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La continuità aziendale (diretta e indiretta) fra diritto contabile e disciplina della crisi d’impresa.
Profili ricostruttivi e sottotipi concordatari. *


Stefano Ambrosini
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Creditori pubblici qualificati e fisco. Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati nel sistema informativo aziendale*


Paolo Bastia

Data pubblicazione
08 luglio 2024

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Sommario: 1. Premessa; 2. Gli effetti del debito erariale e previdenziale sull’economia dell’impresa; 3. La natura informativa delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati; 4. Il quadro sistematico delle segnalazioni degli enti nell’assetto informativo-contabile dell’azienda; 5. I compiti ampliati del collegio sindacale; 6. Osservazioni conclusive


1. Premessa

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha introdotto uno stile di comportamento richiesto all’imprenditore più responsabile e controllato, prevalentemente in via autonoma, sulla base di un insieme di disposizioni che, partendo dall’enunciazione di principi generali (clausola generale di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c.) volti alla dotazione di adeguati assetti e alla pronta attivazione di iniziative risolutorie, focalizza precisi obblighi informativi volti alla conoscibilità e alla consapevolezza di un eventuale stato di crisi, sulla base di informazioni, di origine sia interna che esterna.

Tali informazioni costituiscono un variegato insieme, solo in parte sistematico, di dati e di elementi conoscitivi, espressamente indicati all’art. 3 del CCII, di cui quelle richiamati al comma 4, lettera d) di tale articolo, si riferiscono alle esposizioni debitorie di cui all’art. 25 novies, comma 1, CCII.

Detta norma, a sua volta, detta precisi obblighi di segnalazione extraaziendale in capo ai cosiddetti creditori pubblici qualificati e specificatamente a: i) Istituto nazionale della previdenza sociale; ii) Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; iii) Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione. Gli enti in questione segnalano all’imprenditore e, ove esistente, all’organo di controllo, nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale, a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria, il superamento delle soglie previste dalla norma, nonché, congiuntamente, l’avveramento di ammontari scaduti, ovvero il debito IVA risultante dalle liquidazioni periodiche[1].

Questi obblighi, in capo a enti burocraticamente organizzati e quindi in grado di adempiere, sono funzionali sia all’interesse recuperatorio degli stessi, ma senz’altro, data la finalizzazione espressamente richiamata all’art. 3, commi 1 e 2 del CCII, alla prevenzione della crisi dell’impresa, che resta il fulcro del finalismo dell’intero impianto organizzativo e informativo previsto dal legislatore, unitamente alla prontezza di attivazione dell’imprenditore per assumere idonee iniziative di fronteggiamento e risolutorie.

La rapidità di azione, a fronte di segnali patologici anche solo precoci o tendenziali, costituisce una delle principali armi per combattere la crisi, secondo la letteratura pluridecennale di Crisis Management[2], di stampo anglosassone, ma anche di forte tradizione nordeuropea, necessaria sia per il primo fronteggiamento, sia per il proficuo avvio di un processo di risanamento interno e stragiudiziale (volendo mediante il percorso della composizione negoziata) e, se necessario, di vero e proprio turnaround[3], eventualmente accedendo alle procedure previste dall’ordinamento.

Il vasto impianto normativo e la declinazione metodologica che ne consegue introdotti dal legislatore del Codice della Crisi, con l’ampiezza degli strumenti previsti e la continuità e sistematicità del loro impiego, intendono affermare nelle prassi aziendali anche in Italia una cultura e un orientamento strategico e operativo verso il crisis management, inteso come dimensione dell’azione imprenditoriale e manageriale pronta a reagire in maniera proattiva ai rischi di crisi, sulla base di assetti e di rilevazioni adeguatamente configurati e di coerenti competenze acquisite.

Il commento che noi sviluppiamo procede dunque secondo questo orientamento, che a sua volta trova logica finalità ultronea nella continuità aziendale e nella conservazione dell’impresa, che si concilia infine con l’interesse tutelato dei creditori, giacché l’ipotesi prevalente è che nella continuità dell’istituto aziendale costoro, più probabilmente,  trovano comparativamente migliore soddisfacimento, unitamente agli altri stakeholders, secondo una più moderna visione dell’agire dell’impresa quale sistema aperto e dinamico nell’ambiente socio economico di riferimento[4].

 

2. Gli effetti del debito erariale e previdenziale sull’economia dell’impresa

Le segnalazioni degli enti previdenziali e del fisco sono di natura esterna; quindi, indotte da soggetti terzi rispetto all’impresa: trattandosi di accertatori qualificati, la fonte delle segnalazioni appare dunque assai rilevante e attendibile, ancorché ne vadano opportunamente verificate le richieste e le quantificazioni, oltreché comprese le conseguenze nella gestione della data impresa.

La rilevanza del debito in esame emerge, in generale, da importanti ed estese indagini empiriche, condotte con il coinvolgimento dei tribunali italiani[5], da cui risultava un’incidenza media sul passivo fallimentare prossima al 30%.

Dal lato delle imprese, questa esposizione così massiccia, al di là dei profili di irregolarità amministrativa, financo di illecito quando al di sopra delle soglie penalmente rilevanti, denota dal lato dell’imprenditore una causazione del dissesto di tipo essenzialmente soggettiva, riconducibile quindi a opzioni discrezionali nell’insorgere di tale forma di debito e nella definizione di una struttura dell’esposizione debitoria complessiva.

Trattasi, secondo i canoni classificatori aziendalistici, di un “debito di regolamento”, in quanto sorgente dallo svolgimento dell’attività produttiva e non di un debito finanziario esplicitamente negoziato con banche e intermediari finanziari. È dunque un debito connesso con l’impiego del personale (parte contributiva) e con la produzione e la creazione di valore (parte tributaria), risultante dalle liquidazioni e dalle registrazioni previste dalle relative norme, con i corrispondenti dichiarativi periodici, nonché rilevato dalla contabilità aziendale, se ed in quanto correttamente tenuta.

La natura soggettiva dell’insorgere del debito in questione (generato dall’operatività aziendale) e la conoscibilità procedurale e contabile della sua entità, ne comprovano la natura opzionale e quindi deliberativa della sua genesi.

I dati rilasciati dai citati questionari ne confermano peraltro una vasta e consistente diffusione come comportamento imprenditoriale, che può assurgere, per la sua natura soggettiva e quindi per le responsabilità che ne conseguono, a condizione di mala gestio, quale ricorso anomalo e distorsivo, rispetto agli equilibri patrimoniali e finanziari, oltreché economici a motivo delle connesse sanzioni, ad una modalità di finanziamento incoerente con i principi di sana e prudente gestione, oltreché di regolare rispetto delle normative in materia. Non è solo una questione di compliance, ma di sostanza gestionale, in quanto l’alterata struttura finanziaria e il ricorso ad una forma di leverage non ortodossa, minano le condizioni di equilibrio dell’impresa fin dal loro insorgere, potendosi ricondurre, inizialmente, ad uno stato di “pre-crisi” dell’impresa (vale a dire di indebolimento e di criticità reversibile), per poi involvere verso uno stato pieno di crisi, fino a quello dell’insolvenza, a seconda della raggiunta entità del debito e della effettive capacità di generazione di flussi di cassa netti al servizio del debito dell’impresa.

