, 12 gennaio 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. L’accesso alla composizione negoziata (anche) in presenza di insolvenza “sanabile” dell’impresa e il concetto di precrisi come squilibrio in atto; 2. La gestione dell’impresa in base agli artt. 4 e 16…; 3. … e l’aporia innestata dal decreto correttivo nell’art. 21.
1. L’accesso alla composizione negoziata (anche) in presenza di insolvenza “sanabile” dell’impresa e il concetto di precrisi come squilibrio in atto
Uno dei tratti comuni ai primi commenti al decreto n. 136/2024 consiste nell’aver messo in evidenza la voluntas legis di chiarire una volta per tutte che anche l’impresa insolvente[1] può accedere alla composizione negoziata (art. 12, c. 1, CCII)[2]: scelta, questa, considerata da molti opportuna rispetto all’opposta soluzione restrittiva.
La Relazione illustrativa per prima afferma che la modifica della norma risponde “al fine di eliminare i dubbi interpretativi sorti sulla sua formulazione e chiarisce che l’accesso alla composizione negoziata può avvenire indifferentemente quando l’impresa è in crisi, quando è insolvente, o anche, diversamente rispetto agli strumenti di regolazione della crisi, soltanto in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario”.
E immediatamente all’indomani della novella da parte di chi scrive si è osservato che, se è vero che così si rinuncia a una più pregnante funzione “pedagogica” della composizione negoziata[3] ai fini della tempestiva emersione della crisi, è altrettanto vero che in tal modo si persegue - ciò che più conta - l’obiettivo di non escludere le imprese insolventi dall’ambito applicativo dell’istituto (che altrimenti sarebbe risultato fortemente ridotto) e di non introdurre elementi di perniciosa incertezza con riguardo al discrimine, sovente assai sottile, tra crisi e insolvenza[4].
Al riguardo, in dottrina[5] si tende non da oggi a parlare, in modo forse un po’ tralaticio (e neppure lo scrivente, a onor del vero, ha fatto eccezione)[6], di insolvenza “reversibile” con riguardo alla condizione di quelle imprese ancora viables, suscettibili cioè di una prospettiva di rifinanziamento diretto dell’attività o di ricollocazione dell’azienda sul mercato. A rigore, tuttavia, com’è stato puntualmente messo in luce[7], l’insolvenza è riferita dalla legge (art. 2, c. 1, lett. b), richiamata dall’art. 12, c. 1) all’imprenditore come soggetto piuttosto che all’impresa come organizzazione; e la sua reversibilità va intesa, rettamente, come recupero della capacità di adempiere alle obbligazioni in modo regolare. Ecco perché risulta più corretto, probabilmente, parlare di insolvenza “sanabile” dell’impresa (del resto consustanziale, nella materia che ci occupa, alle sue concrete prospettive di risanamento), la qual condizione sembra poter coesistere, concettualmente, con un’insolvenza irreversibile dell’imprenditore. A meno di ritenere, secondo una differente prospettazione, che l’insolvenza dell’imprenditore che, per effetto dell’operazione di risanamento, ne consenta il ritorno in bonis (senza passare attraverso una liquidazione giudiziale) vada considerata di per sé reversibile (rectius: sanabile), nel qual caso solo la situazione che non contempli alternative di sorta alla liquidazione giudiziale andrebbe considerata realmente irreversibile[8]: dove però il concetto di reversibilità (rectius: sanabilità) dell’insolvenza dell’impren-ditore dev’essere allora riferibile - e pare proprio questo, a ben vedere, il punto controverso ed invero controvertibile - anche alla possibilità di ritorno in bonis grazie alla ristrutturazione dei debiti, avuto quindi riguardo alle obbligazioni già oggetto di stralcio o dilazione e non a quelle originarie.
La riformulazione dell’art. 12, c. 1, in precedenza scritto in modo oggettivamente ambiguo, consente inoltre di ritenere ormai definitivamente codificata - e neppure questo è fatto di poco momento - la nozione di precrisi. Devono considerarsi in precrisi quelle imprese che si trovano - recita testualmente la norma - in “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”. Con il che il legislatore ha mostrato di tener presente il rilievo secondo il quale la vecchia espressione - anch’essa riferita all’imprenditore - “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” poteva interpretarsi (anche) nel senso della probabile verificazione di tali situazioni, come tali non ancora necessariamente in essere[9].
