, 22 dicembre 2024, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. La genesi della doppia disposizione di cui agli artt. 114 e 114-bis CCII e la cessione dei beni nel concordato liquidatorio - 2. Le operazioni di liquidazione nel concordato preventivo in continuità aziendale. - 3. Conclusioni.
Con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, la società debitrice è a tutti gli effetti da considerarsi tornata in bonis (ancorché in realtà il perfezionamento del percorso di risanamento necessiti ancora dell’adempimento delle obbligazioni previste dalla proposta concordataria omologata). Per questo motivo, alla fase esecutiva del concordato preventivo successiva all’omologazione sono dedicate poche previsioni: d’altronde, si tratta a tutti gli effetti di un momento nel quale il debitore, a seguito dell’omologazione, si è definitivamente “riappropriato” del proprio patrimonio, che potrà gestire e di cui potrà disporre nel modo che riterrà più opportuno, fermo il limite del rispetto degli obblighi concordatari oggetto della proposta omologata.
Invero, questa fase presenta notoriamente una parziale contrapposizione di interessi tra quello “personale” del debitore di tornare a essere libero di svolgere la propria attività aziendale e quello di carattere “generale” del legislatore e dei creditori di esecuzione della proposta concordataria nei termini e nelle modalità che sono state approvate dai creditori e verificate nella loro funzionalità dagli organi della procedura.
Per questo motivo, a fronte del ritorno in bonis del debitore, il legislatore, già in vigenza della legge fallimentare, al fine di assicurare l’effettivo adempimento della proposta concordataria, ha dettato alcune disposizioni volte a regolare alcuni aspetti relativi all’esecuzione del concordato preventivo omologato.
Tra questi si annovera la disciplina relativa alle attività di liquidazione del patrimonio e cessione dei beni successivamente all’omologazione della proposta concordataria sia essa liquidatoria sia in continuità aziendale, che fino all’entrata in vigore del d. lgs. 13 settembre 2024, n. 136 “correttivo-ter”, era regolata da due disposizioni: l’art. 84, comma 8, e l’art. 114 CCII.
La prima disposizione stabilisce che “quando il piano prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato, il tribunale nomina un liquidatore che, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza”. La seconda, invece, che “se il concordato consiste nella cessione dei beni, il tribunale nomina nella sentenza di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione”.
La contemporanea presenza di queste due disposizioni apparentemente applicabili alla medesima fattispecie – le operazioni liquidatorie dei concordati preventivi omologati – ha sollevato diversi conflitti interpretativi. In particolare, subito all’indomani dell’entrata in vigore delle nuove norme, era discusso se in caso di concordato in continuità aziendale fosse applicabile comunque l’art. 114 CCII e che, quindi, fosse necessaria la nomina del liquidatore nei casi previsti da detto articolo ovvero se si applicasse, in deroga a tale regola, soltanto l’art. 84, comma 8, CCII, così riducendosi le ipotesi di nomina del liquidatore soltanto alle fattispecie ivi previste (quindi, al duplice requisito della liquidazione del patrimonio o cessione dell’azienda e all’assenza di un offerente individuato) ([1]).
Ciò era tanto più rilevante se si considerava che il regime disciplinante tali cessioni era molto diverso in un caso o nell’altro: ove si ritenga applicabile l’art. 84, comma 8, CCII le modalità di liquidazione sono fissate dal liquidatore stesso a condizione che assicuri modalità di vendita efficienti e competitive. In ogni caso, beneficiando degli effetti della vendita coattiva posto che l’art. 84, comma 8, CCII, richiamava espressamente gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile.
Nel caso in cui invece sia applicabile l’art. 114 CCII, visto l’espresso richiamo presente al comma 4 di tale disposizione, si applicheranno le modalità di liquidazione previste dall’art. 216 CCII e quindi – il più oneroso – regime delle vendite nella liquidazione giudiziale “in quanto compatibili”.
Al fine di operare un coordinamento tra le due norme per chiarire la portata di ciascuna delle due previsioni, la dottrina e la giurisprudenza hanno ipotizzato che tra l’art. 84, comma 8, CCII e l’art. 114 CCII intercorresse un rapporto di genus a species, conseguente all’osservazione per cui l’ipotesi della cessione di beni disciplinata dall’art. 114 rappresenterebbe soltanto una specie della più ampia nozione di concordato liquidatorio cui l’art. 84, comma 1 farebbe riferimento facendo rientrare “qualsiasi altra forma” di piano liquidatorio ([2]).
