, 22 gennaio 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. L’inadeguatezza della formulazione precedente e l’intervento del decreto correttivo del 2024 – 2. L’ulteriore espansione della c.d. concorsualizzazione dei rimedi societari – 3. La prededucibilità del credito risarcitorio come bilanciamento all’assenza di tutela reale – 4. L’attuazione anticipata delle operazioni – 5. La sterilizzazione del diritto di recesso – 6. Conclusioni
1. L’inadeguatezza della formulazione precedente e l’intervento del decreto correttivo del 2024
L’art. 116 CCII come declinato prima dell’ultima novella[1] si prestava, obiettivamente, a non poche critiche, in ragione tanto di una certa approssimazione della tecnica legislativa, quanto della presenza di svariate “zone d’ombra” che avevano generato – come riconosce la stessa Relazione illustrativa al d. lgs. n. 136/2024 – difficoltà interpretative e applicative.
Sulla Rivista di diritto civile del 2023, ad esempio, si è osservato – seppur con toni, forse, eccessivamente severi – che “appare sorprendente come le norme dedicate alla fusione, alla scissione e alla trasformazione di società in concordato preventivo lascino ancora dubbi interpretativi e operativi ai numerosi studiosi ed operatori del settore. Le novità contenute nell’art. 116 C.C.I.I. mirano infatti a risolvere i problemi di coordinamento normativo, sollevati nel vigore della “vecchia” legge fallimentare, tra gli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla disciplina societaria e quelli agli stessi dedicati nell’ambito del concordato; ma, nel farlo, l’apprezzabile intento legislativo sembra perdersi in una formulazione letterale poco chiara ed incompleta, che traccia una procedura mista (societaria e concordataria) dai contorni incerti ed indefiniti”[2].
Vi era pertanto la comprensibile attesa di un intervento che modificasse e implementasse la norma, cosa che è appunto avvenuta con il decreto correttivo, il cui intervento è improntato – come si vedrà in seguito – all’obiettivo di un apprezzabile bilanciamento fra i diversi interessi in gioco. Con la precisazione che l’art. 116 è ora fatto oggetto di espresso richiamo da parte dell’art. 57, c. 2, risultando in tal modo applicabile agli accordi di ristrutturazione (e altrettanto vale per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione in virtù dell’art. 64-bis, c. 9, operante con questa funzione già prima del correttivo). E con l’ulteriore precisazione che l’invariato, chiaro riferimento ai soli casi di trasformazione, fusione e scissione continua a deporre nel senso dell’esclusione dal perimetro applicativo della norma delle operazioni sul capitale (salvo il dubbio, di cui si dirà al termine della trattazione, circa il diritto di recesso).
L’odierna formulazione della norma, pur con qualche residuo dubbio ermeneutico, appare sensibilmente migliorata rispetto al passato, come ci si appresta a illustrare nel dettaglio.
2. L’ulteriore espansione della c.d. concorsualizzazione dei rimedi societari
Il più rilevante dato sistematico che si ricava dall’art. 116 continua indubbiamente a risiedere nella c.d. concorsualizzazione dei rimedi societari. Ed invero, sull’altare della stabilità della soluzione concordataria viene sacrificata la possibilità dei creditori di opporsi alle operazioni straordinarie di cui al primo comma (trasformazioni, fusioni e scissioni) al di fuori del giudizio di omologazione, opportunamente individuata quale sede elettiva ed esclusiva della proposizione dell’eventuale gravame, il che consente di realizzare quel raccordo, da più parti auspicato, fra disciplina societaria e diritto della crisi attraverso un modello processuale unico, che convoglia le opposizioni previste dal codice civile appunto all’interno del giudizio omologatorio.
Il decreto correttivo si è invero spinto oltre, estendendo l’applicazione del precetto ai creditori “delle altre società partecipanti” e chiarendo così un aspetto importante – e in precedenza controverso – della disciplina. Ciò sancisce quella prevalenza assoluta dei rimedi concorsuali su quelli societari che prima dell’ultima novella era stata giudicata da alcuni “ingiustificatamente penalizzante” e quindi tale da suggerire “l’opportunità di una lettura meno radicale”[3]: con la precisazione, per quanto superflua, che la perdita della prerogativa di diritto comune non comporta la privazione del diritto di opporsi (il che sarebbe inammissibile e certamente incostituzionale), ma appunto la sua traslazione in ambito concorsuale, connotato ora da una vis attractiva ulteriormente rafforzata stanti gli effetti che essa spiega nei confronti di soggetti diversi dai creditori della società in concordato.
