, 30 gennaio 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. La vicenda affrontata dalla S.C. – 2. Le questioni trattate dalla Corte. Nullità del contratto per omessa valutazione del merito creditizio: una nullità più “immaginaria” che “virtuale” – 3. La reale portata della decisione in esame – 4. Conclusioni
1. La vicenda affrontata dalla S.C.
Con la sentenza che qui si commenta, la S.C. si è espressa sulla nullità dei contratti di mutuo sottoscritti a norma dell’art. 13, comma 1, lett. m), d.l. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. Decreto liquidità), cassando con rinvio il decreto n. 6158/2022 del Tribunale di Torino per non aver adeguatamente motivato la contrarietà del contratto ad una norma penale imperativa ai sensi dell’art. 1418, co.1, c.c.
La vicenda trae origine dal decreto con cui il giudice delegato rigettava la richiesta di ammissione al passivo presentata da una banca in relazione ad un credito chirografario di circa 25.000 euro a titolo di esposizione complessiva derivante da un contratto di mutuo stipulato con una società fallita nel giugno 2020, garantito dal Fondo di Garanzia ex art. 13, co. 1, lett. m) del d.l. 23/2020, convertito dalla l. n. 40/2020.
Avverso il decreto che rendeva esecutivo lo stato passivo, l’istituto di credito presentava opposizione ai sensi dell’art. 98 l. fall. dinanzi al Tribunale di Torino. In essa contestava: in fatto, l’effettiva conoscenza nonché la conoscibilità per la stessa dello stato di insolvenza in cui versava l’impresa beneficiaria al momento della stipula del finanziamento; in diritto, invece, che – diversamente da quanto ritenuto dal giudice delegato – i finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 13, co. 1, lett. m) del c.d. Decreto liquidità non richiedevano una valutazione del merito creditizio del beneficiario ad opera dell’istituto erogante.
Il Tribunale di Torino, con decreto numero 6158 del 4 ottobre 2022, rigettava l’opposizione. Nel citato decreto i giudici in via preliminare chiarivano che l’art. 13, co. 1, lett. m) del d.l. 23/2020 ha, sì, previsto la possibilità per gli istituti di credito di erogare, a beneficio delle imprese danneggiate dall’emergenza sanitaria Covid-19, finanziamenti fino a euro 25.000 garantiti al 100% dal Fondo di Garanzia “PMI”, ma che «deve affermarsi la necessità, anche per tali finanziamenti, per l’istituto di credito erogante di effettuare una adeguata valutazione del merito creditizio del richiedente, utilizzando la diligenza qualificata ex art. 1176, co. 2, c.c. esigibile dal bonus argentarius». In ogni caso, aggiungeva il Tribunale, l’obbligo di effettuare la valutazione del merito creditizio in capo alla banca è connaturato nel principio di sana e prudente gestione di cui all’art. 5 T.U.B.
Posta tale premessa, il collegio giudicante concludeva che l’erogazione da parte dell’istituto di credito di un finanziamento, senza un’adeguata valutazione del merito creditizio, che aggravi il dissesto o ritardi il fallimento di un’impresa che presenta indici riconoscibili di insolvenza costituisce compartecipazione nel reato di bancarotta semplice ai sensi dell’art. 27, comma 1, n. 4), l. fall.
Per queste ragioni il Tribunale riteneva nullo per contrasto con norma imperativa di natura penale ex art. 1418, co. 1, c.c. il contratto di mutuo, e respingeva l’opposizione.
Avverso il suddetto decreto la banca ricorreva per Cassazione, deducendo cinque motivi.
Con i primi tre motivi la ricorrente denunciava la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1418 c.c. e 217 l. fall. (i) per aver il Tribunale stabilito che l’obbligo di valutazione del merito creditizio della società finanziaria secondo la diligenza del bonus argentarius non è derogato dal d.l. n. 23/2020; (ii) per aver dichiarato nullo il mutuo chirografario ai sensi dell’art. 1418 c.c. per violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio; (iii) per aver attribuito alla condotta tenuta una rilevanza penale in relazione alla fattispecie di bancarotta semplice e aver erroneamente desunto la nullità del contratto di mutuo da un’ipotesi di concorso nel reato di bancarotta semplice ex art. 217, n. 4, l. fall. Con il quarto e quinto motivo la banca lamentava, invece, la nullità della motivazione ex art. 132 c.p.c., stante l’assenza di una specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato.
La Corte ha dichiarato il primo motivo inammissibile, reputando condivisibili le argomentazioni del Tribunale in relazione alla circostanza per cui non vi è alcuna fondata ragione di ritenere che i principi di sana e prudente gestione di cui all’art. 5 T.U.B. e ricollegabili altresì alla diligenza qualificata richiesta dall’art. 1176, co. 2, c.c., non debbano essere osservati anche nei finanziamenti ove la banca finanziatrice è interamente garantita dal Fondo centrale di garanzia PMI istituito dalla legge n. 662 del 1996. I giudici di legittimità rilevano, infatti, che è l’erogazione della garanzia, e non il finanziamento, ad essere dichiarata «non soggetta ad alcuna valutazione del beneficiario».
Fondati, secondo la Corte, sono invece i rimanenti quattro motivi, che vengono analizzati congiuntamente. I giudici evidenziano che, nel caso di specie, il thema decidendum non riguarda la concessione abusiva di credito ad opera del finanziatore, bensì la nullità del contratto di mutuo per violazione di norma imperativa penale.
Per questa ragione la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio per non aver il Tribunale adeguatamente motivato in ordine al concorso della Banca quale extraneus nel reato di cui all’art. 217, n. 4), l. fall.
2. Le questioni trattate dalla Corte. Nullità del contratto per omessa valutazione del merito creditizio: una nullità più “immaginaria” che “virtuale”
Le questioni affrontate dalla Corte sono due: la prima attiene alla sussistenza di un obbligo di valutazione del merito creditizio in capo alla banca e alla sua eventuale deroga ad opera del c.d. Decreto liquidità; la seconda, invece, concerne la nullità ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, c.c. del contratto di mutuo per violazione dell’art. 217 l. fall.
