, 02 aprile 2024, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario. 1 . La questione nelle sue linee generali; 2. Il divieto di revoca dei finanziamenti in essere; 3. Il bilanciamento del divieto di revoca di cui all’art. 16 comma 5 e la classificazione dei crediti finanziari; 4. I finanziamenti nel Codice, i finanziamenti ponte (art .99 comma 5), interinali (art. 99 commi I-IV) e in esecuzione (art. 101); 4.1 La finanza “ponte” (art. 99, comma 5, CCII). 4.2 La finanza “interinale” (art. 99, commi 1-4,). 4.3. La finanza “in esecuzione” (art. 101). 5. La prededucibilità.
1 . La questione nelle sue linee generali
Che la finanziabilità dell’impresa in crisi rappresenti un elemento cruciale in un’ottica di mantenimento dei valori aziendali non appare in discussione, che tale finanziabilità sia cosa agevole è tutt’altra questione che tenteremo di indagare alla luce delle nuove norme del Codice al fine di rilevarne l’efficienza, convinti che nel processo di ristrutturazione l’intervento dei terzi con nuova finanza ed il mantenimento dei finanziamenti bancari appaiono quali elementi essenziali laddove non possa supplire in tutto o in parte l’intervento dei soci.
Nel suo essenziale intento stabilizzatore dell’intervento degli stakeholders che si rapportano con l’impresa in crisi (innanzitutto fornitori, banche, soci, creditori qualificati) il legislatore del Codice ha sistemato innanzitutto l’area dei c.d. fornitori strategici, disciplinandoli sub art. 94bis, secondo comma, e ridefinendoli come “essenziali”, necessari cioè “per la gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore”.
Tali contratti non possono essere unilateralmente inadempiuti da parte dei creditori, nemmeno parzialmente, né possono essere risolti e/o modificati in danno dell’imprenditore “per il solo fatto del deposito di una domanda di accesso al concordato in continuità aziendale, dell’emissione del decreto di apertura di cui all’art. 47 e della concessione delle misure protettive e cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari.”
Mancava, quindi, una risistemazione specifica anche dei contratti finanziari, i quali possono senz’altro essere sussunti all’interno della più ampia categoria dei contratti essenziali potendo godere delle regole dettate per questa categoria di rapporti giuridici.
Appare quindi di primaria importanza offrire adeguata tutela al soggetto finanziatore non dimenticando mai, d’altro canto, l’orizzonte della migliore soddisfazione dei creditori[1] potendo la legge permettere un incremento dei crediti prededucibili unicamente in presenza di un vantaggio satisfattorio rispetto all’alternativa liquidatoria, comunque esso possa realizzarsi.
Il tema del finanziamento[2] appare atteggiarsi sotto due diversi profili riguardanti, il primo, i rapporti di credito esistenti al momento della presentazione della domanda ed il secondo i rapporti che sorgono per effetto e durante l’operazione di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Con riferimento al primo profilo emerge la rilevanza del generale dovere di tutti i soggetti che partecipano alle operazioni solutive della crisi o dell’insolvenza e tra questi il dovere previsto all’art. 4 comma 4 che prevede il “dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e amministrativa e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite”. Questa norma chiude con il riferimento all’art. 16, commi 5 e 6 facendo assurgere ad obbligo generale quello riferibile alle banche e agli intermediari finanziari, ai loro cessionari e mandatari, i quali sono tutti “tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato”, specificando come “l’accesso alla composizione negoziata non costituisce di per sé causa di sospensione o revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore”.
L’obbligo di collaborare lealmente, oltre ai divieti e agli atteggiamenti negativi o anche meramente dilatori, involge anche il secondo dei profili richiamati, implicando un approccio costruttivo da parte degli intermediari finanziari, incluso quello volto alla concessione di finanziamenti all’impresa in crisi, ovviamente in presenza di tutti i presupposti per la sua finanziabilità, primo tra tutti quella della garanzia della prededucibilità del credito, ove non rimborsato, nelle successive procedure.
La migliore rappresentazione di questo principio appare nella composizione negoziata: l’art. 21 primo comma, obbliga infatti l’imprenditore in stato di crisi a gestire “l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” costituendo questo obbligo la declinazione pratica del più generale dovere previsto dal nuovo articolo 2086 del c.c. relativo agli assetti adeguati, da costruire anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, e al fine di attivare, senza indugio, l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale.
Tutto ciò dovrebbe implicare, pena il mancato bilanciamento del sistema, che il mercato dei capitali, latu sensu inteso, non possa ritrarsi immotivatamente dinanzi ad una legittima richiesta di sostegno, in presenza di uno strumento posto in atto dal debitore in crisi ed idoneo al superamento di questo status. La ratio legis è chiara: da un lato v’è un obbligo generalizzato in capo alla governance di attivarsi senza indugio, in via preventiva, attraverso l’istituzione di assetti organizzati, amministrativi e contabili adeguati e l’applicazione di uno degli strumenti legali qualora necessari, dall’altra deve corrispondere un obbligo di collaborazione leale del sistema, sia nel mantenimento delle linee di credito già attive ma anche nella concessione di nuove, perché senza di esse non può essere utilmente perseguito il riequilibrio e il risanamento.
Sotto questo profilo il debitore che accede, per esempio, alla composizione negoziata e alle misure protettive e che chiede, ai sensi dell’art. 22, le autorizzazioni al tribunale a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’art. 6 provenienti dagli intermediari, dai soci o da altre società del gruppo, apparirà del tutto esente dalle ipotesi di richiesta abusiva di credito, così come, specularmente, saranno esenti dalle ipotesi di concessione abusiva i soggetti eroganti i finanziamenti.
Così come è previsto che tutti gli atti autorizzati dal tribunale conservino i propri effetti in tutte le eventuali procedure successive aperte a seguito dell’accesso alla composizione negoziata e quindi nelle procedure relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti, al concordato preventivo, al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, alla liquidazione giudiziale, al concordato semplificato, alla liquidazione coatta amministrativa e all’amministrazione straordinaria ex art. 24, così come non saranno soggetti all’azione revocatoria.
E tutto ciò anche in caso di composizione negoziata di gruppo ex art. 25 c. 8.
In estrema sintesi è stato il nuovo codice, soprattutto con l’introduzione della nuova procedura di composizione negoziata della crisi, a mutare radicalmente il rapporto finanza-debitore che, d’ora in poi, dovrà informarsi ai principi generali della leale collaborazione nella valutazione della finanziabilità del debitore in crisi.
Questa procedura, invero, richiede alle banche un cambiamento radicale di approccio alle trattative per il risanamento dell’impresa che credo possa essere esteso a tutte le procedure previste dal codice, almeno come principio generale, fatte salve le peculiarità e le regole proprie di ogni singolo istituto.
La regola generale prevista all’art. 4 comma 4 è rivolta a tutti i soggetti coinvolti nella crisi e quindi a tutti gli istituti previsti nel Codice: nelle intenzioni del legislatore, le banche, ove il risanamento dell’impresa sia effettivamente possibile (e il debitore provi in buona fede a proporre un piano di risanamento, non avendo posto in essere atti in frode), sono sostanzialmente poste di fronte alla scelta di negoziare celermente un accordo per il superamento della crisi, ovvero subire perdite significative del valore delle proprie esposizioni nei confronti dell’impresa in un arco temporale inferiore ai dodici mesi.
Ecco perché un eventuale atteggiamento dilatorio, passivo o ostruzionistico durante tali trattative sarebbe non solo incompatibile con gli obblighi previsti dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza in capo ai creditori (correttezza, buona fede, celerità, ecc.) ma anche con i doveri propri dell’attività bancaria, volta alla gestione efficiente dei propri crediti[3] ed infine inconciliabile con la durata limitata delle trattative che, ai sensi dell’art. 17, co. 7, devono concludersi entro centottanta giorni, salvo proroga in determinate circostanze.
Il Codice riforma il rapporto banca-impresa inserendolo nell’ambito di un quadro sistematico complessivo in cui l’erogazione e il monitoraggio del credito presuppongono una leale collaborazione e una continua interazione tra le strutture della banca e dell’impresa, ove la prospettazione di dati e informazioni di natura sia consuntiva che previsionale, e la loro analisi da parte del sistema bancario, appare elemento centrale e del tutto compliant con il nuovo sistema disegnato dal legislatore in tema di assetti adeguati.
Come vedremo nel prosieguo della trattazione, infatti, gli intermediari godranno di assetti informativi relativi al soggetto finanziato molto più ampi rispetto a quanto usualmente disponibile in una situazione non distressed, assetti garantiti inoltre da figure ad alta professionalità e competenza (esperto, attestatore, organi) e financo monitorati dal controllo giudiziario ove si facesse ricorso alle misure protettive e cautelari.
Tale completa e trasparente informativa non può rimanere un inutile atto unilaterale ma deve costituire la base per una seria, profittevole ed altrettanto trasparente negoziazione finalizzata all’accesso ai capitali finanziari.
2. Il divieto di revoca dei finanziamenti in essere
Il tema del finanziamento dell’impresa in crisi che decide di intraprendere il percorso virtuoso del risanamento attraverso uno degli strumenti previsti dal codice passa innanzitutto attraverso il mantenimento delle linee di credito già concesse al debitore e che risultano essenziali alla continuità aziendale, principio chiaramente finalizzato a favorire le trattative e ogni possibilità di un buon esito delle stesse.
Con qualche limite peculiare rispetto alla procedura di concordato preventivo quello della prosecuzione dei contratti di finanziamento pendenti appare infatti, quale regola generale posta in essere dal legislatore con riferimento a tutte le procedure, del tutto adeguata al favor per il risanamento: trattasi di un punto condiviso nelle diverse giurisdizioni e fatto proprio dal legislatore comunitario.
La Direttiva (UE) 2019/1023 (considerando 41 e art. 7, par.4), prevede infatti che ai creditori non sia consentita la sospensione, revoca o qualunque altra modifica unilaterale a danno del debitore in forza di una clausola contrattuale che preveda tali misure in conseguenza di una richiesta di apertura di una procedura di risanamento.
Nel codice, in tema di concordato in continuità aziendale i creditori (e anche quelli finanziari) “non possono unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti essenziali in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione,né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato ini continuità … e della concessione di misure protettive o cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari” (art.94 bis, secondo comma).
La norma individua i “contratti essenziali” in quelli “necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore” potendo senz’altro includere nel novero anche i contratti finanziari in corso di esecuzione: appare evidente, infatti, come non possa mantenersi in equilibrio una impresa, già in una situazione di crisi quasi sempre di natura finanziaria, alla quale vengano sospese o revocate le linee di affidamento o i “castelletti” utilizzati per anticipazione delle fatture o degli effetti.
Anche in tema di composizione negoziata vige lo stesso principio (art. 16, co. 5) laddove si prevede che l’accesso allo strumento stragiudiziale di composizione della crisi “non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore”.
Il termine “revoca” utilizzato dal codice in più parti deve ragionevolmente includere nel suo significato tanto la “risoluzione” che il “recesso” del contratto di finanziamento, potendolo interpretare in senso generico: la disposizione ha evidentemente la finalità di evitare la restituzione dell’intero debito residuo (eventualmente erogato a titolo di mutuo o anticipazione bancaria) facendo conseguire all’impresa una crisi di liquidità che aggreverebbe la crisi e vanificherebbe l’intero percorso di risanamento.
