Giurisprudenza

L’art. 47, c. 4, CCII, secondo la Corte d’Appello di Milano


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Articolo

Una riflessione da aziendalista sull’emersione anticipata della crisi: quadro attuale e sviluppi futuri


Alberto Quagli

Data pubblicazione
21 febbraio 2024

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Sommario: 1. Alcuni numeri di sintesi; 2. Gli approcci al problema della identificazione della crisi e del suo fronteggiamento tra stato e mercato; 3. Identificazione della crisi: il ruolo degli adeguati assetti; 4. Il momento di attivazione per il risanamento; 5. La piccola impresa come punto debole; 6. Su alcuni possibili sviluppi futuri.


Abstract

In questo contributo si svolgono alcune riflessioni sulla rilevazione tempestiva della crisi e sul suo fronteggiamento, perno centrale delle riformate norme nazionali in tema di crisi e insolvenza. Partendo da una riflessione sull’approccio generale adottato dal legislatore, esamineremo alcune significative criticità per la migliore applicazione della normativa, riferite sia al momento di rilevazione della crisi sia alla attivazione conseguente dell’imprenditore, per proporre alcune possibili linee di intervento.


1.     Alcuni numeri di sintesi

Son passati due anni ormai dalla piena applicazione del Codice della Crisi con introduzione della composizione negoziata, vera novità del sistema in sostituzione della precedente allerta (Decreto 83 del 17 giugno 2022, in parte anticipato già dal decreto-legge n. 118 del 2021).

Nel complesso, appare evidente che lo sforzo normativo compiuto è stato notevole.

La valutazione compiuta dell’impatto sostanziale di questa riforma è certamente prematura e in parte non passibile di verifica diretta, dal momento che non vi è alcuna pubblicità circa l’istituzione di adeguati assetti organizzativi e le segnalazioni dirette all’imprenditore con relativa reazione. L’unico profilo che si presta a qualche misurazione è quello dell’accesso alla composizione negoziata.

Gli ultimi dati comunicati da Unioncamere (16 novembre 2023) dicono di 1.037 domande di accesso alla procedura di composizione negoziata di cui 502 sono le procedure chiuse. Tra queste ultime sono 96 quelle che hanno avuto esito favorevole, nel senso che la composizione con l’esperto ha dato inizio a un percorso di risanamento, giungendo a un tipo di accordo (principalmente accordo ex art. 23, comma 1, lett. c). Il numero di domande è finora piuttosto basso rispetto alle aspettative generali, considerando la percezione complessiva del numero di aziende in crisi nel nostro Paese e fa sorgere qualche interrogativo circa l’efficacia del nuovo impianto. Va peraltro sempre ricordato che la composizione negoziata non è certo l’unico percorso di risanamento. Vi sono gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56 Codice della Crisi), gli accordi per la ristrutturazione del debito (art. 57), il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64 bis) il concordato preventivo (art. 84), i cui numeri tuttavia non sono pubblicamente disponibili.

Per dare un’idea, si è verificata la presenza nei bilanci 2022 e 2021 di un semplice indicatore di crisi facilmente consultabile quale il patrimonio netto negativo. La perdita del capitale rappresenta una causa di scioglimento della società, per quanto la normativa emergenziale COVID abbia concesso una agevolazione per le società con patrimonio netto negativo per gli stessi anni. Per cercare di isolare i casi più critici, si ponga quindi quale condizione la presenza di un patrimonio netto negativo per entrambi gli esercizi 2021 e 2022 e inferiore almeno a -10.000 euro, ritenendo ampiamente condivisibile il fatto che tale situazione configura una situazione palese di crisi, se non addirittura di insolvenza. Per la rigidità di tale vincolo, si può ragionevolmente ritenere che il numero di società in crisi sia decisamente superiore.

Al 18 febbraio 2024 (data in cui scriviamo), con patrimonio netto negativo inferiore a -10.000 euro per entrambi gli esercizi 2022 e 2021 risultano 144 casi di S.p.a. e S.a.p.a. attive e 32.209 casi di S.R.L. attive, su un universo di 1.008.561 di società di capitali attive con bilancio disponibile per gli esercizi 2022 e 2021.

In altre parole, il 3,2% delle società di capitali attive, consecutivamente per gli esercizi 2022 e 2021, presenta un patrimonio netto negativo di -10.000 euro.

Se poi si considerassero indicatori di crisi non così definitivi come un deficit patrimoniale per due anni consecutivi, certamente i numeri sarebbero ben maggiori.

Usando i dati ISTAT, nel periodo che va dal gennaio 2022 al settembre 2023, si osservano in Italia 12.649 fallimenti di imprese. Se si confronta tale numero con quello del ricorso alla composizione negoziata, si ottiene un rapporto di 12 a 1, ossia per 12 imprese fallite ve ne è solo una che ha fatto domanda di ammissione alla procedura.

Resta poi la questione del momento in cui l’impresa fa ricorso alla composizione negoziata. Il basso numero di percorsi di risanamento intrapresi a chiusura della composizione negoziata (il 19%) testimonia infatti come l’accesso a questa procedura avvenga tardivamente in quattro casi su cinque, quando non solo la crisi è divenuta già insolvenza, ma questa è ormai così pervasiva da rendere inutile ogni tentativo di recupero.