Va quindi condivisa e ribadita l’affermazione secondo la quale “nessuna questione afferente la validità o l’efficacia delle operazioni straordinarie previste nel piano di concordato può essere sollevata davanti ad un tribunale diverso da quello che è chiamato ad omologare il concordato. Nessun danno può essere preteso ex art. 2504-quater e 2500-bis c.c. tramite un’azione autonoma”[4].
La riformulazione del precetto, tuttavia, lascia aperto l’interrogativo circa l’opposizione da parte dei soci, dal momento che la norma continua a riferirsi ai soli creditori. In proposito, sembra potersi ritenere che, a dispetto del dato letterale (che peraltro non appare frutto di una scelta precisa sul punto), la norma vada riferita anche ai soci, tenuto conto, a livello sistematico, dei princìpi espressi dall’art. 120-bis e seguenti e, a monte, di quelli ricavabili dall’art. 12 della Direttiva Insolvency [5]: soci, in base alla soluzione legislativa testé descritta, della società in concordato ma anche delle altre società coinvolte nell’operazione.
Al fine poi di rendere effettiva – e quindi controbilanciante – la tutela dei soggetti legittimati ad opporsi alle operazioni in questioni, il nuovo primo comma dell’art. 116 stabilisce che il piano di concordato che prevede la trasformazione, la fusione o la scissione è depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede la società debitrice e le altre società partecipanti, unitamente al progetto di cui agli artt. 2501-ter e 2506-bis c.c. e agli altri documenti previsti dalla legge. E alla medesima finalità è improntato l’allungamento da trenta a quarantacinque giorni del termine per l’opposizione, decorrente dall’ultima delle predette iscrizioni.
La stabilità del concordato come valore protetto dal codice presenta un ulteriore profilo di emersione nel quarto comma dell’art. 116, il quale ha ad oggetto le deliberazioni relative alle operazioni straordinarie quali previste nel piano[6].
Al riguardo, la norma stabilisce che, una volta che sia intervenuta l’omologazione, l’invalidità di tali deliberazioni non può essere pronunciata e che gli effetti delle operazioni sono irreversibili. Ne consegue che non vi è alcuno spazio per contestazioni inerenti non solo alla validità delle operazioni straordinarie, ma anche alla loro efficacia: donde l’improponibilità, a seguito del provvedimento omologatorio, di azioni revocatorie sia ordinarie che concorsuali, tipicamente all’indirizzo di atti di scissione che si assumano lesive dei diritti dei creditori.
La tutela dei creditori (e dei soci) viene traslata dal piano reale a quello risarcitorio, come del resto accade in ambito societario, a prescindere, quindi, dalla situazione di crisi della società: la previsione in esame fa infatti salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente causato dall’invalidità di tali deliberazioni. Rispetto alla precedente formulazione il decreto correttivo ha inserito una precisazione importante, che risolve il dubbio posto dal tenore del vecchio art. 116, c. 3, relativamente al rango del suddetto credito risarcitorio, di cui la legge sancisce ora ex professo la prededucibilità.
La soluzione adottata rappresenta un opportuno fattore di bilanciamento fra i diversi interessi in gioco, anche se appare destinata a indurre il debitore prudente a inserire un fondo di natura prededucibile ogniqualvolta la validità o l’efficacia dell’operazione vengano contestate in modo specifico e puntuale da parte di un soggetto che manifesti espressamente la propria intenzione di opporsi, su tali basi, all’omologazione del concordato. E in proposito viene in evidenza, ex art. 92, c. 3, il ruolo del commissario giudiziale relativamente all’affiancamento di debitore e creditori nella negoziazione del piano in continuità e nella formulazione di eventuali suggerimenti per la sua redazione[7], nonché nella negoziazione di eventuali modifiche del piano o della proposta (norma, questa, che non sembra ancora, nella pratica, aver esplicato appieno le proprie potenzialità).
In generale, la nuova disposizione risulta non solo più chiara ma anche più puntuale e completa, nella misura in cui disancora la regola di cui si è appena detto dalle ipotesi di risoluzione e di annullamento del concordato, alle quali invece le collegava il vecchio comma 3; queste vengono ora correttamente dislocate in un comma ad hoc, il quarto, che sancisce l’applicazione di tale regola alle situazioni in esame, cui viene giustamente equiparata la revoca del concordato.