Procediamo con ordine. La prima questione che la Corte è chiamata ad analizzare concerne la sussistenza in capo all’intermediario creditizio di un obbligo di valutazione del merito creditizio ai fini della concessione dei finanziamenti di cui all’art. 13, co. 1, lett. m) del d.l. 23/2020.
Difatti, come si è visto, la banca ricorrente con il primo motivo contesta quanto sancito dal Collegio piemontese, il quale ha chiarito che l’art. 13, comma 1, lett. m), d.l. 9 aprile 2020 n. 23 non contempla alcuna deroga al generale principio di sana e prudente gestione di cui all’art 5, comma primo, T.U.B.[1], il quale impone alla banca di verificare il merito creditizio del soggetto che si accinge a finanziare.
Sul punto, la ricorrente rileva che il Tribunale ha «dichiarato nullo il mutuo chirografario ex art. 1418 c.c., a causa della ritenuta negligenza [n.d.r. della banca stessa] nella valutazione del merito creditizio della società finanziata, poi fallita, assumendo che il correlato obbligo di diligenza del bonus argentarius non sarebbe stato derogato dal d.l. n. 23/2020»[2].
Perciò, secondo la ricostruzione della banca, il Tribunale avrebbe ritenuto che:
(a) sussiste in capo alla banca un generale obbligo di valutazione del merito creditizio, anche nei confronti del cliente non consumatore[3];
(b) tale obbligo non è stato derogato dal c.d. Decreto liquidità;
(c) la sua violazione è idonea a dar luogo alla nullità del contratto ex art. 1418, comma 1, c.c.
Prima di verificare se effettivamente questa sia la ricostruzione operata dal Tribunale e come abbiano risposto gli Ermellini alle doglianze della ricorrente, riteniamo opportuno fornire un breve inquadramento generale della questione.
Quello dell’omessa valutazione del merito creditizio e della conseguente nullità del contratto è un tema complesso su cui sia dottrina che giurisprudenza si sono interrogate a lungo. Non è pertanto pensabile in questa sede procedere ad una sua ricostruzione analitica.
Per queste ragioni, di seguito ci limiteremo ad illustrare sinteticamente le più rilevanti acquisizioni in materia.
Sul punto dottrina[4] e giurisprudenza[5] paiono concordi nell’affermare la sussistenza in capo alla banca di un obbligo di valutazione del merito creditizio del cliente[6], il cui fondamento normativo è da rinvenirsi nel combinato disposto degli artt. 1176, 1337[7] c.c. e 5 T.U.B.
Invero, si è affermato che la clausola generale della sana e prudente gestione[8] di cui al già citato art. 5 T.U.B. opera come criterio di specificazione della diligenzache, ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c.c., è richiesta alla banca nell’eseguire l’obbligazione[9]. In particolare, i giudici di legittimità hanno espressamente statuito che «il soggetto finanziatore, sulla base di questa [n.d.r. la diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c.], è invero tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate»[10].
L’obbligo di valutazione del merito creditizio, allora, in quanto diretta specificazione del parametro della sana e prudente gestione, che è «fonte diretta di doveri di comportamento che si affianca alla clausola generale di buona fede, la quale governa ogni rapporto obbligatorio»[11], costituisce dunque un obbligo di comportamento di «carattere endonegoziale» che «mostra di possedere più linee prospettiche»[12].
In questo senso, posta la «stretta derivazione del dovere di corretta valutazione del merito creditizio dal principio di sana e prudente gestione […], sembra altresì evidente che, sotto il profilo funzionale, la prescrizione del detto dovere è inteso al perseguimento di una serie articolata di interessi, tra cui anche (e con primaria dignità) quello di protezione del cliente»[13].
Quanto al profilo degli intessi, infatti, la valutazione del merito creditizio è infatti, in primis, interesse del finanziatore, ed è funzionale all’esercizio della stessa attività dell’impresa bancaria, intrinsecamente connotata dal requisito dell’economicità. Ma non solo. È anche interesse generale dell’ordinamento, atteso il «ruolo di garanzia del corretto funzionamento delle dinamiche di mercato»[14] che naturalmente le banche si ritrovano a ricoprire. Infine, è anche interesse dello stesso cliente, il quale, per mezzo di una corretta valutazione del suo merito creditizio, potrà «fruire di un prodotto “sostenibile”»[15].
Perciò, è in questo senso che, come afferma la Corte nella pronuncia in esame, la concessione abusiva del credito[16] costituisce, da un lato, una violazione del principio di sana e prudente gestione posto in capo agli istituti di credito dalla normativa speciale dell’ordinamento bancario[17] e, dall’altro, una violazione degli obblighi comportamentali che gravano sul bonus argentarius.
Tanto premesso e appurato che, come affermano condivisibilmente sia il Tribunale che la Corte nel caso di specie, sussiste in capo all’intermediario creditizio un obbligo generale di valutazione del merito creditizio del cliente, consumatore o meno, si rende ora necessario capire se tale obbligo sia o meno stato derogato dal c.d. Decreto liquidità.
Com’è noto, nello scenario dell’emergenza sanitaria da Covid-19, il legislatore si è trovato davanti alla necessità di offrire un valido, efficace e rapido sostegno economico al tessuto produttivo del paese, in grave sofferenza a causa dei provvedimenti restrittivi emanati al fine di contenere il contagio da Covid-19.
In quest’ottica, dunque, tramite una serie di provvedimenti ascrivibili alla legislazione di tipo emergenziale, tra cui rientra il c.d. Decreto liquidità, il legislatore ha inteso fornire un rapido accesso al credito alle imprese.
In particolare, l’articolo 13 del citato decreto ha esteso i presupposti soggettivi e oggettivi di applicazione di uno strumento già esistente[18], il Fondo di garanzia per le PMI. Quanto al profilo soggettivo, l’articolo in questione ha esteso in via eccezionale e transitoria la platea dei beneficiari finali della garanzia pubblica, prevedendo che possano essere, oltre alle PMI, anche le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, purché danneggiate dall’emergenza sanitaria ed estendendo inoltre l’applicazione delle nuove regole anche a realtà produttive di maggiori dimensioni. Quanto, invece, al profilo oggettivo, sono state ampliate sia le percentuali di copertura della garanzia, sia l’importo massimo garantito per ogni impresa[19].
