Articolo

La nullità dei contratti per concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto, alla prova degli insegnamenti della suprema corte sulle nullità “virtuali” *


Edoardo Staunovo-Polacco
Articolo

La nullità dei contratti per concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto, alla prova degli insegnamenti della suprema corte sulle nullità “virtuali” *


Edoardo Staunovo-Polacco

Data pubblicazione
29 luglio 2024

Scarica PDF

Articoli

TORNA INDIETRO

Sommario: 1. Premessa. 2. Le decisioni di merito dichiarative della nullità contrattuale. 3. I richiami a Cass. 16706/2020 e il tenore di tale pronuncia. 4. L’ipotesi di una nullità contrattuale per inosservanza dei principi di sana e prudente gestione. 5. L’ipotesi di una nullità contrattuale per concorso nell’aggravamento del dissesto. 6. Le peculiarità dei finanziamenti con garanzia pubblica e privilegio in surroga. 7. Conclusioni.


1. Premessa.

Il tema della concessione di credito alle imprese in crisi o insolventi – e delle censure passibili di essere mosse alle banche finanziatrici in caso di fallimento (ora liquidazione giudiziale) del finanziato[1] – ha iniziato ad interessare i contenziosi fra banche e procedure concorsuali da due decenni circa, con una particolare concentrazione negli ultimi anni, dopo che – inter alia – si è constatato in via pressoché definitiva il venir meno delle liquidità acquisibili dalle curatele con le azioni revocatorie fallimentari delle rimesse in conto corrente bancario, decimate, nel numero e negli importi, dalla lett. b) del terzo comma dell’art. 67 l. fall., in combinato disposto con l’art. 70, terzo comma, l. fall., introdotti dall’ormai datato d.l. 35/2005 e rimasti sostanzialmente invariati nei successivi interventi normativi[2].

Appena due anni dopo la prima riforma dell’art. 67 l. fall., le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sul tema (preliminare) della legittimazione del curatore all’azione risarcitoria per il danno cagionato ai creditori del fallito da una concessione creditizia che fosse giudicata “abusiva”.

La legittimazione venne negata, per essere riconosciuta ai singoli creditori pregiudicati dalla condotta del fallito e della banca eventualmente concorrente nell’illecito[3].

Negli anni successivi quella legittimazione venne invece riconosciuta in relazione al danno al patrimonio sociale cagionato dall’aggravamento del dissesto conseguente alla concessione creditizia illegittima[4]; ed il quadro è cambiato ulteriormente negli anni più recenti, perché i Giudici di legittimità, a partire dal 2021, hanno preso a riconoscere la legittimazione del curatore non solo quanto al danno arrecato al patrimonio sociale, ma anche per i danni subiti dai creditori[5], tra l’altro con un riferimento all’azione risarcitoria ex art. 146 l. fall. come “azione di massa”.

Le presenti note non sono dedicate a questa tipologia di iniziative, per cui non è possibile approfondire le varie problematiche che pongono in termini astratti e concreti; vuoi sempre sul tema della legittimazione attiva[6], vuoi su quello della natura dell’azione[7], vuoi sule condotte foriere di responsabilità e sui profili attinenti al nesso causale[8], vuoi, infine, sulla determinazione del danno nell’an e nel quantum[9].

Questa sede è dedicata, invece, all’approfondimento di un’altra tematica, perché la fattispecie della concessione abusiva di credito, ricollegata all’aggravamento del dissesto, ha aperto un altro fronte contenzioso fra banche e procedure concorsuali, declinato in termini di validità o invalidità dei contratti con i quali la finanza “abusiva” sia stata erogata.

Alla data della stesura delle presenti note risultano allo scrivente – senza pretesa di completezza – quattro significative decisioni di merito, rese in altrettante opposizioni allo stato passivo, le quali, avendo ritenuto in vario modo abusive determinate concessioni creditizie, ed avendole riconnesse all’aggravamento del dissesto conseguente alla indebita prosecuzione dell’attività della fallita tale da integrare il reato di cui all’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall. (ora, nella liquidazione giudiziale, art. 323, primo comma, n. 4, CCII), grazie al richiamo ad un precedente di legittimità sul quale avremo modo di intrattenerci hanno dichiarato nulli i contratti bancari. In un caso (ma il principio è richiamato anche in altri due), le banche creditrici non sono state ammesse al passivo neanche per ripetizione di indebito, essendo stata ritenuta, la fattispecie, contraria al buon costume economico.

Nel presente contributo, dato per scontato – e quindi senza bisogno di chiarimenti – che dal punto di vista delle condotte e delle loro negative conseguenze patrimoniali l’ambito risarcitorio e quello della validità dei contratti coincidono, e che, trattandosi di concorso in bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, è necessaria la ricorrenza di tutti i presupposti che integrano la fattispecie delittuosa[10], si esamineranno innanzitutto le argomentazioni poste alla base di tali pronunce, rese, come già detto, nella sede di cui all’art. 98 l. fall.; dopodiché si verificherà se trovino davvero conforto nella pronuncia di legittimità da esse invocata, e si cercherà poi di comprendere se la soluzione di una nullità, come ravvisato da quelle decisioni, sia davvero praticabile, anche alla luce di recenti arresti di legittimità sui cc.dd. “reati in contratto” e – a Sezioni Unite – sulle cc.dd. “nullità virtuali”; per concludere, infine, con un breve cenno sui finanziamenti assistiti da garanzia pubblica con privilegio in surroga (SACE/MCC).

 

2. Le decisioni di merito dichiarative della nullità contrattuale.

Ad avere inaugurato il filone giurisprudenziale di merito è stato un decreto del Tribunale di Vicenza del 19.5.2022[11], che ha dichiarato la nullità di due mutui concessi ad una società, poi fallita, la quale avrebbe manifestato, all’epoca delle stipulazioni, segnali di dissesto; finanziamenti, quelli, che da un lato sarebbero stati utilizzati per estinguere pregressi crediti chirografari del mutuatario nei confronti della banca stessa, dall’altro avrebbero aggravato il dissesto societario “per importo almeno pari a quello dei finanziamenti erogati”.

La motivazione richiama alcuni stralci della sentenza della Corte di Cassazione di cui si è fatto cenno in premessa: si tratta di Cass. 5 agosto 2020, n. 16706[12], dei quali il Giudice vicentino riprende i seguenti passaggi motivazionali[13]:

- “è invero principio consolidato che " in tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell'art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato" (Cass. 18016/2018, 14234/2003), regola applicabile ad ogni fattispecie contrattuale, come nel caso del finanziamento ad impresa in dissesto, che s' inserisca, ritardandolo, nell' iter organizzativo e di progressione delle proprie scelte, già ricadenti come doveri giuridici specifici a carico dell'imprenditore, di richiedere senza indugio il proprio fallimento o comunque di non espandere le dimensioni della propria insolvenza mediante operazioni dilatorie, versando in grave colpa” (v. Cass. 16706/2020, punto 14 della motivazione);

- se è vero, ed anzi ovvio, che è ben possibile e lecito il finanziamento all' impresa in crisi anche da parte di soggetti diversi da istituti che esercitino professionalmente il credito, nondimeno l' invocazione in questa sede della apparente non speculatività dell'apporto di provvista (non dotato di specifiche garanzie e nemmeno formulato per un'ipotesi di prededuzione) non integra di per sè anche la sua immunità da una concorrente valutazione di illiceità ove inserito in un contesto di ambigua negoziazione iniziale, tardiva qualificazione giuridica e finale innesto in una vicenda di aggravamento riprovevole del dissesto dell' impresa finanziata” (v. Cass. 16706/2020, punto 15 della motivazione).