Invece, l’art. 84, comma 8, CCII era destinato a trovare applicazione quando risultava necessario un procedimento di liquidazione diverso e semplificato per quelle ipotesi concordatarie nelle quali, pur essendo presenti operazioni liquidatorie risultava superflua la presenza di un apparato quale quello previsto dall’art. 114 CCII, di cui si dirà infra. Si pensi ad esempio ad ipotesi di concordato in continuità diretta nella quale in esecuzione del piano sia prevista la vendita di beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività di impresa ovvero a ipotesi di concordato in continuità indiretta nella quale non sia stato individuato ancora in sede di omologazione il terzo destinato a proseguire la continuità d’impresa. Tale opzione pare essere stata introdotta per offrire “un’opportunità per quelle (poche, se esistenti) imprese le cui aziende abbiano una sicura appetibilità sul mercato, le quali potrebbero, pertanto, presentare una domanda di concordato senza necessariamente “premunirsi” della disponibilità di un terzo a proseguire l’attività d’impresa, risparmiando in tal modo tempo prezioso anche ai fini dell’accesso alla protezione offerta dalle misure ex art. 54, c. 2, CCII funzionale alla conservazione del valore del compendio aziendale ([3]).
Tale limitazione – in combinato con l’altra regola innovatrice di cui all’art. 84, CCII, secondo cui ormai deve qualificarsi come in continuità anche quel concordato in cui i creditori vengono soddisfatti dal ricavato prodotto dalla continuità diretta od indiretta (flussi; canoni d’affitto; prezzo della cessione) benché in misura non prevalente – restringe significativamente l’area di applicazione dell’art. 114 CCII.
Inoltre, nella vecchia formulazione di tali disposizioni era, ad esempio, discusso se in tutte le ipotesi di concordato – sia in continuità aziendale (diretta o indiretta) sia liquidatorio – fosse o meno necessario provvedere alla nomina di un liquidatore in caso di cessione di beni; ed ancora, se tale nomina fosse obbligatoria anche nel caso in cui dovessero essere ceduti beni di modesto valore rispetto all’attivo concordatario e quali poteri potessero essere attribuiti di volta in volta al liquidatore nominato ([4]).
In detto contesto, proprio al fine di dissipare i dubbi suesposti in materia, tra i vari istituti che sono stati emendati o dettagliati con il c.d. “terzo correttivo” del CCII, il decreto legislativo si è occupato altresì di dissipare alcuni dubbi relativi all’esecuzione del concordato preventivo, tra gli altri, mediante la “scissione” dell’art. 114 CCII in due norme (il 114 e il 114-bis), rispettivamente dedicate, la prima, alla cessione dei beni nel concordato liquidatorio e, la seconda, alla cessione dei beni nel concordato in continuità.
Mentre la previgente disciplina prevedeva un’unica disposizione relativa alla “cessione dei beni” in esecuzione del concordato preventivo, il legislatore ha provveduto, innanzitutto, ad abrogare l’art. 84, comma 8, CCII, eliminando il contrasto tra disposizioni (il predetto art. 84, comma 8 e l’art. 114) e – come anticipato – sdoppiando l’art. 114 CCII in due articoli (gli artt. 114 e 114-bis CCII), differenziando la disciplina per la liquidazione dei beni nel concordato liquidatorio da quella sulla liquidazione dei beni nel concordato in continuità.
La principale differenza tra le due fattispecie citate consiste nella circostanza che, nel caso del concordato liquidatorio, è obbligatoria la nomina del liquidatore e del comitato dei creditori, mentre, nel caso di concordato in continuità aziendale, la scelta se nominarlo o meno è meramente facoltativa, in quanto riservata al giudice in sede di omologazione della proposta concordataria.
Più in particolare, nel concordato liquidatorio, si stabilisce, ai sensi dell’art. 114 CCII, che il tribunale non soltanto provveda a nominare, nella sentenza di omologazione, uno o più liquidatori, unitamente a un comitato di tre o cinque creditori che assista alla liquidazione, ma determini altresì – come già previsto nella formula previgente – le modalità con le quali deve effettuarsi la liquidazione. Circa i poteri integrativi del Tribunale deve ritenersi che tali modalità non soltanto devono essere ispirate a criteri di pubblicità, trasparenza ed efficienza ma devono anche non sovrapporsi o contrastare con il piano di liquidazione predisposto dal debitore e approvato dai creditori con l’unica eccezione di quanto contrastante con norme imperative (i.e. con le norme che regolano la vendita nelle liquidazioni giudiziali ai sensi degli artt. 214-215-216 CCII) ([5]).
Ove i provvedimenti di omologazione esorbitino da questi limiti, l’eventuale statuizione potrà essere oggetto di reclamo della sentenza ai sensi dell’art 51 CCII.