Sulla base di argomenti per lo più testuali[20], si è osservato[21] che il legislatore, in forza del carattere emergenziale delle disposizioni, avrebbe inteso derogare all’obbligo di valutazione del merito creditizio della banca, che pertanto dovrebbe limitarsi a verificare, dal punto di vista meramente formale, l’esistenza dei presupposti per accedere al finanziamento garantito. In questo senso la banca sarebbe allora relegata «in una posizione giuridico passiva rispetto alle pretese della clientela (munita di certi requisiti)»[22].
Per l’appunto, questa è anche la tesi prospettata dalla banca ricorrente nel caso di specie, la quale ha sostenuto che il Decreto liquidità avrebbe previsto uno «snellimento delle procedura burocratiche necessarie per l’erogazione del credito, ivi comprese quelle inerenti all’istruttoria sul merito creditizio, in ragione della necessità di garantire un rapido accesso al credito»[23].
Tuttavia, è sempre sulla base di argomenti di natura per lo più testuale che, sia il Tribunale[24] che la Corte, hanno invece ritenuto che nessuna deroga all’obbligo di valutazione del merito creditizio sia stata introdotta dal Decreto liquidità. Ed infatti, come si legge chiaramente al punto 3.1 della decisione qui commentata, «è […] l’erogazione di questa garanzia [n.d.r. quella del Fondo di garanzia], non già il finanziamento, ad essere dichiarata “non soggetta ad alcuna valutazione del beneficiario” e quindi ad operare “senza alcuna istruttoria”».
Ma ancora, aggiungiamo noi[25], se si legge attentamente il disposto di cui sempre alla lettera m), art. 13, del decreto liquidità ci si avvede che l’intermediario «applica all'operazione finanziaria un tasso di interesse, nel caso di garanzia diretta, o un premio complessivo di garanzia, nel caso di riassicurazione, che tiene conto della sola copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell'operazione finanziaria». Ma allora se la determinazione del costo del credito è agganciata ai «costi di istruttoria» risulta difficile sostenere che il soggetto erogatore sia tenuto esclusivamente ad una verifica di tipo formale.
Parte della dottrina, a cui chi scrive si associa, ha inoltre messo in evidenza che «giustamente, si potrebbe obiettare che la presenza di una garanzia statale, per di più estesa, nella specie, sino all’integrale copertura dell’esposizione debitoria dei sovvenuti, attenua sensibilmente i rischi sopra indicati, assicurando comunque all’intermediario, nei tempi tecnici dell’escussione, l’integrale restituzione del capitale erogato. Resta il fatto, nondimeno, che l’omissione di ogni valutazione delle condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali del richiedente il prestito, in nome di una pur condivisibile accelerazione delle procedure di erogazione del credito in epoca pandemica, implica una palese deviazione dai canoni della legalità̀ e dell’agere professionale degli intermediari creditizi, che sarebbe quanto meno opportuno trovasse giustificazione in un’espressa disposizione in deroga alle previsioni normative ordinariamente applicabili. Disposizione della quale, tuttavia, come sopra accennato, allo stato non si rinviene traccia»[26].
Non possiamo pertanto che concordare con quanto stabilito sia dal Tribunale che dalla Corte, laddove essi ritengono sussistere chiari indici – testuali e non – in grado di escludere che l’art. 13, lettera m), del decreto liquidità abbia esentato la banca dall’obbligo di valutazione del merito creditizio.
Veniamo ora al terzo punto, quello della nullità virtuale.
Abbiamo già detto che sussiste un obbligo di verifica del merito creditizio in capo alla banca e abbiamo anche cercato di dimostrare che tale obbligo non è stato derogato dal cd. Decreto liquidità. Rimane pertanto ora da verificare se la sua violazione sia o meno idonea a condurre ad una declaratoria di nullità virtuale del contratto.
Com’è noto, quando si discute di nullità virtuale ci si riferisce a quella particolare ipotesi di nullità prevista dall’art. 1418, comma 1, c.c., secondo cui “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”. A questa disposizione si attribuisce la funzione di comminare la nullità nelle ipotesi in cui la norma imperativa non preveda espressamente le conseguenze della sua violazione. Funzione che, pertanto, a buona ragione, può essere definita di chiusura del sistema delle invalidità.
Dinanzi ad una lettera normativa così oscura[27], dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate circa l’effettiva portata della norma, considerata anche la sua potenziale conflittualità con il principio di certezza del diritto.
Di qui l’esigenza di operare un bilanciamento tra la protezione degli interessi tutelati dalle norme violate e, al contempo, la necessità di garantire la certezza dei traffici giuridici.
Non è pensabile in questa sede ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di nullità virtuale. Basti quindi qui sintetizzare quelle che, a giudizio di chi scrive, risultano attualmente le più rilevanti acquisizioni della dottrina[28] e della giurisprudenza[29]:
a) Il concetto di “imperatività” ai sensi dell’art. 1418 c.c. non è sovrapponibile a quello di “inderogabilità”[30];
b) Imperativa è dunque, secondo una tesi largamente condivisa, quella norma deputata alla protezione di un interesse pubblico fondamentale;
c) Nel giudizio di nullità virtuale è necessario svolgere una valutazione caso per caso, volta a verificare la sussistenza di una lesione dello specifico interesse alla cui protezione è deputata la norma che si assume violata. In ogni caso, l’interprete è tenuto a adeguare la scelta del rimedio alla ratio della norma imperativa violata.
d) Di conseguenza, la nullità non è predicabile quando sussistano diversi rimedi idonei a tutelare l’interesse leso[31].
Tanto premesso, il dibattito sull’invalidità dei contratti di finanziamento per omessa valutazione del merito creditizio ci pare possa essere ricondotto all’interno di quello, più ampio, relativo alla configurabilità di una nullità virtuale (di protezione)[32] per violazione di norme imperative di comportamento[33].