Il profilo della possibilità di includere nel “divieto di revoca e sospensione” anche le prestazioni “ancora da eseguire” appare la naturale conseguenza dell’applicazione della ratio sottesa all’introduzione nel sistema del procedimento di composizione negoziata, volta a favorire soggetti in crisi o in una situazione di insolvenza reversibile, in presenza di un progetto di risanamento che appare possedere tutti i requisiti di fattibilità ed adeguatezza.
La facoltà di consentire all’impresa di utilizzare eventuali linee accordate ma non ancora (interamente) utilizzate alla data di ammissione alla procedura ovvero “linee autoliquidanti” o “rotative” che divenissero nuovamente utilizzabili a seguito dell’incasso, durante le trattative o durante lo svolgimento di una procedura di composizione negoziata o di concordato, di fatture e riba emesse prima dell’ammissione apparirebbe del tutto conseguente a quel principio già delineato in premessa di favor alla continuità nella fase preliminare, in linea con l’obbligo di mantenimento dei contratti in corso di esecuzione e con il principio di protezione, seppur disposto dal tribunale con proprio provvedimento.
Per dare un’idea di come appaia “rafforzato” il principio del divieto di revoca e/o di sospensione dei contratti finanziari pendenti va evidenziato come il legislatore lo abbia disposto prescindendo dall’ottenimento da parte del tribunale delle misure protettive e cautelari: sia l’art. 94bis in tema di concordato preventivo sia l’art. 16 comma 5 in tema di composizione negoziata impongono tali divieti alle imprese finanziatrici in via generale ed assoluta, prima e a prescindere dall’accesso alle misure protettive.
La ratio di tale regola, pur mitigata dall’innesto in sede di primo correttivo[4] al D.Lgs 14/2019 che permette all’istituto di credito di procedere alla revoca o alla sospensione delle linee di credito in essere se richiesto dalla disciplina della vigilanza prudenziale con comunicazione che deve dar conto della decisione assunta, va ricercata nel favor alla continuità, evidentemente compromessa da un repentino blocco delle linee di credito in essere al momento della presentazione della domanda[5].
Ove il debitore, invece, eventualmente costretto dall’andamento delle interlocuzioni con gli istituti, richieda ed ottenga dal tribunale le misure protettive le banche, come qualsiasi altro creditore, saranno soggette alle limitazioni dell’esercizio unilaterale dei diritti derivanti dai contratti di finanziamento ai sensi dell’art. 18, co. 5, impedendo loro di avvalersi dei rimedi contrattuali quali la risoluzione, il recesso, la decadenza del beneficio del termine, o l’eccezione di inadempimento, quando questi derivino dall’inadempimento del debitore ammesso alla composizione negoziata agli obblighi di pagamento di debiti pregressi derivanti da contratti di finanziamenti pendenti.[6]
Per effetto della medesima ratio che fonda la regolamentazione di questa materia sia in sede di composizione negoziata sia in sede di procedura concordataria, tra i “contratti pendenti” previsti dalla norma dovranno essere ricompresi anche i “contratti bancari autoliquidanti[7]” in quanto espressamente contemplati nell’art. 97, co. 14, CCII, norma che appunto disciplina i contratti di finanziamento bancari pendenti nell’ambito del concordato preventivo e che ne conferma la prosecuzione durante la procedura a meno di una richiesta di scioglimento che può provenire unicamente dal debitore “ove la prosecuzione non è coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione.” (art. 97 primo comma)
Nella pratica, è ragionevole attendersi che un’impresa che decida di avvalersi delle misure protettive, e quindi delle limitazioni di cui all’art. 18, co. 5, CCII imposte alle banche, chieda anche la concessione da parte del Tribunale delle misure cautelari finalizzate a preservare l’utilizzo durante le trattative delle linee di credito a garanzia dell’integrità del valore dell’impresa e della continuità aziendale.
A questo proposito occorre segnalare come il comma 14 dell’art. 97 disciplini la specifica fattispecie, come visto, dei contratti finanziari c.d. autoliquidanti, concernenti quelle forme tecniche con le quali l’istituto di credito mette a disposizione dell’impresa una linea di finanziamento sulla base della presentazione di fatture attive e/o effetti che la banca anticipa rispetto alla loro naturale scadenza e che la banca medesima incasserà dal terzo debitore, rientrando del suo credito da anticipazione.
Nella vigenza della normativa precedente l’interruzione (sospensione o revoca) di tale particolare tipo di forma tecnica implicava che il soggetto finanziatore rimanesse creditore della somma anticipata al cliente-debitore, importo che non essendo disciplinato e nemmeno qualificato come prestazione principale rimaneva nella disponibilità del debitor debitoris con la conseguenza che lo scioglimento dal contratto poteva causare un danno al finanziatore pari alle somme anticipate e non incassate perché ancora non scadute le fatture e gli effetti oggetto di anticipazione.
Il codice ha finalmente disciplinato tale fattispecie prevedendo che “nel contratto di finanziamento bancario costituisce prestazione principale ai sensi del comma 1 anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. In caso di scioglimento, il finanziatore ha diritto di riscattare e trattenere le somme corrisposte dai terzi debitori fino al rimborso integrale delle anticipazioni effettuate nel periodo compreso tra i centoventi giorni antecedenti il deposito della domanda di accesso di cui all’art. 40 e la notificazione di cui al comma 6”[8].
Il sistema così delineato potrebbe non trovare il favor degli intermediari finanziari in quanto, ove l’impresa ottenga l’autorizzazione alle misure protettive e cautelari, questi dovranno continuare ad erogare il credito, con conseguente incremento dell’esposizione in essere, nei confronti di un debitore in crisi o insolvente.
A bilanciare questo obbligo il legislatore ha previsto una serie di incentivi e di limiti a favore del sistema bancario: (i) il principio generale della prededucibilità di ogni atto legale e autorizzato dal giudice, in questo alveo rientrando anche l’utilizzo durante la procedura di linee di credito preesistenti che possa incrementare il credito da finanziamento maturato post-domanda, ai sensi dell’art. 22 comma 1 lett. a); (ii) la facoltà di sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 dell’art. 18 fino alla (eventuale) conferma delle misure richieste da parte del Tribunale e da ultimo, (iii) la facoltà di sospendere o revocare gli affidamenti qualora tali atti vengano “richiesti dalla disciplina della vigilanza prudenziale, con comunicazione che da conto delle ragioni della decisione assunta”, ex art. 16, comma 5, tal ultima disposizione, come vedremo tra un attimo, oggetto di perplessità da parte della dottrina potendo risultare il vero e proprio limite all’utilizzo dello strumento solutivo previsto; (iv) la non qualificabilità degli atti compiuti dagli intermediari come rilevanti ai fini dei reati di bancarotta, concessione abusiva del credito e la non revocabilità dei finanziamenti e dei rimborsi effettuati dal debitore[9].
3. Il bilanciamento del divieto di revoca di cui all’art. 16 comma 5 e la classificazione dei crediti finanziari
Il legislatore, nel prevedere un così invasivo sistema di protezione del debitore da qualsiasi azione di disturbo da parte dei creditori finanziari, era cosciente che occorreva individuare un equivalente ed organico bilanciamento degli interessi e delle protezioni anche a favore del sistema bancario, pena l’insuccesso degli strumenti di salvaguardia previsti dal codice.
Nell’emanazione del codice il legislatore ha, quindi, temperato il divieto di sospendere o revocare le linee di finanziamento in essere prevedendo la possibilità per la banca di evitare di continuare a finanziare l’impresa in crisi.
L’articolo 16, comma 5, in commento, prevede infatti una deroga al principio di continuazione dei contratti finanziari qualora la loro revoca o sospensione sia richiesta dalla “disciplina di vigilanza prudenziale”[10]: l’esercizio di tale deroga presuppone che la banca dia contezza per iscritto delle ragioni della propria scelta[11] invertendo l’onere della prova e attribuendolo all’intermediario che dovrà provare la correttezza del proprio operato ablativo.
Come tenteremo di illustrare più avanti questo innesto ha nuovamente spostato l’asticella troppo a favore del comparto finanziario, offrendo loro una way out del tutto scevra da qualsiasi controllo preventivo, idonea a mio avviso a rendere più incerto il necessario bilanciamento di interessi che si era raggiunto con (i) l’attribuzione della prededuzione automatica, con (ii) la messa a disposizione di tutte le informazioni necessarie a favorire una piena disclosure sulla situazione del debitore e sulle concrete prospettive di riequilibrio e con (iii) l’ombrello protettivo verso ogni addebito di natura penale o civilistica.
Questa norma, che introduce la deroga a favore del comparto bancario, è posta unicamente all’interno del procedimento della composizione negoziata, ma va rimarcato come possano essere frapposti ostacoli e/o limitazioni anche nella fase precedente la presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di un concordato preventivo introdotta con una istanza prenotativa ex art. 44, che va iscritta presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 45, laddove la banca ben potrebbe dar corso alle azioni che stiamo per affrontare infra, e che possono essere sterilizzate unicamente attraverso la richiesta di misure protettive e cautelari ex art. 54[12].
Il rinvio della norma alla disciplina della vigilanza prudenziale comporta il riferimento ad un corpus normativo e regolamentare di dimensioni e complessità rilevanti includendovi norme primarie e regolamentari quali il TUB (D. Lgs 385/193, ed in particolare l’art.5[13]) e le Disposizioni di Vigilanza della Banca d’Italia (Circ. 285 del 17/12/2013) e norme sovranazionali derivanti dalla Vigilanza europea, coordinata dalla BCE[14].
Queste norme di vario livello potrebbero tutte essere considerate quale parametro legale di riferimento per far scattare la sospensione e la revoca degli affidamenti in essere in quanto regole tutte compatibili con l’ampia definizione di disciplina di vigilanza prudenziale, e riguardanti l’attività di banche e intermediari con riferimento al rischio di credito primario (cd rischio di “primo pilastro”), includente l’alea che la controparte finanziata risulti inadempiente, e tese ad assicurare la trasparenza e la stabilità dei bilanci bancari al fine di mantenerli costantemente in grado di assorbire le eventuali perdite su crediti derivanti da inadempimenti o da veri e propri default dei soggetti finanziati.
V’è innanzitutto da segnalare come l’ampiezza del quadro normativo e regolamentare sussumibile all’interno della predetta definizione normativa rischi di renderla talmente generica da farla divenire, nella migliore delle ipotesi, oggettivamente inapplicabile e financo oggetto di attuazione abusiva da parte degli intermediari i quali potrebbero invocare apoditticamente la gestione prudente del credito per sospendere o revocare le linee di credito esistenti.
Anche l’esegesi interpretativa offerta da autorevole dottrina sul punto[15], non pare suggerire una soluzione alla carenza di determinatezza della norma, che dovrebbe sempre rispondere ai generali principi di chiarezza ed effettività, divenendo, a contrario, uno strumento utilizzabile in via del tutto autoreferenziale e unilaterale, attribuendo alla banca il potere di invocare qualsiasi motivazione[16] a suo insindacabile giudizio qualora il principio della sana e prudente gestione lo possa giustificare.
Vero è anche che, d’altro canto, il sistema regolamentare delle banche che sovrintende alla classificazione dei crediti in essere, potrebbe da solo produrre i medesimi effetti devastanti dell’applicazione della deroga in commento: a parere di chi scrive dirimente appare una approfondita valutazione della situazione del debitore che chiede di accedere ad una procedura di risanamento, nel senso che solo da una verifica puntuale della documentazione a corredo della domanda di accesso alla composizione negoziata o anche ad un concordato preventivo “prenotativo” potrà eventualmente sorgere una valutazione negativa riguardo la continuazione della concessione di credito e una conseguente revoca degli affidamenti in essere, potendo tale valutazione essere trasfusa nella motivazione ex art. 16 comma 5.