Dalla nozione di cui al precetto novellato si ricava con chiarezza che per precrisi non deve intendersi uno squilibrio probabile e neppure imminente: lo squilibrio, infatti, dev’essere già in atto e proprio al suo pregresso inverarsi è associata dalla legge la probabilità di crisi o di insolvenza (la likelyhood of insolvency del diritto anglosassone). Di tal che può dirsi che lo stato di precrisi finisce per coincidere con la probabilità di crisi e quindi in definitiva, senza voler indulgere (a dispetto dell’apparenza[10]) a giochi di parole, con la probabilità di probabilità di insolvenza[11].
Ciò d’altronde fa da pendant, per così dire, alla previsione dell’art. 3, c. 2, lett. b), là dove si richiede che gli adeguati assetti della società siano idonei a rilevare “eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario”[12]. Norma, questa, dall’ampia portata sistematica, in quanto si ritiene abbia conclamato l’esistenza di un obbligo di adeguata - recte: non manifestamente inadeguata - patrimonializzazione dell’impresa collettiva[13], in passato non perspicuamente codificato in ambito concorsuale ma non del tutto estraneo al diritto societario, se si pensa ai concetti espressi e alla terminologia usata dall’art. 2467 c.c. a proposito dei finanziamenti postergati dei soci (“eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”)[14].
Ora, se si raffronta l’anzidetta nozione di precrisi con la definizione di crisi dell’art. 2, c. 1, lett. a), ci si avvede che il principale profilo distintivo sembra riguardare i flussi di cassa: l’impresa in crisi è connotata, appunto per definizione, dalla loro inadeguatezza nei successivi dodici mesi, mentre la condizione di precrisi non comporta problematiche di flussi di cassa in questo arco temporale (ma, semmai, in un orizzonte meno ravvicinato). Anche in quest’ultima condizione, in ogni caso, le difficoltà dell’impresa sono, seppur in forma lieve, già presenti e difatti il passaggio allo stadio successivo della crisi non è semplicemente possibile bensì, appunto, probabile.
Tema diverso e non meno importante, ma estraneo al perimetro del presente contributo, è quello posto dall’interrogativo se l’impresa che accede alla composizione negoziata debba essere operante sul mercato, o possa anche essere inattiva in quanto destinata alla liquidazione[15]. Ci si limita qui a ribadire[16] che l’introduzione ad opera del decreto correttivo, dell’espressione “preservando, nella misura possibile, i posti di lavoro” all’interno dell’art. 12, c. 2, rende oggi più problematica la compatibilità con la composizione negoziata di una situazione votata alla mera dismissione atomistica dei cespiti e, quindi, caratterizzata dall’assenza, in prospettiva, di una ripresa o riconversione dell’attività nelle varie declinazioni che di esse in concreto possono darsi.
2. La gestione dell’impresa in base agli artt. 4 e 16…
Anche nel caso dei primi commenti al codice della crisi si è registrata concordia nel mettere giustamente l’accento sulla disciplina della gestione dell’impresa[17] in esso contenuta, centrale nel sistema del diritto delle imprese, non solo in crisi o insolventi[18]. E il punto di partenza è notoriamente costituito dal precetto generale dell’art. 4, c. 2, lett. c), ai sensi del quale il debitore ha il dovere, durante i procedimenti per l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, di gestire l’impresa “nell’interesse prioritario dei creditori”: dovendosi al riguardo ribadire che non è dato ravvisare apprezzabili distinzioni fra gli aggettivi “prioritario” di cui alla disposizione anzidetta e “prevalente” di cui all’art. 21, c. 1, che ci si appresta a esaminare.
I corollari che conseguono al necessario perseguimento in via prioritaria degli interessi dei creditori sono evidenti in termini, da un lato, di spazio lasciato (implicitamente ma chiaramente) a interessi diversi e, dall’altro, di impossibilità che questi ultimi si pongano in contrasto con quello del ceto creditorio: profili su cui già in altra sede ci si è intrattenuti[19]. Con l’ulteriore precisazione che la regola sancita in via generale dall’art. 4, c. 1, lett. c), va intesa come interesse dei creditori vuoi nel loro insieme, vuoi nell’accezione di interesse di ogni singolo creditore, seppur naturalmente nei limiti del principio del c.d. creditor no worse off. Dovendo peraltro tenersi conto che proprio in uno strumento come il concordato preventivo, in cui la tutela dei creditori è più marcata che in altri, vige in realtà l’ulteriore principio della sacrificabilità dell’interesse del singolo creditore - e comunque di quanti impugnino la sentenza di omologazione - nell’ipotesi di prevalenza rispetto a quest’ultimo dell’interesse generale dei creditori e dei lavoratori, con conseguente traslazione del primo su un piano meramente risarcitorio (art. 53, c. 5-bis)[20].