Il decreto nega poi il diritto della banca all’ammissione al passivo per le somme erogate, a titolo di ripetizione di indebito, e lo fa richiamando i seguenti passi, sempre di Cass. 16706/2020:

- “la norma di cui all'art. 2035 c.c. … funge da limite legale all'applicabilità del precedente art. 2033, di modo che il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi su una "condictio ob iniustam causam", deve procedere d'ufficio, e sulla base delle risultanze acquisite, alla ulteriore valutazione dell'atto o del contratto di cui abbia ravvisato l'illegalità o la contrarietà all'ordine pubblico, sul diverso piano della sua contrarietà al buon costume” (v. Cass. 16706/2020, punto 17 della motivazione);

- “tale seconda, concorrente, violazione promana dal riconoscimento al contempo del pregiudizio obiettivamente occorso alla massa dei creditori per effetto dell'incremento delle dimensioni della decozione, causato - come unico scopo, ai fini qui ora in rilievo - da condotte consapevolmente compartecipative nel mantenere al di fuori della concorsualità l’imprenditore che già versava in tutti i suoi presupposti oggettivi” (v. Cass. 16706/2020, punto 18 della motivazione);

- “la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della

morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze

etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico” (v. Cass. 16706/2020, punto 17 della motivazione);

- [con riferimento all’irripetibilità, essa viene definita] “una ‘sanzione’ (civile)” a carico “di un soggetto che ha condotto un comportamento disdicevole alla luce del sentire comune, così valorizzando - come detto - le clausole generali volte ad imporre, a chi si immette nel traffico giuridico e nelle reti interimprenditoriali in particolare, prestazioni conformate secondo buona fede, secondo criteri non moralistici, si può aggiungere, ma di concorrente condivisa opportunità e utilità sociale nelle relazioni ordinate di mercato, che non sopportano la permanenza artificiale in esso di concorrenti decotti, la cui insolvenza sia resa occulta ovvero ingiustificatamente ritardata nella sua emersione e strumentalizzata per operazioni in danno dei creditori” (v. Cass. 16706/2020, punto 21 della motivazione);

- infine, “gli interrogativi sui margini di iniquità sottostanti all'antica regola per cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis, appaiono nella fattispecie almeno parzialmente eludibili, considerando che la retentio si risolve in una inopponibilità immediata di vantaggio non tanto per il contraente che, al pari del solvens, versava in una situazione di immoralità, bensì - allo stato - per la massa dei creditori” (v. Cass. 16706/2020, punto 22 della motivazione).

A breve distanza da questa prima pronuncia è seguito il decreto del Tribunale di Torino in data 4 ottobre 2022[14], che, sempre in sede di opposizione allo stato passivo, ha escluso dal concorso un credito riveniente da un finanziamento chirografario con garanzia del Mediocredito Centrale concesso ai sensi del dell’art. 13, comma 1, lett. m), d.l. 23/2020 (quindi un finanziamento “Covid”), per averlo la Banca accordato ad una società già in crisi, senza valutarne il merito creditizio, violando perciò il principio della “sana e prudente gestione” di cui all’art. 5 TUB.

Su tali basi, senza prendere posizione, per il resto, sui danni che il finanziamento avrebbe cagionato alla società o ai creditori sociali in termini di aggravamento del dissesto, il Collegio torinese ha dichiarato la nullità del mutuo ed ha argomentato dell’irripetibilità della somma erogata, richiamando la già citata Cass. 16706/2020, nonché Cass. 31 maggio 2022, n. 17568[15], resa in tema di nullità virtuale per violazione di norme penali, della quale si dirà nel seguito del presente scritto.

La terza pronuncia è del Tribunale di Asti ed è resa in data 8 gennaio 2024[16]. In quella vicenda si discuteva di un finanziamento ex art. 13, comma 1, lett. e), d.l. 23/2020 (quindi un finanziamento “Covid” di rinegoziazione del debito), che il Giudice astigiano ha ritenuto concesso in una situazione di dissesto dell’impresa finanziata.

In punto di diritto, e per quanto interessa il tema in esame, la decisione ha dichiarato la nullità del mutuo sempre per violazione del principio della “sana e prudente gestione” di cui all’art. 5 TUB, e vi ha aggiunto la nullità ex art. 1418 c.c. per essere stato il finanziamento idoneo a procrastinare la dichiarazione di fallimento dell’impresa e ad aggravarne il dissesto, in contrasto con l’articolo 217, comma 1, n. 4, l. fall. Il tutto, con espresso richiamo sia alla decisione del Tribunale di Torino di cui si è appena detto, sia alla già menzionata Cass. 16706/2020.

Infine, la quarta decisione è del Tribunale di Ferrara ed è del 3 maggio 2024[17]: essa ha escluso dal passivo un credito per l’utilizzo di un’apertura di credito in conto corrente (ad un certo punto consolidata), e lo ha fatto appoggiandosi, in punto di diritto, sia a Cass. 16706/2020, sia alle decisioni del Tribunale di Vicenza e del Tribunale di Torino delle quali abbiamo detto in precedenza, indicando in punto di diritto, quale norma penale violata, l’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., e in punto di fatto, quanto all’aggravamento del dissesto, l’aumento dell’indebitamento della società, in particolar modo nei confronti dell’erario.

Sintetizzando, dunque, la giurisprudenza di merito che si è espressa nel senso della nullità dei contratti dei finanziamenti alle imprese in crisi (i) ha valorizzato ampiamente Cass. 16706/2020 [il Tribunale di Torino anche Cass. 17568/2022, n.d.r.], e (ii) ha fondato l’affermazione dell’invalidità vuoi sulla violazione del principio di sana e prudente gestione nelle concessioni creditizie da parte delle banche, vuoi sul concorso del finanziatore nell’aggravamento del dissesto, per avere quelle erogazioni (anche in termini di mero riscadenzamento del debito), agevolato la prosecuzione di un’attività imprenditoriale insolvente, risoltasi con ulteriori debiti/perdite.

3. I richiami a Cass. 16706/2020 e il tenore di tale pronuncia.

 

3.1 Abbiamo visto che i quattro precedenti sopra richiamati hanno tutti invocato, a fondamento delle rispettive decisioni in diritto, Cass. 16706/2020: il Tribunale di Vicenza con trascrizione di alcuni passaggi motivazionali; le altre decisioni con richiami più sintetici.

Nel CED Cassazione, in relazione a tale pronuncia si rinvengono due massime[18]:

- la rv. 658613-02, così formulata: “In sede di insinuazione al passivo del fallimento, deve ritenersi nullo ex art. 1418 c.c. il titolo negoziale dissimulante un negozio di finanziamento (nella specie erogato in più tranches a fronte di forniture non eseguite) stipulato dall'imprenditore insolvente, in violazione del dovere di richiedere senza indugio il fallimento o comunque di non aggravare il dissesto dell'impresa con operazioni dilatorie, in quanto contrario a norme imperative, in particolare di natura penale, quali il divieto di aggravare il dissesto e di ordine pubblico economico, integrando la relativa stipula una fattispecie di reato (art. 217, 1° comma, n. 4, l.fall.), di cui è chiamato a rispondere, a titolo di concorso, anche il finanziatore”;

- la rv-658613-03, del seguente tenore: “Ai fini dell'applicazione della soluti retentio prevista dall'art. 2035 c.c., le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quelle che non rispondo[no] ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l'erogazione di somme di denaro in favore di un'impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all'imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l'esposizione debitoria dell'impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine «predatoria» nei confronti di soggetti economici in dissesto”.

La lettura evidenzia due chiari sintomi di una peculiarità del caso di specie, inidonea, come vedremo, a consentire generalizzazioni:

- nella prima massima, si tratta del riferimento ad un “titolo negoziale dissimulante un negozio di finanziamento (nella specie erogato in più tranches a fronte di forniture non eseguite)”;

- nella seconda, il riferimento, in chiusura di massima, è ad una “disinvolta attitudine «predatoria»” da parte dell’erogatore del denaro“nei confronti di soggetti economici in dissesto”.

Se si esamina la sentenza nella sua interezza – ovverosia con tutta la motivazione – si constatano tre circostanze.

La prima è che il caso definito dalla Suprema Corte era effettivamente del tutto peculiare, perché, in quella vicenda, la pretesa creditoria insinuata al passivo riguardava forniture a credito effettuate ad un soggetto già in crisi, che si trovava in tal modo ad indebitarsi ulteriormente e ad aggravare il proprio dissesto, nel contesto di un disegno del fornitore finalizzato a rilevarne gli asset, tramite una forma di finanziamento dissimulata, costituta proprio dalle forniture a credito.

I punti 18 e successivi della motivazione rendono evidente che è stata tale ultima circostanza, unita all’aggravamento del dissesto a detrimento delle ragioni dei creditori, ad avere condotto la Corte a ravvisare la nullità della forma dissimulata di finanziamento e la contrarietà della condotta predatoria al buon costume economico, con conseguente irripetibilità degli importi per il “finanziatore”.

La seconda constatazione è che la sentenza non enuncia, in nessun punto, i principi di diritto massimati. La motivazione, infatti. contiene numerosi riferimenti all’antigiuridicità delle condotte del debitore e dei suoi eventuali concorrenti che abbiano determinato l’aggravamento del dissesto con il ritardo nella dichiarazione di fallimento (constatazione peraltro ovvia, se è vero che esiste l’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall.); ma non sono meno incisivi i collegamenti di tali condotte con lo scopo predatorio di colui che, inducendo l’aggravamento del dissesto del cliente, finisca per impadronirsi della sua attività tramite finanziamenti dissimulati.