Alcuni operatori sono comunque fiduciosi e ritengono che per vedere un ricorso massiccio a questa procedura si tratti solo di aspettare il tempo necessario ad acquisire più conoscenza. Altri hanno messo l’accento su alcune questioni più tecniche che potevano ostacolare la domanda di composizione negoziata quali la possibilità di stralcio del debito fiscale e contributivo. Per cui sperabilmente questi numeri aumenteranno rapidamente.

Per saperne di più, attendiamo a breve la prima relazione (prevista entro il 31 marzo 2024) dell’Osservatorio permanente sulla crisi d'impresa, istituito presso il Ministero di Giustizia, volto a monitorare l'efficienza delle misure e degli strumenti previsti dal Codice della Crisi. Tuttavia, anche senza ricorrere a dati più precisi (che paradossalmente per uno studioso non sono accessibili), l’impressione complessiva che se ne ricava è che l’obiettivo di una pronta attivazione dell’imprenditore per il fronteggiamento della crisi ricorrendo a uno degli istituti previsti dal Codice sia un obbiettivo ancora da raggiungere.

Alla luce di queste evidenze, si cercherà nel prosieguo di riflettere sull’impianto normativo volto a favorire l’emersione anticipata della crisi e il suo superamento, evidenziando alcuni punti critici suscettibili di miglioramento.

 

2. Gli approcci al problema della identificazione della crisi e del suo fronteggiamento tra stato e mercato

Il nostro legislatore ha ormai adottato la visione dell’impresa come avente una funzione sociale e non solo come “fatto privato” dell’imprenditore. Ogni impresa è una cellula del sistema economico ed il suo stato di salute condiziona la vita delle altre imprese. Scongiurare una crisi diviene in questa prospettiva quindi non solo un’ovvia spontanea necessità per l’imprenditore ma anche un “dovere” statuito nei confronti del resto del sistema economico e della collettività in generale.

In questo senso l’art. 2086 del Codice Civile è molto chiaro: “L'imprenditore… ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”, profilo poi ripreso dai commi 1 e 2 dell’art. 3 del Codice della Crisi:

1. L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.

2. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative.

Tanto la Direttiva Europea quanto il Codice della Crisi identificano i due processi informativo-decisionali nella rilevazione della crisi e nell’attivazione per il suo fronteggiamento. A questi due processi, in astratto, possono applicarsi vari approcci, in funzione della scelta di fondo se affidarsi al privato o, meglio, al mercato, oppure vedere l’intervento di soggetti pubblici.

Ad un estremo si pone l’atteggiamento di puro laissez-faire, dove nessuna norma specifica impone all’imprenditore di intercettare segnali di crisi e di prendere adeguati provvedimenti. È una vista puramente liberista; l'imprenditore in questa visione accetta il rischio non solo di fallire ma anche di incorrere nelle eventuali sanzioni civili e/o penali che l’ordinamento potrebbe prevedere per i casi di ritardata emersione del dissesto.

L’altro estremo è quello perfettamente “statalista” in cui lo Stato, nelle sue varie diramazioni tra Autorità regolatrici e amministrative, svolge una funzione di monitoraggio sulle singole imprese e, qualora si riscontri la necessità dettata da uno stato di crisi, lo stesso Stato prende l’iniziativa costringendo l’imprenditore ad attivarsi per il fronteggiamento.

Questi due modelli rappresentano estremi teorici che definiscono un intervallo entro il quale si possono osservare i modelli attualmente esistenti, che presentano sempre situazioni ove vi è un dialogo pubblico-privato.

Ad esempio, per le banche e gli altri intermediari finanziari, le assicurazioni e le società quotate si può dire che l’approccio prevede un monitoraggio svolto dalle Autorità preposte alla supervisione al controllo (BCE e Banca d’Italia per le banche e gli enti finanziari, EIOPA- Ivass per le assicurazioni, Consob per le società quotate). In casi simili, l’identificazione di situazioni di crisi è affidata anche all’Autorità pubblica che usa dati consuntivi come bilanci e altri palesi sintomi di crisi, anche preventivi come nel caso degli stress test, per valutare la salute finanziaria dei soggetti vigilati e richiedere talvolta specifiche azioni per fronteggiare la crisi. Un esempio in questo senso sono le richieste di aumento di capitale alle banche vigilate da parte della Banca Centrale Europea a seguito di esiti non positivi degli stress test.

Il modello scelto dal Legislatore nel Codice della Crisi prevede che l’identificazione dei sintomi di crisi è affidata all’imprenditore e al sistema degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili della cui esistenza e funzionamento l’imprenditore stesso è responsabile. L’identificazione si avvale anche di segnalazioni provenienti da soggetti esterni all’imprenditore, quali creditori pubblici qualificati che devono segnalare posizioni debitorie scadute oltre le soglie (art. 25-novies), e le banche e gli intermediari finanziari cui compete l’obbligo di segnalare al collegio sindacale eventuali variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti (art. 25-decies). Perno centrale del sistema di identificazione della crisi è tuttavia il collegio sindacale (art. 25-octies) che “segnala, per iscritto, all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 17”, e quindi, per rinvio, è tenuto a rilevare eventuali “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa “. In ogni caso è obbligo dell’imprenditore (art. 3, comma 2) e di nessun altro adottare “idonee iniziative” per il fronteggiamento.