La norma fa peraltro espressamente salvo quanto disposto dagli artt. 16, c. 4, e 21, denotando in tal modo la volontà di dettare un regime ad hoc relativamente alla gestione dell’impresa in composizione negoziata[21], caratterizzata da una significativa “libertà di manovra” del debitore, che mantiene la facoltà di compiere anche atti di straordinaria amministrazione (nel che risiede uno dei – non pochi e non trascurabili – profili di distinzione rispetto al concordato preventivo, retto dalla regola del c.d. spossessamento attenuato).
Senz’altro corretta e opportuna è la precisazione in base alla quale “ciò non significa libertà incondizionata di gestione, quanto piuttosto evoluzione del controllo su di essa”[22]: con il che non si vuole certamente negare che il regime della gestione dell’impresa in composizione negoziata si inscriva in quel quadro generale connotato non solo dalla valorizzazione dell’autonomia privata (e del ruolo dei professionisti coinvolti, a cominciare ovviamente dall’esperto), ma anche, correlativamente, da “un minore affidamento sugli strumenti eteronomi e di eteroprotezione, che dall’esterno e con un certo grado di cogenza suppliscano alle inerzie o alle mancanze dei privati”[23]. Filosofia di fondo, questa, che – come immediatamente osservato all’indomani del d.l. n. 118/2021[24] – risponde a effettive esigenze provenienti dai mondi imprenditoriale e professionale (le quali scaturiscono, oggi non diversamente da ieri, dalla constatazione delle tuttora diffuse difficoltà di molte realtà economiche, nonostante il tempo trascorso dal fenomeno pandemico e dalla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina) e che va dunque vista – si ribadisce – con sostanziale favore, dovendosi non a caso constatare una diffusione sempre più frequente – e proficua - dell’istituto (ferma, beninteso, la netta censura all’indirizzo del ricorso abusivo a questo come agli altri istituti codicistici). A riprova che bisognava giocoforza attendere i tempi, per loro natura incomprimibili, della fase di “rodaggio”, nonostante che le attese “pressanti” degli operatori e della politica avessero dato talora luogo a eccessivi scetticismi e a prematuri “bilanci” negativi.
Ora, partendo dalla prima della due previsioni poc’anzi richiamate (e lasciando l’esame della seconda al paragrafo successivo), si coglie immediatamente il carattere di limite che è proprio dell’art. 16, c. 4, rispetto alla funzione finalistica dell’art. 4, c. 1, lett. c), consustanziale, quest’ultima, al perseguimento prioritario - come si diceva - dell’interesse dei creditori. Il c. 4 dell’art. 16, infatti, sancisce l’obbligo per il debitore di gestire l’impresa “senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”.
Oltre che per la declinazione del termine al plurale (“interessi”) - che non pare peraltro foriera di conseguenze applicative particolari - la formulazione della norma si segnala per il ricorso all’avverbio “ingiustamente”; e ciò invece sì che è gravido di implicazioni, giacché denota la possibilità di un pregiudizio agli interessi dei creditori a condizione che esso non sia ingiusto: donde la non intangibilità assoluta degli interessi in questione. Il che val quanto dire, appunto, che la legge stabilisce un semplice limite, e non già un divieto, al sacrificio sopportabile dai creditori, ferma restando, naturalmente, la necessità di appurare caso per caso quando il nocumento di cui trattasi risulti contra ius.
Il dovere di evitare ai creditori un pregiudizio ingiusto rappresenta, a ben vedere, una declinazione del più ampio principio di buona fede e correttezza, che è sancito dalla norma generale dell’art. 4, c. 1, anzitutto con riguardo alla composizione negoziata e che emerge in vari punti della disciplina specifica dell’istituto; principio chiamato a svolgere “un ruolo essenziale nella tutela, da parte dell’imprenditore/debitore, degli interessi dei creditori, che dalla corretta gestione dell’impresa traggono la loro aspettativa di rientro del credito vantato”[25].