In tale complesso iter motivazionale, sia consentito dire che le massime non appaiono ineccepibili, nei termini in cui risentono di una sminuita rilevanza della componente dissimulata e predatoria della vicenda, relegata ad incisi secondari ben difficilmente inquadrabili, nella loro reale portata, da chi si limiti a leggere le massime, senza addentrarsi nella disamina dell’intera motivazione.

La terza considerazione, in termini più generali, è che la Suprema Corte non ha mai affermato che il finanziamento all’impresa in crisi sia illegittimo[19].

Al punto 15 della motivazione, anzi, è scritto esattamente il contrario, ossia, testualmente, che “è vero, ed anzi ovvio, che è ben possibile e lecito il finanziamento all'impresa in crisi anche da parte di soggetti diversi da istituti che esercitino professionalmente il credito”; salvo poi aggiungere, la Suprema Corte, che a tale conclusione non si può pervenire “in un contesto di ambigua negoziazione iniziale, tardiva qualificazione giuridica e finale innesto in una vicenda di aggravamento riprovevole del dissesto dell'impresa finanziata”, vale a dire, come già detto, e come si ricava anche proseguendo la lettura della motivazione, nell’ambito di un disegno di natura predatoria finalizzato all’acquisizione degli assets del cliente, dopo averne aggravato il dissesto in assenza, per il resto, di utilità sociale.

3.2 Questo essendo ciò che si ricava dalla lettura della pronuncia di cui discute, in termini generali non si può nascondere qualche dubbio, perché, nel muoversi nei concetti di buon costume, ordine pubblico e similari, si annida sempre il rischio di lasciare la definizione del lecito e dell’illecito al fatto che la vicenda giuridica sia o non sia gradita “alle personali convinzioni giuridiche o, peggio, sociologiche o addirittura politiche dell'interprete [20], con chiaro pregiudizio, inter alia, delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici. Per non dire del fatto che, alla stregua della decisione in esame, sarebbe da porre nel nulla per contrarietà al buon costume economico una ampia galassia di attività speculative che giornalmente interessano l’economia, ogniqualvolta il vantaggio dello speculatore comporti un sacrificio di interessi altrui, anche di carattere pubblico, che venga ritenuto eccessivo[21]. Questo, probabilmente, secondo alcune visioni sarebbe auspicabile, ma richiederebbe indicazioni chiare ed inequivocabili, non rimesse certo alla sensibilità dei singoli nell’interpretazione di concetti di carattere generale, facendovi rientrare, potenzialmente, qualsiasi cosa.

Chiusa, ad ogni modo, questa parentesi, è di tutta evidenza che stiamo parlando di una decisione inidonea a consentire l’affermazione, in termini generali, di una nullità dei finanziamenti alle imprese in crisi qualora il finanziatore non abbia osservato i principi di sana e prudente gestione e/o abbia favorito una prosecuzione dell’attività d’impresa i cui risultati siano stati quelli di aggravare il dissesto[22].

Sotto questo punto di vista non si possono nascondere le perplessità che sono sorte nel leggere – come si è letto in particolar modo in uno, fra i precedenti di merito sopra citati – passaggi motivazionali della decisione della Suprema Corte per stralci, del tutto avulsi dal contesto e con totale pretermissione delle peculiarità del caso.

Né si può omettere di segnalare, per completezza ricostruttiva, che la seconda massima ufficiale della decisione di legittimità (la n. 658613-03), unitamente ad uno dei suoi passaggi motivazionali, sono stati ripresi nella motivazione di Cass. 19 febbraio 2024, n. 4376[23]. Essa ha deciso, in termini analoghi a Cass. 16706/2020 [nullità del finanziamento ed irripetibilità ex art. 2035 c.c., n.d.r.], un caso ancora più peculiare e grave di quello del finanziamento dissimulato di carattere predatorio: anche quella sede era un’opposizione allo stato passivo e la pretesa creditoria aveva ad oggetto i compensi di amministratore ed i finanziamenti eseguiti da un socio, vice-presidente ed amministratore delegato della fallita, nel contesto di una attività truffaldina da lui condotta, talmente ampia e fraudolenta da essere stata ripresa dagli organi di stampa nazionali ed internazionali per le gravi implicazioni penali ed i danni multi-milionari che ha arrecato agli investitori che hanno creduto nella bontà dell’iniziativa imprenditoriale.

Anche questa decisione, se letta nella sua interezza (ferme restando le riserve già espresse, in termini generali, su Cass. 16706/2020), non afferma mai una nullità dei contratti di credito agli insolventi per concorso nell’aggravamento del dissesto, e per le particolarità che la contraddistingue non autorizza alcuna generalizzazione, al pari della pronuncia del 2020.

 

4. L’ipotesi di una nullità contrattuale per inosservanza dei principi di sana e prudente gestione.

Assodato, dunque, che la nullità affermata dalle decisioni di merito esaminate in precedenza non può trovare approdo nella pronuncia di legittimità ivi – ciononostante – ampiamente invocata, non resta che verificare se le violazioni affermate da quei tribunali possano davvero produrre invalidità contrattuale; iniziando dall’inosservanza del principio di “sana e prudente gestione” nell’erogazione del credito.

Quel principio detta regole che mirano a proteggere gli intermediari dall’assunzione di rischi non adeguatamente ponderati o comunque eccessivi. Quindi, esse sono poste a tutela delle banche, le quali, al contempo, sono i soggetti che vengono danneggiati dalla declaratoria di nullità dei finanziamenti (per non dire dell’irripetibilità delle erogazioni).

I termini della questione sono esattamente quelli vagliati dalla giurisprudenza in tema di mutui fondiari, nell’ambito del contenzioso esploso negli ultimi anni sul superamento del c.d. “limite di finanziabilità” ex art. 38 TUB, con svariate decisioni di legittimità e di merito che ebbero a dichiarare la nullità dei finanziamenti, prima che le Sezioni Unite della Suprema Corte risolvessero la diatriba[24] con la sentenza 16 novembre 2022, n. 33719[25].

Quella decisione nomofilattica ha enunciato, tra l’altro, il seguente principio di diritto:

In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, non costituisce un elemento essenziale del contenuto del contratto, non essendo la predetta norma determinativa del contenuto medesimo, né posta a presidio della validità del negozio, bensì un elemento meramente specificativo o integrativo dell'oggetto contrattuale, fissato dall'Autorità di vigilanza sul sistema bancario nell'ambito della c.d. "vigilanza prudenziale", in forza di una norma di natura non imperativa, la cui violazione è, dunque, insuscettibile di determinare la nullità del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), che potrebbe condurre al pregiudizio proprio di quell'interesse alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito che la disposizione mira a proteggere”.

Già queste parole sono sufficienti a dimostrare l’impraticabilità di una qualsivoglia sanzione di nullità dei finanziamenti bancari per violazione dei principi di sana e prudente gestione, perché anche nella fattispecie in esame ci muoviamo “nell'ambito della c.d. ‘vigilanza prudenziale’”, ed anche in questo contesto l’invalidità “potrebbe condurre al pregiudizio proprio di quell'interesse alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito che la disposizione mira a proteggere”.

Ancora più incisivo, in questi termini, è quanto si legge al punto 8.8 della motivazione.

Qui le Sezioni Unite chiariscono che in senso contrario alla nullità “è risolutivo l'argomento secondo cui non ogni violazione di norma imperativa può dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare”.

Dopodiché, si aggiunge che la disciplina della vigilanza prudenziale sul contenimento dei rischi nella concessione del credito individua essa stessa l’interesse tutelato, il quale “finirebbe per essere leso qualora si propendesse per la nullità (e il travolgimento) del contratto: ‘far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria) condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere’ (cfr. ordinanza interlocutoria)”.

I Supremi Giudici argomentano ulteriormente, poi, che “‘la comminatoria della nullità del contratto di mutuo (oltre che dell'accessoria garanzia ipotecaria) retrocederebbe la pretesa della banca mutuante a mera pretesa chirografaria fondata sulla generica ripetizione dell'indebito oggettivo ai sensi dell'art. 2033 c.c.: così vanificandosi l'obiettivo di una sana e prudente gestione volta a prevenire il rischio di sovraesposizione della banca, articolato sull'esigenza di assicurare alla banca il recupero dell'importo finanziato in sede di esecuzione forzata. Tale opportunità è, invece, compromessa ove il mutuo eccedentario sia considerato nullo e con esso, altresì, l'ipoteca connessa; e senza contare che la soluzione invalidante contrasta pure con l'interesse del mutuatario, costretto a restituire immediatamente le somme prese in prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio ed eventualmente sull'attività di impresa" (così Cass. sez. III n. 7509 del 2022)”.