Ancora una volta, prima di verificare quale sia la posizione assunta in merito dalla Corte nella pronuncia in esame cerchiamo dunque di capire se, in linea teorica, sia predicabile o meno la nullità virtuale di un contratto di mutuo per violazione dell’art. 5 T.U.B.
Peso atto della circostanza per cui non sussistono norme che espressamente sanzionino con la nullità del contratto le conseguenze dell'errata valutazione del merito creditizio e non essendo dunque invocabile alcuna ipotesi di nullità c.d. testuale (art. 1418, comma 3, c.c.), è necessario verificare se possa invocarsi un’ipotesi di nullità c.d. virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), per violazione di norma imperativa.
In via preliminare evidenziamo che l’art. 5 T.U.B. può qualificarsi come norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 c.c., essendo questa «dettata a tutela dell’interesse pubblico»[34]. Infatti, la più recente giurisprudenza di legittimità[35] ha stabilito «che l’attività di concessione del credito da parte degli istituti bancari non costituisce mero ‘affare privato’ tra le stesse parti del contratto di finanziamento» e che, a tal proposito, «l’ordinamento ha predisposto una serie di principi, controlli e regole, nell’intento di gestire i rischi specifici del settore, attese le possibili conseguenze negative dell’inadempimento non solo nella sfera della banca contraente, ma ben oltre di questa; potendo, peraltro, queste coinvolgere in primis il soggetto finanziato, nonché, in una visuale macroeconomica, un numero indefinito di soggetti che siano entrati in affari col finanziato stesso».
Appurato il carattere imperativo della disposizione che nello specifico si assume violata, è ora necessario comprendere se l’invocata nullità possa discendere o meno dalla violazione di obblighi di comportamento di natura precontrattuale, come sono quelli imposti, per il caso che ci riguarda, dagli articoli 5 T.U.B. e 1337 c.c.
Per rispondere a tale quesito viene in luce il cd. “principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento”.
Com’è noto, quando si discute di principio non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento si fa riferimento alla questione se «la violazione di una disposizione che prescrive al contraente una certa condotta, per lo più nella fase antecedente alla stipula del contratto, possa determinare, in mancanza di una specifica previsione di legge, non soltanto una sanzione risarcitoria ma, in alternativa, l’invalidità del contratto»[36].
Ebbene, la dottrina prevalente, forte anche dell’intervento delle Sezioni Unite[37], che in modo solenne hanno statuito che «in nessun caso la violazione di un dovere di comportamento può determinare, in mancanza di espressa previsione di legge, l’invalidità del contratto», appare compatta nel ritenere che le regole di condotta agiscano sempre su un piano distinto – com’è quello della responsabilità contrattuale o precontrattuale, a seconda che la violazione avvenga nella fase attuativa o prenegoziale – rispetto a quello dell’invalidità[38].
D’altro canto, secondo l’opinione di parte della dottrina[39], cui chi scrive si associa, la distinzione tra norme di validità e di comportamento – laddove si sia anche convinti che trovi un fondamento sul piano logico[40] – non può essere applicata rigorosamente, negando ex ante che dinanzi alla violazione di una norma di condotta si possa far ricorso al rimedio dell’invalidità (che, nella maggior parte dei casi, dovrà assumere necessariamente la natura della nullità di protezione).
A ben vedere, però, nel caso di specie crediamo che il delicato bilanciamento imposto dallo stesso istituto della nullità virtuale[41] tra il principio di certezza del diritto e l’esigenza di protezione degli interessi pubblici sottesi alla norma violata debba risolversi in favore del primo.
Ed infatti, se con riferimento alla violazione di norme di condotta «analitiche, frutto di una politica di vertice sottratta, come tale, alla discrezionalità giudiziale»[42] è ben possibile (e, a giudizio di chi scrive, necessario) superare la rigida distinzione tra norme di comportamento e norme di validità, non così può avvenire dinanzi a regole di condotta ex fide bona, che sono per loro natura caratterizzate da vaghezza o incertezza.
Pertanto, non possiamo che concordare con chi scrive che «il contenuto e la funzione di tale principio [quello di separazione tra regole di validità e di comportamento] non sono quelli di escludere la possibilità che la nullità consegua alla violazione di una (qualsivoglia) regola di comportamento magari specificamente individuata e formulata dal legislatore, ma piuttosto quelli di impedire che un simile rimedio sia fatto discendere dalla violazione di una regola di comportamento ricavata dal giudice in sede di concretizzazione di una clausola generale»[43].
Tanto premesso, possiamo allora affermare che, nel caso di specie, pur sussistendo in capo alla Banca un obbligo di valutazione del merito creditizio del cliente, ricavabile, attesa la natura professionale dello stesso, dalla clausola generale di cui all’art. 5 T.U.B.[44], la sua violazione non è idonea ad integrare un’ipotesi di nullità virtuale del contratto[45].
Questa è infatti esclusa dall’operare del principio di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità che qui crediamo trovi legittima applicazione[46].
Del resto, a differenza di quanto sostenuto da alcune tesi[47] – a cui pertanto noi riteniamo di dover dissentire –, nonché dalla ricorrente, di questa opinione è non solo la Corte di Cassazione ma altresì il Tribunale. E siamo convinti di ciò per le ragioni che seguono.
Anzitutto la Corte, condividendo le argomentazioni dei giudici di merito, ha ritenuto che – contrariamente a quanto prospettato dalla banca ricorrente – non vi è alcuna ragione per ritenere che l’obbligo di valutazione del merito creditizio discendente dall’art. 5 T.U.B. e ricollegabile alla diligenza richiesta dall’art. 1176, co. 2, c.c. non debba essere osservato anche nei finanziamenti di “fascia bassa” erogati ai sensi dell’art. 13, co. 1, lett. m) del d.l. n. 23/2020.
