di impresa e, quindi, alle variazioni del rischio gestionale che questo comporta. Tale strutturazione dovrà, quindi, essere oggetto di idonee e ripetute analisi e verifiche all’interno dell’azienda, per pervenire ad una corretta progettazione e attuazione degli assetti organizzativi, nonché per intervenire per il loro presumibile riadeguamento nel tempo.

Appare quindi opportuno verificare quale possibile nuova configurazione possano assumere i doveri di condotta degli organi societari rispetto alla prevenzione della crisi e quale rilevanza possa essere riconosciuta al principio della business judgment rule in rapporto alle scelte inerenti gli adeguati assetti organizzativi finalizzati alla valutazione tempestiva di evidenze di crisi: principio tipicamente applicato alle discrezionalità delle scelte strategiche e operative dell’organo amministrativo, le cui valutazioni in proposito sono di massima insindacabili, a date condizioni ed entro certi limiti (ragionevolezza  delle scelte e  razionalità  nella formulazione dei processi decisionali e dei supporti adottatati, in risposta alle caratteristiche di complessità e di rilevanza delle decisioni da assumere).

 

Quanto alla responsabilità giuridica in capo agli amministratori, questa può emergere dal rilievo delle modalità stesse del loro operare, qualora evidenzino la mancata adozione di quelle cautele, ovvero la non osservanza di quei canoni di comportamento, che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il criterio della normale professionalità, il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inidoneo adempimento dei doveri che loro competono.

Tuttavia, lo stesso principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto. La giurisprudenza ha, infatti, elaborato due particolari limiti: i) la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta); ii) la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta risulta ottimale, anche comparativamente rispetto ad altre).

È quindi molto importante che gli amministratori precisino i criteri di progettazione  e di realizzazione degli assetti organizzativi[3], amministrativi e contabili; le ragioni delle scelte - tra le tante astrattamente possibili - concretamente operate;  quindi i  fondamentali, essenziali caratteri distintivi dell’azienda che permettano di considerare adeguate le soluzioni prescelte: in modo tale che, esplicitate tali variabili progettuali, queste diventino anche i riferimento per gli aggiornamenti e i riadeguamenti che certamente, nel corso della vita dell’azienda, si renderanno necessari, in risposta alle dinamiche esterne  e aziendali.

Tale esplicitazione dei criteri opera come dimostrazione sia del rispetto della legittimità, in termini di modus operandi per conseguire la richiesta adeguatezza delle soluzioni introdotte; sia della razionalità e della professionalità dell’organo amministrativo, nella misura in cui esso riesca a “coniare” degli assetti specificatamente rispondenti al sistema aziendale di riferimento, nel tempo in cui si dà attuazione a un così importante intervento strutturale.

 

3. Circa la insindacabilità delle scelte organizzative.

Considerata la discrezionalità a livello normativa e l’ampiezza tecnico-aziendale delle opzioni sulle configurazioni degli assetti organizzativi, è necessario chiedersi se e come la regola della business judgment rule, sorta e diffusa con riferimento alle scelte imprenditoriali degli amministratori, possa applicarsi anche alle scelte «organizzative» da essi poste in essere.

Secondo ripetute sentenze del Tribunale di Roma[4]a tale domanda deve darsi risposta affermativa, partendo proprio dalla formulazione del già citato art. 2381 c.c., che pone a carico degli amministratori il dovere di curare l'adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società. In tale prospettiva, in estrema sintesi, si deve evidenziare che la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all'espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.”.

Ne consegue, secondo le motivazioni della sentenza del settembre 2020, “che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi (non essendo enucleabile dal codice un modello di assetto utile per tutte le situazioni), quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina”.

Pertanto, le soluzioni progettuali e attuative degli assetti organizzativi, fatti salvi i profili di legittimità, devono risultate coerenti con i canoni scientifici dell’Economia Aziendale e più esattamente delle discipline aziendalistiche specialistiche (Organizzazione, Management, Pianificazione e controllo, Ragioneria generale e applicata), per orientare in maniera razionale e non arbitraria le discrezionalità che il legislatore ha opportunamente rappresentato, coerentemente con la natura individuale della singola azienda, con le sue specificità derivanti dal suo percorso storico evolutivo, dal suo modello di business, dall’elemento soggettivo delle risorse umane presenti, dal particolare ambito competitivo.

Così,  l’esistenza di un ambito discrezionale in cui gli amministratori possono compiere le loro scelte aventi carattere organizzativo deriva dal fatto che il legislatore ha utilizzato come criterio la clausola generale dell’adeguatezza  - dunque, una clausola elastica - e pertanto  la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta gestionale (rectius strategica), per la quale vale il criterio della insindacabilità, purché la scelta effettuata sia razionale, non manifestamente  imprudente, tenuto conto del contesto e con le cautele richieste dalla diligenza necessaria.

Di conseguenza, mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo amministrativo, dall’altro lato si reputa  assoggettabile a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dagli amministratori nei limiti e secondo i  criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (secondo i criteri della adeguatezza): ciò al fine di verificare se la soluzione organizzativa adottata possa risultare idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo amministrativo sia ragionevole e non manifestamente irrazionale.  Appare evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione degli amministratori e del management ex ante, adottando un approccio gestionale orientato al futuro, sulla base di selezionate informazioni predittive, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, andando anche oltre i dati consuntivi e attuali.

Da ciò consegue che potrebbe considerarsi responsabile l’amministratore che ometta in toto di approntare una qualsivoglia struttura organizzativa, rimanendo inerte di fronte a chiari e percepiti segnali rivelatori di una situazione di crisi o di pre-crisi, tali da renderla conoscibile all’organo amministrativo, direttamente o indirettamente (attraverso la mediazione del management e delle reportistiche manageriali).

Per contro, come eventuale fattore esimente, non potrebbe ritenersi responsabile l’amministratore che abbia predisposto scientemente delle soluzioni organizzative che, con una valutazione ex ante, apparivano ragionevolmente adeguate, secondo le sue conoscenze e secondo gli elementi a sua disposizione, a verificare tempestivamente la perdita della continuità aziendale, in virtù di metodi, di supporti, di informazioni ritenuti corretti secondo le specifiche discipline aziendalistiche e la prassi affermata. Ancora, non dovrebbe ritenersi responsabile l’amministratore che, pur avendo tempestivamente rilevato, attraverso la struttura organizzativa predisposta, il venir meno della continuità aziendale, ponga in essere degli interventi che solo successivamente si rivelino insufficienti ad evitare la degenerazione della crisi, purché tali interventi, essendo condotti sulla base di una valutazione ex ante, non risultino manifestamente irrazionali ed ingiustificati.