Dal punto di vista procedurale, è altresì rilevante l’introduzione in caso di cessione dei beni nel solo concordato liquidatorio dell’espresso riferimento del precetto, originariamente contenuto nell’art. 84, comma 9, CCII – anch’esso ora abrogato – e inserito al comma 1-bis dell’art. 114 CCII che sancisce che, nel caso in cui le operazioni di liquidazione previste dal piano siano basate su offerte irrevocabili da parte di un soggetto individuato, il tribunale deve determinare le modalità attraverso le quali il liquidatore dia idonea pubblicità delle offerte ricevute al fine di acquisire offerte concorrenti.
Deve ritenersi che tale articolo non sia da interpretare nel senso di dover disporre sempre e comunque un’idonea pubblicità, successivamente all’omologazione, volta alla ricerca di offerenti concorrenti. In particolare, ciò non dovrebbe avvenire quando il debitore ha già svolto una procedura competitiva preventiva, sia essa di carattere privatistico – dandone adeguata notizia agli Organi della Procedura che hanno potuto constatare la pubblicità e l’integrità della stessa – sia nelle forme e per gli effetti di cui all’art. 91 CCII.
Allo stesso modo, ove il Tribunale ritenga, sulla base delle motivazioni rese dal debitore e dal Commissario Giudiziale, che la ricerca di potenziali ulteriori offerenti porterebbe scarsi risultati o poche possibilità di aumento dell’offerta irrevocabile già ricevuta ovvero, a fronte della sua convenienza possa porsi in contrasto con espressi obblighi di riservatezza previsti da parte dell’offerente che potrebbero pregiudicare il successo dell’operazione, questo potrebbe esentare il liquidatore dal dover disporre la pubblicità dell’offerta al fine di ricercarne altre.
Anche nell’attuale disposizione in rassegna, invece, restano confermati gli obblighi e le regole già previste nell’originaria formulazione dell’art. 114 CCII. In particolare, il c.d. “statuto del liquidatore” non viene modificato, mantenendo ferma la sua equiparazione al Curatore per quanto riguarda la nomina e la relativa accettazione dell’incarico, nonché con riferimento alla revoca, alla sostituzione, al compenso e alla responsabilità per gli atti da esso compiuti, per i quali il parametro comportamentale è quello della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico ([6]). Il liquidatore, compiuta la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale (nel caso sia stato a lui attribuito tale onere), deve presentare al Giudice Delegato un rendiconto contenente l’esposizione analitica delle operazioni, delle modalità di attuazione del programma (rectius del piano) di liquidazione e il relativo esito. Inoltre, ai sensi dell’art. 114, comma 5, CCII, il liquidatore è altresì tenuto nel corso delle operazioni di liquidazione, con periodicità semestrale, a comunicare al Commissario Giudiziale le informazioni rilevanti relative all’andamento della liquidazione. Quest’ultimo a sua volta ne dà notizia, con le sue osservazioni, al pubblico ministero e ai creditori, oltre che al Tribunale.
Quanto alle regole che disciplinano le cessioni in esecuzione del concordato preventivo liquidatorio da parte del liquidatore resta fermo il richiamo per le vendite, le cessioni e i trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, alle disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili. Questo richiamo “in blocco” alla disciplina degli artt. 214-216 CCII comporta la necessità di adattare tali disposizioni alle peculiarità dell’esecuzione concordataria.
A titolo esemplificativo, la disciplina delle vendite in materia di liquidazione giudiziale prevede una serie di vincoli contenutistici alle forme competitive “a schema libero” piuttosto stringenti. Mentre nella liquidazione giudiziale il giudice potrebbe intervenire nella scelta delle forme della cessione e delle modalità di vendita ex imperio, nel sistema concordatario il Tribunale potrà (i) agire assegnando un termine per adeguare il piano già in sede di procedimento di ammissione; altrimenti, (ii) eventualmente in sede di sentenza di omologazione, sostituire d’imperio le parti contrastanti in caso di lacune colmabili con l’esercizio dei già riferiti poteri di integrazione.
Tra gli effetti derivanti dall’applicazione dell’art. 216 CCII alla vendita in esecuzione della proposta omologata, rileva particolarmente il vincolo della preventiva stima a cura di un perito dei beni da cedere. Ciò in ragione della circostanza che anche in questa sede viene in rilievo la necessità che vengano fornite nell’interesse del ceto creditorio le medesime garanzie sia in termini di congruità delle offerte sia in termini di competenza ed indipendenza di chi effettua la valutazione ([7]).
Infine, per quanto riguarda le cancellazioni delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, queste sono effettuate su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi.