Quanto allo scivolamento dal piano della tutela invalidatoria a quello risarcitorio, esso appare coerente – lo si accennava – con quanto disposto dalla disciplina societaria, da tempo caratterizzata dalla sostituzione degli strumenti di tutela reale con rimedi di tipo obbligatorio (basti pensare all’art. 2504-quater in tema di fusione). Ma un altro esempio del genere è rappresentato, all’interno stesso della disciplina del concordato preventivo, dalla norma sulla conferma della sentenza di omologazione da parte della corte d’appello nonostante la fondatezza del reclamo (art. 53, c. 5-bis), ove è previsto che la prevalenza dell’interesse generale dei creditori e dei lavoratori sul pregiudizio subito dal reclamante[8] sia, per così dire, “compensata” dal riconoscimento a quest’ultimo del diritto risarcitorio: disposizione, questa, che risulta peraltro eccessivamente scarna e come tale foriera di non lievi criticità interpretative[9].
Resta forse un margine di dubbio con specifico riferimento alla società risultante da fusione, giacché non riesce agevole ricomprenderla nell’espressione “le altre società partecipanti” di cui all’art. 116, c. 1: se la “immunità” concessa dal quarto comma non dovesse ritenersi applicabile ai vizi dell’atto e del procedimento di una fusione siffatta, residuerebbe uno spazio per il rimedio invalidatorio, anche se ciò condurrebbe pur sempre, per effetto della conversione dei motivi di nullità in cause di scioglimento, alla liquidazione della società in ipotesi dichiarata nulla e non già al ripristino dello status quo ante[10].
4. L’attuazione anticipata delle operazioni
Il pur rilevante aspetto del regime autorizzatorio delle operazioni straordinarie in costanza di concordato non era affrontato dalla disposizione previgente, sicché il problema veniva impostato sulla base dei princìpi operanti in materia concordataria. E in proposito si enucleavano in dottrina[11] tre diverse situazioni: (i) quanto alle operazioni cc.dd. precoci, quelle cioè realizzate prima della domanda di accesso al concordato, esse non richiedevano alcuna autorizzazione da parte degli organi concorsuali, non essendosi ancora verificate le limitazioni alla capacità di agire della società debitrice; (ii) quanto alle operazioni eseguite dopo la presentazione della domanda, ma prima dell’omologazione del piano concordatario, esse postulavano, invece, l’autorizzazione del tribunale se anteriori al decreto di apertura, ovvero del giudice delegato, se ad esso posteriori (tuttavia, nessuna autorizzazione era richiesta per gli atti che non avessero immediati effetti dispositivi sul patrimonio della società debitrice; vale a dire, ad esempio, le operazioni sospensivamente condizionate al giudizio di omologazione); (iii) quanto infine alle operazioni straordinarie eseguite durante la fase di esecuzione del concordato, esse non seguono alcun regime autorizzatorio, in quanto la sentenza che chiude il concordato comporta il ritorno in bonis della società debitrice.
La nuova previsione, al terzo comma, detta in materia una regola precisa e articola la relativa eccezione.
La regola “di default” consiste nell’impossibilità di dare attuazione alle operazioni straordinarie previste nel piano fino a quando il concordato non sia omologato. E nell’ottica di bilanciare tale esigenza di certezza con quella di celerità della procedura la norma precisa che la sentenza non deve necessariamente essere passata in giudicato.
L’eccezione è invece rappresentata dall’attuazione anticipata della trasformazione, della fusione o della scissione, per la quale è richiesta l’autorizzazione del tribunale. Le stringenti condizioni poste dalla norma affinché questa venga rilasciata sono le seguenti: (i) che vi sia l’istanza del debitore; (ii) che il commissario giudiziale renda il proprio parere (appunto necessario, ma non vincolante); (iii) che sussista, nel caso di attuazione invece successiva, un pregiudizio ai creditori della società debitrice; (iv) che vi sia il consenso di tutti i creditori delle altre società partecipanti, o che le stesse provvedano al pagamento a favore di coloro che non hanno dato il consenso, oppure depositino le somme corrispondenti presso una banca.
Il focus è quindi posto, da un lato, sul nocumento che deriverebbe ai creditori della società debitrice se si dovesse attendere il provvedimento di omologazione per poter effettuare l’operazione straordinaria (senza che la norma, correttamente, ne postuli né la gravità né tanto meno l’irreparabilità[12]), dall’altro, sul consenso unanime dei creditori delle altre società partecipanti, “surrogabile” dal pagamento a loro favore o dal deposito dell’importo in banca: il che finisce col rendere abbastanza complicato, sul piano pratico, ottenere l’autorizzazione giudiziale, per cui la regola “di default” appare destinata a trovare più frequente applicazione (salve ovviamente le ipotesi di effettiva indifferibilità dell’operazione).