Nonostante, infatti, in tema di composizione negoziata non possa certo parlarsi di procedura giudiziale[17], a differenza senz’altro del concordato preventivo, l’orientamento del sistema bancario è nel senso di classificare immediatamente le esposizioni dell’impresa che chiede l’accesso alla composizione negoziata come “inadempienze probabili” e quindi da includere sub stage 3 ai sensi del principio contabile IRFS 9[18], in applicazione della Circolare Bankitalia n. 272/2008[19], e ciò, per assurdo, anche in caso di situazione di regolarità dell’impresa richiedente nei confronti dei creditori finanziari[20].
La classificazione a stage 3 dei crediti finanziari[21] comporta un immediato incremento degli accantonamenti a bilancio delle banche con rideterminazione del valore del credito sulla base delle previsioni di effettivo rimborso da parte del debitore oltre ad una progressiva svalutazione con riferimento alle scadenze e gli importi determinati dal calendar provisioning[22].
Ove la banca fosse obbligata a proseguire i contratti di finanziamento in essere in conseguenza del provvedimento favorevole del tribunale sulla richiesta delle misure protettive e cautelari, gli obblighi di accantonamento si estenderebbero anche sull’incremento dell’esposizione maturato durante le trattative rendendo ancor più difficoltoso l’esito delle negoziazioni con l’esperto.
Le banche infatti, accedendo alla deroga prevista all’art. 16, comma 5, relativa alla vigilanza prudenziale, e motivandola adeguatamente, potrebbero ben sospendere i rapporti di finanziamento in essere rischiando di pregiudicare la continuità aziendale e, soprattutto, vanificando del tutto l’intento salvifico della norma.
Nell’ auspicare un intervento normativo che risolvi la questione, non potendo accedere ad un sistema squilibrato che veda il creditore finanziario in una posizione privilegiata rispetto ad altri soggetti non meno rilevanti sul piano del loro apporto alla ristrutturazione (si pensi ai fornitori strategici o anche ai creditori erariali, oggetto entrambi, senza alcuna limitazione, alle sospensioni e alle limitazioni dei loro diritti nel tempo limitato previsto dalla legge a favorire il rispristino dell’equilibrio), soccorrerebbe, medio tempore, una interpretazione della norma che, contemperando gli interessi in gioco, dovrebbe fondarsi sul mantenimento di ogni linea di finanziamento in essere alla data della domanda, all’esito della concessione delle misure protettive e cautelari, supportate da un’adeguata valutazione del piano di risanamento proposto e avallato dall’esperto, eventualmente prevedendo un equo indennizzo stabilito dal giudice in caso di esito infruttuoso della procedura di risanamento.
E ciò per una serie di motivi.
1. Il presupposto per ricorrere allo strumento di soluzione della crisi è costituito da una “condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” quando “risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 12 CCII) per cui un qualsiasi imprenditore, iscritto nel registro delle imprese, commerciale o agricolo, che si trovi in una condizione di “squilibrio… che rende probabile la crisi” cioè in una situazione di “pre-crisi”[23], deve poter essere messo in condizione di tentare, senza ostacoli, una via legale al risanamento.
Non si tratta di un debitore che non ha più alcuna attività d’impresa e che deve unicamente liquidare i residui beni ancora all’attivo patrimoniale ma di un soggetto che ha subito una crisi per cause del tutto manifeste (anche eventualmente per effetto di errori di gestione) la cui impresa è ancora in grado di permanere sul mercato se opportunamente gestita e scevra di una parte di debiti che non è più in grado di rimborsare (e si badi bene, con il consenso dei titolari di tali diritti di credito che hanno, mutatis mutandis, accettato gli stralci, quantomeno nelle procedure caratterizzate da accordi o dal voto).
Il Codice della crisi prevede una serie di percorsi regolamentati in regime di protezione tali da favorire la soluzione consensuale della crisi grazie all’esperimento di trattative, sotto l’egida di un esperto, in cui le parti sono tenute a collaborare e comportarsi secondo principi di buona fede e correttezza.
Tra i vari strumenti previsti dal codice, innanzitutto deve annoverarsi il sistema degli assetti adeguati finalizzati all’emersione anticipata della crisi di modo che il debitore in una situazione di pre-crisi possa provare la via del risanamento dell’impresa tramite un piano in continuità diretta o indiretta.
A conferma di quanto indicato possono accedere alla composizione negoziata financo le imprese affette da “insolvenza reversibile”: l’’art. art. 21 CCII prevede, infatti, che: “Quando nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento[24], lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori…”.
La compressione temporanea dei diritti dei creditori è storicamente resa legittima nell’ottica del mantenimento di valori costituzionalmente protetti e di una migliore soddisfazione rispetto alla liquidazione atomistica dei beni del debitore: questo principio deve poter valere anche nei confronti del sistema finanziario.
2. L’accesso alle misure protettive è sottoposto al vaglio giudiziale, rafforzato dalla valutazione di un esperto professionista in grado di vagliare l’esistenza di tutte le condizioni per la loro concessione. Di più, il ricorso alle misure protettive è una mera facoltà dell’imprenditore e financo modulabile secondo le esigenze del caso specifico: nella composizione negoziata, ad esempio, il debitore può scegliere di chiedere l’applicazione delle misure protettive e cautelari genericamente nei confronti di tutti i creditori, mentre il tribunale può limitarle (o concedere le misure cautelari) solo nei confronti di alcuni dei creditori[25]. Inoltre, le misure in questione possono limitare i diritti dei creditori solo per un tempo limitato: non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni (art. 19, co. 4, penultimo periodo, CCII), prorogabile, solo su istanza delle parti e previo parere positivo dell’esperto, “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative” (fino ad una durata complessiva di massimo duecentoquaranta giorni). Infine, tale durata, su istanza di una parte o segnalazione dell’esperto, può essere abbreviata (o le misure possono essere del tutto revocate prima della scadenza) “quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative” (art. 19, co. 6 CCII). In caso quindi di insussistenza dei requisiti legali, anche sopravvenuti nel corso delle trattative, le banche potranno procedere alle sospensioni o alle revoche, avendo nuovamente a disposizione tutti gli strumenti per il recupero del credito[26].
3. La struttura degli strumenti solutivi della crisi presuppone sempre l’esistenza di un piano di risanamento e/o di ristrutturazione del debito dal quale eventualmente trarre conclusioni e motivazioni circa la sua inadeguatezza o inefficacia rispetto all’obiettivo del ripristino della situazione di equilibrio. Sotto questo profilo una classificazione dell’esposizione a “inadempienza probabile” da parte di un creditore finanziario dovrebbe presupporre una sua preliminare valutazione circa la probabilità del futuro inadempimento e tale valutazione deve comportare un’analisi delle probabilità del risanamento dell’impresa e della sua effettiva capacità di rimborso. In estrema sintesi un abbassamento del rating da parte dell’istituto di credito non può compiersi senza una valutazione attenta delle assunzioni presenti nel piano alla base dello strumento di composizione della crisi.
Nella procedura di composizione negoziata tale assetto informativo è previsto dalla legge come elemento preliminare essenziale per l’accesso allo strumento e viene messo a disposizione della banca e dell’esperto durante le trattative. Il creditore finanziario è quindi sufficientemente informato circa (i) il progetto di piano di risanamento predisposto secondo le indicazioni della lista di controllo particolareggiata di cui all’art. 13, co. 2, CCII, (ii) la relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e (iii) le iniziative che l’impresa intende adottare (art. 17, co. 3, lett. b) CCII) e tale completo corredo informativo dovrebbe consentire alla banca di identificare e successivamente valutare il percorso con cui il debitore intenda perseguire il proprio risanamento.
Riclassificare unilateralmente come “inadempienza probabile” l’esposizione nei confronti di un’impresa ammessa alla composizione negoziata, unicamente in base al mero fatto del ricorso alla procedura, oltre che contrario ai principi di buona fede e correttezza che debbono informare le trattative, apparirebbe non coerente proprio con la disciplina prudenziale applicabile, mancando del tutto quelle necessarie verifiche preliminari in ordine alle capacità prospettica di generazione di flussi di cassa a regime che, sulla base delle assunzioni di piano, possono derivare dall’esito delle iniziative di riorganizzazione e ristrutturazione che si intendono adottare per risolvere lo squilibrio in essere.
Solo da tali accurate verifiche infatti potrebbe avanzarsi da parte delle banche una motivazione completa e ragionata sull’utilizzo della deroga prevista dall’art. 16 comma 5, eventualmente incentrate sull’inadeguatezza del piano e delle soluzioni prospettate dal proponente.
Il comportamento ostativo delle banche apparirebbe contrastante anche con la ratio della composizione negoziata introdotta per “agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato”[27].
Alla luce di queste considerazioni, e ad esclusione del caso di accertata insolvenza irreversibile o di manifesta inadeguatezza del piano o addirittura di atti in frode, la banca ben potrebbe classificare l’esposizione verso il debitore che ha avuto accesso alla composizione negoziata non come “inadempienza probabile” (stage 3) ma come underperforming (stage 2), quantomeno sino alla definizione della composizione negoziata che sia avvenuta attraverso una archiviazione, una rinuncia o, in alternativa, tramite un accordo (ovvero a causa del mancato accordo per il risanamento)[28].
Esistono pertanto tutte le condizioni per il contemperamento delle esigenze del creditore finanziario il quale appare garantito dalla possibilità di accedere ad un corredo informativo che, paradossalmente, non avrebbe mai avuto in caso di un soggetto “in bonis”, che non abbia autodichiarato il suo status, e che si mostra ampiamente più completo rispetto all’attività di monitoraggio ordinaria.
Inoltre la banca potrà contare sulla attività di vigilanza e assistenza dell’esperto e nella speditezza della procedura, entrambi elementi che incrementano l’efficienza della fase istruttoria, così che essa possa confermare o ampliare il suo intervento sulla base di una valutazione completa ed approfondita, avendo potuto a) analizzare il corredo informativo base, comprendente i bilanci dei precedenti esercizi e una analisi dettagliata degli stessi, per indici e per settore merceologico, b)analizzare il progetto di piano di risanamento e del test, la valutazione dell’esperto in ordine alle possibilità di risanamento e la richiesta e l’ordinanza di conferma delle misure protettive, c) partecipare alle trattative ed interloquire con l’esperto nominato potendo avere con questo professionista un’interlocuzione diretta ed approfondita circa le reali prospettive di riequilibrio del proponente.
I principi fin qui enucleati appartengono all’alveo della composizione negoziata e a tale particolare procedimento vanno riferiti ma ritengo possano essere rinvenuti anche nelle procedure relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti e al concordato in continuità e ovunque possa indicarsi la continuità come caratteristica dello strumento prescelto per la soluzione della crisi. Ogniqualvolta il debitore configuri come essenziali rapporti pendenti, anche di natura finanziaria, o abbia esigenza di accedere a finanziamenti per evitare la perdita di contratti in corso o comunque qualificazioni soggettive esiziali (Durc, Durf, requisiti amministrativi) o comunque funzionali al piano di ristrutturazione la legge favorisce tali esigenze attraverso il divieto di revoca o sospensione degli affidamenti in essere (art. 94 bis) e attraverso la concessione della prededuzione ai finanziamenti autorizzati necessari prima dell’apertura di una procedura per l’omologazione di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo (art. 99, quinto comma, cd finanziamenti ponte) e laddove essi siano richiesti per la fase post deposito degli accordi o della domanda di concordato preventivo (art. 99 commi da 1 a 4, cd finanza interinale).