In concreto, agli amministratori, quali soggetti apicali della società, competono prerogative e responsabilità di valutazione dei fabbisogni, di progettazione e di realizzazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società, mentre il collegio sindacale dovrà vigilare sull’effettività e sull’efficacia di questi impegni, nonché proprio sull’adeguatezza conformemente al dettato dell’art. 2403 c.c..

 

4. Verso il modello di “impresa manageriale”.

La nozione di crisi a contenuto predittivo, come anticipazione dell’insolvenza, comporta un riorientamento del sistema aziendale e delle logiche di amministrazione e di controllo.

Emerge allora come Leitmotiv normativo e giurisprudenziale, in perfetta linea con il collaudato impianto logico e metodologico della letteratura aziendalistica[5], la necessità di un forte orientamento al futuro per la gestione della crisi, sia come attuazione di adeguati assetti organizzativi che consentano una vigilanza proattiva e un’ immediatezza di risposta, sia come generazione di informazioni anticipatorie e di prontezza dei flussi informativi verso gli organi sociali (oltreché costantemente verso il management), sia come tempestività delle soluzioni di prevenzione e di sistemazione delle criticità operative e dei rischi pregiudizievoli per la continuità aziendale.

Da ciò appare chiaro che occorre anche procedere con una riqualificazione della cultura manageriale all’interno dell’azienda, affinché evolva - specie nelle piccole imprese prevalentemente a capitalismo familiare (ma non solo) - da stili di direzione informali e da approcci empirici (tipici della cosiddetta azienda “imprenditoriale”) verso l’adozione di sistemi e di soluzioni professionalmente aggiornati e sufficientemente formalizzati, a costi ragionevoli e coerentemente con le dimensioni e le peculiarità dell’azienda, evitando altresì indesiderate forma di burocratizzazione.

Il modello alternativo a quello «imprenditoriale» e da considerarsi “a tendere” in un’ottica evolutiva della riqualificazione dei metodi di gestione, è dunque quello della cosiddetta «impresa manageriale», a sua volta variamente caratterizzata, ma nella quale, tipicamente, si ritrovano specifici connotati:

a) un sistema di corporate governance configurato in maniera non embrionale; sia come composizione qualitativa e quantitativa del consiglio di amministrazione e razionale sistema delle deleghe, sia come presenza di organi di controllo, societari (società di revisione o revisore unico) e aziendali (organismo di vigilanza ai sensi del d.lgs. n. 231/2001); codice etico, protocolli e procedure formali, anche se non integralmente sviluppate nella totalità dei processi aziendali;

b) una struttura organizzativa formalizzata, con ruoli definiti e attribuzione sufficientemente chiara delle responsabilità, unitamente a meccanismi organizzativi di supporto: programmazione e controllo, sistemi informativi, sistemi retributivi e incentivanti evoluti, attività formative, ecc.;

c) un assetto manageriale sviluppato, specie nelle funzioni operative chiave, con supporti decisionali quantomeno convenzionali, se non all’occorrenza avanzati: gestione per obiettivi, budgeting e reporting manageriali, meccanismi di coordinamento (management commettee, budgeting team, project management), autonomie decisionali, chiaro disegno delle responsabilità.

 

5. L’adeguatezza degli assetti organizzativi: i paradigmi aziendalistici.

Il legislatore, come si è detto, indica relativamente all’assetto organizzativo il requisito di “adeguato”, rispetto alla natura e alla dimensione dell’impresa: una clausola assai flessibile, che lascia quindi ampia discrezionalità agli amministratori. Tale flessibilità è relativa alla natura e alla dimensione dell’impresa: variabili che tuttavia vanno meglio precisate.

La natura dell’impresa, dal punto di vista economico, consiste nella sua capacità di coordinamento di attività integrate dal punto di vista tecnico-economico, più efficiente a date condizioni rispetto al coordinamento del mercato e in chiave moderna e strategica può essere colta nella “catena del valore” (value chain)[6], vale a dire nella filiera di processi coordinati (commerciali, produttivi, logistici, amministrativi, progettuali), sia all’interno dei propri confini legali (con propri dipendenti e  con propri beni iscritti a patrimonio), sia all’esterno, qualora svolga un’attività di regia di attività esternalizzate, produttive e commerciali. Ne consegue che il fabbisogno organizzativo non solo sarà maggiore, ma sarà anche specificato nei suoi contenuti dal modello di business e dalla base tecnologica su cui si fonda.

Quanto alla dimensione, al di là di criteri tradizionali quali il fatturato, il numero dei dipendenti e il totale dell’attivo patrimoniale, quello che rileva maggiormente dal punto di vista del fabbisogno organizzativo è la complessità, di cui la dimensione è solo uno dei fattori che ad essa concorrono, insieme alla numerosità e varietà dei prodotti e servizi offerti, dei marchi, dei clienti, delle aree geografiche, dei canali di vendita.

La maggiore complessità dilata il fabbisogno organizzativo, insieme alla varietà (differenziazione dei business, dei prodotti, dei clienti), secondo l’affermato paradigma organizzativo di Lawrence e  Lorsch (teoria della contingenza strutturale), in base al quale al crescere della differenziazione interna delle attività - quindi della complessità e varietà delle attività - aumenta l’esigenza di integrazione e di coordinamento, con un rinforzo dei meccanismi organizzativi, sia strutturali che operativi.

Si tratta di un approccio cosiddetto contingency (situazionale) assai accreditato e collaudato nella letteratura scientifica internazionale per valutare e decidere le soluzioni organizzative, che indica una variabile progettuale di riferimento per qualificare l’adeguatezza dei sistemi organizzativi, negando per contro l’esistenza di soluzioni valide in assoluto (the one best way)[7].