Vale la pena osservare, richiamando un caso empirico recentemente sfociato in liquidazione giudiziale, che possono ben coesistere business in continuità aziendale con generazione di flussi positivi di cassa (EBITDA o MOL, margine operativo netto) e quindi di autofinanziamento, nonché con il conseguimento di utili netti d’esercizio suscettibili di distribuzione, con la cronicizzazione del debito previdenziale ed erariale, non più rimborsabile a causa dell’eccessivo ammontare rispetto al flusso di cassa prodotto per ogni esercizio: trattasi a tutti gli effetti di una continuità “avulsa”, in quanto colta solo isolatamente dal contesto di debito anomalo sedimentatosi nel tempo.

Peraltro, la costruzione del test pratico previsto dalla Sezione I del Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia del 21 marzo 2023, accessibile on line da parte di ogni imprenditore, tramite la piattaforma di cui all’art. 13 del CCII, può con immediatezza rappresentare quantitativamente il grado di difficoltà dell’impresa esposta verso l’erario e gli enti previdenziali (e non solo), rispetto al MOL.

Si consideri peraltro che il MOL da indicare nel test pratico deve risultare al netto delle imposte, dando per implicita l’ipotesi che in una situazione non patologica il flusso di cassa rilevante non può che essere inteso “al netto delle imposte”.

La rischiosità del debito erariale e previdenziale fuori controllo, al di là dell’entità che ne è una misura di evidente gravità, discende dalla sostanziale differenza rispetto all’altro debito di regolamento tipico, che è quello verso i fornitori, che, essendo soggetto a rotazione, salvo incagli e appesantimento dello “scaduto” (quindi soggetto a  sostituzione), può agire virtuosamente, se convive operativamente con il credito commerciale (dilazione dei crediti), che presenta le medesime attitudini di turnover in una situazione fisiologica, in cui dovrebbero bilanciarsi quantità e politiche di dilazione commerciale secondo coerenti effetti sul ciclo monetario[6], mantenendo regolare il cosiddetto cash flow commerciale[7].

Il debito erariale e previdenziale, invece, se non rimborsato, è teso alla sedimentazione e all’appesantimento dell’esposizione complessiva dell’impresa, con peggioramento della qualità della sua intera struttura finanziaria, oltre al circolo vizioso dell’onerosità in termini di interessi e sanzioni.

Ne discende dunque che la presenza in contabilità (risultante dalle situazioni contabili infra-annuali) e in bilancio d’esercizio di un debito erariale e previdenziale scaduto, già a livello embrionale, costituisce una spia non trascurabile di disallineamento dai canoni di corretta gestione e quindi di indebolimento o precrisi, fino a poter diventare evidenza di crisi con il suo accrescimento. Non può quindi che apparire assai tollerante la nuova norma delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati, di cui all’art. 25-novies CCII, perché l’insorgere degli obblighi solo dopo novanta giorni e al superamento di soglie quantitative graduate (per l’IVA all’esito delle dichiarazioni periodiche e quindi consuntivamente), rende obiettivamente tardivi, in quanto ex post, i feed back delle criticità e i relativi interventi correttivi e non rientra affatto in un disegno volto alla prevenzione della crisi e alla tempestività[8].  In presenza di fenomeni rischiosi e non di routine, i segnali per una reazione efficace sono invece quelli di feed-forward, ovvero di tipo predittivo e di anticipazione del rischio (ex ante), al fine non di correggerlo, ma di evitarlo, come ad esempio, nelle autovetture, le segnalazioni a cruscotto delle scadenze future (non ancora avvenute) dei tagliandi di manutenzione; ovvero gli avvisi del navigatore sui percorsi migliori per prevenire intoppi o ritardi (diversamente dagli annunci esplicativi delle ragioni di un rallentamento in cui si è già incappati). Appare chiaro che le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati previsti dal legislatore sono estranei ai meccanismi virtuosi di feed forward, mentre ricadono pienamente in quelli di feed-back, con le conseguenze di assai minore efficacia che ne conseguono sul “sistema impresa”.

Vi è poi, a proposito di segnalazioni, un ulteriore e ancora più prudente approccio predittivo: quello cioè dello steering control, basato su proiezioni di traiettorie gestionali future, intese come “guide” prudenziali per evitare di incorrere in percorsi rischiosi (non quindi per reagire, ex post o ex ante)[9]: simulazioni quindi di deviazioni dal corretto corso gestionale potenzialmente indotte da comportamenti scorretti. Si pensi ai test di prova su prodotti, o agli stress test richiesti dall’EBA (European Banking Autorithy) alle banche.

Secondo un tale approccio, astrattamente, gli enti interessati dalla normativa, attraverso i propri data base, potrebbero produrre preventivamente simulazioni segnaletiche, i cui effetti, tecnicamente parlando, sarebbero ben più prudenziali delle segnalazioni tardive richieste come obblighi.

Preme precisare, a questo punto, che non è questa la sede, né la nostra intenzione, quella di proporre interventi e ragionamenti che rientrano in ambiti regolamentari e dell’organizzazione interna degli stessi enti citati, nonché nel contesto particolarmente complesso dei rapporti tra imprese e fisco.  Ci si limita a qualificare la portata e l’efficacia delle segnalazioni da un punto di vista delle ricadute aziendalistiche, trattandosi di nuove informazioni richieste dal legislatore che vanno a inserirsi nei sistemi informativi aziendali e a indurre conseguenti comportamenti degli organi sociali. Dette segnalazioni, per quanto intenzionalmente virtuose, rientrano oggettivamente nei segnali tardivi (rispetto ai fenomeni di anomalia che vogliono essere contrastati) o di feed back e non sono classificabili tra i segnali predittivi di feed forward o nel solco dello steering control, o “controllo della direzione di marcia”, risultando quindi parzialmente incoerenti, specie per le imprese minori (data la maggiore incidenza dei parametri soglia sui loro dati dimensionali), con le finalità preventive indicate all’art. 3, comma 3, del CCII e dell’orientamento probabilistico espresso a livello di sistema.

Che poi trattasi di innovazione di prassi rispetto ad una situazione precedente e che possano insorgere questioni organizzative endoaziendali o conflitti in seno agli organi sociali, queste sono ricadute da dover considerare in ottica solutiva, piuttosto che argomenti da contrapporre agli obblighi di legge, posto che si tratta, obiettivamente, di questioni assai meno rilevanti rispetto al rischio di insolvenza indotto da un’ incontrollata dilatazione del debito erariale e previdenziale, ovviamente nella scala di valori che vede la continuità aziendale e la tutela dei creditori come finalismi della gestione d’impresa.