A queste due tipologie il codice inserisce nel catalogo anche un’ultima categoria definibile finanza in esecuzione, riguardante la fase successiva all’omologazione degli strumenti solutivi e necessaria alla realizzazione del piano (art. 101).
Il codice ha tentato di risolvere l’asistematicità della disciplina in tema di finanziamenti alle imprese ove già la legge delega 155/2017 all’art. 6, lett. o), accoglieva tra i criteri direttivi, la necessità di «prevedere il riordino e la semplificazione delle varie tipologie di finanziamento alle imprese in crisi, riconoscendo stabilità alla prededuzione dei finanziamenti autorizzati dal giudice nel caso di successiva liquidazione giudiziale o amministrazione straordinaria, salvo il caso di atti in frode ai creditori», nel solco tracciato dalle linee indicate dalla Direttiva Insolvency e, nella specie, dalla previsione di cui all’art. 17, par. 4, Direttiva UE n. 1023/2019 del 20 giugno 2019 a mente della quale: «Gli Stati membri possono prevedere che i concessori di nuovi finanziamenti o di finanziamenti temporanei abbiano il diritto di ottenere il pagamento in via prioritaria, nell’ambito di successive procedure di insolvenza, rispetto agli altri creditori che altrimenti avrebbero crediti di grado superiore o uguale».
Ed è a tal fine che sono stati introdotti nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, gli artt. 99, 101 e 102 che, seppur con alcuni limiti, hanno contribuito a restituire un assetto più organico alla materia, ponendo auspicabilmente fine all’era degli interventi legislativi frammentari ed emergenziali con i quali è nata la disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi (D.L. 83/2012 e 83/2015).
4. I finanziamenti nel Codice, i finanziamenti ponte (art .99 comma 5), interinali (art. 99 commi I-IV) e in esecuzione (art. 101)
Sotto il profilo del significato del termine finanziamento, se questo debba in sostanza essere utilizzato indistintamente per ogni forma tecnica, i commentatori paiono condividere la tesi estensiva, dovendo attribuire al termine un senso ampio, di natura economica e non strettamente giuridica, idoneo a comprendere al suo interno qualsiasi negozio di prestito, ossia di approvvigionamento di mezzi finanziari[29]
Anche la questione riguardante l’altro termine, mutuo, ritengo possa essere anch’esso considerato in senso generico, senza attribuirgli un preciso significato tecnico-giuridico: diversamente opinando si sarebbe costretti ad interpretare le singole norme del codice alla luce del diverso significato da attribuire al singolo termine[30].
Pare ragionevole attribuire ai due termini un significato generico essendo evidente che tra di essi intercorre un rapporto di genere a specie: il mutuo rientra, infatti, nel genus dei finanziamenti, in quanto esso, al pari del finanziamento, presuppone un incremento patrimoniale ad opera del mutuante in favore del mutuatario, con corresponsione degli interessi; oltre al contratto di mutuo, rientrano nel medesimo genus, ad esempio, anche le aperture di credito, gli sconti bancari, ovvero le anticipazioni su crediti derivanti da forniture, su titoli o su merci.
Financo la garanzia costituita sui beni del debitore va considerata nel novero del concetto di finanziamento in quanto tale forma viene specificamente considerata dall’art. 99 comma 4 e dall’art. 101 comma 1 (“i crediti da finanziamento in qualsiasi forma effettuati, ivi compresa l’emissione di garanzie”), chiarendo definitivamente il legislatore che alcuni creditori possono beneficiare del doppio favore della prededuzione e della garanzia reale[31].
In definitiva può ritenersi che quando il legislatore del Codice della crisi (e della oramai abrogata Legge fallimentare) menziona i finanziamenti (in particolare, per quanto qui interessa, negli artt. 94, 99, 101 e 102 CCII), egli si stia riferendo ad una categoria ampia di contratti, all’interno della quale un ruolo preminente è certamente occupato dal mutuo, sebbene esso non esaurisca il genus di appartenenza[32].
Da ultimo, come già ampiamente ai paragrafi precedenti, la nozione di “finanziamento”, deve essere riferita non solo alla concessione di nuova finanza, ma anche al mantenimento o integrazione di contratti di credito preesistenti: ciò in quanto anche la prosecuzione o modifica di un rapporto finanziario pendente al sopraggiungere della crisi può rivelarsi determinante per il buon esito dei tentativi di salvataggio dell’impresa.
Il tema dei finanziamenti all’impresa in crisi è stato oggetto di una crescente attenzione legislativa in linea con il mutamento culturale che ha contribuito a far abbandonare l’idea del fallito quale soggetto da espellere dal mercato, in un’ottica di salvaguardia del patrimonio e di risanamento dell’impresa, nell’interesse non solo del debitore, ma anche dei creditori e dell’economia in generale.
Ciò ha determinato il susseguirsi, a partire dal 2010, di una serie di interventi legislativi volti ad offrire una disciplina sistematica all’apporto di finanza in costanza di crisi, ritenuta fondamentale ai fini del salvataggio dell’azienda[33].
Dopo la riforma del 2005, infatti, gli interpreti avevano messo in evidenza come l’impianto normativo non fornisse sufficienti garanzie ai finanziatori, in quanto l’unico incentivo all’erogazione di nuova finanza era rappresentato dall’esenzione dall’azione revocatoria ex art. 67 l.fall. per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato, di un concordato preventivo, ovvero di un accordo di ristrutturazione omologato, mentre il riconoscimento della prededuzione era subordinato al ricorrere dei presupposti dell’art. 111 l.fall[34].
In particolare, la prima previsione specifica sul tema era stata introdotta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, il quale aveva aggiunto, nella Legge fallimentare, l’art. 182-quater. A tale primo intervento aveva, poi, fatto seguito il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con cui, per un verso era stato introdotto l’art. 182-quinquies l.fall. e, per altro verso era stato modificato l’art. 182-quater l.fall. Infine, l’art. 182-quinquies era stato modificato dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, nonché dal D.L 24 agosto 2021, n. 118. Il legislatore della riforma ha tentato un riordino della materia intervenendo sul punto più controverso, la prededuzione, stabilizzandone gli effetti sia nella procedura in cui è sorto il credito del finanziatore sia nelle successive procedure.
Il Codice ha mantenuto la tradizionale suddivisione seppur apportando le modifiche necessarie a rendere la disciplina omogenea e coerente: infatti, gli artt. 94, 99, 101 e 102 CCII, dedicati al tema in esame, disciplinano, rispettivamente, i finanziamenti autorizzati nel corso di un concordato preventivo (di cui al previgente art. 167, comma 2, l.fall.), la finanza interinale e ponte (di cui ai previgenti artt. 182-quinquies, commi 1 e 3 e 182-quater, comma 2, l.fall.), i finanziamenti in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti (di cui al previgente art. 182-quater, comma 1, l.fall.) e, infine, i finanziamenti dei soci (di cui al previgente art. 182-quater, comma 3, l.fall.).
Con l’esclusione dei finanziamenti dei soci ex art. 102 CCII (i quali esulano dal tema del presente contributo), le altre forme di finanziamento erogate con finalità di risanamento saranno, dunque, affrontate seguendo un ordine “cronologico” – già impiegato in relazione al sistema dei finanziamenti nella Legge fallimentare – corrispondente alle fasi procedurali degli strumenti solutivi prescelti dal debitore.
4.1 La finanza “ponte” (art. 99, comma 5, CCII).
La c.d. finanza “ponte”, così definita per la sua natura ausiliaria alla procedura prescelta per il salvataggio dell’impresa in crisi, richiesta per provvedere alle esigenze di cassa nel periodo precedente al deposito della domanda, era contemplata dall’art. 182-quater, comma 2 l.fall., e si caratterizzava per il suo carattere strumentale rispetto alla presentazione di una domanda di concordato preventivo, ovvero di omologa dell’accordo di ristrutturazione. Il beneficio della prededuzione non era automatico, ma subordinato alla duplice condizione della (i) previsione del finanziamento nel piano (di concordato o di adr) e (ii) dell’espresso riconoscimento della prededuzione nel provvedimento di accoglimento della domanda di ammissione al concordato, ovvero di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
La versione originaria del Codice della crisi non aveva mantenuto tale categoria di finanziamenti e ciò, probabilmente, a causa della scarsa diffusione di tale strumento, dovuta, come detto, all’incertezza insita nel meccanismo di riconoscimento della prededuzione che dipendeva dall’accoglimento della domanda di ammissione al concordato o di omologazione dell’accordo e dal riconoscimento, ad opera del collegio, del carattere “funzionale” del finanziamento.
Il primo correttivo al Codice della crisi (D. Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147) aveva reintrodotto la finanza “ponte” tra i sistemi di finanziamento dell’impresa in crisi, inserendola nella norma dedicata ai finanziamenti “interinali” all’art. 99 CCII e la previsione era stata, poi, mantenuta immutata: l’attuale art. 99, comma 5, CCII, pertanto, stabilisce che “le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano anche ai finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti, quando i finanziamenti sono previsti dal relativo piano e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero gli accordi di ristrutturazione siano omologati”.
Mentre, dunque, i presupposti di riconoscimento della prededuzione non sono stati modificati rispetto a quanto previsto dall’art. 182-quater, comma 2, l.fall., l’art. 99, comma 5, CCII apporta alcune novità dal punto di vista procedurale: il richiamo operato dalla disposizione in esame ai commi da 1 a 4 dell’art. 99 CCII impone al debitore di presentare al tribunale un ricorso o un’istanza ove si indica la destinazione dei finanziamenti, attestando che l’istante non è in grado di reperirli altrimenti e che l’assenza di tali finanziamenti determinerebbe grave pregiudizio per l’attività aziendale o per il prosieguo della procedura. Al ricorso occorre allegare la relazione di un professionista indipendente, il quale attesti la sussistenza dei requisiti esposti, nonché che i finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori (la relazione non è, tuttavia, necessaria quando il tribunale ravvisi l’urgenza di provvedere per evitare un danno grave ed irreparabile all’attività aziendale[35]) È previsto, peraltro, che l’istanza possa avere ad oggetto anche l’autorizzazione a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei finanziamenti.
In presenza di tale documentazione, dunque, il tribunale provvede in camera di consiglio con decreto motivato entro dieci giorni dal deposito del ricorso, assunte sommarie informazioni, sentito il commissario giudiziale se nominato e, se ritenuto opportuno, sentiti senza formalità i principali creditori: a differenza di quanto avveniva in virtù della previgente disciplina, dunque, il Codice della crisi ha ritenuto opportuno subordinare la prededuzione alla previa autorizzazione del tribunale (come già avveniva per i finanziamenti “interinali”) e non, invece, ad un provvedimento successivo alla sottoscrizione del finanziamento stesso.
Il legislatore della riforma, aderendo alle principali critiche che la dottrina aveva profuso sull’istituto, ha inteso ridurre l’alea che connotava la disciplina della finanza “ponte” al fine di consentirne un maggiore utilizzo nella pratica: è ragionevole ritenere, infatti, che il tribunale possa aderire alle valutazioni operate dal professionista indipendente nell’attestazione fatti salvi i casi di illogicità o manifesta irragionevolezza, ovvero di errore sui dati su cui l’attestazione si fonda[36].
Rimangono comunque vive alcune perplessità, certamente di tenore diverso, in ordine all’istituto di cui al comma 5 dell’art. 99, voluto da legislatore anche per evitare che la scomparsa di una facoltà, pur di difficile applicabilità nella vigenza della legge fallimentare, avesse potuto ingenerare confusione nel mercato.