Né si ometta la lettura del punto 8.6, ultimo capoverso, della motivazione stessa, nel quale le Sezioni Unite hanno chiarito che “Se è vero che qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, seppur disciplinante atti negoziali, ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di "preminenti interessi generali della collettività" o "valori giuridici fondamentali" (così Cass. SU n. 8472 del 2022 cit.), quale non è quello di cui si tratta che mira a preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, come condivisibilmente rilevato dai precedenti del 2013 (n. 26672 e 27380)”.

Sulle basi di questa approfondita ricostruzione nomofilattica, la nullità di un finanziamento bancario per violazione, da parte dell’istituto erogante, di regole poste a sua tutela, non è fondatamente predicabile, essendo anzi una contraddizione logico-giuridica.

Infine, si aggiunga che il tema dell’osservanza o inosservanza, da parte della banca finanziatrice, delle regole sulla sana e prudente gestione, potrebbe richiamare, per certi versi, anche quello delle “regole di comportamento” che le parti devono osservare nella fase anteriore o coeva alla stipulazione del contratto.

Un tale approccio non sarebbe del tutto persuasivo, perché quelle regole riguardano il comportamento delle parti l’una nei riguardi dell’altra, mentre l’ottica della sana e prudente gestione, alla luce di quanto precede, riguarda il comportamento della parte finanziatrice nei confronti delle proprie possibilità di recupero dei crediti concessi; quindi, in ultima analisi, di se stessa.

Comunque, se anche si volesse vagliare l’argomento, l’esercizio si concluderebbe immediatamente, dovendosi constatare che quelle regole sono estranee alla struttura ed al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, o con diversa espressione alle norme inderogabili concernenti la validità del negozio, per cui la loro violazione non determina nullità, sempre in base alla giurisprudenza della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite[26].

 

5. L’ipotesi di una nullità contrattuale per concorso nell’aggravamento del dissesto.

Resta ora da esaminare se la nullità negoziale possa essere affermata per concorso della banca finanziatrice nella violazione dell’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., ed al riguardo i piani da esaminare sono due: uno prettamente civilistico; l’altro sempre civilistico, ma che sconfina nel diritto penale.

 

5.1. Iniziando dal primo versante, la norma in esame prevede il reato di chi “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”. È immediata, dunque, la constatazione che non detta alcuna ipotesi di nullità e non lo fa per nessuna tipologia di contratto, per cui non siamo al cospetto – in tutta evidenza – di una “nullità testuale” qual è, ad esempio, per i mutui, quella di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., che sanziona di nullità le clausole con le quali vengano pattuiti interessi usurari (e soggiunge che non sono dovuti interessi).

In mancanza di previsioni di nullità testuale, fra gli interpreti è invalsa la tendenza a ricercare “nullità virtuali”, ossia nullità negoziali, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, c.c., per contrarietà a norme che, a vario titolo – e spesso, anche a questo riguardo, con una certa libertà – vengono assunte come “imperative”.

Un tentativo del genere, nella fattispecie in esame, pare destinato a sicuro insuccesso.

La norma incriminatrice qui scrutinata, infatti, ha ad oggetto una condotta dell’imprenditore generalmente intesa ed un evento ad essa conseguente, non già la stipulazione di contratti o di clausole contrattuali; per cui non detta, per tabulas, alcuna regola che si possa o si debba inserire nella struttura dei negozi giuridici, tantomeno con la pretesa di essere imperativa.

Inoltre, se questa prima considerazione potesse essere superata, si dovrebbe considerare che, ad ammonire sui confini da non travalicare nella valutazione delle nullità virtuali, sono intervenuti due recenti pronunciamenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Il più datato è Cass. SS.UU. 15 marzo 2022, n. 8472[27], il quale, nel vagliare se la fideiussione prestata da un soggetto non iscritto nell’albo speciale di cui al previgente art. 107 TUB fosse o non fosse passibile di nullità, ha chiarito che “La nullità negoziale, ex art. 1418 c.c., comma 1, deve dunque discendere dalla violazione di norme (tendenzialmente, seppur non necessariamente, proibitive) aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale la nullità del rapporto negoziale, neppure evocando astrattamente valori o interessi di ordine generale (come, nella specie, la stabilità e integrità dei mercati), cui possono contrapporsi altri valori e interessi di rango costituzionale, tra i quali quelli alla libertà negoziale e al diritto di iniziativa economica (tutelati anche nella Carta dei diritti fondamentale della UE, art. 16) con i limiti indicati nella Costituzione (art. 41, commi 1 e 2)”.

La pronuncia più recente, invece, è la già ricordata Cass. SS.UU. 16 novembre 2022, n. 33719. Nel valutare la nullità dei mutui fondiari in caso di superamento del limite di finanziabilità, essa ha confermato l’approccio di Cass. SS.UU. 8472/2022 ed ha approfondito ulteriormente l’argomento, con le seguenti considerazioni:

- “una norma prima di essere imperativa dev'essere prescrittiva di un contenuto, specifico e caratterizzante, inerente al sinallagma contrattuale che possa definirsi essenziale, la mancanza del (o difformità dal) quale renderebbe nullo il contratto (ex art. 1418, commi 1 e 2, in relazione agli artt. 1343, 1345 e 1346 c.c.)” (v. motivazione, punto 8.1, ultimo capoverso);

- “la nullità negoziale (virtuale) "deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale" (Cass. SU n. 8472 del 2022)” (v. motivazione, punto 8.3, penultimo capoverso);

- “Le Sezioni Unite hanno osservato di recente che "pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullità negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione - e quella di norma imperativa - come strumento di reazione dell'ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali"; che "nella ricordata evoluzione giurisprudenziale si è intravisto in dottrina il segno del passaggio dal "dogma della fattispecie" al "dogma dell'interesse pubblico", intendendosi con quest'ultima espressione segnalare, in termini critici, l'eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali" (Cass. SU n. 8472 del 2022). Una conferma di quest'impostazione proviene da quell'orientamento dottrinale che vede nella nullità uno strumento per rimodellare il rapporto contrattuale secondo canoni e criteri valutativi fondamentalmente preordinati ad obiettivi di equità, proporzionalità e giustizia, i quali tuttavia - si deve precisare - dovrebbero pur sempre essere vagliati preventivamente dal legislatore il cui silenzio, lungi dall'essere irrilevante o neutro, molto spesso è decisivo nel senso di escludere la nullità” (v. motivazione, punto 8.7, secondo capoverso).

Tenendo presente questi insegnamenti, non è difficile riflettere che (i) la norma dell’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., non si occupa di contratti (circostanza, di per sé, già decisiva), e (ii) come ovvia conseguenza non ha nessun “contenuto, specifico e caratterizzante, inerente al sinallagma contrattuale che possa definirsi essenziale”, tale da poter condurre a nullità negoziali di sorta.

Il tutto, anche a voler trascurare il tema del “dogma dell'interesse pubblico”, sovente abusato, come i Giudici nomofilattici non hanno mancato di evidenziare.

 

5.2. Il piano puramente civilistico, dunque, esclude ogni possibilità di affermare invalidità contrattuali per concorso nell’aggravamento del dissesto, per cui possiamo passare, ora, al versante che presenta ambiti di sovrapposizione con il diritto penale[28].

Come già ricordato, l’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., prevede il reato di chi “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.

Dunque, la condotta e l’evento delittuoso si identificano nell’aggravamento del dissesto[29], che può essere contestato a chi non abbia chiesto la propria dichiarazione di fallimento o abbia tenuto altro comportamento connotato da colpa grave.

Quando si confrontano con gli atti negoziali, le fattispecie di reato hanno conseguenze di carattere civilistico che, in determinati casi, possono sfociare nella nullità contrattuale. Si verte, in tali ipotesi, di “nullità virtuali per violazione di norme penali”.