In proposito, per prevenire astratte obiezioni, deve essere ricordato il fatto che giustamente (in quanto in linea con le raccomandazioni aziendalistiche e manageriali) il legislatore ha affermato una dimensione probabilistica della crisi e non solo fattuale, rispetto al pericolo dell’insolvenza. La letteratura economica internazionale, da tempo, stante la natura probabilistica dell’impresa[10], ha valorizzato la rilevanza dei cosiddetti “segnali deboli” (weak signals), vale a dire degli indizi predittivi, utili per una diagnosi precoci e, come tali, potenzialmente più efficaci dei dati effettivi e consuntivi dei bilanci approvati per l’esercizio precedente.

In questa prospettiva, le segnalazioni esterne degli enti pubblici qualificati trovano riferimenti scientifici assai robusti e incontestabili e semmai possono apparire per certi aspetti “tardivi” e colti ad uno “stadio avanzato” del fenomeno, come è stato detto.

Quanto all’eventuale obiezione del cosiddetto rischio di “falsi positivi” o di eccessivo attivismo dell’organo di controllo, essa appare, per quanto detto, ascientifica e pericolosamente rinunciataria, posto che la stessa genesi del debito tributario e previdenziale impagato costituisce un’anomalia di gestione al di là dell’entità e che la “posta in gioco”, quella della rilevazione tempestiva della crisi (quale probabilità di insolvenza”) è invero troppo alta per consentire o concedere una sottovalutazione del rischio in questione.

Naturalmente, ciò pone anche un riorientamento della conduzione d’impresa, volto al superamento di una interpretazione distorta, quanto radicata e diffusa, del debito erariale e previdenziale come fonte libera, a disposizione per il finanziamento, sia temporaneo che strutturale, dei fabbisogni aziendali, alterando i sani principi delle equazioni economica e patrimoniale[11].

Quanto ai riferimenti alle imprese giovani e alle PMI, non di rado richiamate come potenziali destinatari di aggravi amministrativi e procedurali per effetto delle novità normative,  è un dato di fatto che le prime sono anche quelle più esposte al fenomeno della mortalità aziendale[12], mentre le seconde, rispetto alle imprese maggiori, possiedono minori capacità di accesso al finanziamento bancario e ai mercati dei capitali e, pertanto, hanno minori capacità sostitutive del debito: sia per le imprese nuove che per quelle minori, il ricorso al leverage erariale e previdenziale rappresenta dunque un rischio di maggiore rilevanza rispetto alle imprese mature e più dimensionate, ragione per cui i segnali “deboli” interni (endoaziendali), ancor prima delle segnalazioni rivenienti dagli enti stessi secondo le regole previste dal CCII, se e in quanto attivati anche come automonitoraggio del debito erariale e previdenziale, assumono un valore strategico e un criterio di coerente condotta imprenditoriale e manageriale proprio per le PMI.  

 

3. La natura informativa delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati

Il coordinato disposto dell’art. 2086 c.c.  secondo comma e dell’art. 3 del CCII, costituisce un complesso articolato di dispositivi prudenziali a tutela della tempestività di intercettazione della crisi e della perdita di continuità aziendale, che dovrebbe operare “prima” che la crisi stessa sia in atto.

In ordine al finalismo anche delle segnalazioni di allerta esterna, nel quadro delle informazioni deputate all’intercettazione tempestiva della crisi, appaiono di particolare rilievo e chiarimento delle finalità del legislatore le precisazioni contenute nella Relazione Illustrativa del correttivo al CCII del 15 settembre 2022.

In ordine all’art. 3 del CCII, si enfatizza che tale articolo definisce fin dal principio l’obiettivo conoscitivo: “Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa”. Si noti che il verbo utilizzato è quello di “prevedere” e che quindi la tempestività non andrebbe nemmeno intesa come “prontezza di risposta” a un dato consuntivo, ma proprio come capacità predittiva, anticipatoria, rispetto all’emersione della crisi: i segnali allerta per essere coerenti dovrebbero quindi essere preventivi.

La Relazione Illustrativa aggiunge, in relazione al contenuto dell’art. 3 CCII, parla di: “nuovi strumenti introdotti per consentire all'imprenditore di attivarsi tempestivamente, anche prima dell’insorgenza di una situazione di crisi per superare in maniera efficace le difficoltà insorte.”.

Non vi è dunque alcuna possibilità di equivoco sulla finalità del legislatore di intendere una diagnosi nemmeno precoce, ma preventiva della crisi.

Si legge ancora circa la “natura del novellato articolo 3, la cui funzione è, come già detto e in attuazione dei principi contenuti nella direttiva, fornire all’imprenditore le indicazioni utili e necessarie per cogliere tempestivamente i primi segnali di difficoltà, anche prima diventino vera e propria crisi e di attivarsi per risolvere le problematiche insorte”.

Appare coincidente questa impostazione logica con le raccomandazioni della dottrina strategica aziendalistica circa la rilevanza strumentale dei “segnali deboli” (weak signals)[13], per cogliere in fenomeni critici in maniera anticipatoria, anche quando non sussistano ancora evidenze chiare e complete su tali fenomeni (come potrebbero essere i dati della contabilità generale e le risultanze del bilancio d’esercizio e persino quelle della contabilità analitica).

L’importanza alla natura preventiva della diagnosi precoce della crisi è ancora ribadita in termini molto espliciti: “Si è dunque ritenuto opportuno apportare ulteriori modifiche ai commi 3 e 4 per rendere ancor più chiaro che si tratta di disposizioni che si rivolgono all’imprenditore fornendogli le indicazioni utili per attivarsi ai primissimi segnali di difficoltà e non necessariamente segnali, di allarme, significativi di una situazione già compromessa”.