Con l’introduzione del CCI infatti, chi avesse esigenza di finanziare esborsi legati funzionalmente all’ingresso in procedura (costi dei professionisti coinvolti, acconti per forniture essenziali alla continuità, stipendi pregressi, rate di rateizzazioni di debiti erariali, pagamento di debiti contributivi correnti per il rilascio del Durc, pagamenti vari per evitare penali o richieste risarcitorie, ecc. ecc.) potrà senz’altro domandare al tribunale di essere autorizzato a contrarre un finanziamento, ma che sarà prededucibile nella successiva eventuale liquidazione giudiziale a condizione che (i) esista già un piano, che (ii) un professionista ne attesti la funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori e che la prededucibilità sia successivamente disposta nel decreto di ammissione del concordato preventivo e nel decreto di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il che implica necessariamente l’esistenza di un piano e di una pre-attestazione che potrebbe anche non sussistere in caso di domanda ex art. 44 cci.: tale criticità appare molto più evidente in materia di finanziamenti ponte laddove il lasso temporale al quale si fa riferimento potrebbe, per sua natura, ancora non avere disponibile un piano e una attestazione completa.
Ritengo infine ancora valide alcune criticità in ordine alla funzionalità dei finanziamenti destinati al pagamento di debiti inerenti l’attuazione del piano o di debiti pregressi nei confronti dei medesimi creditori aderenti all’accordo[37], oggi superabile ma attraverso l’istanza ex art. 100 cci e unicamente in caso di continuazione dell’attività (l’art. 99 prevede che possano essere autorizzati anche finanziamenti finalizzati alla continuazione dell’attività aziendale “anche se unicamente in funzione della liquidazione”).
Inoltre, al pari di quanto avveniva in relazione ai finanziamenti ex art. 182-quater, comma 2, l.fall., il legislatore non ha previsto, oltre alla prededucibilità del relativo credito, anche la protezione dei rimborsi o garanzie dall’azione revocatoria: l’art. 166, comma 3, CCII, infatti, similmente all’art. 67, comma 3, l.fall., non prevede, tra gli atti esenti da revocatoria, quelli compiuti in funzione della presentazione di una domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti[38].
Il codice ha invece previsto l’esenzione in tema di responsabilità per i reati di bancarotta preferenziale e semplice per i “pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma [dell’articolo] 99”, così come previsto all’art. 324 CCII, a differenza dell’art. 217-bis l.fall.
Ulteriore rilevante novità del Codice della crisi (e che interessa anche i finanziamenti “interinali”) concerne le ipotesi di esclusione della prededucibilità del credito in caso di comportamenti fraudolenti del debitore: infatti, l’art. 99, comma 6, CCII, stabilisce che in caso di successiva apertura della procedura di liquidazione giudiziale, i finanziamenti autorizzati non beneficiano della prededuzione qualora, da un lato, risulti che il ricorso o l’attestazione contengono dati falsi, ovvero omettono informazioni rilevanti, o il debitore ha commesso altri atti in frode ai creditori per ottenere l’autorizzazione e, dall’altro lato, il curatore dimostri che i soggetti che hanno erogato i finanziamenti, alla data dell’erogazione, conoscevano tali circostanze.
Si tratta di una norma posta a tutela della massa dei creditori ma che, al contempo, mira ad evitare che il finanziatore subisca le conseguenze di un comportamento scorretto del debitore, non verificabile o conoscibile al momento dell’erogazione del credito, sempre in un’ottica incentivante la finanziabilità dell’impresa in crisi: in tal senso, infatti, deve essere letta la previsione sull’onere della prova posto a carico del curatore[39].
4.2 La finanza “interinale” (art. 99, commi 1-4, CCII).
Proseguendo nella disamina delle norme sul finanziamento delle imprese soggette alle procedure di soluzione della crisi, nell’ordine cronologico che abbiamo prefigurato ab initio, dopo la fase di predisposizione della domanda di accesso al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, vi è quella intercorrente tra il deposito della domanda e il provvedimento di omologazione, ovvero l’apertura della procedura nel caso di concordato preventivo.
L’art. 99, commi 1-4, CCII, infatti, prevede che il debitore, con la domanda di accesso al concordato preventivo piena o con riserva (artt.40 e 44), o di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, anche agevolati o ad efficacia estesa (artt. 57, 60 e 61 CCII)[40], quando sia prevista la continuazione dell’attività aziendale, anche se unicamente in funzione della liquidazione, possa chiedere con ricorso al tribunale di essere autorizzato, anche prima del deposito della documentazione che deve essere allegata alla domanda, “a contrarre finanziamenti in qualsiasi forma, compresa la richiesta di emissione di garanzie, prededucibili, funzionali all’esercizio dell’attività aziendale sino all’omologa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero all’apertura e allo svolgimento di tali procedure e in ogni caso funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori” (primo comma) e, inoltre “a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei finanziamenti autorizzati” (quarto comma).
Siamo quindi in una fase ove la predisposizione di un piano e della relativa attestazione devono essere ad uno stadio di definizione avanzata in quanto, al di là del caso previsto dall’art. 44 afferente alla domanda prenotativa, anch’esso legittimante la richiesta di questa categoria di finanziamenti, la norma prevede che il ricorso, o una autonoma istanza, debba essere accompagnato dalla relazione del professionista indipendente che attesta la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché che i finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
Tale obbligo induce a ritenere che sia il ricorso, sia l’attestazione, ovviamente, debbano offrire ampie indicazioni circa (i) la destinazione dei finanziamenti, (ii) l’impossibilità a procurarseli altrimenti e (iii) il grave pregiudizio per l’attività aziendale o per la prosecuzione della procedura che l’assenza dei finanziamenti determinerebbe[41].
Tale corredo informativo non è necessario “quando il tribunale ravvisa l’urgenza di provvedere per evitare un danno grave ed irreparabile all’attività aziendale” (ultimo periodo del comma 2 dell’art. 99): un provvedimento che, sollecitato dalla domanda del proponente ben motivata, mancando ogni supporto tecnico-professionale esterno, dovrà essere emanato dall’organo giudicante valutando l’esistenza dei requisiti di urgenza e del danno grave ed irreparabile, requisiti che richiamerebbero quelli prefigurati in caso di provvedimento di urgenza ex art. 700 cpc[42].
Il tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, entro dieci giorni dal deposito dell’istanza di autorizzazione, assunte sommarie informazioni, sentito il commissario, ove nominato e sentiti senza formalità, qualora ritenuto opportuno, i principali creditori[43].
Due i tratti distintivi che sembrano rinvenirsi in questo tipo di finanziamento rispetto a quelli necessari ad improntare le domande di accesso alle procedure di concordato o all’accordo di ristrutturazione dei debiti: la previsione della continuazione dell’attività aziendale, anche se unicamente in funzione della liquidazione e la possibilità che la finanza “interinale” sostenga l’impresa sino all’omologazione del concordato o dell’accordo, disposizioni previste al primo comma dell’art.99 e precedentemente non previste nell’art. 182-quinquies l.fall.
Con la prima il legislatore ha preso posizione sulla questione insorta tra gli interpreti nel vigore della Legge fallimentare circa la limitazione di tale forma di finanza al solo concordato preventivo con continuità aziendale, estendendolo anche al concordato liquidatorio[44], mentre con la seconda supera la disciplina previgente, contenuta nell’art. 182-quin-quies, comma 3, l.fall., la quale pretendeva la funzionalità del finanziamento rispetto a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale “fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell’art. 161, sesto comma, o all’udienza di omologazione di cui all’art. 182-bis, quarto comma, o alla scadenza di cui all’art. 182-bis, settimo comma”: estendendo temporalmente l’ambito di applicazione della finanza “interinale”, non senza destare perplessità in ordine all’eventuale sovrapposizione con la finanza in esecuzione prevista dall’art. 101[45].
In ordine al mantenimento delle linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, stante la rilevanza dello strumento di finanziamento anche per via della sua estesa diffusione presso le imprese, il legislatore l’ha eliminata dalla norma in commento regolamentandola in via specifica ed autonoma all’art. 97 comma 14.
Inoltre, come per la finanza ponte, anche nel caso di finanza “interinale”, la prededuzione è esclusa in presenza di comportamenti fraudolenti del debitore, conosciute dal creditore al momento dell’erogazione del finanziamento.
Ultima notazione in tema di esonero dai reati di bancarotta e dalle azioni revocatorie, la categoria dei finanziamenti “interinali” appare maggiormente tutelata rispetto alla finanza “ponte” in quanto, in relazione al credito concesso ai sensi dell’art. 99, comma 1, CCII, oltre alla causa di esclusione della tipicità per i reati di bancarotta preferenziale e semplice (art. 324 CCII), opera anche l’esenzione dall’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 166, comma 3, lett. e), CCII (e, a differenza dell’art. 67, comma 3, lett. e), l.fall., la protezione è estesa anche all’azione revocatoria ordinaria).
4.3. La finanza “in esecuzione” (art. 101 CCII).
Sono da qualificarsi come finanziamenti in esecuzione tutte le forme tecniche di finanza che si pongono quali elementi essenziali per l’attuazione del piano di ristrutturazione e che hanno come presupposto l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione e del concordato preventivo, quest’ultimo da considerare in continuità in quanto così espressamente previsto dalla norma, a differenza di quanto indicato per la finanza interinale laddove l’inciso di cui all’art. 99 CCII – “anche se unicamente in funzione della liquidazione”, sembra indicare che il beneficio possa spettare ai debitori che prefigurino un esito anche liquidatorio della ristrutturazione[46].
Il tema dell’individuazione della fase esecutiva, se cioè la finanza debba essere considerata in esecuzione qualora erogata in adempimento dell’accordo o del concordato preventivo oppure nel corso della fase esecutiva, ovvero se, infine, il beneficio possa essere riconosciuto solo in presenza di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti regolarmente adempiuto sembrerebbe superato dalla lettera della legge ove il finanziamento gode della prededucibilità in quanto costituisca attuazione di una previsione contenuta nel piano del concordato o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti[47], a prescindere dalla regolarità successiva del debitore nell’adempimento delle obbligazioni concordatarie o relative all’accordo ex art. 57 cci.
Il Codice della crisi, all’art. 101, sembra infatti esaustivo nel dichiarare che “quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati, ivi compresa l'emissione di garanzie, in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ed espressamente previsti nel piano ad essi sottostante sono prededucibili”.
Quanto poi alla questione se la prededucibilità consegua automaticamente per effetto del decreto di omologa delle due procedure o se debba essere esplicitato nel provvedimento giudiziale credo si possa accedere alla prima tesi[48] considerato che la valutazione del tribunale sul piano e sulla proposta, e sulla relazione attestativa, (tutti atti che avranno provato e ampiamente motivato l’esistenza dei requisiti legali per la funzionalità ed essenzialità della nuova finanza per il ritorno all’equilibrio dell’attività di impresa[49]), possa certamente supplire ad uno specifico provvedimento.
D’altro canto sarebbe difficile ipotizzare una omologa di un procedimento solutivo della crisi che prefiguri, nell’ambito dell’unico provvedimento giudiziale, una disposizione che escludesse la prededucibilità del finanziamento, in quanto una simile decisione travolgerebbe l’intera procedura a causa del conseguente recesso degli istituti dall’operazione di finanziamento, atto quest’ultimo senz’altro sospensivamente condizionato all’omologazione[50].