Altre variabili contingency sono:

i)         l’ambiente esterno, stabile o dinamico, da cui dipenderebbero rispettivamente modelli organizzativi più rigidi e formali, con precise responsabilità individuali, ovvero più flessibili e meno formalizzati;

ii)       la complessità tecnologica (lavorazioni seriali su grande scala), intuita dall’economista Joan Woodward[8]  8, al cui crescere prevalgono esigenze organizzative fortemente gerarchiche e di più elevata formalizzazione procedurale, contrariamente alla produzione a bassa tecnologia, di piccola serie (semiartigianale), che può convivere con soluzioni organizzative meno gerarchiche e formalizzate.

Il paradigma contingency più importante, specialmente nelle imprese maggiori e senz’altro nei gruppi societari è quello noto come “strategia – struttura”, che costituisce il criterio fondamentale per progettare   un assetto organizzativo secondo adeguatezza. La struttura è dipendente dal prescelto orientamento strategico, che compete all’organo amministrativo nella sua definizione e formulazione e che quindi pone direttamente la problematica nelle competenze degli amministratori.

Si tratta non soltanto di un criterio che pone alternative organizzative a seconda delle strategie adottate, ma che è anche dinamico, in quanto al mutare della strategia anche l’assetto organizzativo si deve riadeguare[9].

Anzi, il mancato adeguamento strutturale costituisce di per sé una potenziale causa di crisi dell’impresa, come dimostra, ad esempio, il caso di un noto gruppo di abbigliamento sportivo (quotato) cresciuto e diversificato in pochissimo tempo, ma con assetti organizzativi, amministrativi e contabili assolutamente inadeguati, in quanto rimasti ancorati alla situazione di partenza: di azienda di modeste dimensioni e localistica, quando invece, anche tramite acquisizioni, l’impresa era divenuta rapidamente una realtà ultra-complessa e diversificata, anche per aree geografiche, priva di chiare responsabilità, di presidi di controllo e delle necessarie  fonti informative.

Quindi, un’azienda fortemente integrata (verticalmente) deve avere assetti organizzativi, amministrativi e contabili coerenti e assai diversi da quelli di un’azienda diversificata per prodotti o di altra diversificata per aree geografiche o per canali di vendita, mentre un’azienda che opera nel territorio (servizi alla clientela, distribuzione al dettaglio) troverà adeguata una struttura organizzativa a succursali.

La scelta strategica degli amministratori diventa quindi selezione discrezionale ma non arbitraria, in quanto coerente, secondo paradigmi scientifici e di best practice, sul piano di una corretta progettazione organizzativa: l’insindacabilità delle decisioni e delle scelte permane, ma non senza giustificazioni logiche e metodologiche, scollegando strategie e strutture, bensì ponderando e motivando le opzioni strategiche e quelle organizzative insieme, in maniera integrata.

L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili va dunque colta, fatta salva l’insindacabilità della selezione strategica di fondo, nell’assicurare a quel punto degli assetti rispondenti, in quanto al servizio dell’implementazione di quella prescelte (e non altre) strategie aziendali. Ciò, proprio perché non esiste un assetto organizzativo valido in sé o valido a prescindere, ma idoneo solo se e in quanto appropriato alla strategia in atto, perché la sua funzione è proprio quella di assicurarne l’implementazione.

 

6.   L’ assetto organizzativo.

Il significato di “assetto” trova una puntuale definizione a livello di dottrina aziendalistica come «dimensione formale del contesto interno dell’azienda», articolato in «aspetti strutturali e in meccanismi operativi»[10]. Il contributo che gli assetti istituzionali concorrono a fornire è quello dell’azione organizzata, vale a dire della gestione coordinata e finalizzata, a sistema, nel contesto di un’azienda che ha configurato razionalmente i profili morfologici e fisiologici della sua attività, che tendono a conferire durevolmente all’azienda, pur con gli opportuni riadeguamenti richiesti dall’evoluzione del contesto, i suoi caratteri distintivi.

Va precisato che, rispetto a questa impostazione tradizionale, la moderna letteratura economica e organizzativa ha evidenziato anche la natura non ibrida, ma oramai tipica di strutture organizzative plurisocietarie, allorché emerga un’evidenza organizzativa formale che travalichi i confini legali della singola impresa[11]. Si pensi alle imprese che coordinano, dirigono e pianificano, anche con strumenti tipici delle imprese unitarie, sistemi stabili di subfornitura, di affiliazione commerciale, di gestioni consortili e di subcontratti, di outsourcing di funzioni importanti, agendo con ruoli di regia strategica, di main contractor; fino alle strutture più canoniche di gruppi societari. Prevalgono peraltro in queste combinazioni multi-societarie situazioni gerarchiche, procedure assegnate e condivise, software compatibili, vincoli gestionali e operativi, flussi informativi, reportistiche, programmi di produzione e commerciali, piani e budget coordinati.

In questa sede si limita l’analisi all’organizzazione “interna” dell’azienda, anche se nel perimetro della sua economia rilevano funzioni eventualmente esternalizzate stabilmente (commerciali, logistiche, produttive, di lavorazione conto terzi, di servizi), secondo le variegate forme di allocazione esterna di attività, pur tuttavia strategicamente e operativamente integrate con le attività internalizzate.

Gli assetti organizzativi vanno visti nella dimensione strutturale (morfologica) e in quella operativa (fisiologica), per il loro rispettivo carattere di persistenza e di dinamicità.

 

Gli aspetti strutturali concernono essenzialmente:

-            l’assetto delle deleghe e il conferimento dei poteri per i ruoli manageriali apicali, comprese le politiche, le linee guida, le direttive;

-            la macrostruttura organizzativa (architettura delle funzioni e dei ruoli, ovvero dei principali processi inter-funzionali) e di microstruttura (precisazione dei contenuti di ciascuna funzione o ruolo, ovvero di specifiche attività) interne;

-            la formalizzazione anche grafica dell’organigramma e del “funzionigramma”;

-            l’architettura delle funzioni decentrate e delle relazioni stabili con categorie di stakeholders (partners, subfornitori, terzisti, concessionari, licenziatari, ecc.), con l’indicazione dei ruoli manageriali interni deputati alla supervisione delle funzioni decentrate;

-            la normativa interna e la regolamentazione, sviluppate per aree funzionali e per processi gestionali, variamente deliberate ed emanate dagli organi apicali dell’azienda: policies, protocolli, procedure formali, linee guida, regolamenti, principi interni, direttive, ordini di servizio, circolari interne, ecc.