In concreto, la cancellazione delle formalità pregiudizievoli avverrà o col decreto di trasferimento da parte del giudice anche per gli effetti di cui all’art. 586 c.p.c. o in alternativa, per le vendite di carattere stragiudiziale in esecuzione del piano a mezzo di atto notarile sottoscritto dal liquidatore. Sul punto occorre precisare che un trasferimento eseguito in adempimento della proposta concordataria è idoneo a ottenere la cancellazione delle iscrizioni soltanto ove sia effettivamente stato realizzato all’esito di procedure competitive e non sia invece risultato del regolare svolgimento dell’attività aziendale ([8]).
2. Le operazioni di liquidazione nel concordato preventivo in continuità aziendale
Di particolare rilievo è, invece, l’introduzione di una disposizione specifica relativa alle operazioni di liquidazione nell’ambito di un concordato preventivo in continuità. Difatti, l’art. 114-bis CCII stabilisce che “quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato, nella sentenza di omologazione il tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione”.
La portata di questa norma può essere molto rilevante per diverse ragioni: innanzitutto perché, risolvendo un contrasto interpretativo ormai risalente, viene stabilito espressamente che il liquidatore non deve essere nominato obbligatoriamente ([9]). Pertanto, ove ad esempio il patrimonio da liquidare sia di modesto importo ovvero siano assicurate dal piano, e dal programma di liquidazione in esso contenuto, l’efficienza e la celerità e il rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza, allora è presumibile che il Tribunale non disporrà la nomina di un liquidatore, e ciò anche nell’ipotesi in cui, a quella data, non sia ancora stato individuato un offerente.
Tale scelta legislativa è pienamente condivisibile posto che, se l’imprenditore è riuscito a ottenere l’omologazione del concordato preventivo, vuol dire che ha dimostrato, tra le altre cose, ai sensi dell’art. 112, comma 1, lett. f), CCII, che il piano è idoneo a impedire o superare l’insolvenza e quindi ha diritto a tornare nel pieno possesso del suo patrimonio. In detto contesto, è coerente con la logica del ritorno in bonis che il debitore, fermi gli obblighi concordatari (ivi incluso quello di eventuale cessione della propria azienda), agisca autonomamente seppur sotto la sorveglianza del Commissario Giudiziale.
Delle due l’una: o la proposta non è affidabile e allora non va omologata o, se omologata, deve consentire al debitore di ritornare “al posto di comando” della sua impresa.
Inoltre, la possibilità di non nominare un liquidatore quando non sia necessario o quando non vi siano operazioni di liquidazione del patrimonio in assenza di un offerente già individuato, oltre a comportare un significativo risparmio di costi a vantaggio dei creditori, incide significativamente anche in relazione al potenziale esercizio di azioni di responsabilità nei confronti del management uscente dell’impresa.
L’art. 115 CCII, difatti, stabilisce che il liquidatore nominato per l’esecuzione delle operazioni – a prescindere che sia nell’ipotesi in continuità o liquidatoria – esercita, o se pendente, prosegue diverse azioni correlata al suo incarico e al massimo soddisfacimento dei creditori.
Innanzitutto, il comma 1 prevede che il liquidatore giudiziale possa esercitare ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti. In concreto, si tratta delle azioni a tutela della proprietà (e, dunque, le azioni restitutorie per il rilascio di un bene, l’azione di rivendica, le azioni petitorie e le azioni possessorie) e delle azioni tese ad ottenere una pronuncia di accertamento e condanna in favore del debitore concordatario, in via monitoria o di cognizione ordinaria. Il liquidatore è altresì titolare degli ulteriori rimedi previsti dal legislatore a tutela dei beni o dei crediti del singolo: ha quindi a sua disposizione ogni rimedio contrattuale, cautelare e in revoca di atti pregiudizievoli nei confronti del patrimonio del debitore.
Il comma 2 consente al liquidatore giudiziale l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, anche senza la delibera assembleare al contrario di quanto previsto nel diritto comune all’art. 2393 c.c. ([10]), ferma la legittimazione di ciascun creditore sociale a esercitare o proseguire l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2394 c.c..
Tale potere, incomprimibile in quanto ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano sono inopponibili al liquidatore e ai creditori sociali, può talvolta essere un freno per le imprese che intendono perseguire il risanamento in continuità in quanto può esporre l’imprenditore (si pensi a quelle tipiche imprese PMI italiane in cui la stessa persona è il socio di maggioranza e l’amministratore unico) al rischio di subire azioni nei suoi confronti anche soltanto in ragione dei negativi risultati raggiunti nei momenti antecedenti allo stato di crisi. Poter oggi non prevedere la nomina di un liquidatore nell’ambito di un concordato in continuità può essere a tutti gli effetti una leva per incentivare gli imprenditori ad accedere a questi strumenti senza temere di dover subire ripercussioni o verifiche sul proprio operato e, quindi, al solo fine di avvantaggiare il ceto creditorio e a garantire la continuità della propria impresa ([11]).