Tuttavia, da ciò non discende in alcun modo la nullità del contratto di finanziamento per omessa valutazione del merito creditizio. Se così fosse, infatti, i giudici di legittimità avrebbero ben potuto limitarsi a dichiarare infondato il primo motivo, dichiarando assorbiti tutti i rimanenti, così rigettando il ricorso e sancendo la nullità del finanziamento.
Inoltre, nella ricostruzione in fatto, al punto 1.4., si legge chiaramente proprio che «il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione, ritenendo nullo il contratto di mutuo ex art. 1418 c.c. perché, attraverso la violazione [...] del principio di prudente valutazione del merito creditizio, ex art. 5 T.U.B. [...], si sarebbe realizzata una compartecipazione del reato di bancarotta semplice ai sensi dell’art. 217, co. 1, n. 4) l. fall.».
Ancor più chiaramente, i giudici scrivono poi che, nel caso di specie, a «venire in rilievo non è tanto l’orientamento di questa corte in base al quale l’erogazione del credito sia qualificabile come abusiva [...] integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere questi venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, obbligando il medesimo al risarcimento del danno ove ne discenda un aggravamento del dissesto [...], quanto un profilo prettamente penalistico ridondante, sul piano negoziale, in un vizio di nullità».
Puntualizzano inoltre gli stessi Ermellini, al considerato 4.1., che: «al di là delle ampie considerazioni svolte in termini generali e astratti sul tema della concessione abusiva del credito, la decisione del tribunale è chiaramente incentrata, in concreto, sull’ipotizzato concorso della banca finanziatrice nel reato di bancarotta semplice ex art. 217, comma 1, n. 4, l. fall.».
3. La reale portata della decisione in esame
Veniamo ora alla seconda questione, quella relativa alla violazione del precetto penale imperativo di cui all’art. 217 l. fall.
Il reale pregio di questa decisione sta proprio, a giudizio di chi scrive[48], nell’aver chiarito che la mera omissione della valutazione del merito creditizio – insufficiente, abbiamo visto, a cagionare la nullità del contratto ex art. 1418 c.c. – non è nemmeno idonea, di per sé, a legittimare una declaratoria di nullità, sempre virtuale, per violazione di norma penale imperativa.
Invero, la decisione in commento chiarisce che il piano dell’omessa valutazione del merito creditizio da parte dell’istituto di credito, che legittima, come abbiamo visto, l’applicazione di rimedi civilistici diversi da quelli demolitori, deve essere tenuto distinto da quello, diverso, dell’accertamento della sussistenza di un concorso dell’istituto di credito nella commissione di un illecito penale idoneo a riflettersi sul piano negoziale dando luogo ad un vizio di nullità del contratto.
Com’è noto, in tema di nullità di nullità virtuale per violazione di precetti penali imperativi dottrina e giurisprudenza sono solite individuare due distinte categorie di convergenza tra norme incriminatrici e normazione sul negozio[49]:
1) i reati-contratto;
2) i reati in contratto.
Con la locuzione reati-contratto ci si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui la legge punisce direttamente e unicamente la stipulazione del contratto. Pertanto, in questi casi vi è un’immedesimazione tra reato e negozio. Gli esempi sono numerosi: basti pensare a tutte quelle fattispecie che incriminano la vendita, l’acquisto o il commercio di determinate cose (es. artt. 250, 470, 474 c.p.)[50].
Con l’espressione reati in contratto ci si riferisce, invece, alla possibilità di chiarare nulli non solo i contratti vietati direttamente dalla legge, ma anche quelli stipulati per effetto diretto della consumazione di reati.
Ad ogni modo, bisogna precisare che la violazione di una norma penale non è di per sé idonea a giustificare la nullità virtuale ex art. 1418[51], co. 1, c.c. del contratto, dovendosi svolgere, di volta in volta, un’analisi dell’atto o del comportamento antigiuridico posto in essere al fine di valutarne gli effetti dal punto di vista civilistico[52].
In altri termini, prima di predicare la nullità virtuale per violazione di una norma imperativa penale è necessario valutare la ratio della norma e la natura dell’interesse protetto. Laddove la norma penale – ma lo stesso discorso può farsi per una norma che non sia penale – sia deputata alla protezione non di un generico interesse pubblico – cosa che, peraltro, è tipica di tutte le norme penali – bensì di «preminenti interessi generali della collettività» (Cass. sent. n. 1901/1977) o «valori giuridici fondamentali» (Cass. sent. n. 5051/2001; Cass., Sez. III., ord. n. 7243/2024), in quanto riguardi «principi fondamentali e di interesse generale, essenziali all’ordinamento giuridico dello stato e tali da osservarsi inderogabilmente da tutti» (Cass. sent. n. 5311/1979); solo in questi casi, sempre che non siano applicabili diversi rimedi civilistici volti a tutelare gli interessi protetti dalla norma (“salvo che la legge disponga diversamente” art. 1418, co.1, ultimo inciso)[53], allora è possibile addivenire ad una declaratoria di nullità virtuale per violazione di norma imperativa (anche penale).
La pronuncia in commento, dunque, correttamente a nostro giudizio, cassa il provvedimento impugnato censurando il fatto che i giudici di merito non hanno adeguatamente motivato circa la sussistenza, sul piano soggettivo ed oggettivo, della fattispecie delittuosa – il reato di bancarotta semplice – posta a fondamento della declaratoria di nullità.
Si potrebbe obiettare – com’è stato fatto – che, in realtà, nulla consente di affermare che il finanziamento all’impresa in crisi sia di per sé illegittimo[54] e che gli stessi giudici di legittimità[55] non hanno mancato di affermare che i negozi lesivi dei diritti o delle aspettative dei terzi non siano di per sé illeciti.
Quanto sopra detto è sicuramente corretto, ma non assume rilevanza nel caso di specie.
Ed infatti, la Corte non ha in alcun modo affermato o lasciato presumere (i) che il finanziamento erogato in assenza della valutazione del merito creditizio è di per sé nullo[56], (ii) che sussiste un divieto di erogare finanziamenti ad imprese che versino in uno stato di crisi, o (iii) che il finanziamento che arrechi pregiudizio alle ragioni dei creditori sia di per sé illecito.