-            il modello organizzativo ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, parte generale e parte speciale, con i vari protocolli, e con il codice etico;

-            la struttura degli obiettivi (gestionali ed economici) e delle responsabilità per ciascun ruolo, con la precisazione delle sfere di controllabilità (aree, risorse, attività, variabili economiche presidiabili);

-   la configurazione e la mappatura dei processi operativi interni, secondo linee orizzontali e verticali, volti ad assicurare l’integrazione manageriale e operativa;

-    i mansionari e le job descriptions;

-   l’information technology e la rete informativa infrastrutturale, al servizio della conoscenza e delle decisioni dei vertici e del management aziendale.

 

Il chiaro disegno delle responsabilità, tipicamente, risponde al classico principio manageriale della “unicità di comando”, che tende ad assegnare determinare “giurisdizioni” aziendali a singoli ruoli manageriali, in ragione delle specifiche competenze ed eccellenze funzionali, evitando incoerenze, interferenze, ambiguità e duplicazioni di linee di dipendenza.

In realtà, le moderne evoluzioni organizzative hanno introdotto anche strutture, come quelle matriciali (originarie del settore dell’impiantistica), caratterizzate da duplici dipendenze, che superano il tradizionale principio di unicità di comando (direzione generale e direzione di progetto).

Ancora, l’esigenza del superamento dei rischi di rigidità strutturale e di eccessiva separatezza delle funzioni e delle specifiche competenze, mostra come controtendenza quella di privilegiare, anziché la separatezza delle aree funzionali e dei centri di univoca responsabilità, le relazioni non gerarchiche, orizzontali e trasversali, con coordinamenti di processi plurifunzionali e di  team interdisciplinari, specie laddove le  esigenze di “reingegnerizzazione” (riorganizzazione continua) dei processi produttivi sono particolarmente frequenti e instabili, nell’ottica dell’orientamento al cliente, con evidenza di corresponsabilità e non di responsabilità univoche[12].

 

Nel dibattito giuridico in particolare, l’enfasi viene ancora posta essenzialmente sulla responsabilizzazione formale e quindi sul chiaro disegno delle responsabilità manageriali individuali, secondo il classico incrocio di ruolo nella funzione, competenze specialistiche, controllabilità esclusiva delle risorse assegnate.

Tale responsabilizzazione formale, quando praticabile, rileva particolarmente, come vedremo infra, ai fini del controllo di gestione e quindi di quelle “rilevazioni funzionali alla prevenzione della crisi e della perdita di continuità aziendale”, che, declinata soprattutto nelle struttura manageriali, investe direttamente il management di linea con i cosiddetti “parametri obiettivo”, vale a dire le grandezze economiche identificative delle responsabilità, per l’appunto economiche, che vanno a qualificare i noti “centri di costo”,  “centri di ricavo”, centri di profitto”, originati dalla Scuola di Management di Harvard[13]. Il cosiddetto tableau de bord, quale costante e individuale supporto di monitoraggio andamentale espresso secondo appropriate grandezze economiche, può esprimere dunque il concorso collettivo dei vertici e del management intermedio anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi.

Gli aspetti operativi riguardano a loro volta i meccanismi di funzionamento degli elementi strutturali:   

 – convocazioni e funzionamento degli organi di amministrazione e di controllo;

 – sistema dei controlli interni e loro meccanismi di funzionamento;

 – sistemi di pianificazione strategica e di controllo manageriale;

 – sistema di reporting manageriale (per l’alta e media direzione);

 – sistemi dei controlli operativi, informatizzati, automatici, manuali

 – funzionamento dell’Organismo di Vigilanza ai sensi del d.lgs. n. 231/2001;

– flussi informativi in linea verticale ed orizzontale;

 – meccanismi di coordinamento (management commettee, task force, gruppi di progetto);

 – sistemi retributivi e sistemi incentivanti;

      – sistemi sanzionatori;

 – processi formativi;

 – relazioni di verifica, valutazioni di conformità, rapporti ispettivi, meccanismi sanzionatori, ecc.

È evidente che l’illustrazione fatta di assetti strutturali e operativi attiene prevalentemente ad aziende a struttura complessa e decentrata e di significative dimensioni, proprio per dar conto dell’ampiezza della configurazione che gli assetti aziendali possono esprimere. È altrettanto chiaro che le aziende minori troverebbero sovradimensionato un assetto così ampiamente descritto, dovendosi, nel caso di specie, progettare soluzioni ad hoc, in un equilibrato dosaggio tra esigenze organizzative, da un lato, e costi correlati dall’altro lato, senza peraltro trascurare le inefficienze derivanti da possibili ridondanze, rigidità procedurali ed eccessi di burocratizzazione.

 

6.        L’assetto amministrativo.

Per assetto amministrativo si può propendere verso una interpretazione ristretta, limitata all’apparato amministrativo dell’azienda, ovvero di supporto alla gestione aziendale nel suo momento esecutivo, essendo il momento decisionale attinente all’assetto organizzativo.

Considerando la sola area amministrazione, l’adeguatezza va giudicata nella composizione qualitativa e quantitativa dell’organico, nella dotazione di software completi e aggiornati per le numerose funzionalità amministrative, nell’impianto procedurale, nei supporti per le gestioni delle anagrafiche, delle archiviazioni, dei protocolli dei documenti in arrivo, degli scadenzari, ecc. Anche l’area amministrativa in senso stretto è coinvolta a livello organizzativo, in considerazione della specializzazione necessaria dei ruoli (gestione clienti, gestione fornitori, gestione tesoreria, rapporti con le banche, gestione paghe, fiscalità, rapporti con gli enti previdenziali, gestione bilanci, ecc.: tutti con le specifiche procedure), dei dati contabili e delle rendicontazioni, degli adempimenti obbligatori.