Sul punto, la più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’individuazione del trattamento civilistico del contratto dipende dal rapporto che, di volta in volta, si abbia tra reato e contratto (o negozio). Tradizionalmente, quando il negozio si è concluso commettendo un reato, si usa distinguere l'ipotesi dei reati commessi nell'attività di conclusione di un contratto, cioè dei c.d. «reati in contratto», e l'ipotesi dei reati che consistono nel concludere un determinato contratto, in sé vietato, cioè dei c.d. «reati contratto»; in sintesi, la distinzione è la seguente: a) nel caso in cui la norma incriminatrice penale vieti proprio la stipulazione del contratto, in ragione dell'assetto degli interessi che esso mira a realizzare, si è al cospetto del c.d. «reato-contratto» (es. la vendita di sostanze stupefacenti; la ricettazione ex art. 648 c.p.; il commercio di prodotti con segni falsi ex art. 474 c.p.); b) allorché, al contrario, la norma penale sanzioni la condotta posta in essere da uno dei contraenti in danno dell'altro nella fase della stipulazione, rileva la categoria concettuale del c.d. «reato in contratto» (si tratta, per lo più, delle fattispecie di reato caratterizzate dalla cooperazione artificiosa della vittima come la violenza privata ex art. 610 c.p., l'estorsione ex art. 629 c.p., la circonvenzione di persona incapace ex art. 643 c.p., l'usura ex art. 644 c.p.).

Su queste basi, la Suprema Corte ha affermato la possibilità di dichiarare nulli non solo i contratti vietati direttamente dalla legge (dunque i “reati-contratto”), ma anche quelli stipulati per effetto diretto della consumazione di reati (id est i “reati in contratto”); e lo ha fatto, recentemente, per i contratti frutto della condotta estorsiva di una parte nei confronti dell’altra, in merito ai quali l’altra opzione interpretativa era quella della sanzione (sempre civilistica), dell’annullabilità[30].

In questo senso si possono richiamare Cass. 31 maggio 2022, n. 17568[31], nonché la conforme Cass. 27 agosto 2020, n. 17959[32], citata nella motivazione della prima pronuncia, la quale è richiamata anche in uno dei precedenti di merito sopra menzionati (Trib. Torino 4 ottobre 2022, cit).

 

5.2.1 Declinando gli insegnamenti alla fattispecie in esame, è immediato il rilievo che non vi è da discutere di “reati-contratto”, per la piana constatazione che non esiste alcuna norma penale che incrimini la stipulazione di contratti creditizi con soggetti in crisi od insolventi; e nulla del genere si legge, in modo altrettanto evidente, nell’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., che – repetita iuvant – si limita a sanzionare colui che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”, ma non vieta la conclusione, con lui, di negozi giuridici di sorta.

 

5.2.2. Altrettanto è a dirsi per i “reati in contratto”, per più concorrenti ragioni.

a) In primo luogo, come ricordato dalla Suprema Corte, tale categoria concettuale si configura quando “la norma penale sanzioni la condotta posta in essere da uno dei contraenti in danno dell'altro nella fase della stipulazione”.

Questo accade senz’altro nella truffa, nella circonvenzione d’incapace, nell’usura, nell’estorsione e negli altri reati commessi nell'attività di conclusione di un contratto, nei quali la condotta penalmente sanzionata reca un pregiudizio (immediato e diretto) alla vittima del reato; ma non si verifica certo nella concessione creditizia a un soggetto in crisi o insolvente, per la semplice ragione che un finanziamento bancario non danneggia nessuno, non concretizza alcun reato in pregiudizio del finanziato, e comunque, se è vero che l’atto delittuoso è riferibile al reo, nella bancarotta semplice l’autore del delitto non può mai essere - per definizione - il finanziatore, perché, nello schema normativo, il reo è il fallito, e siamo in presenza di un reato “proprio”.

Per queste ragioni, quando si parla di bancarotta semplice ex art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., per un finanziamento ad un imprenditore in crisi o insolvente che, astenendosi dal chiedere il proprio fallimento o con altra grave colpa, abbia aggravato il dissesto, siamo ben lontani dalla fattispecie che consente di predicare la nullità virtuale del negozio giuridico in quanto “reato in contratto”.

b) La seconda ragione è ancora più ampia, ed è che se anche, forzando i concetti, si volesse affermare che il finanziamento è comunque una condotta dannosa in relazione all’aggravamento del dissesto che potrebbe conseguire alla sua concessione, sarebbe immediato il rilievo che, nei “reati in contratto”, la stipulazione del negozio consuma essa stessa il reato, mentre, nella bancarotta semplice rapportata ai contratti di finanziamento, ciò non accade mai.

Difatti, dal punto di vista contabile, tecnico, logico e giuridico, nessuna concessione di credito aggrava mai il dissesto di alcuno, e questo, quale che sia la variante in cui si presenta.

Volendo considerare le possibili opzioni, infatti:

(i) se viene concessa nuova finanza il patrimonio rimane invariato, perché l’operazione (vuoi che avvenga in unica soluzione, vuoi che abbia carattere “rotativo”, come nelle aperture di credito o nelle linee auto-liquidanti), apre a bilancio una posta attiva ed una corrispondente posta passiva;

(ii) ove sia rinnovato e/o mantenuto in vita un affidamento preesistente la situazione è ancora più neutra, dato che non vi è concessione di nuove linee creditizie, ma solo la permanenza di quelle già in essere;

(iii) qualora, infine, vi sia un mero riscadenzamento di posizioni pregresse, muta la durata del rimborso (che da “a breve termine” si trasforma in “a medio/lungo termine”), ma rimane ferma l’invarianza patrimoniale per il soggetto che ottiene il riscadenzamento del debito.

La stipula di un finanziamento, in definitiva, a livello contrattuale non ha nulla a che vedere con l’aggravamento del dissesto del finanziato[33], per cui non si comprende dove sia mai il legame tra negozio ed evento delittuoso, tantomeno stretto a un punto tale da legittimare la nullità del primo secondo lo schema dei “reati in contratto”.

Quell’inesistente legame, tra l’altro, non è rinvenibile anche perché, come chiunque può comprendere, l’aggravamento del dissesto dipende, in realtà, dall’esito delle attività non conservative [quelle conservative sono incensurabili per definizione, n.d.r.], che anche, eventualmente, utilizzando il credito concessogli, l’imprenditore abbia posto in essere a valle della stipulazione del contratto creditizio.

A seconda dei casi, quell’esito può essere positivo (operazioni non conservative profittevoli), negativo (operazioni non conservative in perdita), o indifferente (operazioni non conservative in pareggio o operazioni dovute, come ad esempio la conclusione di opere in corso, da portare a termine per non subire più elevate penali o sanzioni); così come quell’esito può essere del tutto indipendente dalle vicende del finanziamento, come quando, sempre per esemplificare, il denaro sia stato utilizzato per operazioni profittevoli o neutre, ma l’imprenditore abbia aggravato il dissesto compiendo altre e diverse operazioni, risoltesi in perdita.

È alquanto chiaro che ciò non ha nulla a che vedere con i contratti di credito in sé, ma riguarda circostanze ad essi esterne, indipendenti dalla loro struttura e successive – logicamente e quasi sempre anche temporalmente – alla stipulazione.

In questi termini, una nullità contrattuale non può essere in alcun modo ipotizzata; ed ancora una volta la conclusione ha il conforto di Cass. SS.UU. 16 novembre 2022, n. 33719, la quale, al punto 8.3 della motivazione (penultimo capoverso), ammonisce circa il rischio “di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi - che non dovrebbero interferire con la questione, che è formale prima che sostanziale, della validità del contratto stesso - dipendenti dai comportamenti delle parti nella fase esecutiva”.

Nella sede nomofilattica, quell’incertezza è stata ritenuta intollerabile in relazione “all’esigenza di verificare ex post l'osservanza del limite di finanziabilità”.

A maggior ragione essa dovrebbe essere ritenuta intollerabile nella presente fattispecie, nella quale si dovrebbe legare la validità del negozio, addirittura, ai risultati economici che la parte finanziata sia riuscita ad ottenere con il denaro ricevuto (se positivi, contratto valido, se negativi, contratto nullo), o più ampiamente ancora dalla propria attività imprenditoriale complessivamente intesa (se in utile, contratto valido, se in perdita, contratto nullo). Cose, queste, del tutto improponibili.

c) Un terzo ed ultimo versante attiene al profilo gergalmente definito come “ritardato fallimento”, che nell’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., si declina nel non avere (l’imprenditore), chiesto tempestivamente l’apertura della propria liquidazione concorsuale.

Anche qui la condotta non ha alcun legame con la stipulazione dei contratti di credito, perché ha ad oggetto la semplice inerzia del fallito nel depositare istanza di fallimento in proprio [o, si deve ritenere, nel domandare l’accesso ad altro strumento di soluzione della crisi o dell’insolvenza, n.d.r.][34], la qual cosa non coincide nemmeno con la condotta e con l’evento delittuoso, i quali invece, nella disposizione in esame, come già detto consistono nell’aggravamento del dissesto.