3. … e l’aporia innestata dal decreto correttivo nell’art. 21
Concetto non dissimile da quello di pregiudizio agli interessi dei creditori, seppur diversamente focalizzato, è quello che si rinviene all’art. 21, c. 1, con riferimento all’imprenditore in crisi: questi infatti è tenuto a gestire l’impresa “in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività”.
La funzione di tale precetto è perspicua quanto condivisibile, tanto più se esso viene letto “in controluce” rispetto al disposto della seconda parte della norma con riguardo all’imprenditore che invece si trovi già in stato di insolvenza e che in quanto tale è giustamente chiamato a una gestione orientata al “prevalente interesse dei creditori”: sempre che naturalmente - precisa la legge - sussistano concrete prospettive di risanamento, questo essendo notoriamente il presupposto indefettibile della composizione negoziata.
Nel caso dell’imprenditore in semplice crisi il margine di manovra gestionale è dunque – come già si diceva – abbastanza ampio, laddove (solo) in presenza di uno stato di insolvenza l’attività degli amministratori è “funzionalizzata” all’interesse dei creditori. Interesse, quest’ultimo, che è invece sempre “prioritario” nei procedimenti relativi agli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza (art. 4, c. 2, lett. c) a prescindere da quale dei due stati caratterizzi, a seconda dei casi, l’imprenditore.
Come si è visto, la disposizione dell’art. 21, c. 1, è imperniata sulla dicotomia crisi/insolvenza e non fa menzione di quella terza condizione dell’impresa – la precrisi – di cui tratta, lo si diceva nel paragrafo precedente, l’art. 12 c. 1., relativamente alla quale non vi è dunque una specifica regola di condotta all’interno della disciplina in esame. Pare comunque si possa riaffermare, al riguardo, l’assunto secondo il quale nella c.d. twilight zone che precede lo stato di crisi deve certamente evitarsi il compimento di atti idonei a causare un depauperamento del patrimonio, quali la riduzione reale del capitale, la distribuzione di riserve o il rimborso ai soci dei loro finanziamenti. Tuttavia questa zona, appunto, «crepuscolare» deve suggerire un agire più prudente agli amministratori, ma non ancora un obbligo di comportamento meramente conservativo[26]. E in proposito può soggiungersi che in presenza di una situazione di difficoltà non (ancora) integrante i veri e propri estremi della crisi l’adozione, da parte degli amministratori, di rimedi invasivi potrebbe in certi casi costituire un’ipotesi di overdeterrence per eccesso del mezzo rispetto al fine: restando peraltro fermo – pena altrimenti un’eccessiva astrattezza del ragionamento – che la casistica pratica in materia non si presenta di regola in questi – bensì negli opposti – termini, sicché il problema principale rimane in definitiva, in base a quanto per lo più accade nel mondo imprenditoriale italiano, quello di stimolare l’emersione tempestiva della crisi e di scongiurare l’aggravamento del dissesto.
Venendo infine all’intervento sull’art. 21 ad opera del decreto correttivo del 2024, esso ha comportato l’inserimento, nella seconda frase del primo comma (quindi relativamente all’imprenditore in crisi), di un’espressione che riesce difficile non definire fuori contesto, onerando essa l’imprenditore - appunto in crisi - di individuare “la soluzione per il superamento della situazione di insolvenza”. E che l’espressione sia riferita alla situazione di crisi e non di insolvenza non sembra potersi mettere in dubbio, dal momento che il testo del decreto correttivo di cui alla Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 2024[27], all’art. 5, c. 7, dice chiaramente (seppur erroneamente) che essa va inserita “all’art. 21, comma 1, secondo periodo”: e il secondo periodo è appunto quello che si riferisce all’imprenditore in stato di crisi[28].
Ora, a parte l’inopportuno (ma fondamentalmente innocuo) utilizzo del termine atecnico “situazione” in luogo di “stato”, ciò che stride a livello logico-concettuale è il fatto che il superamento dell’insolvenza sia associato dalla norma a un imprenditore che insolvente ancora non è, trovandosi - si ripete - in stato di semplice crisi.