Del resto, il necessario esercizio di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori sarebbe allo stato incoerente con il grado di disclosure che oggi viene richiesto allo stesso imprenditore che in sede di ammissione deve:
- ai sensi dell’art. 39, comma 2, CCII, depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nei quinquennio anteriore;
- ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. h), CCII, all’interno del piano di concordato, indicare le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili nonché le azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo;
- ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. c), CCII, all’interno del piano di concordato, determinare il valore di liquidazione alla data della domanda di concordato, corrispondente al valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell’eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell’azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese.
In detto contesto, i creditori vengono messi nella condizione di poter decidere se preferiscono la soddisfazione concordataria – che in thesi non prevede l’esercizio di azioni di responsabilità nei confronti del debitore – ovvero preferiscono la soluzione liquidatoria nella quale tali azioni verranno/potranno essere esercitate dal liquidatore piuttosto che dal curatore in caso di apertura della liquidazione giudiziale. Pertanto, ove la proposta venga approvata e omologata è da ritenersi corretto che il debitore torni nel controllo del proprio patrimonio (e che quindi non venga nominato il liquidatore) e che nessuno eserciti nei suoi confronti azioni di responsabilità (che sono state ritenute dai creditori meno soddisfacenti della proposta del debitore).
Circa gli effetti della mancata nomina del liquidatore, la novità potenzialmente dirompente prevista in materia dall’art. 114-bis CCII, tuttavia, è la previsione del comma 3, per il quale “in caso di nomina del liquidatore, alla vendita si applicano gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile e la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, è effettuata su ordine del giudice, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi”.
Difatti, tale norma sembra prima facie limitare l’applicazione degli effetti della vendita forzata e i c.d. effetti “espiativi” derivanti dall’ordine del giudice soltanto alle ipotesi di cessione di beni che avvenga per mezzo di un liquidatore (e, per giunta, soltanto una volta riscosso integralmente il prezzo). Tale impostazione, innovativa rispetto a quanto ritenuto in materia nella formulazione previgente ([12]), è coerente con la visione del debitore post-omologazione che ritorna in bonis e che, quindi, conclude le sue operazioni negoziali in un contesto assolutamente ordinario e in piena applicazione delle regole del diritto civile. Tuttavia, se tale principio ben si confà all’ipotesi della liquidazione di singoli beni nell’ambito di un concordato in continuità aziendale, sembra invece problematica con riferimento all’ipotesi del concordato in continuità indiretta (ad esempio nelle forma della cessione d’azienda, anch’essa inserita all’interno dell’art. 114-bis CCII), nel caso in cui non sia stato trovato un offerente prima dell’omologazione.
Difatti, la norma, se interpretata in modo letterale, sembrerebbe quasi lasciare intendere che, nel caso in cui non si sia individuato un offerente prima dell’omologazione ma si debba procedere alla cessione dell’azienda post-omologa per poter adempiere alla proposta concordataria, allora la cessione o avviene completamente in bonis ai sensi e per gli effetti della disciplina civilistica oppure deve essere realizzata dal liquidatore al fine di beneficiare degli effetti “speciali” di cui all’art. 114-bis, comma 3, CCII.
Sennonché, sotto il primo profilo, è noto che la vendita di un’azienda secondo le regole civilistiche non è funzionale alla massimizzazione del suo valore in ragione, prima di tutto, della previsione sulla corresponsabilità dell’acquirente ai sensi dell’art. 2560 c.c. per i debiti dell’azienda ceduta risultanti dalle scritture contabili (e, per quelli di lavori, anche non risultanti) e, in secondo luogo, per le difficoltà che l’alienante incontra nel fornire adeguate garanzie in favore dell’acquirente della stessa per l’ipotesi di vizi ed evizione.
Non a caso, persino nell’ambito della composizione negoziata della crisi – percorso marcatamente stragiudiziale – si prevede espressamente la possibilità di chiedere al Tribunale l’autorizzazione a trasferire l’azienda, ai sensi dell’art. 22 CCII, senza gli effetti di cui all’art. 2560 c.c.: e, in tale caso, non è prevista la nomina di un soggetto quale il liquidatore che si occupi, in luogo dell’imprenditore, della cessione di detto bene.
Coerentemente con questo ragionamento è altresì da ritenersi che, anche nel caso di specie, intervenuto un provvedimento del Tribunale che autorizza la cessione del ramo d’azienda alle modalità indicate nel piano (i.e. l’omologazione), l’effetto purgativo non possa essere negato anche se non è stato nominato il liquidatore, in quanto, diversamente, si renderebbe meno efficace lo strumento concordatario sia da un punto di vista “orizzontale”, posto che gli altri strumenti di regolazione della crisi consentono di effettuare cessioni dell’azienda con effetti “espiativi” anche senza la nomina del liquidatore, sia da un punto di vista “verticale”, in quanto, se la cessione dell’azienda avvenisse nel corso della procedura di concordato preventivo o avesse effetto con l’omologazione, sarebbe possibile ottenere un risultato altrimenti precluso in sede di esecuzione.