Al contrario, proprio perché non vi è alcun generale divieto di erogare finanziamenti ad imprese che versino in uno stato di crisi, i giudici di legittimità hanno ribadito come, ai fini della declaratoria di nullità per violazione dell’art. 217, co. 1, n. 4, l. fall., sia necessario ricostruire in concreto la specifica condotta delittuosa posta in essere, non essendo sufficiente la mera allegazione della presunta conoscenza della situazione di dissesto e dell’erogazione del finanziamento.
È pertanto doveroso accertare in concreto se in capo al finanziatore sussistano o meno gli elementi, soggettivi ed oggettivi, richiesti ai fini dell’integrazione del reato. Solo a valle di siffatto accertamento può affermarsi la ridondanza della condotta delittuosa in un vizio di nullità del contratto. Accertamento che, nel caso di specie, non è evidentemente stato compiuto dei giudici di merito.
4. Conclusioni
In queste pagine abbiamo cercato di dimostrare, secondo il nostro giudizio, la bontà della decisione in commento che, facendo corretta applicazione dell’art. 13 del Decreto liquidità, esclude che questo abbia derogato al generale dovere di valutazione del merito creditizio. Dovere ricavabile in primis[57] a partire dal combinato disposto dell’articolo 5, comma primo, T.U.B., inteso come specificazione dello specifico dovere di diligenza imposto dall’articolo 1176, comma 2, c.c. (la più volte richiamata diligenza del bonus argentarius).
Come si è già detto, siamo persuasi che il reale pregio di questa decisione stia, però, nell’aver chiarito come l’omessa valutazione del merito creditizio e il concorso nel reato di bancarotta operino su piani totalmente distinti e non suscettibili di commistione.
La Corte, inoltre, ha confermato, seppur implicitamente, i consolidati principi elaborati da dottrina e giurisprudenza in materia di nullità per violazione di norme imperative, comprese quelle penali, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c
Quella della nullità virtuale si dimostra ancora una volta una strada impervia, nel percorrere la quale è necessaria la massima attenzione. E nuovamente la giurisprudenza di legittimità si mostra estremamente cauta nell’applicare l’art. 1418, co. 1, c.c.
Siamo perciò ancora lontani dal disvelare il «mistero della nullità virtuale».
[1] La norma in analisi così dispone: “le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia”.
[2] La citazione si riferisce al punto 2.1. della decisione in commento.
[3] Il Tribunale, infatti, in più punti afferma esplicitamente che, come avremo modo di vedere in seguito, sussiste un «obbligo di effettuare la valutazione del merito creditizio in capo alla banca». Inoltre, da un punto di vista logico, è evidente che può parlarsi di una specifica deroga all’obbligo di valutazione merito creditizio esclusivamente ammettendo che, a monte, sussiste un generale obbligo di svolgere tale valutazione.
[4] Nigro A., Responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito, in Giurisprudenza commerciale, 2, I, 1978, pp. 219 ss.; Dolmetta A.A., Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Zanichelli, Bologna, 2013; Id., Valutazione del merito creditizio e diligenza del finanziatore, in Il fallimento, 12, 2022, pp. 1575-1586; Sartori F., Deviazione del bancario e dissociazione dei formanti: a proposito del diritto al credito, in Giust. civ., 5, 2015, pp. 569-615; Cecchinato E., Note sulla disciplina della verifica del merito creditizio: per una sua rilettura alla luce della buona fede precontrattuale, in Rivista di diritto bancario, 3, II, 2023, pp. 464 ss; Di Marzio F., Abuso nella concessione del credito, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004; Salerno F., La violazione dell’obbligo di verifica del merito creditizio: effetti (anche) civilistici, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 10, I, 2018, pp. 1423-1435; Tucci A., Semeraro M., Il credito ai consumatori, in Contratti bancari, Capobianco E. (a cura di), Wolters Kluwer, Milano 2021, p. 1846 ss; Inzitari B., La responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione di credito e rottura di credito, in La rivista dei dottori commercialisti, 4, 2001, pp. 457 ss.; Romeo C., Perini F., La concessione abusiva del credito, in I contratti, 5, 2024, pp. 537-542; Condemi M., Il «merito creditizio» nel contesto normativo conseguente alla pandemia da Covid-19, in Sistema produttivo e finanziario post covid-19: dall’efficienza alla sostenibilità, Malvagna U., Sciarrone Alibrandi M. (a cura di), Pacini giuridica, Pisa 2021, pp. 230 ss.; Sebastiano F., Ceroni S., Il fascino della concessione abusiva di credito dopo il CCII, in questa Rivista, 13 novembre 2023, pp. 3-4.
[5] Ex multis si veda Cass., Sez. III, ord. n. 1387/2023; Cass. Sez. I, ord. n. 18610/2022; Cass., Sez. I, sent. n. 9983/2017, secondo cui la banca «deve seguire i principi di sana e prudente gestione valutando (art. 5 del T.u.b.) il merito di credito in base a informazioni adeguate»; Cass. SS. UU. sent. n. 7029/2006; Cass. sent. n. 343/1993 e Cass. sent. n. 5562/1999. Si veda anche la recente pronuncia del Tribunale di Padova del 30/07/2024, in One legale, secondo cui «l'ordinamento assegna primaria rilevanza alla disciplina della concessione del credito, onerando il soggetto finanziatore di una serie di verifiche atte a stabilire con ragionevole certezza il merito creditizio del finanziato, ossia la capacità di questi di poter adempiere all'obbligazione restitutoria».
[6] Deve fin da subito tenersi a mente che, un conto è discutere dell’obbligo di valutazione del merito creditizio in capo all’intermediario, un conto è, invece, discutere della sussistenza di un (eventuale) diritto al credito in capo al cliente. In questa sede ci si occuperà esclusivamente della prima questione, tralasciando invece la seconda.
Sulla distinzione tra le due questioni e sulla loro indebita sovrapposizione si veda Dolmetta A.A., Valutazione del merito creditizio, cit., p. 1583, il quale in apertura chiarisce che «il tema della valutazione del merito del credito non ha nulla a che vedere con quello di un (eventuale) diritto al credito del cliente».