Nella versione precedente del Codice della Crisi, mai entrata in vigore, era previsto il meccanismo dell’allerta, secondo il quale se l’imprenditore si fosse mostrato refrattario alle segnalazioni di stati di crisi da parte dell’organo di controllo societario, quest’ultimo avrebbe avuto il compito di coinvolgere soggetti esterni nella gestione della crisi, avvisando il mai operativo OCRI (Organismo per la composizione delle crisi di impresa) gestito dal sistema camerale. Un approccio del genere avrebbe presentato quindi dei tratti un po’ meno privatistici rispetto al modello definitivamente recepito nel Codice della Crisi con il colpo di spugna sull’allerta dato nel 2021. Ma proprio l’automatica segnalazione dell’impresa in crisi ad un organo con valenza pubblicistica era uno dei punti contestati da parte delle associazioni imprenditoriali, ritenendo che in questo modo sarebbero state segnalate un numero eccessivo di aziende in crisi.

Quindi, tirando le fila di quanto scritto sinora, il Legislatore pur riconoscendo una funzione sociale dell’impresa, ha scelto un approccio con il quale lascia in toto all’imprenditore l’iniziativa tanto per l’identificazione, quanto per il fronteggiamento della crisi, obbligandolo ad un costante monitoraggio.

Si rileva anche che l’approccio prescelto risulta sostanzialmente identico per tutte le aziende indipendentemente dalla loro dimensione, esistendo solo alcune diversità di minor impatto per le imprese sotto soglia (art. 25-quater). Da questa considerazione ci sembra giusto porre in discussione la mancata gradazione dell’approccio in parola di identificazione della crisi e conseguente attivazione.

Non tutte le imprese hanno la stessa funzione sociale. In questo senso la dimensione aziendale, in termini di organico del personale, struttura produttiva e volumi operativi, è forse la migliore discriminante della funzione sociale dell’impresa. Si è detto che le aziende coinvolte nella gestione del risparmio, quali banche, intermediari finanziari, assicurazioni e società quotate sono sottoposte al monitoraggio di Autorità di derivazione pubblica. Se la premessa è che la salute di un’azienda è strumentale alla salute dell’intero sistema economico, allora perché le aziende di grande dimensione, o per meglio dire, di grande impatto sociale (stia poi alla politica definirne la soglia), non dovrebbero essere sottoposte anche ad un monitoraggio esterno, basato sui dati consuntivi di bilancio? Un sistema del genere non avrebbe particolari costi, dal momento che dopo una fase iniziale di progettazione, il funzionamento a regime si risolverebbe in confronti dei dati aziendali con dei benchmark all’uopo predisposti. Tale approccio rientra anche tra quelli proposti dalla Direttiva 1025/2019 dove all’art.3 si prevede che l’allerta precoce possa avvalersi anche del ricorso a “servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private”.

Per queste società di maggiori dimensioni, una segnalazione all’imprenditore e all’organo di controllo societario di una situazione critica che richiede un pronto intervento, forse sarebbe sufficiente.

Di seguito si svolgeranno alcune considerazioni sui due momenti, identificazione e attivazione, cercando di riflettere su quali siano quei caratteri che hanno contribuito ad ostacolare un più ampio ricorso alle statuite procedure di gestione della crisi.

 

3. Identificazione della crisi: il ruolo degli adeguati assetti

L’identificazione della crisi è compito primario del sistema di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative” (art.3, comma 2). Il successivo comma 3 definisce le finalità conoscitive che tali assetti devono soddisfare: “Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:

a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;

b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;

c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, comma 2.

Il comma 4 fornisce poi una serie di segnalispecifici per la previsione della crisi:

a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;

d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1.

La rilevazione di segnali di crisi emerge anche da segnalazioni da parte di soggetti esterni all’imprenditore, quali:

- i creditori pubblici qualificati (INPS, INAIL, Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate-Riscossione) art. 25 novies), in caso di superamento di certe soglie debitorie,

- le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti (art. 25-decies);

- l'organo di controllo societario, che deve segnalare, per iscritto, all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 17. In altre parole, l’organo di controllo deve verificare la sussistenza di “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”.La segnalazione è motivata e contiene la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese.

Si deve rilevare come questo complesso di disposizioni sia molto articolato, e unisca criteri generali con aspetti molto tecnici e di dettaglio che forse non ci aspetteremmo in un testo legislativo.

Il principio generale (art. 3, comma 3, lettera a) è perfettamente condivisibile e consiste nella capacità degli assetti di segnalare situazioni di “squilibrio” economico, finanziario e patrimoniale. Non avendo il Codice definito il concetto di equilibrio, anche il concetto di squilibrio sembrerebbe risultare indefinito ma in realtà ci si può leggere, si spera, un indiretto riferimento ai concetti dell’Economia Aziendale. Ci va letta anche una sana dose di relativismo, confermata dall’affermazione che gli squilibri devono essere “rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore”. In effetti, è logico che ogni impresa definisca le proprie specifiche condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali di equilibrio considerando non solo il settore di appartenenza e i livelli di operatività ma anche altri tratti ancor più specifici, come ad esempio le caratteristiche della struttura proprietaria. In questo senso, la presenza di investitori istituzionali richiederà maggiori dividendi e quindi risultati economici più impegnativi rispetto ad una classica impresa familiare.