Infine, passando alle segnalazioni degli enti qualificati, la Relazione Illustrativa, per motivare le conferme del disposto normativo, precisa che: “L’articolo 25-novies contiene le disposizioni dell’articolo 30-sexies del decreto-legge n. 152 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n 233 del 2021, che, in attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, disciplina le segnalazioni che i creditori pubblici qualificati inviano all’imprenditore in presenza di determinati livelli di esposizione debitoria dallo stesso maturata nei loro confronti. Rispetto alla norma vigente è stato aggiunto, tra gli enti segnalanti, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Tale disposizione è stata oggetto di osservazioni formulate dal Consiglio di Stato e dalle Camere (v. pareri Commissioni 2° Giustizia del Senato e II Commissione Giustizia della Camera) con le quali è stato rilevato che gli importi che danno luogo alle segnalazioni non perseguono in modo efficace l’obiettivo dell’allerta dello stato di crisi essendo troppo bassi e del tutto sganciati dalle dimensioni dell’impresa. Sul punto si rileva, in via preliminare, che la norma in esame, vigente e attuativa degli obiettivi del PNRR al 31.12.2021, non intende creare un sistema di allerta assimilabile a quello delineato nel Titolo II del Codice che si sta modificando e quindi non intende segnalare all’impresa una situazione di difficoltà rilevante e potenzialmente già corrispondente ad uno stato di crisi o di insolvenza. La ratio perseguita è invece in linea con quella indicata nella direttiva 2019/1023 che, all’articolo 3, paragrafo 1, richiede meccanismi di allerta tramite i quali è segnalata al debitore la necessità di attivarsi prontamente. Il considerando 22 precisa anche che “quanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un'insolvenza imminente o, nel caso di un'impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione”. In tale ottica, le segnalazioni previste nella norma non intendono evidenziare all’imprenditore una situazione di evidente squilibrio, ma hanno la funzione di notiziarlo tempestivamente dell’esistenza di determinati inadempimenti che potrebbero anche non essere significativi ma che l’impresa deve valutare per verificare se sono frutto di una fisiologica carenza di liquidità o se sono segnali di una situazione di difficoltà rispetto alla quale occorre intervenire. La mancata previsione di passaggi ulteriori a carico dei creditori pubblici qualificati e di conseguenze rispetto all’eventuale omessa attivazione da parte dell’impresa rendono chiaro l’intento della norma che, va ribadito, serve a segnalare, in uno stadio molto anticipato, l’esistenza di inadempimenti che potrebbero anche non richiedere, all’esito dell’analisi della complessiva situazione dell’impresa rimessa al debitore, l’attivazione di strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza. Se da un lato, dunque, non vengono riviste le soglie debitorie stabilite nell’articolo in esame, va tuttavia colto il suggerimento dell’adeguamento dei tempi di applicazione della segnalazione rispetto all’INAIL, non contemplata tra i creditori segnalanti nella norma in vigore.”.

La Relazione, nel ribadire che anche le segnalazioni degli enti pubblici qualificati rientrano nel novero degli strumenti informativi orientati alla prevenzione della crisi, chiarisce nitidamente che i “segnali deboli” (da intendersi come le basse soglie quantitative per far scattare gli obblighi di inoltro) devono poi essere oggetto di interpretazione da parte dell’azienda destinataria e che le esigenze di appropriata risposta compete al debitore (imprenditore o management), a fronte comunque di fenomeni che già sono qualificati come “inadempimenti”.

Quanto emerge dal commento della Relazione alla novità normativa circa l’art. 25- novies, richiamato dall’art. 3 comma 4, lettera d) del CCII, appare pienamente rispondente alla letteratura scientifica aziendalistica internazionale e semmai, in concreto, le soluzioni segnaletiche proposte nel dettato normativo non sono propriamente coerenti con le finalità enunciate al primo comma dell’art. 3 e sviluppate a chiarimento nella Relazione Illustrativa, perché i segnali degli enti pubblici qualificati come obbligo scattano consuntivamente e quindi non possiedono natura predittiva. Possiedono tuttavia natura di “segnali deboli”, nella misura in cui le soglie quantitative da taluni ritenute basse o “troppo basse”, adempiono effettivamente alla funzione tipica dei weak signals o “segnali a bassa intensità”.

Al di là di consuete resistenze al cambiamento che sovente accompagnano norme di nuovo conio, può essere affermato che posizioni contrarie a questi obblighi normativi non pare che presentino una base scientifica affermata, ma richiamano possibili difficoltà di risposta: non certo interpretative, trattandosi di inadempimenti facilmente verificabili nella loro effettività.

Quanto alle difficoltà di risposta, nel caso delle imprese maggiori, si tratta di un tema che investe in generale i requisiti dell’intero sistema informativo aziendale, che, se ben strutturato e rispondente ai criteri di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, è presumibilmente bene in grado di procedere con l’adozione di opportune iniziative. In particolare, si richiamano, relativamente ai sistemi informativi aziendali,  i principi interdipendenti di “rilevanza” e di “selettività”[14], che, tradotti in una corretta e adeguata progettazione del sistema informativo aziendale, consentono di filtrare, selezionare e rappresentare con sistematica e periodicità opportune per i livelli di complessità aziendale, le reportistiche qualificate per i potenziali destinatari, dai vertici  (consiglio di amministrazione e direzione generale) al management, fino agli organi di controllo di secondo e di terzo livello (quando esistenti) e al collegio sindacale.

Il momento della “risposta” alle segnalazioni in arrivo da parte degli enti sarà conseguente alla capacità selettiva del sistema informativo generale di tradurre in report rilevanti per il management tali segnalazioni e di promuovere soluzioni decisionali appropriate, se del caso.

Il problema, quindi, rappresenta al tempo stesso una cartina di tornasole dell’efficacia segnaletica del sistema informativo e della capacità manageriale di promuovere decisioni proattive o di rimedio efficaci, laddove si siano verificatisi i presupposti. Di certo, con l’art. 25-novies del CCII nasce una responsabilizzazione formale indotta da soggetti esterni in capo al management dell’impresa destinataria, che tutto sommato appare in linea con la moderna cultura strategico-organizzativa e manageriale orientata alla qualità totale e all’azzeramento dei difetti in tutti i processi aziendali (e non solo nei prodotti e nei servizi destinati alla clientela)[15], colti anche nelle relazioni esterne e negli stimoli rivenienti dai vari stakeholders.

Quanto alle imprese minori, posto che le soglie quantitative delle segnalazioni degli enti assumono relativamente maggiore incidenza come fenomeno di inadempimento e quindi come più forte evidenza di rischio, nel quadro di un sistema informativo meno dimensionato e più rarefatto rispetto alle imprese maggiori, le segnalazioni di cui agli obblighi normativi richiamati pongono assai minori problemi in termini di requisiti di rilevanza e di selettiva del compendio informativo aziendale,  alimentando semmai livelli di attenzione auspicabilmente precoce da parte del vertice verso inadempimenti comunque problematici e già emersi.

 

4. Il quadro sistematico delle segnalazioni degli enti nell’assetto informativo-contabile dell’azienda

Il valore conoscitivo di singoli elementi informativi, come le segnalazioni degli enti pubblici qualificati, assume pienezza di contenuto solo se colto nell’ambito del quadro sistematico di riferimento, costituito da tre livelli, normativamente definiti:

I)        gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, previsti dall’art. 2086, secondo comma, c.c., all’interno quindi di una clausola generale[16];

II)     l’articolata e complessa informativa richiesta dall’art. 3, comma 3, CCII;

III)  la categoria dei “segnali” di cui al comma 4 dell’art. 3, CCII, riferiti a esposizioni verso soggetti esterni, tra cui per l’appunto gli enti in questione.

Il quadro sistematico così identificato, costituisce un’architettura informativa, a cui vengono associati flussi informativi di cui è evidente la responsabilizzazione formale dell’imprenditore (sia individuale che collettivo), con livelli di efficienza e di efficacia derivanti da un’idonea progettazione e attuazione e soprattutto con le finalità diagnostiche preventive o tempestive, comunque precoci, affinché possano essere prontamente attivate delle idonee risposte di gestione della crisi colta possibilmente ad uno stadio non avanzato, o ancor meglio prevenuta anticipatamente.