L’art. 101 CCII prosegue, poi, al comma 2, stabilendo che “in caso di successiva ammissione del debitore alla procedura di liquidazione giudiziale, i predetti finanziamenti non beneficiano della prededuzione quando il piano di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti risulta, sulla base di una valutazione da riferirsi al momento del deposito, basato su dati falsi o sull’omissione di informazioni rilevanti o il debitore ha compiuto atti in frode ai creditori e il curatore dimostra che i soggetti che hanno erogato i finanziamenti, alla data dell'erogazione, conoscevano tali circostanze”.
La norma, ricalcando la previsione già analizzata con riferimento alla finanza “ponte” e “interinale” contenuta nell’art. 99 CCII, differisce dall’art. 99, comma 6, CCII, in quanto la falsità o incompletezza dei dati deve riguardare il piano di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti e la valutazione di tali circostanze deve essere riferita al momento del deposito del piano[51].
La finanza “in esecuzione” gode, al pari della finanza “interinale”, della protezione dall’azione revocatoria (art. 166, comma 3, lett. e), CCII) e da responsabilità penale per bancarotta preferenziale o semplice (art. 324 CCII).
Inoltre, diversamente da quanto previsto nella Legge fallimentare, il Codice della crisi estende la protezione dall’azione revocatoria anche alla revocatoria ex art. 2901 c.c. e richiede, ai fini dell’operare dell’esenzione, che si tratti di finanziamenti contemplati nel concordato preventivo, nel piano di ristrutturazione omologato o nell’accordo omologato.
5. La prededucibilità
I terzi che affrontano un soggetto in crisi e che a vario titolo intendono intervenire a fini solutivi debbono essere mantenuti scevri da rischi ed anzi incentivati all’intervento finanziario se si condivide l’assunto che senza nuova finanza non vi è ristrutturazione.
Nella vigenza della legge fallimentare v’erano ancora dubbi ed incertezze sulla permanenza del beneficio nel successivo fallimento, vuoi per le differenze ontologiche tra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione[52], vuoi per le differenti posizioni dei giudici fallimentari in sede di verifica del passivo laddove le decisioni di rigetto della prededuzione potevano evocare ex post la mancanza dei requisiti per l’autorizzazione, vuoi per la non estendibilità del beneficio ad altri soggetti che non fossero banche ed intermediari autorizzati.
Il legislatore, come visto, è quindi intervenuto a colmare tale lacuna accogliendo i criteri direttivi della l. delega 155/2017, nel solco tracciato dalle linee indicate dalla Direttiva Insolvency e, nella specie, dalla previsione di cui all’art. 17, par. 4, Direttiva UE n. 1023/2019 del 20 giugno 2019, nel tentativo di offrire una stabilizzazione della prededuzione ai finanziamenti, una volta concessa l’autorizzazione, al fine di renderla non più revocabile o non riconoscibile ex post, con ciò favorendo concretamente l’intervento del sistema dei capitali nel mercato delle imprese in crisi.
Ragionando quindi per ratio legis potrà essere agevolmente superata la criticità letterale del codice della crisi laddove, qualificando prededucibili i crediti derivanti dai nuovi finanziamenti anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali (art. 6, comma 2, CCII) enuclea però le sole singole ipotesi (artt. 99, 101, 102 CCII), facendo sorgere una possibile questione circa la sua applicazione analogica al di fuori della disciplina della nuova finanza[53].
Insomma pare ragionevole affermare che una volta autorizzata l’erogazione di un finanziamento non potrà più essere messo in discussione il diritto del creditore ad essere pagato in via prioritaria, pena l’inutilità degli istituti in commento e, soprattutto, la fuga definitiva dalle procedure solutive della crisi da parte del sistema finanziario[54].
Sotto questo profilo la dottrina sottolinea come possa dirsi superata la questione riguardante la consecuzione tra procedure e il difficile scrutinio della sussistenza del medesimo status oggettivo esistente nelle procedure coinvolte frequentemente affrontato dai giudici di legittimità[55]: ove sussistenti i requisiti legali il credito finanziario non rimborsato sarà da considerarsi prededucibile ex lege.
Anche la struttura delle sanzioni e delle deroghe all’automaticità della prededuttività del credito da finanziamento devono leggersi nel senso incentivante fin qui indicato[56].
È per quanto motivo che il Codice prefigura la regola generale per la quale il privilegio della prededucibilità permane senza che sia necessario alcun accertamento[57], in assenza dei comportamenti fraudolenti accertati ex post con onere della prova a carico della curatela e previsti dagli articoli 99, comma sesto e 101 comma secondo[58]: il presupposto legale per la negazione del beneficio rimane comunque la declaratoria della liquidazione giudiziale (e l’accertamento in sede di verifica del passivo) per cui non dovrebbe esservi alcun dubbio sulla prededucibilità dei crediti di tal guisa nella procedura di concordato o di accordo di ristrutturazione omologate.
[1] Per un autorevole punto di vista riguardo il concetto di “migliore soddisfazione” si veda A. Irace, V. Santoro, Finanziamenti prededucibili in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti, Sub Art. 101, in P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo (a cura di), Il codice della crisi, Commentario, Torino, 2024, pag. 596;
[2] Il termine finanziamento è utilizzato in senso totalmente atecnico e descrittivo includendo nel suo alveo tutte le tipologie di concessione di credito. L’aspetto più rilevante nella definizione di finanziamento attiene alla funzionalità delle varie forme tecniche all’esercizio dell’attività d’impresa ammessa ad una procedura di risoluzione della crisi o dell’insolvenza. Per un approfondimento rinvio alle pagg. 18 e seguenti del presente contributo
[3] Ove le trattative, infatti, svolte comunque in buona fede, non abbiano esito positivo, l’imprenditore ha la possibilità di presentare una domanda di concordato liquidatorio “semplificato”, caratterizzato dalla mancata previsione di un soddisfacimento minimo dei creditori chirografari e dall’assenza del voto (art. 25 sexies).
[4] Tra i numerosi innesti correttivi al Codice della crisi il più rilevante appare quello introdotto con il D.Lgs. n. 83/2022 con il quale si è voluto adeguare il Codice alla Direttiva Insolvency e trasfondere la nuova procedura di composizione negoziata (DL 24 agosto 2021 n. 118, convertito nella L. 21 ottobre 2021 n. 147) all’interno del nuovo corpus.
[5] Il Tribunale di Milano, con provvedimento del 16 settembre 2021, Pres., est. Paluchowski, in IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 25990, già prima dell’introduzione del Codice, affermava la rilevanza dei criteri in favore e a difesa della continuità laddove tale valore “incide anche sul Pil che è riconnesso ad un valore che va oltre a quello della singola massa dei creditori, cosicchè nelle ipotesi in cui la soluzione della crisi ipotizzata non appia illogica, improbabile o completamente contraria a evidenti sviluppi di mercato, il favorire la continuità si appalesa come scelta da tutelare”. Come vedremo più avanti nella trattazione, laddove sussistano i requisiti di legge, non dovrebbe essere concesso alla banca di procedere alla sospensione e/o alla revoca dei finanziamenti in essere in quanto l’esistenza di un piano e della documentazione a supporto dalla quale emerga ragionevolmente il ripristino dell’equilibrio economico patrimoniale e finanziario, l’esistenza di trattative avanzate tali da far presupporre la soluzione alla crisi, la garanzia della prededucibilità e l’esenzione dalle azioni revocatorie e dalle implicazioni penali, dovrebbero, in radice, evitare il contrasto con la disciplina della vigilanza prudenziale.
[6] E questa regola vale anche in caso di concordato preventivo in continuità, come visto, per effetto della norma di cui all’art. 94bis. Si veda anche Tribunale di Parma 10 luglio 2022, Est. Vernizzi, in IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 27884, che ha statuito l’ammissibilità, in presenza delle condizioni di legittimità del percorso di composizione negoziata, della concessione della misura cautelare atipica nei confronti degli istituti di credito che avevano chiesto la sospensione di contratti bancari di affidamento e di finanziamento su fatture. In particolare, il provvedimento ha sancito il divieto per detti istituti di estinguere, in qualsiasi forma contrattuale prevista, la propria posizione creditoria, allorquando la misura richiesta sia funzionale allo svolgimento delle trattative ed al risanamento dell’impresa e, in via mediata, alla tutela della massa dei creditori. Secondo il provvedimento, infatti, l’interesse particolare del singolo creditore ben può essere temporaneamente compresso a tutela del superiore interesse della continuità dell’impresa e, in generale, del ceto creditorio. Più recentemente anche Tribunale di Padova, 25 settembre 2023, Est. Rossi, in Dirittodellacrisi.it che, in maniera conforme, ritiene che la disposizione di cui all’art. 16 comma 5 “trovi il proprio limite ove siano richieste e concesse misure protettive che riducono ulteriormente la libertà di determinazione del creditore (anche bancario) con riferimento ai contratti pendenti e agli inadempimenti pregressi”.
[7] Per una disamina dei contratti autoliquidanti si legga M. Conforto, La sorte dei contratti pendenti nel concordato preventivo: riflessioni sulla disciplina prevista dal CCI, in Contr. Impr., 2022, 147 ss.
[8] Va anche evidenziato come il contratto di anticipazione bancaria non sia ovviamente l’unica forma di finanziamento prevista dalla tecnica finanziaria ben potendo l’impresa accedere a linee di credito con le forme più varie: mutui chirografari a rientro, scoperto di conto corrente a revoca ecc. ecc. per le quali occorre verificare l’applicabilità della disciplina generale inerente i contratti pendenti di cui al citato art. 97 e la relativa applicazione dell’indennizzo ivi previsto.
[9] Cfr.: E. Bissocoli, A. Turchi, in Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposta di linee guida, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 29 dicembre 2022, pag. 40, pubblicato anche in S. Ambrosini (a cura di), Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, 289 ss., gli Autori, condivisibilmente, affermano come la responsabilità civile e penale della banca “non sussiste nel caso in cui l’erogazione del credito avvenga a favore di un’impresa che, sulla base, di una valutazione ex ante da parte della banca effettuata alla luce delle circostanze note (o ottenibili dalla banca) al momento dell’erogazione, sia ragionevolmente in grado di superare la propria crisi e il finanziamento sia strumentale a tale fine”. Alla medesima conclusione pervengono gli Autori anche con riferimento alla non revocabilità degli atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere dalle banche in linea con le tutele previste dall’art. 24 co.2 del codice.
Sul punto anche M.Greggio, F. Greggio, Sull’applicabilità delle previsione di cui all’art. 18, quinto comma CCII anche ai contratti bancari, (Postilla a Trib. Padova, 25 settembre 2023, Est. Rossi), in Dirittodellacrisi.it, 16 novembre 2023; gli Autori evidenziano Cass. 30 giugno 2021 n. 18610 e Cass. 14 settembre 2021, n. 24725, ove si profila che “nella valutazione circa l’abusività della concessione di credito non conta tanto il fatto che il debitore sia in stato di crisi o di insolvenza e che gli (ulteriori) finanziamenti abbiano cagionato un ritardo nella dichiarazione di liquidazione giudiziale, bensì l’insussistenza di fondate prospettive di risanamento e di superamento dello stato di crisi/insolvenza, in base ad criterio di ragionevolezza e di valutazione ex ante, ove pertanto il piano di risanamento assume primaria rilevanza per tali valutazioni”.
[10] Per una disamina dell’innesto normativo in questione si legga S. Bonfatti, S. Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2022.
[11] Si legga a tal proposito Tribunale Verona, 22 Gennaio 2024. Est. Attanasio, in IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 30698, il quale conferma come la comunicazione volta a motivare la scelta della banca di revocare o sospendere i rapporti contrattuali in essere debba essere fatta per iscritto, pena l’illegittimità del comportamento dell’istituto di credito e come questa regola debba applicarsi anche nel caso di scioglimento/revoca/sospensione per motivi diversi rispetto a quelli derivanti dalla disciplina di vigilanza prudenziale.