Seguendo invece l’interpretazione lato sensu, l’assetto amministrativo ricomprende l’insieme dei supporti, cartacei e informatici (sempre più diffusi), per l’intera  gestione integrata, vista in tutti i suoi processi,  dal ciclo passivo al ciclo attivo: distinte base e standard di lavorazione nell’area produzione; registri di carico e di scarico di magazzino; registri delle manutenzioni; registri dei rifiuti; contrattualistica commerciale e con i fornitori, con i vari listini prezzi e le scontistiche; gestione degli ordini e delle consegne; modulistica, informativa per la clientela, format informatizzati; codifiche di accesso all’operatività e ai dati gestionali; ecc.

Si tratta di supporti che, a livello evoluto, sono assicurati dall’implementazione di sistemi gestionali integrati, del tipo ERP (Enterprise Resource Planning) e simili, indispensabili per le aziende ad elevata complessità. Nelle aziende minori prevalgono senz’altro le prassi, che possono tuttavia essere almeno parzialmente tradotte in procedure formalizzate, elevando certamente l’organizzazione dell’attività e migliorando la sua efficienza: vantaggi innegabili che più che compensano le remore e le resistenze troppo spesso invocate circa i costi emergenti e la temuta burocratizzazione delle aziende minori.

Se ci si chiede quale sia il nesso logico e funzionale di un adeguato assetto amministrativo (inteso come  gestione organizzata, dalla fase approvvigionamenti, fino a quelle produttiva e commerciale) con l’emersione tempestiva della crisi, va detto che si tratta di un sistema di supporti integrati che assicura una maggiore affidabilità della gestione stessa, riducendo di per sé il rischio di crisi e di perdita di continuità, oltre al fatto, fondamentale, che tali supporti forniscono in maniera concomitante e quindi con la massima prontezza, tantissimi variegati indizi, per l’appunto “gestionali” (non monetari), che in tutte le fasi della gestione operano da sensori, anche involontari, di anomalie e criticità: ritardi, difetti di lavorazione, non conformità delle consegne con gli ordini, disallineamenti, mancanza di dati, mancanza di referenze a magazzino o eccedenze di scorte, ecc. Pertanto, l’effetto cumulativo e di propagazione di questi fenomeni critici può sedimentare e accentuare latenti stati di crisi che, se colti invece tempestivamente e ben localizzati, possono salvaguardare al meglio l’economicità aziendale: si tratta di quelli che la letteratura di crisis management definisce “”segnali deboli” (weak signals), particolarmente rilevanti per la loro tempestività[14].

 

8.  L’assetto contabile.

Quanto agli assetti contabili, si tratta di argomento di vasta portata, che qui viene affrontato da un mero punto di vista organizzativo[15].

L’assetto organizzativo contabile in questa sede viene inteso come inquadramento di tenuta della contabilità e come sistema di organizzazione dell’intero impianto contabile e informativo (anche non contabile) integrato dell’azienda, ai fini della rilevazione tempestiva della crisi e della immediatezza di risposta dell’organo amministrativo per l’adozione degli opportuni provvedimenti.

 

a) L’inquadramento contabile.

Il sistema contabile (in ambito consuntivo) può estendersi da un livello minimale di mera tenuta della contabilità generale obbligatoria, per la formazione del bilancio d’esercizio ed eventualmente dei bilanci infra-annuali (general accounting o financial accounting), fino ad un sistema più complesso, che preveda anche la tenuta della contabilità analitica, d’esercizio e /o per progetti (o per commessa): la cosiddetta “contabilità per la direzione” o managerial accounting[16].

Il bilancio, a sua volta, può essere integrato per una maggiore espressività attraverso diverse varianti di schemi di riclassificazione e la selezione di qualificati quozienti o indici (ratios), da rappresentare in maniera sistematica sotto i profili della redditività, della solidità patrimoniale e della solvibilità.

La managerial accounting (diversamente dalla contabilità generale, il cui prodotto - il bilancio d’esercizio - è destinato alla pubblicazione) è volta a fornire informazioni interne al management e ai soggetti apicali dell’azienda, esprimendo quindi risultanze economiche, finanziarie e anche patrimoniali “analitiche”: per linee di prodotti, per mercati servizi, per zone geografiche, per tipologie di clienti, per canali di vendita, per posizioni organizzative, per business units.

La managerial accounting può essere tenuta secondo tre modalità:

-            sistema unico, in cui tutta l’informazione, ivi compresa parte di quella manageriale, è inglobata nella contabilità generale, opportunamente adattata: soluzione poco dispendiosa, adatta a piccole e micro imprese, pur con notevoli limiti metodologici e conoscitivi;

-            sistema duplice, che prevede la coesistenza di due sistemi di contabilità autonomi e distinti tra loro, quali:

- la contabilità generale;

- la contabilità analitica (manageriale), che a sua volta può essere tenuta:  i)  in forma libera ed anche extracontabile (su fogli excel), quindi senza le riconciliazioni con la contabilità generale (pertanto  non bilanciante, spesso incompleta, in quanto riferita alle sole aree industriale e commerciale dell’impresa); ii) in forma duplice bilanciante (con il rigore del metodo della partita doppia) con la sistematicità delle riconciliazioni e delle quadrature contabili, assai più rigorosa e affidabile anche per trattare elevati volumi di registrazioni contabili e una maggiore complessità di dati di un’azienda dimensionata;

-            sistema unico integrato, indispensabile per le grandi imprese, il quale concettualmente e    metodologicamente coincide con il sistema duplice bilanciante (in partita doppia), ma trova integrazione logica e formale, oltre che contabile, nell’alimentazione di un unico datawarehouse, all’interno di sistemi informativi del tipo ERP (enterprise resource planning), in grado di riunire, rielaborare e rendere fruibili  informazioni ottenute da rielaborazioni di svariati dati multidimensionali: gestionali, tecnici, commerciali, logistici, non monetari e monetari.

 

È evidente che le opzioni degli amministratori dovranno contemperare i costi e l’assorbimento di risorse umane in amministrazione a seconda delle caratteristiche dell’azienda (per il principio “tecnico strumentale” di economicità dell’amministrazione), anche se va tenuto presente il fatto che i sistemi integrati (ERP) coinvolgono nella generazione e nella fruizione dei dati la totalità del personale dell’azienda (non solo l’area amministrativa), divenendo un vero e proprio meccanismo di gestione e di organizzazione totalizzante, che consente di tracciare in ogni punto dell’organizzazione e in ogni momento qualsiasi evento gestionale: dagli ordini alle consegne, alla movimentazione interna, alla fase di lavorazione, alla fatturazione, all’avvenuto incasso, al difetto di qualità, al reclamo, ecc..