Se il riferimento allo “squilibrio” economico, finanziario e patrimoniale[1] come segnale di crisi è logico, operativamente restano delle incertezze dal momento che ciascuna azienda deve identificare tale squilibrio stabilendo dei valori soglia per specifici indicatori. Oggi vi sono ampie possibilità di utilizzo di banche dati per l’ottenimento di rating economico-finanziari e/o di confronto con indicatori di “salute” finanziaria di gruppi di aziende simili per natura di business e dimensioni, ma è compito dell’imprenditore e dell‘organo di controllo stabilire preventivamente le condizioni di squilibrio, che non possono ovviamente consistere in stati di insolvenza ma devono consistere in situazioni che permettano di prevenire le vere e proprie incapacità oggettive di adempiere le obbligazioni. Torneremo più avanti su questo punto.

Anche il riferimento al compito di “verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4” è molto logico e comprensibile. Logico perché se la crisi è definita come insolvenza prospettica, la capacità di soddisfare i debiti nei prossimi 12 mesi è da considerarsi come la soglia più specifica per identificare la crisi. È ben chiaro a tutti che in realtà sarebbe necessario identificare la crisi molto prima, cogliendo squilibri aziendali che ancora non si tramutino in insolvenza prospettica a un anno, identificando lo stato che ormai passa sotto il nome di “pre-crisi”.  Come aziendalisti ne saremmo molto contenti. Ciò è ben vero, ma si può capire che il Legislatore definisca un limite temporale “minimo” per rilevare la crisi e “almeno 12 mesi” rappresenta un periodo convenzionale minimo ben accettato anche nella prassi per accertare la continuità aziendale (vedasi principio di revisione ISA 570). Il riferimento è anche molto comprensibile per i non aziendalisti: ci deve essere cassa almeno per adempiere puntualmente le obbligazioni che andranno a scadenza nei successivi 12 mesi.

Ci saremmo aspettati che il testo legislativo si fosse fermato a questo punto, stabilendo i due suddetti principi generali. Invece il Legislatore stabilisce una serie ulteriore di accertamenti necessari che non sono tanto le soglie debitorie stabilite dall’art. 3, comma 4, quanto il riferimento alla necessità di disporre delle informazioni necessarie per redigere la “lista di controllo particolareggiata” di cui all’articolo 13, comma 2. Tale norma rinvia al decreto dirigenziale del Ministero della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147. L’ultima versione di questo decreto Dirigenziale è quella del 21 marzo 2023 (Composizione negoziata della crisi d'impresa - Verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento - Recepimento dell'aggiornamento del documento predisposto nell’ambito dei lavori della Commissione di studio istituita con decreto del 22 aprile 2021)

Questo decreto dirigenziale ha forza di legge per il richiamo esplicito inserito nel Codice della Crisi e contiene una serie di richieste informative all’impresa non banali, anche limitandosi a quanto risulta dal punto 2 della “lista particolareggiata” che riportiamo in nota[2]. Se guardiamo al contenuto, emerge che l’impresa deve predisporre bilanci intermedi (uno ogni tre mesi almeno), avere il dettaglio dei debiti e analisi dello scaduto, prospetto di analisi dei crediti e del magazzino, analisi dei costi e dei flussi finanziari ecc..

Il Legislatore sembra quindi definire molto puntualmente la strumentazione tecnica necessaria per identificare la crisi e stabilire uno standard che appare in linea con la migliore prassi manageriale per il controllo di gestione. Alcuni hanno già evidenziato come per la classica piccola impresa questo standard sia troppo elevato, nonostante l’art. 13 specifichi che la lista di controllo particolareggiata debba “essere adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese”.

In realtà, ad esame più attento, si nota che la lista particolareggiata è finalizzata alla redazione del piano di risanamento, più che a rappresentare un elenco della strumentazione tecnico-contabile da schierare negli adeguati assetti. Nella stessa lista particolareggiata si dice che “le risposte alle domande contenute nella presente check-list costituiscono le indicazioni operative per la redazione del piano. Esse vanno intese come recepimento delle migliori pratiche di redazione dei piani d’impresa e non come precetti assoluti”.

Per cui, se la norma dell’art. 3, comma 3 è chiara, includendo negli assetti anche la strumentazione tecnica e le prassi procedurali menzionate nella lista particolareggiata, dall’altro lato, leggendo l’allegato, si percepisce che tale lista è stata concepita come strettamente funzionale alla redazione di un piano attendibile, non tanto per stabilire degli obblighi di assetti. Questa discrasia al momento non risulta sanata e continua a generare incertezze negli operatori sulla configurazione richiesta effettivamente agli “adeguati assetti”, per quanto sappiamo che il CNDCEC sta lavorando per produrre nel prossimo futuro una guida operativa che aspiri a fungere come riferimento “di sistema”.

Da quanto sopra esposto possiamo svolgere alcune considerazioni di fondo.

1)      Il legislatore ha scelto di entrare molto nel merito delle informazioni contabili e operative richieste al sistema degli adeguati assetti, cosa inusuale per un testo di legge, ma ha lasciato alcuni dubbi interpretativi. Questi dubbi aumentano se si pensa che nessuna gradazione esplicita della strumentazione in base alla dimensione e alla natura dell’attività svolta è stata prevista nel concreto, per quanto sia stabilito chiaramente che il sistema deve essere “adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa”. D’altronde, anche per la redazione del bilancio gli obblighi informativi sono ben graduati in base alla dimensione (bilanci ordinari, abbreviati e delle micro-imprese). Sul punto si pensa saranno quindi necessarie alcune successive puntualizzazioni del Legislatore volte a chiarir meglio la gradazione quantomeno dimensionale, oppure regolamentazioni tecniche di tipo secondario, emanate da associazioni scientifiche e professionali, che chiariscano meglio i confini degli adeguati assetti, attualmente ancora piuttosto confusi.