5. La sterilizzazione del diritto di recesso
L’ultimo comma dell’art. 116 (oggi il sesto e non più il quinto) ribadisce la regola della sospensione del diritto di recesso dei soci, d’altronde imposta, a monte, dalla legge delega n. 155/2017: la previsione nel piano delle operazioni straordinarie, infatti, comporta che tale diritto sia “sospeso fino alla loro attuazione”, chiaro essendo che una sua esclusione tout court, invece, sarebbe risultata irragionevolmente penalizzante, oltre che caratterizzata da un eccesso del mezzo rispetto al fine.
La novità apportata dal decreto correttivo consiste nel riferire la parola “attuazione” alle operazioni stesse e non al piano e risulta senz’altro opportuna, perché il sacrificio dei soci in tanto ha ragion d’essere in quanto sia in corso una delle operazioni previste dal primo comma: completata la quale (questo è il senso da dare al vocabolo “attuazione”)[13] essi devono poter recuperare le loro prerogative, ottenendo la liquidazione della partecipazione.
Un chiarimento sul punto, tuttavia, si impone.
Va infatti precisato, quanto ai criteri di calcolo della quota di liquidazione, che il socio receduto non pare poter beneficiare dei risultati della ristrutturazione, tanto più che essa è frutto dei sacrifici imposti al ceto creditorio. Ciò significa che detta quota dev’essere verosimilmente calcolata sull’entità del patrimonio sociale anteriore alla ristrutturazione, senza che vi sia spazio per appropriazioni di valore latamente “parassitarie”. A meno di ritenere, in una prospettazione più “radicale” del problema, che il diritto di recesso relativamente alle operazioni effettuate in conformità al piano concordatario non spetti sic et simpliciter, anche se questa soluzione, pur pregevolmente argomentata[14], sembra presupporre un’interpretazione antiletterale (e come tale non agevole) della norma, che non parla di perdita del diritto ma appunto di sua sospensione; né parrebbe decisiva la circostanza[15] che la legge si esprima col termine di sospensione “del diritto” e non “dell’esercizio del diritto”: di là dal fatto che, probabilmente, quest’ultima soluzione sarebbe stata quella più “efficiente” e sistematicamente coerente.
Ad ogni buon conto, quella che va sicuramente respinta è la soluzione più favorevole al socio receduto, giacché essa, ponendosi contra rationem legis rispetto al favor per la ristrutturazione e al correlato sacrificio posto a carico dei soci, risulta a ben vedere incompatibile con il sistema cui ha dato vita il codice della crisi.
Dal che una parte della dottrina ha inferito l’ulteriore corollario di una lettura estensiva della norma sulla sterilizzazione del recesso, sostenendosi che tale diritto “subisca una compressione in tutti i casi in cui la ristrutturazione preveda operazioni straordinarie che, ordinariamente, darebbero luogo al diritto di recesso dei soci che non le abbiamo approvate”[16]: non solo, quindi, le tipologie contemplate dall’art. 116, c. 1, ma anche operazioni diverse quali l’aumento di capitale riservato al terzo, ovvero operazioni che non siano propriamente parte del piano concordatario ma ne costituiscano semplici condizioni esterne.
Quanto, infine, alla natura del credito che con l’esercizio del recesso viene ad esistenza, occorre tener conto del fatto che esso sorge in costanza di concordato o di sua esecuzione, sicché parrebbe doversi soddisfare “in moneta buona”[17]: dovendosi al riguardo soggiungere che la questione del rango del credito come testé inquadrata perde di importanza pratica ogniqualvolta – come spesso in concreto accade – il patrimonio netto della società risulti negativo al momento dell’accesso di questa allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Dai concorrenti punti di vista fin qui individuati emerge la ricerca, da parte del legislatore del decreto correttivo, di un costante bilanciamento fra i differenti interessi in gioco.
Alla rafforzata concorsualizzazione del rimedio impugnatorio, ora estesa alle “altre società partecipanti” alle operazioni straordinarie, fanno da (parziale) contrappeso il regime di pubblicità e l’ampliamento del termine per l’opposizione; l’intangibilità delle deliberazioni previste nel piano e l’irreversibilità degli effetti delle operazioni straordinarie sono “compensate” dal diritto al risarcimento del danno, dotato adesso di ubi consistam economico con la previsione della sua prededucibilità; l’attuazione delle operazioni in via anticipata rispetto all’omologazione è consentita ma sottoposta a una serie di stringenti condizioni; la sterilizzazione del diritto di recesso viene ribadita ancorché solo fino all’attuazione delle operazioni e non più del piano.
La riformulazione e la rimodulazione dell’art. 116, in definitiva, sembrano aver realizzato un equo contemperamento fra le diverse istanze sul tappeto, in un quadro di osservanza dei princìpi di delega come pure di quelli dettati in sede unionale. L’intervento correttivo va dunque salutato con complessivo favore: tanto più che l’iniziale approssimazione che aveva caratterizzato la previsione originaria lo rendeva davvero ineludibile.