 

b) Il sistema informativo aziendale.

Quanto attiene alla progettazione e quindi alla qualificazione delle informazioni aziendali, anche in vista del dovere delle rilevazioni tempestive (rectius anticipate) della crisi e della perdita di continuità aziendale, comporta svariate opzioni e combinazioni delle opzioni stesse, che concorrono a definire un dato livello di adeguatezza dell’assetto organizzativo contabile dell’azienda, unico nel suo genere, in risposta alle specifiche esigenze aziendali.     

I criteri di progettazione e di realizzazione di un adeguato sistema informativo sono relativamente elastici, consentendo una graduazione delle soluzioni da adottare in concreto.

 

Il criterio dell’articolazione è certamente fondamentale e concerne la varietà e numerosità di aggregati informativi che si vogliono ottenere: ad esempio, il bilancio d’esercizio, essendo globale, non esprime un’ampia articolazione informativa, mentre invece le riclassificazioni e le costruzioni di indici (quozienti di bilancio) aumentano senz’altro il grado di articolazione dell’informativa aziendale.

La massima articolazione si raggiunge con la contabilità analitica, proprio perché esprime costi e margini di redditività per prodotti, mercati, aree, posizioni organizzative, fornendo quindi una visione caleidoscopica delle performance aziendali, in modo da sviscerare le possibilità di indagine all’interno della complessa gestione aziendale: il grado di articolazione delle informazioni sarà tanto maggiore, quanto più elevata sarà non solo la dimensione dell’azienda, ma il suo grado di complessità (numerosità dei prodotti, dei clienti, del personale interno). Ed è proprio la contabilità analitica, se tenuta sulla base degli ordini e degli impegni e ancor meglio dei costi preventivo-standard, che è in grado di offrire quelle informazioni consuntive con un grado di tempestività non altrimenti consentito alla contabilità generale.

Di particolare rilevanza ai fini della diagnosi precoce della crisi è l’analisi dei cash flow per singole produzioni, specie se distribuita nei diversi mesi dell’anno, in modo da evidenziare gli effetti delle stagionalità e le eventuali carenze specifiche di prodotto e temporali, con la presenza o meno di effetti compensativi e di livellamento dei fabbisogni di liquidità.

 

L’orientamento al futuro (rispetto al passato) è il criterio maggiormente rappresentativo del livello di adeguatezza preteso dal novellato art. 2086, secondo comma, c.c., perché concorre alla diagnostica preventiva, che rappresenta uno dei fini ultimi degli assetti organizzativi. L’orientamento al futuro comporta un insieme di interventi strutturali e operativi:

-            l’integrazione di informazioni consuntive (contabilità) con strumenti di carattere preventivo, economico-finanziari e tecnico-qualitativi: piani strategici, business plan, programmi operativi, piani d’azione, progetti, budget operativi, budget economici, finanziari e patrimoniali; ma soprattutto budget di tesoreria, che rappresentano budget finanziari di entrate e di uscite prospettiche anche mensilizzate;

-            reportistiche periodiche di confronti tra piani, budget e risultanze contabili, per monitorare l’andamento gestionale sulla base di scostamenti tra obiettivi e risultati;

-            proiezioni a finire, che permettono di aggiornare le stime a fine esercizio (ed oltre) a mano a mano che i dati contabili effettivi consentono di sedimentare le risultanze di periodo;

-            simulazioni sulle tendenze evolutive di ricavi, costi, flussi finanziari, quali strumenti predittivi di anticipazione di eventuali criticità potenziali, evitabili e mitigabili proprio in virtù della loro prospettazione;

-            atteggiamento anticipatorio da parte degli amministratori e del management stimolato da una “gestione per obiettivi” e non più inerziale, con una propensione a valutazioni anticipate, sempre più attenta alle tendenze, alle proiezioni e ai fenomeni probabilistici, piuttosto che alle consuntivazioni[17].

L’orientamento al futuro valorizza le stesse contabilità consuntive, che diventano elementi conoscitivi tendenziali per la revisione delle preventivazioni e assumono una funzione di riscontro della tenuta e ragionevolezza degli obiettivi programmati, con una funzione parametrica, sulla base del confronto dei risultati rispetto agli obiettivi e successiva evidenza degli scostamenti.

 

Ulteriore orientamento significativo del sistema informativo è quello verso l’esterno, che implica l’inserimento continuativo nel set informativo dell’azienda di dati esterni, per tre esigenze fondamentali e assai utili ai fini dell’accertamento dei rischi di crisi:

a)        per indagare sull’evoluzione dello scenario macroeconomico, settoriale e ambientale, al fine di evincere minacce ambientali e rischi emergenti di carattere generale;

b)        per assumere su base sistematica dei dati parametrici di benchmarking, quindi di confronto delle performance aziendali con le prestazioni di selezionati concorrenti comparabili, con gli andamenti medi del settore di appartenenza, al fine di classificare la situazione aziendale in termini relativi e non solo storici e autoreferenziali;

c)        per recepire eventuali riscontri negativi da parte della clientela, ai fini della verifica della fondamentale capacità di soddisfazione, che costituisce una determinante fonte di vantaggio competitivo: quindi dati sulla “non qualità”, reclami, resi di prodotti e richieste di garanzie.

 

In ultimo, vanno richiamati i criteri temporali dell’informazione, distinguendo bene tra tempestività e prontezza. Il legislatore parla infatti di “rilevazione tempestiva” della crisi. La tempestività, in senso stretto, è l’idoneità dell’informazione di intercettare le esigenze temporali delle decisioni e quindi la sua qualificazione dipende dalle effettive esigenze di risolvere in maniera virtuosa il dato problema decisionale.

Poiché dunque la soluzione della crisi, volendone limitare danni e propagazione, richiede interventi anticipatori, la tempestività informativa va senz’altro considerata in ottica predittiva: quindi l’informazione rilevante non è solo quella diagnostica, ma è soprattutto quella prognostica, formulata ex ante.

Ne consegue che assumono maggiore rilevanza soprattutto i dati predittivi, anche se vaghi e parziali (tendenze, simulazioni, proiezioni, algoritmi probabilistici), purché siano anticipatori di rischi, di anomalie, di criticità, con un valore indiziario assai superiore rispetto ai dati consuntivi contabilizzati.