2)      Resta il punto cardine che qualunque tipo di assetto non può prescindere da un piano di tesoreria almeno a 12 mesi, chiesto sostanzialmente dall’art. 3, comma 3, lettera b) per dimostrare la sostenibilità dei debiti. È un punto fondamentale, obbligare l’impresa a prevedere, a pianificare. La forma tecnica del piano e il suo grado di sofisticazione potrà variare, ma il principio della pianificazione “per legge” sembra definitivamente sancito. Se è vero che tale sbocco normativo corona un auspicio che lo scrivente esprimeva già ai tempi della Commissione Rordorf, dall’altro si pone il dubbio immediato di quanto sia il ritardo delle piccole imprese nell’adottare un sistema di pianificazione. In questo senso, il Legislatore sconta la mancanza di uno studio sistematico preventivo sul grado di implementazione dei sistemi di pianificazione e controllo nelle imprese italiane. Non sapendo quale sia lo stato di partenza di tali sistemi, è ben difficile dare per scontato un immediato recepimento dei suddetti obblighi normativi. Anche in questo caso si auspica che almeno una fase di valutazione successiva dell’impatto di questi obblighi di legge sia compiuta da associazioni accademiche e professionali. Solo una sistematica evidenza empirica può dare il senso del progresso effettivamente compiuto con una innovazione normativa.

3)      In ogni caso la questione principale non riguarda la rilevazione tecnica della crisi e, prima ancora, degli squilibri. Quale strumentazione necessaria e quali indicatori servano per intercettare segnali di crisi, se anche non fossero stabiliti nel Codice, sarebbe comunque ben nota per chiunque dotato di basilari competenze aziendalistiche. La questione che ci sembra rilevante riguarda piuttosto la consapevolezza da parte dell’imprenditore dello stato di crisi della propria azienda. In astratto, le informazioni necessarie sono facilmente disponibili ma serve soprattutto la volontà dell’imprenditore di “usare” i numeri consuntivi analizzandoli, studiandoli, per poi impostare su di essi dei preventivi e serve anche la fiducia razionale di formulare giudizi e spiegazioni sulla base dei numeri, senza cercare invece, al contrario, nei numeri tracce di conferma ai propri convincimenti aprioristici. Finché in azienda vi è l’organo di controllo societario, l’imprenditore dispone comunque di un soggetto qualificato e indipendente che è tenuto per legge a verificare la presenza dei suddetti squilibri e informare l’imprenditore (art. 25- octies). Il problema si pone per le aziende che non son tenute all’obbligo dell’organo di controllo che o che comunque non l’hanno scelto. Per queste cosa dobbiamo auspicarci? Che il piccolo imprenditore sviluppi rapidamente e in piena autonomia questa mentalità manageriale che per decenni ha scarseggiato? Soprattutto, si deve veramente confidare nella capacità auto-critica dell’imprenditore di riconoscere da solo, senza supporto, uno stato di crisi dalla lettura di dati contabili accettandolo come un segnale che implica immediata attivazione per il risanamento? Sono dubbi legittimi, specie guardando i numeri proposti all’inizio. La questione quindi si deve spostare dal momento della identificazione a quello della attivazione, del fronteggiamento della crisi.[3]

4. Il momento di attivazione per il risanamento

La identificazione della crisi ha significato nella misura in cui l’imprenditore si attivi “senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” e l’obiettivo della riforma è evitare che l’imprenditore decida di attivarsi troppo tardi, quando la crisi è già divenuta insolvenza con scarse probabilità di recupero.

I numeri richiamati nell’introduzione però sembrano dire il contrario, che il ricorso agli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi avviene troppo tardi, problema strutturale per la gestione delle crisi nel nostro Paese.

È molto probabile, come già anticipato, che questo ritardo nell’attivazione non dipenda tanto da un ritardo nella rilevazione della crisi, quanto dipenda da variabili personali dell’imprenditore che incidono sulla percezione dello stato di crisi e la necessità di un turnaround.

Il timore di causare una reazione negativa da parte di fornitori, finanziatori e dipendenti può essere il motivo principale, unitamente al desiderio di evitare il senso di sconfitta derivante da una palese dichiarazione di richiesta di aiuto. In altri casi, questa ritardata emersione della crisi può derivare da una incrollabile quanto spesso irrazionale fiducia dell’imprenditore verso una fisiologica “ripresa del mercato”.

In merito a questa essenziale circostanza, si ritiene che il quadro normativo forse avrebbe potuto considerare più attentamente il ruolo dell’imprenditore, prevedendo quantomeno per questo soggetto una formazione di base alle tematiche della crisi di impresa, senza darla per scontata, come se fosse implicitamente associata alla natura stessa del ruolo di imprenditore. Oltre alla formazione tecnica volta a illustrare gli obblighi e le possibilità offerte dal Codice della Crisi, sembrerebbero meritevoli di attenzione anche profili più soft relativi alla psicologia dell’imprenditore in situazioni di crisi. Paradossalmente si è dedicata molta attenzione a formare la figura dell’esperto, che è pur sempre un intermediario, e non si è pensato a formare il soggetto principale che è l’imprenditore, il quale per altri motivi è comunque soggetto ad altri tipi di formazione obbligatoria (legge 231, normativa privacy, sicurezza, ecc.).