Per completezza, anche su questo versante si devono svolgere alcuni rilievi.

Il primo è che se, per non incorrere nel delitto di cui si discute, l’insolvente ha il dovere di chiedere tempestivamente il proprio fallimento – o di assumere analoghe iniziative – non si vede come si possa estendere la condotta omissiva ai creditori, ai finanziatori e più in generale ai terzi.

Non serve spiegare – perché sono nozioni di base – che un creditore ha il diritto, ma non ha l’obbligo, di assumere iniziative giudiziali alla scadenza del debito; ha il diritto, ma non ha l’obbligo, di concedere o non concedere dilazioni alla controparte; ed ha il diritto, ma non ha l’obbligo, di adire gli organi di giustizia per l’apertura di procedure concorsuali a carico dei propri debitori[35].

Il secondo rilievo è che, fra i giudici di merito citati nel par. 2, vi è chi ha sovrapposto sic et simpliciter il ritardo nella dichiarazione di fallimento e l’aggravamento del dissesto, in relazione agli interessi sui crediti chirografari che, in caso di tempestiva apertura della procedura concorsuale, sarebbero stati sospesi ai sensi dell’art. 55 l. fall.

Anche questa è un’operazione impraticabile, perché la sospensione di cui si discute ha effetti solo ai fini del concorso ed è del tutto indifferente sia per il debitore che per i creditori: a carico del fallito, infatti, gli interessi maturano anche a fallimento dichiarato; quanto ai creditori, i privilegiati sono fuori discorso[36], e per i chirografari, così come gli interessi corrono o si sospendono sui crediti altrui, corrono o si sospendono anche sui crediti propri, per cui, a parità di tasso[37], la proporzione fra di essi [ed è in proporzione che si viene pagati nel concorso, n.d.r.], rimane invariata vuoi che il fallimento sia anticipato, vuoi che venga ritardato.

La terza ed ultima osservazione è che, sempre scorrendo i provvedimenti di merito sopra commentati, si legge anche che l’aggravamento del dissesto sarebbe avvenuto in misura pari al finanziamento concesso e non rimborsato e/o per effetto dell’incremento di altre passività.

Nuovamente, siamo in presenza di tesi improponibili: vuoi perché, in un ragionamento di carattere patrimoniale finalizzato all’accertamento di una bancarotta semplice ex art. 217, primo comma, n. 4, l. fall., considerano la sola passività derivante da una specifica operazione, dimenticando anche solo la corrispondente posta attiva (id est la nuova finanza); vuoi perché, più in generale, omettono totalmente di confrontarsi con i criteri di valutazione dell’aggravamento del dissesto noti alla giurisprudenza ed anche per certi versi codificati, ora, nell’art. 2486, terzo comma, c.c., criteri, quelli, che impongono per prima cosa di considerare sia le poste passive che le poste attive derivanti, nel complesso, dalla prosecuzione dell’attività d’impresa[38].

Abbiamo visto, in precedenza, che dal punto di vista dei fatti genetici è ovvio che l’ambito risarcitorio e quello della validità dei contratti debbano coincidere, così come è necessario che si integri la fattispecie incriminatrice descritta dall’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall.

Se così è (e non si vede come sia revocabile in dubbio), non si comprende come si possa affermare l’aggravamento del dissesto sulla base di dati atomistici e di assoluta illogicità, qual è il fatto di assumere una o più poste contabili passive, senza neanche curarsi di metterle in relazione con quelle di segno opposto.

 

6. Le peculiarità dei finanziamenti con garanzia pubblica e privilegio in surroga.

Le declaratorie di nullità dei giudici di merito si sono concentrate anche su finanziamenti assistiti da garanzia pubblica; in particolar modo, su finanziamenti ai sensi del d.l. 23/2020, promulgato nel quadro temporaneo per le misure a sostegno dell'economia nell’emergenza COVID-19.

Le censure mosse al riguardo si sono concentrate in primo luogo sul fatto che siano state finanziate imprese in crisi e/o insolventi; dopodiché, si è posta l’attenzione sui ripianamenti di debiti preesistenti ottenuti dalle finanziatrici con le erogazioni concesse ai sensi dell’art. 13, lett. e), d.l. 23/2020.

Su entrambi i versanti, dal punto di vista della nullità contrattuale, non si presentano ragioni per discostarsi dalle conclusioni alle quali si è giunti fin qui.

Per quel che riguarda il finanziamento di imprese in crisi o insolventi, si è detto che non si riescono a ravvisare i presupposti per declaratorie di invalidità negoziali; ferma restando, ovviamente, l’eventuale tutela risarcitoria che dovesse risultare percorribile in base ai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul punto (v. supra, par. 1).

La conclusione non muta anche alla luce della disciplina della garanzia pubblica, in considerazione del fatto che il d.l. 23/2020 fu dichiaratamente derogatorio alla l. 662/1996[39], e consentiva il finanziamento di clienti con preesistenti esposizioni in situazione di “inadempimento probabile”[40], ossia per le quali già in allora risultasse l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempiesse integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie.

Va da sé, peraltro, che se l’iter del rilascio della garanzia risultasse viziato da notizie artefatte del finanziatore, il quale dovesse avere alterato in qualche modo l’istruttoria per assicurarsi il rimborso di una quota del finanziamento al soggetto in crisi a danno – in ultima analisi – della collettività, potrebbero essere azionati gli ordinari rimedi per ottenere la caducazione dell’impegno; in termini del tutto analoghi a qualsiasi garanzia, anche concessa da privati, che fosse ottenuta dal finanziatore inducendo il garante in errore.

Questa caducazione, beninteso, dovrebbe e potrebbe riguardare la garanzia – anche, se del caso, nelle garanzie pubbliche, per violazione dell’art. 316-ter c.p. – ma non anche il finanziamento[41], atteso che il vizio riguarderebbe il rapporto tra garante e garantito, ma rimarrebbe estraneo a quello tra banca e cliente, per cui rimarrebbe in vita il titolo contrattuale inter partes, privo, per il resto, della possibilità per il creditore di procedere all’escussione di SACE, MCC o chi altri.

È utile anche soggiungere che, per le garanzie pubbliche, la caducazione ha una apposita disciplina nelle Disposizioni Operative del Fondo di Garanzia, che, al punto G.1, lett. k), dispongono l’inefficacia “qualora risulti che la Garanzia Diretta è stata concessa sulla base di dati, notizie o dichiarazioni, mendaci, inesatte o reticenti, se determinanti ai fini dell’ammissibilità all’intervento del Fondo, che il soggetto richiedente avrebbe potuto verificare con la dovuta diligenza professionale”, e nelle norme successive è disciplinato l’iter procedimentale. La previsione dell’inefficacia della garanzia, tra l’altro, potrebbe escluderne la nullità o l’annullabilità, in base all’indirizzo secondo il quale le invalidità negoziali non operano quando l'effettività della norma imperativa e gli interessi ad essa sottesi siano assicurati con la previsione di rimedi diversi, quali ad esempio la decadenza da benefici fiscali e creditizi[42].

In merito, invece, ai ripianamenti di pregresse esposizioni, si deve ricordare che anche a tale riguardo il d.l. 23/2020 conteneva una particolare disciplina, in particolar modo alla lett. e) dell’art. 13, a mente del quale erano “ammissibili alla garanzia del Fondo, per la garanzia diretta nella misura dell'80 per cento e per la riassicurazione nella misura del 90 per cento dell'importo garantito dal Confidi o da altro fondo di garanzia, a condizione che le garanzie da questi rilasciate non superino la percentuale massima di copertura dell'80 per cento, i finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento preveda l'erogazione al medesimo soggetto beneficiario di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10 per cento dell'importo del debito accordato in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione ovvero, per i finanziamenti deliberati dal soggetto finanziatore in data successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in misura pari ad almeno il 25 per cento dell'importo del debito accordato in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione. Nei casi di cui alla presente lettera il soggetto finanziatore deve trasmettere al gestore del Fondo una dichiarazione che attesta la riduzione del tasso di interesse applicata, sul finanziamento garantito, al soggetto beneficiario per effetto della sopravvenuta concessione della garanzia”.

In una fattispecie espressamente prevista dalla legge, la nullità del contratto è chiaramente impercorribile; anche perché, per principio consolidato, le operazioni di ripianamento di debiti preesistenti creano semmai problemi di lesione della par condicio, ma, sempre per citare Cass. SS.UU. 16 novembre 2022, n. 33719, “la tutela della par condicio creditorum non è affidata al rimedio della invalidità-nullità del contratto, essendo pacifico che gli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non sono illeciti nè nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell'ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato (cfr. Cass. sez. I n. 20576 del 2010, sez. III n. 23158 del 2014, sez. I n. 11695 del 2018, sez. I n. 18610 e n. 24725 del 2021, sez. III n. 15844 del 2022)” (v. motivazione, punto 8.9, terzultimo capoverso).