Quanto agli adeguati assetti, il tema oltremodo vasto e in questa sede è opportuno limitarsi a richiamare le strette connessioni che sussistono tra organizzazione, gestione e informazione, essendo quest’ultima (intesa come l’insieme delle “rilevazioni” di cui parla il legislatore) fonte di razionali processi decisionali, laddove sia chiaro il disegno dei poteri, delle autonomie e delle responsabilità e l’assegnazione ben identificata, secondo i migliori principi manageriali, delle aree o dei processi gestionali in cui si sviluppa la continua attività aziendale. Va osservato che in giurisprudenza e in dottrina è stato giustamente precisato che i contenuti degli assetti, essendo il disposto di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c. norma quadro di carattere generale, deve essere rinviato ai principi e agli sviluppi metodologici della Scienza Aziendale[17].

A tale proposito, la Relazione Illustrativa sopra richiamata si basa esplicitamente sul convincimento che l’informazione è fonte di razionali e corrette decisioni e non altrimenti, per quanto riferite a decisioni circa le modalità di prevenzione e di soluzione precoce della crisi d’impresa, secondo gli ortodossi orientamenti aziendalistici.

Relativamente al complesso delle rilevazioni di cui all’art. 3, comma 3, CCII, trattasi di indicazioni non tanto del tipo di informazioni da elaborare, quanto delle finalità delle stesse[18], in ordine ai giudizi sugli (eventuali) squilibri patrimoniali, economici e finanziari, sulla sostenibilità finanziaria dell’impresa e sulla sua continuità aziendale nel breve periodo, nonché sulla capacità di elaborare il test pratico e l’eventuale coerente piano di risanamento, come da indicazioni del già citato decreto dirigenziale del Ministero di Grazia e Giustizia.

Si deve osservare che queste informazioni richieste sono piuttosto convenzionali, ricadendo nel novero delle reportistiche coerenti con la corrente manualistica di riferimento, per quanto articolate, con contenuti prettamente di tipo patrimoniale, economico e finanziario e quindi dedotte dai sistemi contabili consuntivi e preventivi, di carattere sia generale (intera azienda) che analitico (per prodotti, per aree, per clienti, ecc.), comunemente costitutivi di sistemi contabili completi e integrati. Sotto questi aspetti, le rilevazioni in parola non presentano problematiche di identificazione, con l’avvertenza che gli obblighi normativi impongono a tutti gli ordini di imprese anche l’adozione di sistematiche contabilità, naturalmente conformi alle caratteristiche e alle peculiarità delle singole imprese[19].

Si tratta di informazioni di fonte interna, endoaziendale, diversamente dalle segnalazioni di cui all’art. 25-novies CCII, così come quelli di cui all’art. 25-decies (obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari), generate dal sistema informativo interno dell’impresa. Va osservato, tuttavia, che non mancano anche in questo sistema informativo interno delle informazioni esterne, laddove a vario titolo l’impresa deve confrontare esplicitamente i propri dati con quelli di mercato, o di settore, o di competitor selezionati: si pensi alla valutazione delle rimanenze in caso di decremento prevedibile dei prezzi, alle svalutazioni straordinarie delle immobilizzazioni in presenza di durevoli segnali avversi del mercato, fino alle analisi di scenario, di minacce ambientali (SWOT analysis), di benchmarking competitivo, in sede di pianificazione strategica formale e di costruzione del budget commerciale d’esercizio.

Per le imprese minori, presumibilmente, l’impegno addizionale richiesto da questi obblighi informativi, è determinato dall’informazione previsionale, data la endemica ridotta diffusione nella prassi, che tuttavia, in considerazione della maggiore accessibilità a supporti di business intelligence oggi praticabile, appare meno giustificabile rispetto al passato, prescindendo assolutamente dalle dimensioni circa la sua opportunità, in un contesto di economia integrata e globalizzata.

Va in proposito considerato il fatto che la proporzionalità delle dotazioni informative dovrebbe essere anche calibrata in ragione dell’economicità aziendale, secondo l’affermato “principio tecnico strumentale” dell’Economia Aziendale, che sostiene la compatibilità delle soluzioni organizzative e amministrative con le capacità reddituali dell’impresa[20].

Per certi aspetti, recente giurisprudenza[21], nel rimarcare la responsabilità degli amministratori nella mancata dotazione di adeguati assetti con maggiore evidenza in situazioni economiche favorevoli, appare rispondente a tale principio.

In ultimo, la categoria dei segnali di cui all’art. 3, comma 4, CCII, si rivolge specificatamente all’operatività con soggetti creditori, tipicamente esposti alle conseguenze delle crisi d’impresa: lavoratori, fornitori, banche ed enti pubblici previdenziali ed erariali.

Circa il punto d), in relazione all’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1, pare che si chieda all’imprenditore di attivare uno speciale “cruscotto” informativo sui livelli debitori, che dunque potrebbe essere generato dallo stesso sistema contabile aziendale e non solo indotto dalle segnalazioni prodotte per iniziativa (e per obbligo) dagli enti pubblici, le quali avrebbero quindi una funzione sussidiaria (in caso di disordine o di ritardo di tenuta della contabilità aziendale) e di riscontro. L’azienda proattiva, quindi, non attende meramente le segnalazioni degli enti, ma ne rileva e ne rappresenta l’entità e le tipologie autonomamente, secondo un principio di responsabilizzazione ineccepibile dal punto di vista organizzativo.

Le segnalazioni di cui all’art. 25-novies CCII assumono, in definitiva, una natura in parte avulsa e atipica rispetto al sistema delle rilevazioni previste in generale dal legislatore della crisi, prevalentemente autoprodotte dalla contabilità aziendale e comunque dal suo sistema informativo. Trattasi infatti, per dette segnalazioni, di un intervento esterno, extraaziendale, straordinario ed eventuale.

Tuttavia, la natura di questo tipo di informazioni non costituisce di per sé un elemento distintivo inconsueto, in quanto da tempo la letteratura manageriale raccomanda l’alimentazione del sistema informativo aziendale con dati e informazioni di fonte esterna, partendo dal riconoscimento dell’azienda come sistema aperto e in costante interazione con il variegato ambiente esterno[22], con una precisa attenzione, dal lato del presidio dei rischi, alle eventuali minacce ambientali, tra cui quelle sorgenti dal profilarsi di inadempienze con gli enti previdenziali ed erariali, certamente con l’ottica preventiva e di precoce intercettazione.

L’attivazione di sensori e di meccanismi di stimolo-risposta con soggetti esterni, più esattamente, quando costituisce una dimensione quotidiana e diffusa, a livello organizzativo, induce il comportamento dell’impresa verso non solo una pianificazione strategica periodica  (su base annuale, triennale), ma ad una vera e propria “gestione strategica” nel continuo, in cui la dimensione esterna, di interazione con soggetti terzi, con gli stakeholders, quindi anche con i creditori pubblici qualificati, costituisce un preciso connotato dell’orientamento strategico dell’impresa, opposto a quello autoreferenziale e circoscritto ad una visione di “sistema chiuso”.