Sui ritardi nella emersione si pensa influisca anche l’atteggiamento del Legislatore che, pur distinguendo nettamente i termini di crisi e insolvenza (art. 2), poi finisce operativamente per confonderle di nuovo.

A questo riguardo si pensi allo strumento che si presta fisiologicamente al primo fronteggiamento della crisi che è la composizione negoziata della crisi (art. 12 - 25 undecies), volta a favorire uno snello e tempestivo percorso di risanamento extragiudiziale. Presupposto oggettivo per il ricorso a tale procedura è che l’impresa si trovi in “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento”.

La probabilità della crisi o l’insolvenza si traduce in un intervallo temporale molto ampio che ha termine con l’insolvenza, considerando che anche la dottrina commerciale ritiene che anche le imprese insolventi possano accedere alla procedura, come peraltro indirettamente confermato nelle disposizioni operative contenute nell’allegato dirigenziale prima citato.

Questa apertura della procedura anche alle imprese insolventi consente a queste ultime di avere un’opzione ulteriore nella scelta dello strumento di risanamento, ma al contempo permette anche alle imprese in crisi, ma non ancora insolventi, di attendere prima di esperire la procedura, quasi come un incentivo involontario a ritardare l’emersione della crisi.

Un altro passaggio ci sembra indicativo di questa permanenza di commistione tra crisi e insolvenza. Tra i segnali di crisi, l’art.3, comma 4, indica una serie di importanti situazioni debitorie scadute da un periodo non breve (dai 30 ai 90 giorni a seconda del creditore). Queste, più che segnali di crisi, sono segnali di insolvenza.

Per cui si può ritenere che per cogliere al meglio la portata innovativa del concetto di crisi e della sua rilevanza nel Codice a livello operativo ci si debba ancora convincere che l’esistenza di una crisi può essere accertata anche in assenza di insolvenza “attuale” ma semplicemente prospettando una insolvenza, quantomeno con un preavviso di dodici mesi. Questo passaggio culturale che porta a indagare più il futuro richiederà tempo perché si compia del tutto. Si tratta di cambiare un po’ anche la mentalità di tutti gli operatori, ad esempio convincendosi che un ritardo di pagamento (specie di debiti verso fornitori) sia etichettato come un’insolvenza parziale e non come una normale e accettata pratica commerciale. Serve anche una sana iniezione di etica degli affari per compiere questo salto.

Per cui, astrattamente, si poteva forse pensare ad uno strumento che fosse più premiale per l’imprenditore ma che fosse dedicato solo ai casi di crisi o comunque, volendo piegarci ai nostri usi, di insolvenza entro limiti ben recuperabili. In questo modo il ricorso ad uno strumento come la composizione negoziata sarebbe stato certamente più incentivato per il fronteggiamento iniziale della crisi e non come ultima chance di ritardare il dissesto definitivo, come ancor oggi appare nella maggior parte dei casi.

 

5. La piccola impresa come punto debole

Si è detto che la piccola impresa priva di organi di controllo societario sia il soggetto al quale si richiedono maggiori sforzi, tanto di adozione di adeguati assetti, quanto di sviluppo di un approccio anticipatorio di contrasto alla crisi che sinora ha piuttosto latitato.

Non è ancora chiaro quali debbano essere esattamente gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alle diverse dimensioni, ma la piccola impresa deve comunque averli nella configurazione minima, sviluppando soprattutto una ricorrente attività di pianificazione. Le informazioni scaturenti da questi assetti devono poi essere comprese e usate per ispirare un’azione di contrasto alla crisi quanto più preventiva possibile, ma in precedenza abbiamo mostrato alcuni dubbi su una diffusa mentalità imprenditoriale rivolta in questo senso.

Riteniamo che la vera sfida per il Codice della Crisi sia proprio supportare la piccola impresa, tenuto conto delle finalità generali sopra citate che ispirano le norme.

In questo senso, l’impianto normativo non fornisce agevolazioni finanziarie per acquisire software gestionali/ amministrativo - contabili o consulenze professionali.

Lo strumento che il Legislatore mette a disposizione gratuitamente è la piattaforma informatica per la composizione negoziata con il suo test di verifica della sostenibilità del debito e le indicazioni fornite dalla lista di controllo particolareggiata che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento, oltre a un protocollo di conduzione della composizione negoziata accessibile da parte dell’imprenditore e dei professionisti dallo stesso incaricati.  

6. Su alcuni possibili sviluppi futuri

Di fronte a questo quadro, è possibile delineare alcune linee di intervento, che possiamo distinguere tra quelle a parità di impianto normativo e quelle che comporterebbero una modifica di alcuni passaggi del Codice della Crisi.

Tra le prime si segnala la necessità di potenziare il ruolo della “piattaforma informatica”. La Direttiva Europea 1023/2019 in merito all’”allerta precoce” (art.3, comma 4) prevede che “gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sull'accesso agli strumenti di allerta precoce siano pubblicamente disponibili online, specialmente per le PMI, siano facilmente accessibili e di agevole consultazione” e il legislatore ha tradotto in legge questo principio, sviluppando in tempi rapidi la piattaforma di cui all’art. 13 del Codice della crisi.