Una possibile soluzione di questo problema può essere individuata attraverso l’inciso di cui all’art. 114-bis CCII, “salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi”. Ossia, nel caso in cui la cessione dell’azienda (e in generale la liquidazione dei beni) debba avvenire successivamente all’omologazione della proposta concordataria e non sia ancora stato individuato un’offerente, il Tribunale con la sentenza di omologazione potrà disporre – anche in assenza di un’espressa richiesta in tal senso del debitore – che alla cessione si applichino le norme della vendita forzata e gli effetti “espiativi” della stessa là dove il piano contenga sufficienti elementi per dimostrare che le operazioni di liquidazione si svolgeranno secondo criteri di efficienza e celerità e nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza (sul cui rispetto Commissario Giudiziale e Comitato dei Creditori sono chiamati a vigilare).
3. Conclusioni
Gli interventi effettuati dal legislatore, con l’introduzione di una netta cesura tra la disciplina della cessione dei beni nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità resa evidente dallo “sdoppiamento” degli artt. 114 e 114-bis CCII, sono da accogliersi positivamente, sicuramente, perché contribuiscono a risolvere una serie di dubbi interpretativi di rilevante applicazione pratica e con significativi effetti positivi sul percorso di rilancio dell’impresa. Ma soprattutto, perché si pongono nel solco di favorire il pieno ritorno “in possession” del debitore a seguito dell’omologazione di un concordato preventivo in continuità (diretta o indiretta), posto che si esclude la necessità di una nomina obbligatoria del liquidatore giudiziale.
Evitare la nomina di un liquidatore in un concordato in continuità aziendale può favorire l’accesso a questo strumento da parte del debitore – affascinato dalla possibilità di beneficiare della falcidia concordataria – senza che tema la presenza di un individuo chiamato ad alienare parti del proprio patrimonio e ad esercitare azioni nei suoi confronti.
Tuttavia, questa potenziale maggiore “privatizzazione” dell’attività liquidatoria del concordato preventivo prevista dalle norme richiede altresì una interpretazione mossa nello stesso spirito anche da parte degli operatori del diritto e dei Tribunali, i quali, talvolta, hanno mostrato – anche a fronte della rivoluzione copernicana che il CCII ha cercato di promuovere nel settore sin dalla sua entrata in vigore – di avere un approccio piuttosto prudente circa il ritorno all’autonomia gestionale del debitore, mostrandosi restii a “sciogliere completamente le briglie” del controllo sullo stesso, nel timore che egli possa non adempiere alle obbligazioni concordatarie previste nella proposta omologata ai termini e alle condizioni ivi previste.
È bene rilevare che, ove i Tribunali interpretassero tali norme rigidamente potrebbe invero generare un effetto completamente opposto a quello sperato dal legislatore: difatti, se si interpreta l’art. 114-bis CCII nel senso che soltanto in presenza di un liquidatore la vendita può avvenire con i benefici della c.d. espiazione allora si rischia di generare l’effetto di rendere competitivo e fattibile il piano di concordato in continuità indiretta quando l’offerente non è stato individuato soltanto in caso di nomina del liquidatore, posto che altrimenti sarebbe difficile riuscire a trovare un acquirente dell’azienda. Di conseguenza, verrebbe di fatto eliminata la possibilità a queste condizioni di non procedere alla nomina.
Pertanto, per realizzare gli obiettivi di “privatizzazione” di questa fase che il legislatore si è preposto di raggiungere mediante l’introduzione di tali disposizioni è necessario che anche gli altri “formanti” del diritto adottino lo stesso parametro in sede di interpretazione e applicazione delle norme.
Ciò significa che gli Organi della Procedura, nella fase esecutiva del concordato preventivo, devono ispirarsi a criteri maggiormente orientati al ritorno nella piena disponibilità del patrimonio nelle mani del debitore e al favor per una gestione quanto più aziendalistica possibile sul presupposto che tale attività di per sé sia idonea a generare valore per i creditori e per la continuità aziendale.
([1]) Così Crivelli, sub art. 114 CCII in Codice della crisi commentato, Pluris.Nello stesso senso Spiotta, Il CCII (ri)corretto: uno sguardo d’insieme in Judicium, 18 settembre 2024. Su tale conflitto prima del decreto “correttivo-ter” si veda ex multis Trib. Roma, 3 luglio 2024 in ilcaso.it per il quale l’art. 84, comma 8, CCII riguarda la liquidazione di beni nel concordato in continuità e Trib. Modena, 24 ottobre 2023 in ilcaso.it, in parte motiva.