Per contro, se il problema conoscitivo è meramente valutativo delle responsabilità, la tempestività può bene essere anche tardiva rispetto ai fatti, come nel caso dell’accertamento delle condotte degli amministratori per eventuali azioni di responsabilità da esperire.

In ogni caso la tempestività, per gli obblighi normativi, concerne non soltanto il momento della conoscibilità della crisi (la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale), quanto il fine più strettamente decisionale e attuativo per gli amministratori, che è quello di “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”.

La relazione tra informazione e adozione e attuazione degli strumenti è quindi condizionata dall’espressione “senza indugio”, che impone dunque una reattività nella quale il fattore temporale appare decisivo, proprio per mitigare quanto più possibile i danni della crisi e per assicurare la migliore efficienza degli strumenti di soluzione: finalismo  che razionalmente, al netto dei tempi organizzativi dell’azienda, non  può che essere perseguito mediante un’informativa di carattere essenzialmente predittivo.

Quanto alla prontezza, questa costituisce invece un requisito “oggettivo” del sistema informativo, in quanto consiste nell’immediatezza di risposta alle esigenze e alle richieste informative, all’interrogazione al sistema, specie per le esigenze conoscitive più frequenti e ricorrenti e per i problemi di monitoraggio andamentale più urgenti e pressanti: gestione ordini, controllo delle presenze del personale,  logistica, spedizioni, gestione delle emergenze, verifica della tesoreria, accertamento di eventuali tensioni di liquidità, prevenzione degli sconfinamenti bancari, rispetto di termini perentori per gli adempimenti. Evidentemente, nelle strutture aziendali più complesse, la tecnologia informaticacostituisce il supporto necessario per assicurare adeguati livelli di prontezza informativa.

Tempestività e prontezza condizionano evidentemente la stessa rilevanza informativa, che in sostanza riassume, in quanto attitudine dell’informativa aziendale a soddisfare le svariate e mutevoli esigenze conoscitive all’interno dell’azienda, molte problematiche in ordine all’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, specialmente ai fini della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale.

 

 

9.    Conclusioni.

In definitiva, le finalità degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili appaiono essenzialmente le seguenti:

a)        rispondenza alle esigenze di anticipazione della conoscibilità della crisi e del rischio di perdita della continuità aziendale, per una prontezza di reattività dell’azienda alle criticità emergenti;

b)        condizione fondamentale per la continuità aziendale: in un contesto sempre più caratterizzato da turbolenze ambientali e volatilità dei mercati, mutamenti degli orientamenti della clientela, accorciamento del ciclo di vita dei prodotti e dei marchi, obsolescenza tecnologica programmata e comunque sempre più rapida, la strutturazione di assetti organizzativi esprime una condizione di durabilità e quindi di continuità aziendale estremamente rilevante, con effetti reputazionali anche esterni, nella percezione degli stakeholders;

c)        responsabilizzazione formale, con chiara individuazione dei soggetti aziendali a cui sono riconducibili specifici processi e particolari aree di responsabilità, tale da motivare il management e l’organo amministrativo, nei diversi ruoli specialistici e generalisti, a vigilare preventivamente e a intervenire tempestivamente, sia nelle proprie sfere di controllabilità gestionale, in presenza di anomalie circoscritte; sia nel complesso aziendale con le necessarie modalità collaborative e sinergiche, in presenza di criticità diffuse e pervasive.

Soprattutto, quello che rileva sono le implicazioni manageriali sui comportamenti effettivi degli amministratori e degli organi di controllo, nonché sull’atteggiamento del management, volte a superare una conduzione inerziale, a vantaggio di atteggiamenti responsabilmente preventivi a tutela della continuità aziendale[18], proprio sul fondamento, quali supporti, di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

In definitiva, la natura di tali assetti, posto che la loro selezione, pur nella relativa discrezionalità, dovrebbe rispondere a specifici caratteri distintivi dell’impresa per non risultate generica e astratta, in considerazione della mutevolezza nel tempo delle variabili progettuali, va intesa in chiave dinamica, quindi evolutiva. Ciò non sottende solo l’esigenza di prevedibili riadeguamenti, ma condiziona già l’originaria progettazione in termini di flessibilità, richiedendo l’inserimento di elementi di elasticità, di subordinate, di alternative praticabili, di eventuali risorse integrative, quanto più siano presenti condizioni di incertezza di contesto e propensioni al cambiamento dell’impresa.

 

 



[1] L’obbligo di dotazione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili viene esplicitato solamente per l’imprenditore che opera in forma societaria e   collettiva; tuttavia si richiama l’interessante commento di S. Ambrosini circa l’estensibilità dell’obbligo anche all’imprenditore individuale, peraltro prevista dall’art. 3, 1° c., del CCII. Cfr. S. AMBROSINI, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il rapporto con le misure di allerta nel quadro normativo riformato, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, ottobre 2019. Non vi è dubbio che dal punto di vista aziendalistico, posto che l’azienda è un’entità economica che possiede un’individualità oggettiva, al di là dei soggetti che momentaneamente ne conducono a   vario titolo le attività, tale interpretazione estensiva appare senz’altro la più logica.

 

[2] Sulla natura dell’impresa come struttura (organizzativa) di coordinamento, affermata dall’Economia istituzionalista, si esaminino i fondamentali contributi dei Nobel Prize R. COASE, The Nature of the Firm, in Economica, 1937 e O. WILLIAMSON, Market and Hierarchies, The Free Press, New York,1975; L’organizzazione economica, Il Mulino, Bologna, 1991. Anche il Capo Scuola dell’Economia Aziendale italiana fornisce, nella prolusione fondativa della nuova Scienza, una definizione di azienda consonante alla visione organizzativa, quale “coordinazione economica in atto” (cfr. G. ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di Ragioneria, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927.

In merito al ruolo dei sistemi manageriali di pianificazione e controllo nello sviluppo delle imprese (Management control), si rinvia alla profonda analisi storica, ricca di molte evidenze empiriche, di T. JOHNSON - R. S. KAPLAN, Ascesa e declino della contabilità direzionale, ISEDI, Torino, 1995.