In concreto, il ruolo dei creditori pubblici qualificati si specifica nella segnalazione dei mancati adempimenti; spetta, invece, agli organi societari valutare e apprezzare la rilevanza di tali avvisi.

L’allerta esterna viene così ad assumere la funzione di indurre di fatto l’imprenditore ad assumere idonei provvedimenti, fra cui preferibilmente, in caso di crisi non troppo avanzata, l’accesso in via tempestiva alla composizione negoziata della crisi, su base volontaria, facendo leva il legislatore sulle possibili responsabilità prospettiche degli organi societari[23].

 

5. I compiti ampliati del collegio sindacale

Evocato il tema delle responsabilità degli organi sociali, emerge senz’altro quella del collegio sindacale, nella persona del presidente quando l’organo è collegiale, in quanto destinatario delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati.

Si tratta, da un lato, del riconoscimento di un ruolo fondamentale ai fini della corretta gestione dell’impresa, dall’altro lato di un rafforzamento delle fonti informative che gli sono destinate, con evidenti riflessi anche sul piano delle responsabilità.

Se lo scopo dei segnali di allerta di cui all’art. 3, comma 4, CCII, è quello della tempestiva, se non proprio preventiva individuazione della crisi, ne discende che l’ottica dell’attività di vigilanza del collegio sindacale è oramai dichiaratamente di tipo prospettico.

Certamente, i controlli e le verifiche sui fatti continuano ad assumere rilevanza, per la loro evidenza ed effettività e per l’indicazione di rimedi rivolte all’organo amministrativo, quando necessario. Ma il coinvolgimento del collegio sindacale nel processo di segnalazione sia dei creditori pubblici qualificati che delle banche ne accentua l’esigenza di un approccio proattivo alla vigilanza.

Del resto, l’art. 25-octies CCII pone in capo all’organo di controllo l’obbligo di segnalare, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 17 del CCII, ivi inclusa dunque la situazione di pre-crisi.

Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati potrebbero quindi, nelle aziende meno fragili, essere indizi di situazioni ancora contenute a un livello di pre-crisi e quindi comunque già di diritto rientranti nel perimetro di vigilanza del collegio sindacale per gli specifici obblighi di legge introdotti dal Codice della Crisi.

Il ricevimento della comunicazione degli enti non è privo di effetti rispetto agli obblighi dell’organo di controllo, in quanto possiede una rilevanza in ordine ai criteri della diligenza richiesta nell’espletamento dei propri compiti. L’art. 25-novies CCII, infatti, va colto non solo nell’ambito dei più generali doveri di vigilanza di cui agli artt. 2403, 2409-terdecies, 2409-octiesdecies c.c., ma anche congiuntamente all’art. 25-octies CCII e, quindi, alla luce dell’art. 3 CCII in materia di adeguati assetti organizzativi. Quanto a quest’ultima previsione normativa, nella misura in cui i parametri delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati rilevano come segnali di allarme, ciò comporta che, anche se gli enti in questione non risultassero tempestivi nell’invio delle comunicazioni, l’attenzione dell’organo di controllo dovrà sempre essere rivolta al monitoraggio di tali soglie di inadempimento, in quanto rilevanti a dare impulso all’autodiagnosi di uno stato di crisi o di pre-crisi. Quanto, invece, alla ricezione della segnalazione dei creditori pubblici a fronte del disposto di cui all’art. 25-octies CCII, parrebbe che tale comunicazione agisca da sollecito ad una doppia segnalazione “a catena”, posto che una corretta e tempestiva verifica periodica sui versamenti di imposta potrebbe rendere l’allerta di originaria iniziativa dell’organo di controllo addirittura più celere di quella degli enti pubblici stessi[24].

Stante la definita ampiezza delle rilevazioni di natura forward looking che il CCII ha reso obbligatorie alle imprese per la rilevazione tempestiva della crisi (e della pre-crisi per il collegio sindacale), si può forse parlare di una svolta evolutiva straordinaria per l’organo di controllo, che necessariamente dovrà integrare le proprie competenze, al di là di quelle tradizionali  ispettive e di verifica consuntiva e concomitante, con i contenuti dei supporti preventivi e predittivi del controllo di gestione manageriale, con i segnali deboli, con le simulazioni e gli stress test, con il test pratico e la lista particolareggiata per la formulazione di piani di risanamento eventualmente occorrenti.

Tra i doveri di vigilanza non può mancare, peraltro, quello sull’adeguatezza degli assetti aziendali e degli assetti contabili integrati per quanto anche previsto dall’art. 3 del CCII, incombendo, quando le circostanze aziendali ne evidenziano le carenze, precisi doveri di iniziativa verso gli amministratori inadempienti[25].

6. Osservazioni conclusive

Il tema delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati è stato sviluppato in questo studio, pur sinteticamente, nella cornice dell’intera sistematica degli nuovi obblighi di rilevazione e di segnalazione richiesti dal legislatore della crisi, a loro volta inseriti nel vasto quadro degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, specialmente in ordine alla finalizzazione della rilevazione tempestiva della crisi e dell’eventuale perdita della continuità aziendale, al fine di stimolare con la dovuta prontezza delle reazioni coerenti dell’ organo amministrativo (o dell’imprenditore), anche su impulso, se esistente, dall’organo di controllo.

L’analisi della natura delle segnalazioni di allerta esterna degli enti ha rappresentato l’occasione di confrontarne la valenza segnaletica anche alla luce degli orientamenti suggeriti dall’affermata letteratura aziendalistica internazionale e delle concrete esigenze delle nostre imprese, sia di quelle maggiori, che di quelle di minori dimensioni, valutandone, in un rapporto costi benefici, al di là dell’osservanza agli obblighi di legge, l’opportunità di coglierne il contributo di per sé e di  aprire ad una cultura della prevenzione, dello stimolo precoce anche di fonte esterna, della segnalazione a bassa intensità o weak signal, perché questo è un metodo razionale per evitare la crisi o per mitigarne l’aggravamento nella struttura dell’impresa stessa e la propagazione esterna (si pensi agli “effetti domino” nei distretti e nei gruppi).

Circa il posizionamento nelle dinamiche evolutive della crisi d’impresa delle segnalazioni in questione, comunque consuntive e non certo preventive, se esse siano da intendersi tardive (perché pervenute ad uno stadio avanzato di crisi), ovvero contestuali ad una situazione di pre-crisi, ovvero prodromiche rispetto a una crisi solo eventuale, in quanto giunte in una fase ancora rassicurante, il tema costituisce l’oggetto di una valutazione interna della governance aziendale, ma non riduce, a nostro avviso, la loro rilevanza segnaletica.