Ciò non significa, evidentemente, che non possa accadere che l’imprenditore, nel corso delle trattative, veda peggiorare la propria condizione al punto da non riuscire più ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni; oppure che si accorga che la descrizione iniziale del proprio stato di crisi corrisponde, in realtà, a vera e propria insolvenza: ma in entrambi i casi, proprio perché connotati da insolvenza, deve coerentemente trovare applicazione il precetto sul necessario perseguimento in via prevalente dell’interesse dei creditori, con relativa compressione dei margini di discrezionalità gestoria. Il che, pertanto, non aiuta in alcun modo a risolvere l’aporia testé segnalata, ponendola semmai in ulteriore luce.
Come rimediare allora, in via interpretativa, a quello che appare - se non si va errati - un autentico lapsus del legislatore?
Le soluzioni possibili sembrano essere due ed entrambe passano per un’operazione di “ortopedia interpretativa” non poco invasiva.
La prima consiste nel ritenere che il legislatore volesse inserire tale previsione nel terzo periodo del primo comma della norma, l’unico in effetti a trattare di imprenditore insolvente: e che a questa fattispecie l’espressione “superamento dell’insolvenza” vada pertanto riferita.
La seconda passa invece per la sostituzione del termine “superamento”, giacché l’imprenditore in crisi non può per definizione essere tenuto a superare l’insolvenza ma semmai a scongiurarla. Non a caso, un concetto siffatto è espresso, in tema di concordato preventivo (il cui presupposto oggettivo consiste notoriamente sia nella crisi che nell’insolvenza), dal terzo comma dell’art. 87, ove tra i compiti demandati all’attestatore vi è quello di verificare l’attitudine del piano concordatario a impedire (se appunto non ancora in atto) o superare (solo se già in atto) l’insolvenza.
Fra le due opzioni non si nasconde la preferenza per la prima: si tratta invero di un’interpretazione correttiva attraverso l’argomento della dissociazione[29], utilizzato appunto per dissociare un precetto da un contesto (la crisi) cui esso è estraneo per associarlo invece al contesto (l’insolvenza) che gli è proprio.
In definitiva, senza un’operazione del genere a livello ermeneutico la disposizione in esame appare francamente priva di senso e, come tale, potenzialmente destinata a un’interpretazione abrogatrice.
[1] Sul presupposto oggettivo della composizione negoziata prima del decreto correttivo cfr., anche per riferimenti, V. Donativi, Il presupposto oggettivo della composizione negoziata (e dell’allerta interna), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 21 settembre 2023, (il quale prospettava la tesi, rimasta sostanzialmente isolata, della compatibilità dell’istituto con la sola condizione di precrisi); A. Rossi, sub art. 12, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, Milano, 2023, 76 ss.; nonché da ultimo, per una puntuale ricostruzione delle problematiche aggiornata al correttivo, C. Trentini, I presupposti, in M. Irrera e S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, I, Bologna, 2024, 233 ss. Per le nozioni di crisi e insolvenza nella letteratura aziendalistica recente cfr. P. Bastia, Crisi e insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, Bologna, 2022, 148 ss.; P. Riva, Presupposto oggettivo e piattaforma nazionale, in M. Irrera e S. A. Cerrato (diretto da), La crisi d'impresa e le nuove misure di risanamento, cit., 35 ss.. Più in generale sull’istituto della composizione negoziata v., anche per riferimenti, M. Spiotta, Il percorso (“liquido” ma “solido”) della CNC: solo andata o anche ritorno?, in Giur. comm., 2024, I, 595 ss., nonché i saggi di vari autori (fra cui chi scrive) pubblicati in Giur. it., 2023, 1699 ss., sotto il titolo Codice della crisi: tra novità e dubbi (ir)risolti (II parte), a cura di M. Spiotta.
[2] A pochi giorni di distanza dalla pubblicazione del d. l. n. 118/2021, si era posto il problema nei termini seguenti: “Il tenore letterale della nuova previsione potrebbe a tutta prima indurre a ritenere che l’istituto non sia fruibile quando la crisi o l’insolvenza siano già in atto e che esso miri esclusivamente a scongiurarne l’inverarsi (…) In realtà, a dispetto della potenziale decettività dell’espressione “rendono probabile”, che sembra alludere soltanto a eventi futuri – e da questo punto di vista sarebbe in realtà preferibile declinare il precetto così: “che rendono verosimile l’esistenza dello stato di crisi o di insolvenza, o probabile il loro futuro verificarsi” – non pare che dal perimetro applicativo della nuova disposizione possano venire escluse le imprese già in crisi o addirittura insolventi” (S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 agosto 2021, 7). Nello stesso senso poi, ex aliis, Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 116-117, il quale osserva: “Ad una prima lettura si sarebbe portati ad escludere dalla fruibilità di questo nuovo e centrale istituto l’imprenditore insolvente (…). Ma sarebbe una conclusione affrettata, in qualche misura favorita da una non corretta interpretazione della Direttiva Insolvency”.