Viene da pensare che questa piattaforma debba essere potenziata specialmente nella prospettiva di supporto alla piccola impresa, arricchendola di contenuti di facile accesso per le aziende di minori dimensioni. Gli sviluppi possono essere molteplici, spaziando da corsi formazione a consulenza “standardizzata” online, a descrizione di casi di successo. Sviluppi del genere favorirebbero lo sviluppo di quella necessaria sensibilità proattiva nel fronteggiare la crisi nelle sue fasi iniziali di cui si è detto nel paragrafo precedente.

Sempre su questa direttrice, ci sembra che maggiore attenzione specifica alle piccole imprese in crisi debba essere dedicata dalle associazioni imprenditoriali e dalle Camere di Commercio, che dovrebbero aumentare gli sforzi nella formazione e nella consulenza standard alle piccole imprese. La formazione sui temi della crisi dovrebbe iniziare fin dal momento iniziale dell’avvio di una nuova impresa.

Altro ruolo importante lo potrebbero assumere gli ordini professionali dei commercialisti e degli avvocati.

In primis, essi dovrebbero dare indicazioni di normativa secondaria sul livello di assetti organizzativi, amministrativi e contabili da ritenersi adeguato “alla natura e alle dimensioni dell'impresa”[4]. In precedenza si è visto come ad oggi vi sia ancora incertezza su quale debba considerarsi il livello “adeguato” di questi assetti. Il Decreto dirigenziale implicitamente prende a riferimento un’impresa medio-grande richiedendo una massa di dati che implicano una non banale dotazione amministrativa-contabile. Considerando che l’esistenza e l’adeguatezza degli assetti sono anche fonti quantomeno di responsabilità civile per l’imprenditore, tale gradazione è drammaticamente urgente.

Serve anche in questo caso maggiore attenzione alle specificità della piccola impresa. Si pensi che buona parte della Srl redige il bilancio con il modello abbreviato o con il modello delle micro-imprese che, ad esempio, non impongono il rendiconto finanziario, che invece è lo strumento principale per l’analisi della situazione finanziaria, in chiave sia preventiva che consuntiva.  Le norme europee vanno sempre più nella direzione di snellire gli obblighi amministrativi per le PMI, nel solco del principio “Think small first”[5] e entro la fine del 2024 anche il nostro Legislatore dovrà recepire le nuove soglie per il bilancio stabilite dalla Direttiva UE n. 2023/2775 del 17 ottobre 2023 che eleva i limiti di totale attivo e di ricavi di vendita previsto per i bilanci delle micro-imprese (totale attivo 450.000 euro e ricavi netti delle vendite e delle prestazioni 900.000 euro.) e per i bilanci in forma abbreviata (totale attivo 5.000.000 euro e ricavi netti delle vendite e delle prestazioni 10.000.000 euro). Per cui l’impianto normativo deve mirare ad una coerenza interna del sistema di obblighi di controllo e pubblicità posti all’impresa. Gli obblighi di bilancio non dovrebbero esser molto “distanti” dagli obblighi per la rilevazione tempestiva della crisi, non tanto come principio normativo ma quanto come concreta strumentazione operativa e adeguatezza di competenze implicate.

Ma gli ordini professionali potrebbero anche assumersi il compito di monitorare il comportamento dei loro iscritti che operano come sindaci di fronte a situazioni di squilibrio/crisi, per sensibilizzare sul necessario rispetto dell’obbligo di segnalazione cui all’art. 25-octies del Codice della crisi. Al momento non vi è un “controllo di qualità” per tale organo, simile a quello previsto per il revisore legale. Senza richiedere modifiche normative, gli ordini professionali potrebbero farsi carico di questo tipo di controllo.

Anche il criterio generale con il quale identificare le condizioni di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza” e l’individuazione dei casi in cui “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa” di cui sempre all’art. 25-octies potrebbe essere indicato dagli ordini professionali per evitare un’eccessiva latitudine di interpretazioni di questo principio generale.

Ad un livello superiore, In chiave di modifica dell’impianto normativo, come intervento nel complesso semplice, si potrebbe pensare di estendere l’obbligo di segnalazione di cui all’art. 25-octies anche al caso del revisore legale laddove non vi sia l’organo di controllo societario, visto che l’art. 2477 del Codice Civile considera i due soggetti come alternativi. Ma si potrebbe anche pensare, con maggior coraggio, di responsabilizzare in tal senso anche ulteriori soggetti che sono per molte piccole e piccolissime imprese gli unici consulenti, come i soggetti incaricati di presentare la dichiarazione dei redditi.

Modifiche più importanti come la maggiore separazione tra il concetto di crisi e quello di insolvenza con relative ricadute in termini di procedure di risanamento esperibili o anche quello di prevedere verifiche automatizzate sulla base dei bilanci per identificare situazioni di crisi, perlomeno con riferimento alle imprese di maggiori dimensioni e quindi con maggiore “funzione sociale”, sembrano, a chi scrive, necessarie, per quanto al momento sarebbero da considerarsi troppo “eversive”.