Si tratta, forse, anche di un’occasione di apprendimento per gli organi  di amministrazione e di controllo e per gli imprenditori, di aprirsi, come costume, ad un confronto con stimoli di fonte esterna e a profili di responsabilizzazione formale verso gli interlocutori esterni, superando i limiti dell’ autoreferenzialità, assolutamente in linea con una dimensione strategica   - tale in quanto attenta agli accadimenti esterni e alle evidenze ritraibili dal mercato e dagli stakeholders -  oggi considerata come  immanente anche nella quotidianità della gestione corrente e non solo come momento straordinario da cogliere unicamente ed eventualmente in sede di pianificazione strategica.

 

(*)  Il presente saggio è destinato a un volume collettaneo diretto da Stefania Pacchi e Stefano Ambrosini, di prossima pubblicazione per i tipi di Pacini Giuridica.

[1] Le seguenti segnalazioni a mezzo PEC sono destinata all’imprenditore e all’organo di controllo: i) INPS: ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi di ammontare superiore a € 5.000 (senza lavoratori dipendenti) - € 15.000 (con lavoratori dipendenti ovvero di ammontare superiore al 30% di quelli dovuti nell’anno precedente); la segnalazione viene inviata trascorsi 60 giorni dal verificarsi del ritardo; ii) INAIL: ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di premi di ammontare superiore a € 5.000; la segnalazione viene inviata trascorsi 60 giorni dal verificarsi del ritardo; iii) Agenzia delle Entrate: debito IVA scaduto superiore a € 5.000, e comunque non inferiore al 10% dell’ammontare del volume d’affari dell’anno precedente, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche (LIPE); qualora il debito sia superiore a € 20.000 la segnalazione verrà inviata a prescindere del volume d’affari; la segnalazione viene inviata trascorsi 150 giorni dalla comunicazione stessa (LIPE); iv) Agenzia delle Entrate-Riscossione: esistenza dei crediti affidati per la riscossione scaduti da oltre 90 giorni, superiori per le società a € 500.000, per le società di persone € 200.000 e per le ditte individuali € 100.000; la segnalazione viene inviata trascorsi 60 giorni dal verificarsi del ritardo.

[2] Nell’ampia e oramai tradizionale letteratura internazionale di Crisis Management, si segnala, in particolare, il pioneristico contributo di Ian Mitroff e Thierry Pauchant, Crisis Management: an integrated approach, Document special, Faculté des Sciences de l’Administration, 1988. Gli Autori definiscono il Crisis Management come “the full of systematic set organized, and systemic attempts of an organization’s efforts to prevent, react to, and learn from crisis”. Si esamini, altresì, AA VV., Crisis Management: Master the Skills to Prevent Disaster, Harvard Business Review Press, 2004.

[3] Per turnaround si intende un complesso e prolungato processo di profonda ristrutturazione dell’impresa a fronte di una grave crisi, tale da richiedere interventi di forte discontinuità. Il primo a scrivere di turnaround in Italia è stato, autorevolmente, Luigi Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1996. Più recentemente, si suggerisce il bel lavoro di Marco Fazzini, Turnaround Management. Strategie e politiche per risanare un’impresa in crisi, IPSOA, Milano, 2020.

[4] L’attenzione agli interlocutori sociali, esterni all’impresa, nella gestione della crisi, è stata molto ben argomentata da Stefania Pacchi, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in “Ristrutturazioni Aziendali”, maggio 2023.

[5] Si vedano, in proposito, Massimo Ferro, Paolo Bastia e Giacomo Maria Nonno, L’accertamento del passivo, IPSOA, Milano, 2011; Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, IPSOA, Milano, 2013.

[6] Il ciclo monetario è la rappresentazione formale della durata media dell’anticipazione del danaro rispetto agli incassi derivanti dalle vendite, tipicamente prodotta dagli acquisiti e dalla durata del ciclo della lavorazione e della logistica delle merci e dei prodotti finiti: nel suo contesto, la dilazione ottenuta dai fornitori riduce l’estensione del ciclo monetario e la necessità di indebitamento finanziario, con effetto contenitivo sulla posizione finanziaria netta. Sul tema, si rinvia a Paolo Bastia, Sistemi di Pianificazione e Controllo, Il Mulino, Bologna, 2009.

[7] Il cash flow commerciale è il fenomeno aziendale, che può essere esiziale in caso di sviluppo accelerato incontrollato dell’impresa (con rischio di insolvenza anche in presenza di un modello di business sano), generato da squilibrate variazioni di periodo del credito commerciale e del debito di fornitura (tenendo conto, nelle imprese industriali, anche delle oscillazioni delle rimanenze). Per una spiegazione logica e metodologica del fenomeno e per gli strumenti di prevenzione e di controllo, si rinvia a Paolo Bastia, cit., 2009; nonché a Giorgio Brunetti, Vittorio Coda e Francesco Favotto, Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Etas, Milano, 1990.

[8]  Il feed back, nel linguaggio della teoria dei sistemi, trasversale alle varie discipline scientifiche, ivi comprese anche quelle sociali, esprime una attitudine del sistema (in questo caso il sistema-impresa) a reagire a fronte si stimoli e di segnali relativi ad anomalie già avvenute: la loro utilità è invero circoscritta a situazioni poco rischiose e dannose, essendo quindi confinata a fenomeni di routine. In caso invece di anomalie potenzialmente di forte rischio e dannosità o di situazione che vogliono essere evitate (si pensi all’insolvenza e alla perdita di continuità aziendale, ma anche alla crisi irreversibile), il feed back serve davvero poco, dovendo essere sostituito da sistemi di segnalazione preventiva, o feed forward, con indici quindi predittivi: tali di certo non sono le segnalazioni previste dall’art.25-novies CCII. Su questi argomenti di rinvia a Paolo Bastia, Principi di Economia Aziendale, Cedam, Padova, 2012; nonché a Sergio Sciarelli, Il sistema d’impresa, Cedam, Padova, 1988. Specificamente, per l’impiego di metodi di controllo anticipato a feed forward nelle implementazioni dei piani di risanamento, si veda Paolo Bastia, Crisi aziendali e piani di risanamento, Giappichelli, Torino, 2019.

[9] I meccanismi di monitoraggio predittivo di steering control sono stati introdotti ne letteratura manageriale da William Herman Newman, Constructive control. Design and Use of Control Systems, Prentice Hall, Englewoodcliffs, 1975 (ed. italiana: Direzione e sistemi di controllo, Etas Libri, Milano, 1981). Per la loro applicazione ai piani di risanamento in fase di esecuzione, si vada Paolo Bastia, Gestione della crisi e piani di risanamento aziendali, Giuffré, Francis Lefebvre, Milano, 2022. A livello generale metodologico, il tema è anche sviluppato da Alberto Bubbio e Dario Gulino, Strategia aziendale: controllo, monitoraggio e valutazione, IPSOA, Milano, 2017.