([2]) In questo senso Audino, sub art. 84, in Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi e insolvenza, Padova, 2023, p. 610. Sulle diverse tipologie di concordato e l’assenza di un numerus clausus si veda Ambrosini, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale in Ristrutturazioni Aziendali, 10 marzo 2024, p. 13 secondo cui “la questione dei diversi “tipi” di concordato, tradizionalmente assai dibattuta in ragione della differente disciplina applicabile a ciascuno di essi” e l’attuale formulazione dell’art. 84 sembra aver superato la summa divisio tra continuità aziendale e liquidazione del patrimonio.
([4]) Nel senso dell’obbligatorietà della nomina del liquidatore ex multis Trib. Roma, 31 luglio 2015 in ilcaso.it per il quale “la nomina del liquidatore, a fronte di una proposta concordataria che non la preveda e approvata dai creditori, non comporta un'inammissibile interferenza sull' "accordo" così raggiunto e rappresenta piuttosto l'esplicazione di un potere giudiziale conformativo esercitabile d'ufficio in ordine a profili meramente procedurali attinenti alla fase esecutiva del concordato e non derogabili dalle parti coinvolte”. Cfr. Trib. Perugia, 1 aprile 2021 in ilcaso.it; cfr. Cass. Civ., 15 maggio 2011 n. 15699 nella quale si ritiene che “la nomina del liquidatore sia comunque necessaria ai sensi della L. Fall., art. 182 e che detta nomina, se non effettuata con la proposta di concordato, spetta al tribunale con il decreto di omologazione”. Contra sulla possibilità di ometterne la nomina nel caso di concordato in continuità aziendale ex multis Trib. Verona, 21 luglio 2016 in ilcaso.it per la quale non è necessaria la nomina del liquidatore, restando però inteso che la complessiva attività resta soggetta alla rigorosa valutazione dei Commissari. Si rileva in particolare App. Roma, 23 maggio 2016 in ilcaso.it che stabilisce che in caso di proposta di concordato approvata dai creditori che non preveda la nomina di un liquidatore, la successiva nomina da parte del Tribunale “appare violativa dell’autonomia privata connessa alla natura negoziale del concordato (predisposto dal debitore e accettato dai creditori) e si risolve in un’alterazione della proposta sulla quale è stato raggiunto l’accordo, sia perché involge futuri costi non preventivati (il compenso del liquidatore), sia in quanto rende potenzialmente meno vantaggioso il risultato della vendita”. Negli stessi termini anche Fabiani, La liquidazione dei beni nel concordato preventivo in Fall., 2023, n. 10, p. 1193.
([5]) Si veda in questo senso Cass. Civ. 15 luglio 2011, n. 15699, per la quale è ben vero che “l’accordo raggiunto tra il proponente ed i creditori riveste carattere prevalente rispetto ad ulteriori valutazioni e che, quindi, se i creditori hanno accettato che la fase di esecuzione possa svolgersi secondo alcuni dei criteri proposti dal debitore concordatario tali criteri non sono di regola modificabili dal tribunale in sede di omologazione che può soltanto limitarsi ad integrare con ulteriori disposizioni i criteri stessi. Tuttavia, ciò incontra un limite nel caso in cui i criteri dell’esecuzione proposti dal debitore concordatario non siano compatibili con la normativa vigente perché in tal caso il tribunale dispone del potere di integrare e modificare le modalità di esecuzione. In caso contrario, infatti, si verrebbe a codificare la possibilità di introdurre da parte del debitore modalità di esecuzione concordataria contra legem ove si consideri che la normativa attuale non prevede la possibilità per il tribunale di rigettare la proposta concordataria, qualora, non vi sia opposizione da parte dei creditori e la procedura si è svolta regolarmente, e neppure la possibilità di dichiarare inammissibile la proposta di concordato qualora le modalità di esecuzione proposte dal debitore non siano conformi a legge”. Nel senso che invece se le modalità di liquidazione sono espressamente previste in deroga della disciplina normativa allora il Tribunale non può modificare la proposta concordataria si veda Cass. Civ., 20 gennaio 2011, n. 1345.