Il tutto, oltre ovviamente alla tutela revocatoria, riconosciuta dalla giurisprudenza consolidata, la quale ha più volte stabilito che, in mancanza di una norma che in via generale vieti di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, in quanto, a tutela di chi risulti danneggiato da un simile atto, l'ordinamento appresta gli appositi rimedi, per l’appunto revocatori, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l’inefficacia o inopponibilità dell’atto nei confronti del singolo creditore o della categoria dei creditori concorsuali[43].

 

7. Conclusioni.

Conclusivamente, dunque, sia il vaglio prettamente civilistico delle nullità contrattuali (testuali e virtuali), sia l’indagine implicante valutazioni sui contratti con i quali siano stati commessi reati (reati-contratto e reati-in-contratto), non lascia emergere i presupposti indispensabili per sostenere la nullità dei contratti bancari con i quali siano state accordate, mantenute, prorogate o riscadenzate linee di credito in favore di clienti in crisi o insolventi; anche qualora, nell’utilizzo delle erogazioni concesse o per effetto di operazioni da esse indipendenti, il fallito abbia aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere il proprio fallimento o con altra grave colpa.

Rimane fermo ed impregiudicato, ovviamente, l’ambito risarcitorio, foriero tra l’altro di ben altre soddisfazioni per il ceto creditorio, rispetto alla mera esclusione dal concorso di crediti spesso solo chirografari; ambito nel quale è da prevedere che la giurisprudenza avrà modo di esprimersi sui vari aspetti controversi o comunque di rilievo, anche in modo più approfondito rispetto a quanto fatto sino ad ora.

Così come – va da sé, e per terminare – resta fermo ed impregiudicato il versante revocatorio, per le operazioni che abbiano arrecato pregiudizio ai creditori o alla par condicio.


(*) Il contributo, sottoposto alla valutazione di un referee, è destinato a un volume collettaneo diretto da Stefano Ambrosini e Francesco Antonio Genovese.

[1] In argomento si vedano, su questa Rivista: S. Ambrosini, Adeguatezza degli assetti, sostenibilità della gestione, crisi d’impresa e responsabilità della banca: alla ricerca di un fil rouge (un’introduzione), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 19 maggio 2023; E. Andreani, Adeguati assetti ex art 2086 c.c., valutazione creditizia ed evoluzione della relazione banca impresa, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 24 ottobre 2023; R. Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 ottobre 2022, e F. Sebastiano e S. Ceroni, Il fascino discreto della concessione abusiva di credito dopo il CCII, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 13 novembre 2023.

[2] Il d.lgs. 169/2007, in particolare, si è limitato a richiamare i rapporti di conto corrente bancario nell’art. 70, terzo comma, l. fall., ed il d.lgs. 147/2020, nel contesto della liquidazione giudiziale introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, all’art. 166, comma 3, lett. b), dedicato alla revocatoria concorsuale delle rimesse, ha unicamente soppresso le parole “consistenti e”, per cui, allo stato, ai fini della revoca, rileva la sola “durevolezza” della riduzione dell’esposizione debitoria del correntista, fermo restando il limite massimo del “rientro” ex art. 171, terzo comma, CCII.

[3] Cass. SS.UU 28 marzo 2006, n. 7029, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/17013, con le coeve Cass. SS.UU. 28 marzo 2006, n. 7030, e Cass. SS.UU. 28 marzo 2006, n. 7031, seguite da Cass. 12 maggio 2017, n. 11798, https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/17425.

[4] Cass. 1 giugno 2010, n. 13413, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/2383, nonché Cass. 20 aprile 2017, n. 9983, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/17266.

[5] Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/25640, e Cass. 14 settembre 2021, n. 24725, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/25948, nonché, a quanto consta, le successive Cass. 18 gennaio 2023, n. 1387, https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/28730, e Cass. 27 ottobre 2023, n. 29840, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/446__Ancora-una-pronuncia-della-Cassazione-sullabusiva-concessione-di-credito.

[6] Quantomeno sulla legittimazione del curatore all’azione dei creditori, fra gli arresti a Sezioni Unite del 2006 e gli orientamenti più recenti pare esservi qualche incongruenza, per cui, forse, un ulteriore intervento nomofilattico non sarebbe inopportuno.

[7] Si consideri che le azioni di massa sono quelle che “derivano dal fallimento”, nel senso che sorgono per effetto del fallimento, come le revocatorie fallimentari, o a seguito dell’apertura della procedura “sono sottoposte a una speciale disciplina” (Cass. 21 ottobre 2005, n. 20350, in Foro it., Rep. 2005, voce Fallimento, n. 322), e subiscono “deviazioni dal loro schema legale tipico” (Cass. 6 giugno 2022, n. 8238, in Fallimento, 2003, 380), come la revocatoria ordinaria esperita dal curatore ai sensi dell’art. 66 l. fall. (ora art. 165 CCII); per cui, sulla riconducibilità alle azioni di massa dell’azione dei creditori sociali conferita all’iniziativa del curatore dall’art. 146 l. fall. (ora art. 255 CCII), vi è ampio margine di discussione.

[8] Su questi aspetti, peraltro, vi sono già significative indicazioni in Cass. 18610/2021 e in Cass. 24725/2021, citt.

[9] Si segnalano, in argomento, le recenti Cass. 28 febbraio 2024, n. 5252, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/30771, e Cass. 25 marzo 2024, n. 8069, https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/31301, che hanno stabilito che il criterio dei c.d. netti patrimoniali codificato dall’art. 2486, terzo comma, c.c., si applica anche alle cause pendenti alla data dell’entrata in vigore della norma, e per liquidare il danno il giudice deve utilizzare quel parametro, a meno che in causa non siano dedotti e individuati elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto.

[10] Per poter vagliare la nullità dei contratti, dunque, devono sussistere i medesimi presupposti in fatto e in diritto dettati da Cass. 18610/2021 e Cass. 24725/2021, citt. per l’azione risarcitoria, e/o i requisiti che possono condurre ad una condanna penale del fallito e del concorrente per bancarotta semplice; presupposti e requisiti che, peraltro, abitualmente sono valutati incidenter tantum nelle sedi civili, a fronte di procedimenti penali quasi mai neanche avviati.

[11] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_editor/Trib.-Vicenza-19-maggio-2022.pdf.

[12] https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/24182

[13] Si è scritto “riprende” perché il Tribunale richiama quei passaggi nel proprio contesto motivazionale, riportandone degli stralci.

[14] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/Trib--Torino-4-ottobre-2022.pdf

[15] https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/27750

[16] https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/461

[17] https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/31333

[18] In realtà i codici di massima sarebbero tre, ma quello “rv. 658613-01” si limita ad informare che “Il Massimario della Corte Suprema di Cassazione non ha proceduto alla massimazione in quanto la presente ribadisce principi già espressi nella Cass. Civ. 024794/2018”, ed in Cass. 24794/2018 si legge un principio estraneo alle presenti note, ossia che “Il decreto di rigetto della domanda di insinuazione al passivo che operi un rinvio "per relationem" alle motivazioni esposte dal curatore fallimentare nel progetto di cui all'art. 95 l.fall., può ritenersi adeguatamente motivato a condizione che il richiamo sia univoco e che le contestazioni del curatore siano sufficientemente specifiche, in modo da garantire pienamente il diritto di difesa del creditore”.

[19] Sia detto per inciso che, se così non fosse, si sarebbe trattato di affermazione singolare, viste le svariate disposizioni legislative finalizzate proprio al finanziamento delle imprese in crisi, anche di carattere generale quali quelle (un esempio per tutti), sui finanziamenti fondiari ex art. 38 TUB, finalizzati a favorire la "mobilizzazione" della proprietà immobiliare concedendo credito anche a soggetti in condizioni deficitarie (v. Corte Cost 22 giugno 2004, n. 175, in Fallimento, 2004, 8, 864), e che difatti godono del beneficio del consolidamento delle ipoteche in dieci giorni, proprio nella prospettiva della concessione ad imprenditori suscettibili di fallire a breve distanza dalla stipulazione del contratto e dall’iscrizione della garanzia reale nei pubblici registri immobiliari.

[20] Così si legge in Cass. 25 luglio 2022, n. 23149, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime_pubblicate/27823), ripresa e condivisa da App. Ancona 2 aprile 2024, n. 530, in Onelegale.