Relativamente, poi, alla specifica correlazione tra sviluppo degli assetti contabili e crescita dimensionale dell’impresa, cfr. S. BURCHELL - C. COLIN - A. HOPWWOOD - J. HUGHES, The rules of Accounting in Organizations and Society, in Accounting, Organizations and Society, n. 1, 1987 (pagg. 5-27).

 

[3] Sulla complessità del problema definitorio, sia a livello giuridico che economico-aziendale, dei criteri progettuali degli “adeguati” assetti organizzativi, cfr. P. BASTIA - E. RICCIARDIELLO, Gli adeguati assetti organizzativi funzionali alla tempestiva rilevazione della crisi: tra principi generali e scienza aziendale, in Banca, Impresa e Società, n. 3, 2020.

[4] Cfr. Trib. Roma, 8 aprile 2020 e Trib. Roma, 15 settembre 2020.

[5] L’Economia aziendale considera tradizionalmente l’azienda come sistema dinamico e probabilistico e tali accezioni si riverberano sulla natura delle stesse condizioni economica finanziaria e patrimoniale, per l’appunto definite “prospettiche” dall’Autore che le ha introdotte (cfr. A. AMADUZZI, Il sistema d’impresa nelle condizioni del suo equilibrio e del suo andamento, Signorelli, Roma, 1949). Sulla natura dinamica e probabilistica del sistema aziendale, avuto riguardo ad una cultura manageriale, si veda S. SCIARELLI, Il sistema d’impresa, Cedam, Padova, 1985.

[6] Cfr. M. PORTER, Il vantaggio competitivo, Einaudi, Torino, 2011.

 

[7] Per una rassegna sistematica delle teorie contingenti nella prospettiva della progettazione organizzativa, si rinvia a M. DE CASTRI, Progettare le organizzazioni. Le teorie e i modelli per decidere, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2019.

[8] Cfr. J. WOODWARD, Organizzazione industriale. Teoria e pratica, Rosenberg & Sellier, Torino, 1983.

[9] La correlazione virtuosa tra strategie aziendali e strutture organizzative è stata da tempo dimostrata, attraverso numerose indagini empiriche, da A. CHANDLER, Strategia e struttura, Franco Angeli, Milano, 1993; La mano visibile. La rivoluzione manageriale nell’economia americana, Franco Angeli, Milano, 1992.

Sul piano della concreta progettazione degli assetti organizzativi in ragione di prescelte strategie aziendali, si esamini autorevolmente H. MINTZBERG, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna, 1996.

Per ulteriori approfondimenti sui criteri progettuali organizzativi si rinvia a F. Isotta, La progettazione organizzativa, Cedam, Padova, 2011.

 

[10] Sugli assetti istituzionali in generale e in particolare sui cosiddetti “assetti tecnici”, tra i quali rientrano per l’appunto gli assetti organizzativi, nell’ambito dell’affermata “Scuola Bocconi” si richiama autorevolmente l’opera di G. AIROLDI - G. BRUNETTI - V. CODA, Corso di Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 2005.

[11] In ordine alle configurazioni organizzative intermedie tra imprese e mercato, oltre all’opera fondamentale di O. WILLIAMSON, Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Franco Angeli, Milano, 1988, nell’ambito della letteratura pubblicata su Journal of Law and Economics si vedano S. CHEUNG, The Contractual Nature of the Firm, aprile 1983, pagg. 1-21; P. RUBIN, The Theory of the Firm and the Structure of the Franchise Contract, aprile 1978, pagg. 223-233.  

Tra gli studi italiani cfr. P. BASTIA, Gli accordi tra imprese, Clueb, Bologna, 1989; R. FIOCCA, L’impresa senza confini, ETAS, Milano, 1987; R. NACAMULLI - A. RUGIADINI, Organizzazione e mercato, Il Mulino, Bologna, 1985.

 

[12] In merito ai moderni assetti organizzativi orientati più sui processi condivisi che sulle aree o centri di responsabilità, volti a privilegiare il “gioco di squadra” rispetto alle rigide individualità, si veda S. KAPLAN - D. NORTON, L’impresa orientata dalla strategia, ISEDI, Torino, 2012.

 

[13] L’assetto organizzativo, nell’aspetto della formalizzazione delle responsabilità economiche, in quanto misurate da obiettivi di budget e da risultati consuntivi espressi attraverso “parametri-obiettivo”, porta alla definizione dei cosiddetti “centri di responsabilità economica”, quali ad esempio centri di costo, centri di ricavo, centri di profitto. Ai fini della razionalità decisionale e della rilevazione tempestiva di un’eventuale crisi, questo disegno, che esprime continuativamente indici economici diffusi nella struttura aziendale, è particolarmente efficace, specie nelle aziende medio grandi, a struttura decentrata. Su questa basilare e diffusissima articolazione per centri di responsabilità si rimanda al fondamentale lavoro di R. ANTHONY - J. DEARDEN - R. VANCIL, Management Control Systems, Irwin, Homewood, 1965.

[14] Cfr. W. CRANDALL - J. PARNELL - E. SPILLAN, Crisis Management, SAGE, London, 2020.

[15] Per la strumentazione contabile e conoscitiva ai fini dell’accertamento della crisi d’impresa, specie in ottica prognostica, si veda P. BASTIA, Crisi aziendali e piani di risanamento, Giappichelli, Torino, 2019. Cfr. altresì F. SUPERTI FURGA - C. SOTTORIVA, Riflessioni sul Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Le Società, 2020.

[16] Cfr. per tutti G. BRUNI, Contabilità per l’Alta direzione, Etas, Milano, 1990.

[17] Nella letteratura aziendalistica da tempo si valorizza il controllo rivolto al futuro, come nelle proposte metodologiche di “controllo della direzione di marcia” (steering control) di W. NEWMAN, Direzione e sistemi di controllo,Etas Libri, Milano, 1981.

 

[18] Autorevolmente, è stata fornita una definizione del controllo contabile manageriale quale“processo attraverso il quale il management cerca di influenzare i comportamenti delle persone al fine di realizzare la strategia”. Viene in questo modo enfatizzato proprio l’aspetto del comportamento organizzativo: cfr. R. ANTHONY, The Managemen Control Function, Harvard Business School Press, Boston, 1987.