([6]) Cfr. Lo Cascio, Il concordato preventivo e le altre procedure di crisi, X ed., Giuffrè, 2017, pp. 692-693, secondo cui il legislatore con questi richiami ha superato l’intendimento presente tra gli operatori del diritto per il quale si riteneva che il liquidatore fosse un soggetto al quale è conferito un mandato privatistico ad negozia bensì è stato ricondotto a figura pubblicistica per effetto del quale, in ultimo, la liquidazione post-concordataria è ormai da ritenersi totalmente allineata a quella fallimentare. In ogni caso, si precisa che a causa del mancato richiamo dell’art. 30 l. fall. prima e 127 CCII ora, il liquidatore giudiziale non è un pubblico ufficiale bensì “un mero ausiliario del tribunale che lo ha nominato, con la conseguente sicura inapplicabilità delle norme penali che si riferiscono al pubblico ufficiale, e che presuppongono l'espressa attribuzione normativa di tale qualifica” (vd. Baratta, Il liquidatore giudiziale nel concordato preventivo: profili operativi e prassi dei tribunali in Ius. Crisi d’impresa, 8 aprile 2016 che a sua volta richiama Cass. Pen. 16 gennaio 2015, n. 15951).
([7]) Chiaramente ove nel corso della procedura concordataria, per valutazioni svolte anteriormente o in funzione dell’omologazione, si sia già provveduto a far stimare il bene, si potrà far capo a tale precedente perizia senza doverne richiedere una ad hoc.
([8]) Cfr. Cass. Civ., 22 ottobre 2020, n. 23139 per il quale “tutte le ‘cessioni’ che siano espressione della fase esecutiva del concordato devono però ora svolgersi, a prescindere dalla natura liquidatoria o in continuità della procedura, secondo procedure formalizzate e comunque, quand'anche non regolate dalla L. Fall., art. 163-bis, trovano nella competizione pubblicamente provocata tramite la massima informazione rivolta agli interessati all'acquisto la condizione che giustifica la cancellazione di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli. In mancanza di queste condizioni non è dato al giudice delegato alla procedura di provvedere ad alcuna cancellazione, che dovrà invece avvenire secondo le regole del diritto comune.”
([9]) Tra coloro che sostenevano la non necessità di nominare il liquidatore giudiziale nel concordato in continuità si veda Zorzi, Concordato con continuità e concordato liquidatorio: oltre le etichette in Dir. Fall., 2020, n. 1, p. 75 in quanto nel concordato in continuità “occorre che il debitore prometta, e non solo ipotizzi, una certa percentuale di soddisfazione ai creditori. Se è così, allora non sussiste quella stessa esigenza di affidare la liquidazione dei beni a un liquidatore di nomina giudiziale, dal momento che l’adempimento alla proposta si misura con il raggiungimento, o meno, della percentuale”.
([10]) Escludono la necessità della previa deliberazione dell’assemblea sociale: Zanardo, Concordati e azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali in ODC, 2023, 227; Giampaolino, sub Art. 115, in Il Codice della crisi. Commentario, a cura di Valensise, Di Cecco e Spagnuolo, Torino, 2024, 679; Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: la transizione dalla legge fallimentare al codice della crisi in Fall., 2019, n. 12, 1540; Marri, L’azione sociale di responsabilità nel concordato preventivo liquidatorio. Spunti di riflessione, in Dir. Fall., 2021, I, 567 s.
([11]) Sulla tutela dei creditori e il principio di non deteriorità e la gerarchia degli interessi protetti nell’ambito del concordato preventivo ai sensi dell’art. 84 CCII, si rimanda a Ambrosini, op. cit., p. 6 secondo cui “anche nella nuova legge l’interesse dei creditori continua pur sempre a rappresentare la “stella polare” cui il legislatore guarda nel disciplinare la soluzione concordataria della crisi. La norma prevede infatti la “funzionalizzazione” dello strumento concordatario al soddisfacimento dei creditori, con ciò denotando che quello del ceto creditorio è l’interesse perseguito in via prioritaria (anche se – come si vedrà subito in appresso – non esclusiva) e che pertanto altri interessi possono bensì essere realizzati, ma solo se ed in quanto risultino compatibili con quello dei creditori e non già ove si pongano in contrasto con esso”.
([12]) Per Audino, sub art. 114 CCII in Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza, Cedam, 2023, p. 827, “il potere di cancellazione sembrerebbe esercitabile con riferimento a qualsiasi trasferimento di beni successivo al deposito della domanda di concordato o nella fase della sua esecuzione, dato l’esplicito tenore letterale della prima parte del 4° comma” Cfr. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Cedam, 2014, pp. 2492-2493, secondo la quale l’art. 182 l. fall., nella sua interezza, trovava applicazione sia nell’ipotesi del concordato in continuità aziendale che in quello liquidatorio con l’effetto che in entrambi casi fosse prevista la cancellazione delle trascrizioni e delle iscrizioni pregiudizievoli sui beni ceduti e liquidati, vista la natura non meramente privatistica di questi trasferimenti. Nello stesso senso Schiano di Pepe, Il concordato preventivo con “continuità aziendale” nel decreto legge 83/2012. Prime considerazioni in Dir. Fall., 2012, I, p. 487.