[12] Cfr. L. Morellini, Finanziamenti ammissibili nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 28 dicembre 2023, 14, che acutamente rileva come “l’art. 99 CCII sembrerebbe ammettere la possibilità di richiedere l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili anche con l’istanza di cui all’art. 44 CCII, mentre in tale sede non sembrerebbe ammissibile richiedere la concessione delle misure temporanee di cui all’art. 54, terzo comma, periodo 2, CCII (l’art. 54, comma 4, CCI richiama solo il primo e il secondo periodo ma non il terzo)”e come, in tal senso, ancora si avverta la necessità di una normativa chiara semplice e coerente.
[13] L’art. 5 TUB prevede i principi generali, le finalità e i destinatari della vigilanza, tra i quali rilevante appare “la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati” in uno alla “stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”. Ugualmente rilevanti sono gli artt. 51 sulla vigilanza informativa, l’art. 53 sulla vigilanza regolamentare e l’art. 54 sulla vigilanza ispettiva.
[14] Si tratta delle numerose Guidelines emanate dall’European Banking Autorithy (EBA): tra le molte si possono riferire quelle sulla nuova nozione di default: EBA/GL/2017/01; sulle posizioni non performing e oggetto di misure di concessione: GDL/EBA/2018/10; sulla concessione e monitoraggio dei prestiti: GDL/EBA/2020/06; sempre in tema di normativa regolamentare europea si considerino inoltre le importanti Linee guida per le banche sulla gestione dei crediti deteriorati (npl) del marzo 2017 e relativo Addendum del marzo 2018: fino ad arrivare – da ultimo – alla nuova regolamentazione UE sul Calendar Provisioning (Regolamento UE 2019/630 di modifica al Regolamento UE 2013/575 denominato per brevità CRR Capital Requirement Regulation).
[15] S. Bonfatti, S. Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit. Gli autori confermano come l’obbligo di motivazione da parte delle banche sia essenziale per evitare abusi, evidenziando nel contempo come tali “ragioni prudenziali” sottese alla comunicazione di sospensione o revoca “rimarranno poco o nulla comprensibili dal punto di vista dell’impresa”, potendo in questo caso, e a mio avviso, essere rimarcate dal giudice come insufficienti e quindi rigettate confermando la richiesta cautelare del debitore.
[16] Si legga sempre S. Bonfatti, S. Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., i quali condivisibilmente, confermano come non sarà sufficiente alle banche addurre nelle motivazioni alla base della sospensione/revoca ragioni di carattere meramente economiche, legate alla necessità di appostamento di maggiori accantonamenti a fondo rischi per effetto del peggioramento della classificazione della posizione creditoria, dovendo i motivi sottesi ai provvedimenti di revoca o sospensione essere connessi unicamente ad esigenze di “sana e prudente gestione”. In ordine al contenuto del principio di “sana e prudente gestione” gli autori richiamano la giurisprudenza della Cassazione in ordine alla “concessione inadeguata di credito”, che dovrebbe appalesarsi ove la banca abbia concesso credito non meritato dall’impresa a causa di una inadeguata valutazione del rischio connesso.
[17] S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Dirittodellacrisi.it, 20 gennaio 2022, pag. 26, in cui l’autore, pur riconoscendo che la CNC non è una procedura concorsuale, ritiene ragionevole applicare alla CNC, in via analogica, le disposizioni della Circolare 272/2008 di Banca d’Italia sul concordato preventivo (che appunto prevede la classificazione automatica a “inadempienza probabile” al momento della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato “prenotativa” o “in bianco” prevista dall’art. 161, co. 6, L.F.).
[18] Per una completa trattazione della classificazione dei crediti bancari e della disciplina ex IFRS 9 si legga E. Bissocoli, A. Turchi, op. cit., pagg. 15 e ss.
[19] Circolare n. 272/2008, Cap. B, par. 2.1, pag. B.8: “Inadempienze probabili (‘unlikely to pay’): la classificazione in tale categoria è, innanzitutto, il risultato del giudizio della banca circa l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie. Tale valutazione va operata in maniera indipendente dalla presenza di eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati. Non è, pertanto, necessario attendere il sintomo esplicito di anomalia (il mancato rimborso), laddove sussistano elementi che implicano una situazione di rischio di inadempimento del debitore (ad esempio, una crisi del settore industriale in cui opera il debitore). Il complesso delle esposizioni per cassa e ‘fuori bilancio) verso un medesimo debitoreche versa nella suddetta situazione è denominato ‘inadempienza probabile’, salvo che non ricorrano le condizioni per la classificazione del debitore fra le sofferenze”.
[20] E. Bissocoli, A. Turchi, op. cit., pag. 29,
[21] E. Bissocoli, A. Turchi, op. cit., 22, per una completa e puntuale evidenza della classificazione dei crediti deteriorati sub stage 1, 2, 3.
[22] I crediti classificati come non performing o deteriorati e quindi rientranti in stage 3 rispetto alle indicazioni IFRS9 devono essere oggetto di cancellazione (write off o derecognition contabile) e di svalutazione secondo scadenze temporali e percentuali predeterminate (calendar provisioning). Le fonti normative sono riconducibili all’Addendum delle Linee guida per le banche sui crediti deteriorati adottate dalla BCE nel marzo 2017 e il Regolamento UE 2019/630.
[23] Una difficoltà dell’impresa dal punto di vista “economico-finanziario” o “patrimoniale”, la cui gravità non è ancora tale da compromettere la continuità aziendale la quale, ove non opportunamente rimediata, può sfociare in una situazione di vera e propria “crisi”.
[24] La “reversibilità” è da intendersi anche come la possibilità di risanare l’impresa insolvente soddisfacendo i creditori con i proventi della dismissione di azienda e ottenendo uno stralcio per l’eventuale debito residuo. Cfr: nell’Allegato al D.M. 28 settembre 2021 “Sez. II - Protocollo per la conduzione della composizione negoziata”, punto 2.4 (richiamato anche dall’art. 13, co. 2, e dall’art. 17, co. 3, lett. b), CCII).
[25] Art. 18, co. 3, CCII: “Con l’istanza di cui al comma 1, l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”. Art. 19, co. 4, ultimo periodo, CCII: “Sentito l’esperto, il tribunale può limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”.
[26] La banca, ove non possa adeguatamente motivare la deroga di cui al quinto comma dell’art. 16, sarà ovviamente posta dinanzi all’alternativa di sospendere/revocare le forme tecniche di affidamento in essere o di concedere nuova finanza attraverso la continuazione dei contratti, accollandosi il rischio di perdere oltre le somme già concesse e non rimborsate anche quelle derivanti dai finanziamenti in corso di esecuzione. Una possibile soluzione è prevista dall’art. 24 comma 2 CCI laddove espressamente si prevede la non revocabilità delle garanzie costituite sui beni del debitore “nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, purchè coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”. La banca potrebbe quindi così garantirsi dal rischio di mancato rimborso, certa di non incorrere in revocatorie e in responsabilità di alcun tipo, potendo usufruire del doppio favore della prededuzione e della garanzia concessi sui beni del debitore, in cambio della concessione di nuova finanza (A. Irace, V. Santoro, op. cit.);
[27] Dalla Relazione Illustrativa al D.L. n. 118/2021)
[28] In linea con queste conclusioni si veda E. Bissocoli, A. Turchi, op. cit., pag. 31“Un’eventuale classificazione a priori a stage 3 delle esposizioni nei confronti delle imprese ammesse alla CNC appare allo scrivente eccessivamente severa e ingiustificata tanto alla luce della disciplina concorsuale della CNC quanto della normativa prudenziale e contabile applicabile alle banche. Come già rilevato, la CNC non è una procedura concorsuale e neppure uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 2, co. 1, lett. m, CCII).
E’, quindi, evidente che la classificazione ad “inadempienza probabile” (o peggio “sofferenza”) delle esposizioni di un debitore che accede alla CNC in una situazione di pre-crisi contrasterebbe con la ratio della CNC di “agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni disquilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato” (Relazione Illustrativa al D.L. n. 118/2021).”
[29] Gli artt. 99 e 101 CCII parlano di finanziamenti effettuati in qualsiasi forma, orientando, dunque, l’interprete verso una lettura ampia del termine (cfr. R.Brogi, I finanziamenti all’impresa in crisi tra legge fallimentare, codice della crisi e d.l. n. 118 del 2021, in Il Fallimento, 2021, p. 1285).
Sotto questo profilo, le disposizioni del Codice della crisi che sembrano riferirsi ad una specifica destinazione del credito concesso e per le quali, dunque, deve ritenersi che valga il principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit (si pensi, ad esempio, all’art. 99, comma 3, CCII, il quale, secondo alcuni interpreti, si riferirebbe ad un «mutuo di scopo legale» sono, dunque, da ritenersi eccezionali rispetto all’accezione più ampia del termine finanzia-mento; cfr: A. Gallotta, L’approccio del d.lgs. 14/2019 al problema dei finanziamenti alle imprese in crisi, in L.A.Bottai, A. Gallotta, I finanziamenti alle imprese in crisi, S. Sanzo, M. Vitiello (diretto da), Milano, 2021, p. 174). Cfr. A.Magni, Il mutuo, in AA.VV., Diritto civile, N. Lipari– P. Rescigno (diretto da), Milano, 2009, p. 871; Cfr., inoltre, S. BONFATTI, La nozione di finanziamento. Le forme negoziali tipiche e atipiche, in Il Fallimento, 2021 p. 1188, il quale riconduce alla nozione di finanziamento impiegata dalla normativa sulla crisi d’impresa anche i crediti di firma (conf., ex multis, Cass., 19 maggio 2020, n. 8882, in DeJure; Cass., 31 gennaio 2019, n. 3017, in Giur. comm., 2020, 1, II, p. 54; Cass., 20 aprile 2018, n. 9926, in DeJure In dottrina D’Orazio, I finanziamenti e la legislazione emergenziale, in Il Fallimento, 2021, p. 1272); S. Sanzo, Il finanziamento delle imprese in crisi, in AA.VV., Le operazioni di finanziamento, F. Galgano (diretto da), Bologna, 2016, p. 1506. In giurisprudenza si veda Cass., 21 giugno 2018, n. 16347, in Guida al diritto 2018, 48, p. 92 e Cass., 2 febbraio 2018, n. 2027, in DeJure.
[30]Nello stesso senso sembra esprimersi anche S.Bonfatti, La nozione di finanziamento. Le forme negoziali tipiche e atipiche, cit., pp. 1187 ss., secondo cui «tenuto conto della circostanza che, a parere di chi scrive, le disposizioni dichiarate applicabili ai “finanziamenti” riguardano le operazioni poste in essere in tre delle quattro fasi, nelle quali si può sviluppare una procedura di composizione negoziale della crisi d’impresa (la fase “ponte”; la fase “interinale”; la fase “in esecuzione” - artt. 182- quater l.fall. e 182- quinquies l.fall.; artt. 99 CCII e 101 CCII -); mentre la disposizione applicabile ai “mutui” concerne le operazioni poste in essere nella fase “in corso” di procedura (particolarmente: nel corso del concordato preventivo - art. 167 l.fall.; art. 94 CCII -); ne deriva la irragionevolezza di una interpretazione che riconoscesse al termine “mutuo” un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello attribuibile al termine “finanziamento”. In ragione di ciò - oltre che di concomitanti considerazioni di carattere generale - non pare ci sia ragione per ritenere il termine “mutui” come riferibile esclusivamente al contratto descritto con tale nome dal Codice civile (art. 1813 c.c.), secondo il quale il mutuo è il contratto con il quale una parte “consegna all’altra una determinata quantità di denaro... e l’altra si obbliga a restituire” altrettanto».