[3] Propugnata da G. Limitone, Degiurisdizionalizzazione della crisi d’impresa e composizione negoziata: una figlia naturale non (ancora) riconosciuta. Con notazioni a margine, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17 maggio 2022.
[4] I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 4 ottobre 2024.
[5] Jorio, op. loc. cit.; I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, ivi, 28 settembre 2021.
[6] S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del cci, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 901 ss., e già in Crisi e insolvenza nel passaggio fra vecchio e nuovo assetto ordinamentale: considerazioni problematiche, in ilcaso.it, 4 gennaio 2019.
[7] A. Rossi, op. cit., 78.
[8] La definisce “irrimediabile e senza un futuro diverso dalla liquidazione” A. Jorio, op. cit., 116.
[10] Torna alla mente, in proposito, l’irresistibile divertissement di Achille Campanile “La quercia del Tasso”, ove si narra dell’albero (una quercia, appunto) alla cui ombra soleva riposare Torquato Tasso e fra le cui radici abitava un tasso: “Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso". Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: il tasso del tasso del Tasso”.
[11] Così già P. Riva, op. cit., 38.
[12] Sul tema cfr., anche per riferimenti, M. Onza, “Gestione sostenibile” dell’impresa, “adeguati assetti” e (una annotazione su) “interesse sociale”: spunti di riflessione, in S. Ambrosini (a cura di), Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, 11 ss.
[13] G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in Riv. soc., 2022, 1150, richiamato anche da M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione. Note minime a margine dell'art. 120-bis del Codice della crisi, in Dir. fall., 2023, I, 493 ss., e da P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, in dirittodellacrisi.it, 4 dicembre 2023.
[14] E sul punto v. sempre G.B. Portale, op. loc. cit.
[15] In argomento, fra i contributi più recenti in senso permissivo, Jeantet et al., Composizione negoziata e liquidazione, in dirittobancario.it, 23 novembre 2022; E. Bissocoli, La presunta incompatibilità tra lo stato di liquidazione (recte il piano di liquidazione) e la composizione negoziata della crisi d’impresa: un equivoco da evitare, in dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022. Per un’articolata confutazione di tali tesi v. però C. Trentini, op. cit., 239-242. In giurisprudenza cfr., nel primo senso, Trib. Mantova, 4 dicembre 2024, in unijuris.it; Trib. Perugia, 12 luglio 2024, in dirittodellacrisi.it; nel secondo Trib. Roma, 10 ottobre 2022, ivi; Trib. Livorno 8 febbraio 2023, ivi; Trib. Bergamo, 15 febbraio 2022, ivi; Trib. Ferrara, 21 marzo 2022, ivi; Trib. Arezzo, 16 aprile 2022, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, i quali segnalano che incompatibile con l’istituto non è lo stato di liquidazione in sé, ma il difetto di concrete prospettive di risanamento che può risultarvi associato. Orientati nell’analoga direzione di quest’ultimo filone giurisprudenziale, fra gli altri, S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, cit., 11; S. Rossetti, Presupposti e condizioni per l’accesso alla composizione negoziata. Il valore perseguibile: il risanamento dell’impresa, in dirittodellacrisi.it, 3 aprile 2023, 8, e A. Rossi, op. cit., 75, il quale predica la necessità che la società in liquidazione “mantenga una organizzazione d’impresa suscettibile del risanamento mediante trasferimento dell’azienda”.
[16] Per un cenno in tal senso v. giàI rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 4 ottobre 2024, 2.
[17] Sul tema v., tra i contributi più stimolanti, S. Pacchi, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in S. Ambrosini (a cura di), Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, 59 ss.