[21] Che dire, ad esempio, della corrispondenza a buon costume economico degli acquisti di partecipazioni societarie da parte di fondi stranieri che mirano unicamente alla delocalizzazione degli impianti, per lasciare le imprese acquisite al loro destino e i dipendenti alla cassa integrazione o alla disoccupazione, come giornalmente riferiscono le cronache nazionali? Che dire della corrispondenza a buon costume economico degli acquisti delle aziende da parte dei concorrenti allo scopo di farne cessare l’attività e così espungerle dal mercato, con conseguenze analoghe a quelle appena viste? Che dire della corrispondenza a buon costume economico dei contratti conclusi dai clienti “forti” che, per massimizzare i profitti, impongono ai fornitori prezzi spesso inidonei anche solo a coprire i costi, costringendoli, ad un certo punto, a cessare l’attività, a licenziare i dipendenti e sovente ad accedere alle procedure concorsuali? E che dire, per finire le esemplificazioni, della corrispondenza a buon costume economico delle operazioni di cessione di crediti bancari in favore di speculatori che, avendoli acquistati a percentuali irrisorie (nelle cessioni di crediti non garantiti, anche prossime allo zero), spuntano poi guadagni multimilionari espropriando i beni essenziali dei debitori (in primis la casa di abitazione), tanto che, in sede legislativa, si era pensato di imporre ai cessionari di accettare transazioni qualora fossero state offerte condizioni più o meno prossime ai prezzi di acquisto dei crediti?

[22] Si segnala che un interrogativo di carattere più generale, in tale ambito, era stato sollevato da Cass. 14 giugno 2019, n. 16081, (https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/22019), con riferimento ad un finanziamento bancario utilizzato per estinguere un debito preesistente; ma l’ordinanza, che ha rimesso la questione alla pubblica udienza, su tale versante non ha avuto seguito, atteso che la sentenza infine emessa (Cass. 25 gennaio 2021, n. 1517, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/24836), ha riqualificato il mutuo come pactum de non petendo ad tempus e non ha deciso sulla sua invalidità per potenziale contrasto con l’art. 217, primo comma, n. 4, l. fall.

[23] https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/30865

[24] Per gli orientamenti giurisprudenziali contrastanti sia consentito rinviare, oltreché alla motivazione delle Sezioni Unite, al contributo dello scrivente in https://blog.ilcaso.it/libreriaFile/16fe5-1422.pdf

[25] https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/28256

[26] V. nuovamente Cass. SS.UU. 16 novembre 2022, n. 33719, punto 8.1 della motivazione, penultimo capoverso, alla quale si rinvia per ulteriori citazioni, fra le quali spicca Cass. SS.UU. 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, 784, che ebbe a stabilire – con indirizzo non più rimeditato – che “dalla violazione dei doveri di comportamento che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario discende la responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, per le violazioni in sede di formazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero la responsabilità contrattuale, con relativo obbligo risarcitorio ed eventuale risoluzione del predetto contratto, per le violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione, ma non la nullità di quest'ultimo o dei singoli atti negoziali conseguenti, in difetto di previsione normativa in tal senso”.

[27] https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/27091 punto 6.4 della motivazione.

[28] Prima di iniziare non possiamo non ricordare, sia pure per inciso, che in un ormai datato precedente la Suprema Corte ha negato la nullità del contratto integrante concessione abusiva di credito, ritenendo ininfluente “il divieto che colpisce soltanto un comportamento materiale delle parti e meno che mai di una sola di esse”: si veda, al riguardo, Cass. 25 settembre 2003, n. 14234, con la seguente massima: “Per aversi violazione di norme penali ai sensi dell'art. 1418 Codice civile, il contratto deve essere vietato direttamente dalla norma penale nel senso che la sua stipulazione integri reato, non rilevando il divieto che colpisce soltanto un comportamento materiale delle parti e meno che mai di una sola di esse. (La fattispecie attiene ad una fideiussione della quale il fideiussore ricorrente assumeva la nullità per avere la banca garantita erogato il credito al debitore principale nonostante la richiesta di finanziamento da parte di quest'ultimo asseritamente integrasse gli estremi del reato di ricorso abusivo al credito)”.

[29] Per tutti, v. C. Pedrazzi, in Commentario Scialoja-Branca - Legge fallimentare, sub art. 217, Bologna-Roma, 1995, pag. 165. Nella giurisprudenza penale si veda al riguardo Cass. 21 settembre 2020, n. 28848, in Onelegale, che ha chiarito che il giudice di merito deve verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività omesse, si sarebbe comunque realizzato l'aggravamento del dissesto, confermandosi in tal modo che è questo l’evento che concretizza la fattispecie di reato.

[30] In passato vi furono decisioni di analogo tenore per i reati di truffa, circonvenzione d’incapace ed altri ancora.

[31] https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/27750

[32] In CED Cassazione, 2020, massima rv. 658946-01.

[33] Nelle azioni di responsabilità, invece, a certe condizioni – che richiederebbero approfondite riflessioni, ma non ne è questa la sede – la concessione creditizia può riconnettersi causalmente con il danno cagionato all’impresa e ai suoi creditori dalla prosecuzione dell’attività dell’insolvente, ma i piani (contrattuale e risarcitorio), sono completamente diversi.

[34] V. C. Pedrazzi, op. cit., ivi., con riferimento alla domanda di concordato preventivo e di amministrazione controllata nella legge fallimentare ante-2005.

[35] A questa stregua, del resto, andrebbero responsabilizzati per l’aggravamento del dissesto tutti i creditori (quale che sia la categoria di appartenenza, quindi lavoratori, erario, fornitori e quant’altro), che pur essendo impagati non abbiano chiesto con sollecitudine il fallimento del proprio debitore, cosa, evidentemente, inimmaginabile.

[36] In loro favore gli interessi decorrono anche a fallimento dichiarato e le ragioni di prelazione di cui dispongono rendono ininfluente l’entità degli interessi sui crediti chirografari.

[37] Si consideri che l’entità del tasso di interesse attiene alle caratteristiche dei singoli crediti, per cui le differenze di saggio tra posizioni chirografarie alterano le proporzioni dei crediti, man mano che gli interessi maturano, ma la questione non interessa la curatela, bensì i singoli creditori.

[38] Per quanto fosse elementare, anche Cass. Pen., 30 maggio 2019, n. 27634, in Onelegale, ha dovuto spiegare che l’incremento di alcune poste passive non è sufficiente ad integrare la fattispecie della bancarotta semplice, con la seguente massima: “In tema di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto punito dagli art. 217, 1° comma, n. 4 e 224 l.fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l'aumento di alcune poste passive (nella specie, la corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l'attenzione sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione)”.

[39] Si consideri che, in linea generale, in base ai decreti ministeriali 248/1999, 20.6.2005 e 23.9.2005 le “PMI", finanziabili con la garanzia del fondo sono “le piccole e medie imprese, economicamente e finanziariamente sane”, tali intendendosi quelle “di cui venga accertata, sulla base della consistenza patrimoniale e finanziaria, la possibilità di far fronte agli impegni finanziari derivanti dalle operazioni per le quali è richiesto l'intervento del Fondo”.

[40] V. art. 13, lett. g-bis), “la garanzia è concessa anche in favore dei beneficiari finali che presentano, alla data della richiesta della garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi del paragrafo 2 della parte B) delle avvertenze generali della circolare della Banca d'Italia n. 272 del 30 luglio 2008, purché la predetta classificazione non sia stata effettuata prima del 31 gennaio 2020”.

[41] Come invece ritenuto da Trib. Pescara 2 luglio 2024, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/31724, che, richiamando Trib. Asti 8 gennaio 2024, cit., ha confuso l’irregolarità nell’ottenimento della garanzia con la causa del finanziamento, che è stata impropriamente dichiarata illecita.

[42] V. Cass. 5 aprile 2003, n. 5372, e successivamente, nello stesso senso, Cass. 14 dicembre 2010, n. 25222, Cass. 11 dicembre 2012, n. 22625, Cass. 28 settembre 2016, n. 19196, Cass. 6 aprile 2018, n. 8499, Cass. 15 gennaio 2020, n. 525, tutte reperibili in Onelegale.

[43] Da ultimo, v. in tal senso Cass. 24 agosto 2023, n. 25209, Cass. 24 gennaio 2023, n. 2176, Cass. 16 gennaio 2023, n. 1147, e Cass. 25 gennaio 2021, n. 1517, tutte in Onelegale.