[31] Sul superamento dell’orientamento di alcuni tribunali che negavano la concessione del pegno sui marchi di impresa di legga: A. Irace, V. Santoro, op. cit., pag. 599.
[32] 92 In tal senso la Direttiva UE 1023/2019 che, all’art.2, par. 1, punto 7, definisce nuovo finanziamento “qualsiasi nuova assistenza finanziaria fornita da un creditore esistente o da un nuovo creditori al fine di attuare il piano di ristrutturazione e inclusa in tale piano di ristrutturazione”. Ed ancora il considerando 66 specifica che “L’assistenza finanziaria dovrebbe essere intesa in senso lato, compreso nel senso di erogare denaro o garanzie personali e di fornire giacenze, inventari, materie prime e servizi, ad esempio concedendo al debitore un termine di rimborso più lungo” Sul contratto di mutuo in particolare cfr. anche S.Maccarone, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi: tipologie, in AA.VV., Finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra prededuzione e subordinazione. Incontro di studio del 18 marzo 2011, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2011, III, 463 s., secondo cui «anzitutto, il termine finanziamento esprime non una nozione giuridica, ma una nozione economica, che, per manifestarsi, ha bisogno di un veicolo contrattuale, che consenta di realizzare la funzione che quella nozione esprime. Non si capisce allora perché soltanto il mutuo dovrebbe essere un finanziamento e non invece un’apertura di credito in conto corrente, o uno sconto di effetti o un’anticipazione, una prestazione di una garanzia a valere su un affidamento per crediti di firma e così via. Il mutuo, nella genericità del suo schema, è il prototipo di tutti i contratti di credito, che ne ripetono la sostanza funzionale e se ne differenziano soltanto per le modalità tecniche con cui essa è soddisfatta».
[33] A. Pisani Massamormile, La prededuzione ed i finanziamenti all’impresa in crisi, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 1 s.; C. Scribano, F. Liuzzo, I finanziamenti alle imprese in crisi, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 826.
[34] cfr. P.D.Beltrami, La disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 44; P.Vella, Autorizzazioni, finanziamenti e prededuzione nel nuovo concordato preventivo, in Fall., 2013, 664.
[35] È il caso dei c.d. finanziamenti interinali urgenti, di cui infra. Cfr. C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit., 842, secondo cui si tratterebbe, dal punto di vista processuale, di un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c.
[36] Cfr., in tal senso, C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit., 844, secondo cui la riduzione della sfera di discrezionalità del tribunale emergerebbe anche dal «disposto del comma 3 dell’art. 99 CCII, a mente del quale il provvedimento con cui viene negata o riconosciuta la prededuzione in relazione a un credito già erogato necessita di motivazione: il che lascia ritenere che l’eventuale diniego del tribunale deve fondarsi su elementi concreti che portino ad escludere l’idoneità del finanziamento a determinare un miglior soddisfacimento dei creditori».
[37] In tal senso si era, peraltro, orientata la dottrina già nel vigore dell’art. 182-quater, comma 2, l.fall.: S. Ambrosini, Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, Bologna, 2012, 141, secondo cui «la formulazione della norma porta invece a escludere la prededucibilità di un finanziamento strumentale all’attuazione del piano, giacché l’obiettivo dell’erogazione non è, in prospettiva, la sistemazione della crisi nel suo insieme, bensì, assai più specificamente, la possibilità di presentare, nell’immediato, domanda per ac-cedere al concordato o per ottenere l’omologazione dell’accordo»; P.D. Beltrami, Op. ult. cit., 57; L. M. del Majno, Brevi riflessioni sulla “finanza ponte” ex art. 182 quater, comma II, L.F., in IlCaso.it, 6 febbario 2018; M. Ferro, F. S. Filocamo, Sub art. 182-quater, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2014, 2606; G.B.Rizzardo, sub art. 182-quater, in A.MaffeiAlberti (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1277; V. P. Valensise, sub art. 182-quater l. fall., in A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, III, Torino, 2010, 2340.
[38] Cfr. P.D. Beltrami, La disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti, cit., 65 s.
[39] Cfr. G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, 74.
[40] Sulla prededucibilità interna dei finanziamenti erogati nella fase interinale cha va dal deposito della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti sino alla sua omologazione si legga M. Fabiani, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità, in Dirittodellacrisi.it, 13 novembre 2023, il quale, anche a prescindere dalla vexata quaestio in ordine alla natura concorsuale degli adr e dalla collocazione della prededuzione nell’alveo del diritto sostanziale o processuale, appunta la critica sulla mancanza negli accordi di una regola di distribuzione non prefigurandosi un concorso dei creditori sul patrimonio responsabile come per il concordato o la liquidazione giudiziale.
[41] Anche in questo caso, ritengo che le specifiche esigenze finanziarie ipotizzabili siano sovrapponibili con quelle già evidenziate supra per l’ipotesi della finanza ponte e alle quali rinvio. In ordine all’impossibilità di reperire altri finanziamenti e al grave pregiudizio si legga A. Irace, V. Santoro, op. cit., 600: “Il debitore deve subito rendere palese l’esistenza di una situazione di crisi di liquidità così grave che i finanziatori pregressi non vogliono ulteriormente esporsi, senza ottenere il vantaggio della prededuzione”. In tema di precisazione della destinazione dei pagamenti V. Cass. 19 novembre 2018 n. 29742.
[42] C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit., 847.
[43] In ordine all’impugnabilità del provvedimento con il quale il tribunale nega la prededucibilità del credito, sul relativo strumento impugnatorio e sulla legittimazione si legga G. Barvas, sub art. 99, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su Crisi di impresa e insolvenza, Padova, 2023, 731.
[44]L’intervento è opportuno, se solo si considera che la nuova finanza può risultare indispensabile anche all’interno di un concordato di tipo “misto”, che prefiguri una continuazione dell’attività in vista della cessione del ramo di azienda e di beni non strategici, in vista di un più ampio soddisfacimento del ceto creditorio. Si veda la discussione in vigenza della legge fallimentare: F.P. Censoni, Concordato preventivo e nuova finanza, in Fall., 2014, 377; L. Balestra, I finanziamenti all’impresa in crisi nel c.d. Decreto sviluppo, in Fall., 2012, 1401; U. Tombari, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Riv. soc., 2013, 1138; G. Nieddu Arrica, Finanziamento e sostenibilità dell’indebitamento dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2013, I, 827.
[45] A. Irace, V. Santoro, op. cit., 601.
[46] In tal senso si veda A. Gallotta, L’approccio del d.lgs. 14/2019 al problema dei finanziamenti alle imprese in crisi, cit., p. 188. Ma contra si veda F. Bonato, Concessione e perdita della prededuzione tra Legge fallimentare e Codice della crisi – Un’analisi diacronica, in IlCaso.it, 17 aprile 2019, 8, secondo cui «sebbene la modifica rappresenti senz’altro una presa d’atto del concreto panorama delle imprese in crisi, viene naturale tuttavia domandarsi la ragione per cui l’inciso non sia stato riflesso nell’art. 101 (CCI emanato) relativo ai finanziamenti “in esecuzione”: è infatti in tale contesto, a maggior ragione, che l’impresa in crisi potrebbe necessitare l'iniezione di nuove risorse finanziarie finalizzate al completamento dei progetti intrapresi e alla successiva ordinata valorizzazione dei propri asset».
[47] cfr. Cass., 9 settembre 2016, n. 17911, in DeJure, secondo cui «i crediti sorti in esecuzione del concordato preventivo sono prededucibili nel successivo fallimento se conformi al piano approvato dai creditori ed omologato dal tribunale»;
[48] Concorda anche G. Barvas, sub art. 101, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su Crisi di impresa e insolvenza, Padova, 2023, 739 e 740, laddove afferma come” nonostante anche nel CCI, come nella legge fallimentare, nulla disponga sul punto, sembra preferibile ritenere che il tribunale non debba disporre espressamente la prededuzione nel provvedimento di omologa”. Nel medesimo senso: M. T. Francioso, La nuova finanza nel concordato preventivo: artt. 182 quater e 182 quinquies, Legge Fallimentare, in Il nuovo diritto delle società, 2016, 21 ss; F.S. Filocamo, L'esattezza della proposta di concordato preventivo, in Fall., 2012, 1269 e anche Cass. 18/16347 e Cass. 18/2627; Contrario Nieddu Arrica, G. comm., 13,4 808 e ss.
[49] A. Petteruti, Il Finanziamento dell’impresa in crisi, Manuale del diritto della crisi e del risanamento di impresa, A.Caiafa, A. Petteruti, Napoli, 2023, pag. 374.
[50] Sull’approfondimento giudiziale in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti si legga l’interessante intervento di M. Fabiani, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità, in Dirittodellacrisi.it, 13 novembre 2023, il quale evidenzia come: “L’inserimento del vocabolo “espressamente” deve avere di certo un significato nel senso che la prededuzione esecutiva non si può scoprire ad omologazione avvenuta; ma, occorre anche qualcosa in più perché dei finanziamenti esecutivi si debbono fornire quegli elementi di identificazione indicati al § 9: (i) massimo importo da finanziare; (ii) massimo tasso di interessi sopportabile; (iii) massima durata in termini di mesi o anni. Dopodiché il tribunale deve effettuare una valutazione sulla coerenza dei finanziamenti in funzione della realizzazione del piano, deve verificare la congruenza del peso dei finanziamenti con i flussi ritraibili dalla continuità aziendale e deve essere di grado di esprimere un pronostico razionale sulla reperibilità sul mercato (laddove non già dettagliati) di soggetti finanziatori alle condizioni “massime” sopra riportate.
Tutto questo vale nell’esecuzione del concordato e, credo con maggio rigore, nell’esecuzione degli accordi di ristrutturazione nei quali manca persino la sorveglianza del commissario giudiziale.
[51] Vedi C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit., 855.
[52] Ma vedi M. Fabiani, op. cit.;
[53] Una diversa interpretazione non appare compatibile in quanto “diversamente ragionando si produrrebbe una distonia applicativa fra la disciplina del finanziamento contenuta negli artt. 99 e 101 CCII e le ipotesi di finanziamento autorizzate ai sensi dell’art. 94 CCII, non essendo prevista alcuna norma che disconosca la prededuzione in relazione agli art. 6, comma 1, lett. d), CCII e 46, comma 4, CCII, così C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit., ;
[54] In tal senso anche A.Irace V.Santoro in op. cit., che condividono anche la tesi di D. GALLETTI, in Il Dado è tratto: la prededuzione assiste orami la mera continuazione dell’attività di impresa?, in ilfallimentarista.it, febbraio 2018.che afferma come “la prededuzione possa essere oramai considerata una qualità del credito e dunque una categoria sostanziale, non più solo processuale, che attiene direttamente al debito”.
[55] Cass. 11 giugno 2019, n. 15724 e Cass. 16 aprile 2018, n. 9290.
[56] Ampiamente, sul controbilanciamento del meccanismo sanzionatorio si legga C. Scribano, F. Liuzzo, op. cit.
[57] A. Petteruti, op. cit., pag. 376.
[58] A. Petteruti, op. cit., pag. 376/377, che rileva anche come, oltre al dato oggettivo della falsità dei dati, rilevi anche la concorrente consapevolezza del finanziatore affinchè possa determinarsi la caducazione del beneficio della prededuzione.