[18] Fra i primissimi a teorizzare un’applicazione anche all’esterno dei confini del codice della crisi L. Panzani, I doveri delle parti, in dirittodellacrisi.it, 14 settembre 2022. Da ultimo il decreto correttivo, sotto il diverso profilo dei doveri di leale collaborazione e di riservatezza, ne ha esteso l’ambito di operatività a “tutti i soggetti interessati alla regolazione della crisi e dell’insolvenza”, a prescindere quindi dallo status creditoris: alludendo con ciò la norma, implicitamente, a categorie soggettive le più svariate, in relazione sia all’interno della società (i soci e i dipendenti), che all’esterno di essa (garanti e altri coobbligati del debitore, terzi contraenti, potenziali investitori, sindacati, funzionari pubblici coinvolti, ecc.). E sul tema dei doveri delle parti si vedano anche, fra i primi e più puntuali contributi, R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in S. Ambrosini (a cura di), Le crisi d'impresa e del consumatore. Liber amicorum per Alberto Jorio, Bologna, 2021, 46 ss., nonché il lavoro monografico di D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d'impresa, Milano, 2022.
[19] Adeguatezza degli assetti aziendali, doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in M. Callegari-S.A. Cerrato-E.R. Desana (a cura di), Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, III, Torino, 2022, 1703 ss.; Doveri degli amministratori di s.p.a., Business Judgement Rule e azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, II, Torino, 2022, 2060 ss.
[20] La norma, gravida di implicazioni sistematiche, solleva diversi problemi interpretativi e, secondo alcuni, anche dubbi di incostituzionalità (L. Nannipieri, Dubbi irrisolti sulla conferma del concordato illegittimo con tutela risarcitoria, in dirittodellacrisi.it, 4 settembre 2023). Fra gli aspetti più rilevanti vi è quello della sua possibile applicazione anche al (e fin dal) giudizio di omologazione, senza cioè attendere – anche per ragioni di economia processuale (S. Ambrosini, Concordato preventivo, in S. Pacchi, S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, IV edizione, Bologna, 2025, 223) – l’eventuale reclamo: il che potrebbe porre il dubbio circa una possibile omologazione “forzosa” al di là dei presupposti di cui agli artt. 48 e 112, atteso che l’art. 53, c. 5-bis ne postula, implicitamente, la violazione. E ciò a sua volta indurrebbe a interrogarsi sul fatto se ciò possa avvenire senza che neppure una classe di creditori abbia votato a favore. Nel senso che la soluzione di applicare la norma fin dal primo (e in ipotesi unico) grado sia senz’altro consentita dall’osservanza del principio di unità della giurisdizione v. L. Panzani, E. La Marca, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte, in Nuovo dir. soc., 2022, 1507 ss.; in senso contrario, sul presupposto che la Direttiva Insolvency subordinerebbe detto rimedio risarcitorio all’eventualità di accoglimento dell’impugnazione I. Pagni-M. Fabiani, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022, sebbene possa forse prospettarsi, di contro, l’ipotesi che anche la decisione del tribunale sull’opposizione all’omologazione vada considerata come resa in sede impugnatoria.
[21] E sul tema v., anche per riferimenti, S. Bonfatti, La gestione dell'impresa nella procedura di composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 26 settembre 2023.
[22] S. Pacchi, La scelta dello strumento di regolazione della crisi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 4 marzo 2024, 21.
[23] F. Pasquariello, S. Mansoldo, Introduzione. Doveri delle parti. Gestione interinale, in M. Irrera e S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, cit., 189 ss.
[24] S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, cit. E sulle linee ispiratrici dell’istituto si vedano, a breve distanza dalla sua introduzione, S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 agosto 2021; Ead., L'allerta tra la reticenza dell'imprenditore e l'opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, in Dir. fall., 2022, I, 501 ss.; L. Panzani, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 31 gennaio 2022.
[25] G. Meruzzi, I doveri delle parti, in M. Irrera e S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, cit., 103.
[26] Profili societari degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in S. Pacchi, S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, cit., 400. E nello stesso senso già, acutamente, S. Fortunato, Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Riv. Soc., 2019, 952 ss.
[27] Pubblicato in Ristrutturazioni aziendali il 27 settembre 2024
[28] Nella versione del codice della crisi aggiornato al decreto correttivo quale pubblicata su dirittodellacrisi.it l’espressione in commento è stata per errore inserita nel terzo periodo del primo comma dell’art. 21, mentre corretta è la collocazione della stessa operata, ad esempio, dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e normativa correlata, curato da Fabio Santangeli, edito da Giuffré nell’autunno 2024.
[29] Ringrazio Federico Casa dello spunto di teoria dell’interpretazione.