[7]Sul rapporto tra buona fede precontrattuale e responsabilità della banca nella concessione del credito si veda Cass. sent. n. 18610/2021, secondo cui «la responsabilità [della banca] verso il fallito è a titolo precontrattuale ex art. 1337 c.c.» quando quest’ultima abbia disatteso «gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale» ed abbia acconsentito «alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato». Sul ruolo della buona fede nella valutazione del merito creditizio si rimanda a Cecchinato E., op. cit., p. 466 ss., nonché a Inzitari B., op. cit., pp. 459 ss.
[8]In questo senso l’art. 5 T.U.B. è stato definito come «medio specificativo di principi generali in via diretta intesi a regolare i rapporti correnti tra privati» (Dolmetta A.A., Valutazione del merito creditizio, cit., p. 1582). Sulla natura di principio generale a cui deve conformarsi non solo l’azione delle autorità di vigilanza, bensì anche l’agire delle banche si veda Sartori F., Disciplina dell’impresa e statuto contrattuale: il criterio della “sana e prudente gestione”, Banca borsa titoli di credito, 2017, 2, pp. 131 ss., il quale così scrive «il canone della sana e prudente gestione non si limita a conformare la vigilanza regolamentare, bensì diventa esso stesso criterio che pone regole di condotta»; Ciraolo F., Finanziamenti di piccolo importo assistiti da garanzia pubblica (art. 13, comma 1, lett. m), decreto liquidità), diniego di credito e responsabilità della banca, in Rivista di diritto bancario, 2, 2021, pp. 313 ss., secondo cui «la valutazione del merito creditizio costituisce un preciso obbligo per le imprese bancarie, che trova fondamento nella normativa di settore, primaria e secondaria, con chiaro ancoraggio al generale principio della sana e prudente gestione». Sul punto si veda anche Cass., Sez. I, ord. n. 18610/2022.
Per una rilettura critica della natura di clausola generale dell’art. 5 T.U.B. si veda, invece, De Poli M., Sana e prudente gestione delle imprese finanziarie, in Le clausole generali nel diritto dell’economica, Lener R., Alibrandi A.S., Rabitti M., et. al. (a cura di), Giappichelli, Torino 2024.
[9] L’articolo 1176 c.c. così dispone “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
Sul tema della diligenza del banchiere si veda, per tutti, Ferri G.B., La diligenza del banchiere, in Banca borsa titoli di credito, 1, 1958, pp. 1 ss.
[10] Così Cass. sent. n. 18610/2021.
[11] Inzitari B., op.cit., pp. 459-460.
[12] Dolmetta A.A., Valutazione del merito creditizio, cit., p. 1583
[13] Ivi, p. 1582
[14] Così Di Marzio F., Abuso nella concessione del credito, Edizioni Scientifiche Italiani, Napoli 2004, p. 81. Sul punto si veda anche Cass. Civ. sent. n. 1387/2023 e Cass. sent. n. 2284/1999 secondo cui «a maggior ragione nei rapporti contrattuali, lo status di imprenditore bancario, per l’affidamento che crea nella controparte, impone al primo di comportarsi secondo le regole della trasparenza, della corretta gestione del credito e degli elementari canoni di diligenza, schiettezza e solidarietà».
[15] Dolmetta A.A., Valutazione del merito creditizio, cit., p. 1583. È del resto in questo senso che si può parlare non solo di dovere, ma altresì di obbligo di valutazione del merito creditizio. Sul punto si veda anche Cecchinato E., Note sulla disciplina del merito creditizio, cit., pp. 470-471; Roselli D., Concessione abusiva del credito ed analisi del merito creditizio, in dirittobancario.it, 2 febbraio 2023.
Inoltre, si noti che, con riferimento alla valutazione del merito creditizio del consumatore, si rinvengono specifici interventi normativi di natura comunitaria e di matrice consumeristica. In particolare, segnaliamo la direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo (c.d. “Consumer Credit Directive” o “CCD”) e la direttiva 2014/17/UE (c.d. “Mortgage Credit Directive” o “MCD”), entrambe poi recepite dal legislatore italiano nei capi II e I-bis, titolo IV, del T.U.B., e in particolare negli articoli 124-bis e 120-undecies, nonché in disposizioni di natura secondaria, quali il decreto del Ministero dell’Economia n. 117 del febbraio 2011 e il provvedimento di Banca d’Italia del 29 luglio 2009. In particolare, si è osservato che, nel quadro sopra delineato, le disposizioni di cui agli artt. 124-bis e 120-undecies T.U.B. «si pongono, in sé stesse, non come espressione di normative extravaganti, quando non eccezionali, bensì come regole di sistema, appartenenti alla fisiologia di questo» (Dolmetta A.A., Valutazione del merito creditizio, cit., p. 1582).
Sulla riconducibilità dell’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore sia all’ordine pubblico economico di protezione che all’ordine pubblico di direzione si veda Tucci A., Semeraro M., Il credito ai consumatori, in Contratti bancari, Capobianco E. (a cura di), Wolters Kluwer, Milano 2021, pp. 1846 ss.
[16] Definita dai giudici di legittimità come «l’erogazione del credito effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi. Tale fattispecie integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa» (Cass. Civ., Sez. I, 30 giugno 2021, n. 18610).
[17] Castelli L., Creuso M., I recenti orientamenti in tema di concessione abusiva del credito, in I contratti, 2, 2024, pp. 195-202.
[18] In quanto istituito con legge n. 662 del 1996.
[19] In estrema sintesi, il Decreto liquidità ha previsto che i prestiti fino a 30.000 euro (cc.dd. mini-prestiti) costituenti “nuovi finanziamenti”, caratterizzati da una durata massima di 10 anni, da un importo non superiore al doppio della spesa salariale annua del beneficiario nel 2019 o al 25% del fatturato totale annuo del beneficiario nello stesso anno, sempre che l’inizio del periodo di ammortamento non inizi prima di 24 mesi prima dall’erogazione, siano ammessi alla garanzia del Fondo con copertura pari al 100% del loro ammontare.