[1] Sulla disposizione previgente cfr., ex aliis, I. Pagni, M. Fabiani, Le operazioni straordinarie nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza tra l'art. 116 e gli artt. 120-bis ss. CCII, in Riv. soc., 2022, 1308 ss.; L. Stanghellini, Le operazioni straordinarie nella ristrutturazione della società: profili procedimentali e tutela dei soci, in AA.VV., La s.p.a. nell’epoca della sostenibilità e della transizione ecologica (Atti del convegno di Venezia del 10 e 11 novembre 2023), Milano, 2024, 1109 ss.; M. Maltoni, Sub art. 116, in P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo (a cura di), Il Codice della Crisi. Commentario, Torino, 2024, 681 ss., cui adde, per l’enucleazione di svariate problematiche anche di ordine applicativo, M. Henzel, Sub art. 116, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa ed insolvenza, Padova, 2023, 840 ss., nonché, ancor prima dell’entrata in vigore del codice della crisi, F. Guerrera, M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di "riorganizzazione", in Riv. soc., 2008, 17 ss. Per una utile rassegna di taglio pratico v. P. G. Cecchini, Fusioni, scissioni e trasformazioni nel nuovo concordato preventivo, in Fall., 2019, 955 ss.
[2] M. C. di Martino, Il “ritorno di fiamma” tra fusione e concordato all’esito del C.C.I.I., in Riv. dir. civ, 2023, 741.
[3] M. Maltoni, op. cit., 685; diversamente orientati però, già in precedenza, I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., 1321.
[4] M. Maltoni, op. cit., 683.
[5] Così anche M. Maltoni, op. cit., 685, seppur con riguardo al testo normativo previgente.
[6] La norma fa implicito riferimento all’art. 120-bis, c. 2, ai sensi del quale il piano – “anche modificato prima dell’omologazione”, come precisato dal decreto correttivo – può prevedere, oltre a qualsiasi modificazione dello statuto, “fusioni, scissioni e trasformazioni”. E il successivo art. 120-quinquies in tema di esecuzione delle operazioni societarie stabilisce che la sentenza di omologazione “tiene luogo delle operazioni di trasformazione, fusione e scissione”.
[7] Sotto questo profilo, il commissario cessa di essere un mero controllore per assumere le sembianze di un “fiancheggiatore” (ovviamente senza connotazioni negative) e di un “suggeritore” di debitore e creditori, venendo così ad assomigliare, da questo specifico punto di vista, all’esperto della composizione negoziata.
[8] S. Ambrosini, Ancora sulle “condizioni” dell’impresa - dalla precrisi all’insolvenza sanabile - e sulla sua gestione nella composizione negoziata (con una chiosa in merito al recente lapsus del legislatore), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 12 gennaio 2025, 8.
[9] E sul tema cfr. L. Nannipieri, Dubbi irrisolti sulla conferma del concordato illegittimo con tutela risarcitoria, in dirittodellacrisi.it, 4 settembre 2023.
[10] Come chiarito da A. Genovese, L' invalidità dell'atto di fusione, Torino, 1997, 234 ss.; e nello stesso senso G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, Torino, 2024, 674.
[11] M. Henzel, Sub art. 116, cit., 842.
[12] Non è quindi richiesta la gravità del pregiudizio, come accade invece per la finanza prededucibile prima dell’omologazione, né a foriori l’irreparabilità propria del danno da mancata autorizzazione della finanza d’urgenza (art. 99, c. 2). E neppure vi è riferimento al pregiudizio ingiusto di cui parla l’art. 112, c. 1, lett. f), a proposito dei nuovi finanziamenti.
[13] Prima della modifica ad opera del decreto correttivo, si è osservato che, “stante l'ambiguità dell'espressione adottata dal legislatore, non è chiaro se coincida con il momento iniziale in cui il piano deve cominciare ad essere eseguito o, come pare più convincente, il momento finale in cui il piano può dirsi compiutamente eseguito” (così M. Henzel, Sub art. 116, cit., 845).
[14] L. Stanghellini, cit., 1129-1130.
[15] Invocata da R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Società, 2023, 1148, condiviso da L. Stanghellini, cit., 1130.
[16] Così L. Stanghellini, cit., 1130.
[17] Nello stesso senso M. Henzel, cit., 845. Contra Pagni, Fabiani, cit., 1329, che parlano, in termini che non appaiono però pienamente convincenti, di un diritto alla quota di liquidazione come “naturalmente postergato”.