[10] Cfr. Stafford Beer, L’azienda come sistema cibernetico, Isedi, Torino, 1973; Sergio Sciarelli, cit.

[11] Sulla ferrea struttura delle equazioni economica e patrimoniale, come dimostrazione scientifica di rispettivi equilibri, si vedano autorevolmente Aldo Amaduzzi, l’Azienda, Utet, Torino, varie ed.; Carlo Masini, Lavoro e risparmio, Utet, Torino, varie ed. Gli Autori, a loro volta Capi Scuola, sono allievi diretti di Gino Zappa, il fondatore dell’Economia Aziendale italiana.

[12] A fronte di una vita media delle imprese italiane di 13 anni (dato del 2023), la mortalità è più accentuata per le imprese nei primi 5 anni di vita (38,4%), mentre per i successivi 5 anni la mortalità risulta in decelerazione (+ 21%), fonte: Servizio Studi e Ricerca CCIAA Verona, 2023 (statistica@vr.camcom.it).

[13] I concetti e i significati di “segnali deboli” in ambito aziendale e specificatamente nella letteratura strategica internazionale, sono stati introdotti da Igor Ansoff, definiti come “informazioni precoci di bassa intensità che preavvisano una tendenza verso una criticità non ancora imminente. La loro rilevanza segnaletica deriva dal fatto che, se questi dati vengono rilevati in tempo e interpretati correttamente, permettono di anticipare tendenze o eventi rischiosi e di reagire ad essi in via preventiva”: cfr. Igor Ansoff, Managing Strategic Surprise by Response to Weak Signals, in “California Management Review”, Winter, Voll. XVIII, n. 2, 1975. Vedasi altresì Roberto Poli, Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l’incertezza, Egea, Milano, 2019.

[14] In proposito, sui criteri di progettazione e di valutazione dei sistemi informativi aziendali, si veda Paolo Bastia, Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese: criteri di progettazione, in “Ristrutturazioni aziendali, luglio 2021. Circa la definizione di adeguati assetti per le imprese maggiori, si veda Paolo Bastia Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle imprese a struttura complessa e nei gruppi, in “La Magistratura”, ANM, marzo 2022.

[15] Muovendo dal pionieristico lavoro di Alberto Galgano (Qualità totale. Il metodo scientifico nella gestione aziendale, Guerini e Associati, Milano, 2008), la qualità totale, con l’obiettivo di azzeramento dei difetti e degli errori anche nei processi interni aziendali, oggi è una dimensione strategica dell’impresa, che investe tutti i processi operativi: vedasi Marco Sartor e Guido Orzes, La gestione della qualità, Mc Graw Hill, Milano, 2020.

[16] Per le connessioni tra adeguati assetti e segnali di allerta si veda Stefano Ambrosini, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il rapporto con le misure di allerta nel quadro normativo riformato, in “Crisi d’Impresa e Insolvenza”, ottobre 2019.

[17] Cfr. Tribunale di Roma, Ordinanza del 15 settembre 2020, Pres. Giuseppe Di Salvo). In dottrina, si veda il bel saggio di Raffaella Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in “Il Fallimento”, luglio 2022.

[18] Scrive infatti lucidamente Luciano Panzani che: “Ora con l’art. 3 il legislatore, riprendendo la definizione dettata dall’art. 2086 e prima ancora dall’art. 2381 c.c., precisa non tanto in che cosa consistono gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, ma quali sono gli obiettivi che tali assetti debbono garantire ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa. Questi obiettivi sono indicati nei commi 3 e seguenti della norma, che al secondo comma chiarisce anche che essi debbono essere soddisfatti non soltanto dagli assetti obbligatori per le società e le imprese collettive, ma anche dalle misure che debbono adottare le imprese individuali secondo il primo comma. Nella sostanza il legislatore riduce di molto la differenza di contenuto degli obblighi di tempestiva rilevazione della crisi a carico delle imprese societarie e collettive e delle altre imprese perché se è vero che soltanto le prime debbono istituire e mantenere assetti adeguati, gli obiettivi che le misure previste per le imprese individuali e gli assetti previsti per quelle collettive e societarie debbono assicurare sono i medesimi.”: cfr. Luciano Panzani, La composizione negoziata dopo lo schema di decreto legislativo del C.d.M. del 17 marzo 2022, in “Diritto della crisi”, aprile 2022, par. 4.

[19] Per un approfondimento esaustivo sugli strumenti diagnostici predittivi della crisi si veda Paolo Bastia, cit., 2022.

[20] Si veda in proposito Osvaldo Paganelli, La contabilità analitica d’esercizio, Patron, Bologna, 1973. Sul piano della concretezza operativa, la scala di intervento per l’introduzione di un sistema contabile più evoluto rispetto a quanto meramente occorrente per gli obblighi di redazione del bilancio d’esercizio, in assenza di competenze interne specifiche e di dotazioni metodologiche e informatiche, richiede almeno in una fase iniziale, per le imprese minori, l’outsourcing delle funzionalità, anche per una più contenuta incidenza sia di investimento che di costo di funzionamento. Si osserva da più parti che l’introduzione degli obblighi di rilevazione più evoluti rispetto al passato non è stato accompagnato da forme di incentivazione e di contenimento dei costi a carico del sistema delle imprese.

[21] Cfr. Tribunale di Cagliari, Sezione Imprese, 19 gennaio 2022; Tribunale di Catanzaro, decreto del 6 febbraio 2024.

[22]  Sulla natura dell’azienda di sistema aperto e come tale interdipendente con l’ambiente esterno, si veda Sergio Sciarelli, cit.

[23] Sul punto si leggano le brillanti osservazioni di Stefania Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, n “Il diritto fallimentare e delle Società Commerciali”, fascicolo 3-4, 2022.

 

[24] Cfr. Valentina Pettirossi, Il ruolo dei creditori pubblici qualificati nell’emersione tempestiva della crisi. Implicazioni delle segnalazioni per il governo dell’impresa, in “Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali”, n. 6, 2022.

[25] Talune prime pronunce giurisprudenziali sull’obbligo di predisposizione di adeguati assetti sono state assunte sulla base di ricorso ex art. 2409 c.c. promosso su iniziativa del collegio sindacale o del socio di minoranza. Si veda in proposito: Tribunale di Milano, Sez. Specializzata in materia di imprese, provvedimento del 18 ottobre 2019, in www.giurisprudenzadelleimprese.it:  ne risulta che la controversia ha avuto origine da due ricorsi ex art. 2409 c.c., depositati dai collegi sindacali di due società (l’una controllante e l’altra controllata), per denunciare diverse irregolarità compiute da due amministratori unici, succedutesi uno all’altro e comuni alle due società, concernenti, in particolare, «inadempienze e atteggiamenti omissivi od inerti in ambito organizzativo e gestionale», tali da non consentire la verifica della continuità aziendale. Per una conferma di tale orientamento, si veda altresì: Tribunale Catania, Sez. spec. in materia di imprese, Decreto, 8 febbraio 2023.