Infine, una considerazione “da accademico aziendalista”. Come studiosi siamo abituati che per intervenire su un certo problema dobbiamo conoscere la situazione di partenza e questo significa disporre dei dati necessari. Ad oggi non vi sono fonti pubbliche che dicano quante sono le liquidazioni giudiziali e i diversi strumenti di gestione della crisi a cui le imprese hanno fatto accesso. Servirebbe sapere anche le caratteristiche di quelle imprese, per desumere in modo “scientifico” quali siano i caratteri che favoriscono o ostacolano l’avvio di procedure di risanamento. Invece si rileva tristemente un’assenza di tali dati, forse in nome di un malinteso senso di riservatezza del sistema. I dati provenienti dai tribunali e dal registro delle imprese dovrebbero essere raccolti e resi disponibili per lo studio, perché senza studi e ricerche alla base, ogni riforma procede solo per tentativi basati sul personale convincimento di gruppi ristretti di “standard-setter”.

Insomma, non si può pensare che basti una legge per risolvere un problema sistemico che ci affligge da anni come la ritardata emersione delle crisi aziendali. Piuttosto, si richiama la necessità che questo importante cambiamento normativo sia supportato da comportamenti coerenti da parte di tutti gli attori del complesso sistema di gestione della crisi e risanamento aziendale.  Ognuno deve fare la sua parte.



[1] - Sulla scivolosità  del concetto di squilibrio “patrimoniale” si veda il nostro “Sulla necessaria rimodulazione nel Codice della Crisi degli indicatori e indici della crisi”, sub https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Articolo/60

[2] Si riporta il contenuto della sezione 2 della lista:

“2.1. L’impresa dispone di una situazione contabile recante le rettifiche di competenza e gli assestamenti di chiusura, nel rispetto del principio contabile OIC 30, quanto più possibile aggiornata e comunque non anteriore di oltre 120 giorni? (a cura dell’imprenditore). In mancanza l’imprenditore deve redigerla quale presupposto necessario per la predisposizione del piano. La situazione contabile dovrà essere aggiornata all’occorrenza nel corso delle trattative anche per accertare le cause di eventuali scostamenti rispetto alle attese.

2.2. La situazione debitoria è completa ed affidabile? Il valore contabile dei cespiti non è superiore al maggiore tra il valore recuperabile e quelli di mercato? (a cura dell’imprenditore). In difetto, occorre quanto meno appostare con prudenza adeguati fondi rischi e fondi per l’adeguamento delle attività e delle passività.

2.3. È disponibile un prospetto recante l’anzianità dei crediti commerciali e le cause del ritardo di incasso tale da consentire una valutazione oggettiva dei rischi di perdite sui crediti e una stima prudente dei tempi di incasso?  (a cura dell’imprenditore). In difetto, è opportuno che i crediti commerciali siano suddivisi in relazione alla loro anzianità8. Per gli scaduti che superano la fisiologia (tempi ordinari di pagamento, pur oltre la scadenza contrattuale, che caratterizzano il settore 9) occorre che la stima del momento dell’incasso sia particolarmente prudente.

2.4. È disponibile un prospetto recante le rimanenze di magazzino con i tempi di movimentazione che consenta di individuare le giacenze oggetto di lenta rotazione? (a cura dell’imprenditore). In caso contrario, è opportuno che l’imprenditore isoli le giacenze di magazzino a lenta rotazione per consentire una stima corretta degli approvvigionamenti necessari.

2.5. I debiti risultanti dalla contabilità sono riconciliati con quanto risultante dal certificato unico dei debiti tributari, dalla situazione debitoria complessiva dell’Agente della Riscossione, dal certificato dei debiti contributivi e per premi assicurativi e dall’estratto della Centrale Rischi? (a cura dell’imprenditore). In caso contrario, è necessario individuare le cause delle differenze significative.

2.6. Si è tenuto adeguatamente conto dei rischi di passività potenziali, anche derivanti dalle garanzie concesse? (a cura dell’imprenditore). In difetto, anche con l’aiuto dei professionisti che assistono l’impresa, occorre stimare entità e momento del pagamento di eventuali passività potenziali.

2.7. L’organo di controllo ed il revisore legale, quando in carica, dispongono di informazioni in base alle quali la situazione contabile di cui al punto 2.1. risulti inaffidabile o inadeguata per la redazione di un piano affidabile? (a cura dell’esperto). In caso affermativo, occorre che l’imprenditore rimuova le criticità quanto meno con l’appostazione di passività ulteriori o rettificando i flussi economico-finanziari attesi (a cura dell’imprenditore).

2.8. Sono disponibili informazioni sull’andamento corrente in termini di ricavi, portafoglio ordini, costi e flussi finanziari? È disponibile un confronto con lo stesso periodo del precedente esercizio? (a cura dell’imprenditore).”

[3] Sul punto si deve comunque segnalare che secondo l’Osservatorio semestrale di Unioncamere (15 maggio 2023) «di tutte le imprese che presentano istanza di composizione negoziata l’organo di controllo è presente solo in 135 casi (il 17,6%)”; a prima vista, tale dato lascerebbe sperare che l’attivazione per il superamento crisi, perlomeno con la richiesta della composizione negoziata, avvenga anche in assenza di organo di controllo. Ma è anche vero che tale dato andrebbe confrontato con quello riferito ai casi di superamento della crisi, tenuto conto che in 4 casi su 5 di chiusura della composizione negoziata l’esito è negativo.

[4]Si deve apprezzare il primo tentativo in questa direzione operato dal CNDCEC con i due documenti “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: profili civilistici e aziendalistici”, Documento di Ricerca della Fondazione Nazionale Commercialisti, 7 luglio 2023 e “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: check-list operative”, Documento di Ricerca della Fondazione Nazionale Commercialisti, 25 luglio 2023.

[5] - https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_08_1003