[20] In particolare, sulla base dell’art. 13, lett. m), che dispone che «in favore di tali soggetti beneficiari l'intervento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese è concesso automaticamente, gratuitamente e senza valutazione e il soggetto finanziatore eroga il finanziamento coperto dalla garanzia del Fondo, subordinatamente alla verifica formale del possesso dei requisiti, senza attendere l'esito definitivo dell'istruttoria da parte del gestore del Fondo medesimo».
[21] Cirarolo F., op. cit., pp. 319 ss. Si veda anche l’analisi di Condemi M., op. cit., pp. 240 ss., secondo cui la legislazione emergenziale, pur non avendo escluso del tutto l’obbligo di valutazione del merito creditizio – qualificato dallo stesso «quale necessario (ed insostituibile) adempimento correlato ad ogni forma di erogazione creditizia» – sembra che in qualche modo l’abbia attenuato, tanto da sollevare dubbi in ordine alla compatibilità con il quadro normativo interno ed europeo.
[22] Ibidem. L’autore osserva che si tratta di una posizione non dissimile da quella ravvisabile in relazione all’art. 56 del medesimo decreto, secondo cui «una volta ricevuta l’istanza, la Banca effettuerà una verifica in merito alla sussistenza dei requisiti, senza verificarne tuttavia la veridicità» (così Amato G., Campo D., Le misure a sostegno delle imprese nel Decreto Cura Italia e nel Decreto Liquidità, in www.dirittobancario.it).
[23] Così si legge a pagina 9 del già citato decreto n. 6158 del Tribunale di Torino.
La Banca, poi, a sostegno della propria tesi, cita le indicazioni del MISE (reperibili al seguente link https://www.mimit.gov.it/index.php/it/notizie-stampa/fondo-di-garanzia-nuove-regole) e le c.d. FAQ pubblicate nel sito del MEF nel mese di settembre (https://www.mef.gov.it/covid-19/sostegno-alla-liquidit%C3%A0-delle-famiglie-delle-imprese-e-degli-enti-locali/), da cui si ricaverebbero ulteriori elementi testuali che escluderebbero l’obbligo di valutazione del merito creditizio.
[24] Il Tribunale, infatti, scrive che «la normativa emergenziale richiamata ha riferito la non necessità di tale valutazione alla concessione di garanzia da parte del Fondo di garanzia». I giudici Torinesi, inoltre, correttamente richiamano le Raccomandazioni della Banca d’Italia del 10 aprile 2020 su «tematiche afferenti alle misure di sostegno predisposte dal Governo per l’emergenza Covid-19», nelle quali si legge chiaramente che «le banche dovranno tenere conto di questi elementi [n.d.r. dei piani di ristrutturazione industriale e produttiva] nell’adeguata verifica della clientela, oltre che ovviamente del complesso degli ulteriori elementi informativi disponibili sul profilo di rischio dei richiedenti i finanziamenti, sia in sede di concessione del finanziamento, sia nella fase di monitoraggio».
[25] Ugualmente si veda Cirarolo F., op. cit., pp. 321 ss.
[26] Ivi, p. 323; si veda anche Condemi M., op. cit., pp. 241-242 secondo il quale le misure emergenziali in ogni caso non consentono il «venir meno dell’obbligo di valutazione del “merito creditizio” quale necessario (ed insostituibile) adempimento correlato ad ogni forma di erogazione creditizia». Ugualmente si è osservato (Andreani E., Adeguati assetti ex art. 2086 c.c., valutazione creditizia ed evoluzione della relazione banca impresa, in questa Rivista, 24 ottobre 2023, pp. 9-10)che la «la garanzia pubblica concessa sulla base della disciplina COVID» non può «giustificare di per sé la concessione del finanziamento» ma deve essere considerata come un mero strumento di mitigazione della perdita laddove il richiedente non sia in grado di adempiere all’obbligazione restitutoria.
[27] Tanto che in dottrina si è parlato di “mistero della nullità virtuale” (Roppo V., La nullità virtuale dopo la sentenza Rordorf, in Danno e responsabilità, 5, 2008, pp. 536-546).
[28] Si veda Carraro L., Il negozio in frode alla legge, Cedam, Padova 1943; D’amico G., Nullità non testuale, in ED, Annali IV, Giuffrè, Milano 2011; De Nova G., Il contratto: dal contratto atipico al contratto alieno, Cedam, Padova 2011; Di Marzio F., La nullità del contratto, 2° ed., Cedam, Padova, 2008; Id., contratto illecito e disciplina del mercato, Jovene, Napoli 2011; Ferrara F., Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, 2° ed. riv., Società editrice libraria, Milano 1914; Ferri G.B., Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, in Studi di diritto civile, Giuffrè, Milano, 1970; Gentili A., La “nullità di protezione”, in Europa e diritto privato, 1, 2011, pp. 77-119; Villa G., Contratto e violazione di norme imperative, Giuffrè, Milano 1993; Passagnoli G., Nullità speciali, Giuffrè, Milano 1995; Perlingieri G., Inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Edizioni scientifiche italiane, 2013.
[29] Sul punto si vedano ex multis Cass. SS. UU. sent. n. 33719/2022; Cass. SS. UU. sent. n. 8472/2022; Cass., Sez. III, ord. n. 7243/2024.
[30] Tra tutti si veda Passagnoli G., op. cit., p. 127, secondo cui «non vi è coincidenza tra le nozioni di inderogabilità ed imperatività e [...] può dirsi che né le norme imperative sono in ogni caso inderogabili [...], né quelle inderogabili sono imperative». In giurisprudenza si veda Cass. SS. UU. sent. n. 8472/2022, punto n. 5 della motivazione, ove si sostiene che l’identificazione delle norme imperative con quelle inderogabili è inattendibile. I giudici chiaramente affermano che «se la norma imperative è per usa natura inderogabile, non è necessariamente vero il contrario […] Inoltre, se norma imperativa fosse sinonimo di norma inderogabile non si spiegherebbe la possibilità di derogarvi ad opera dell’autonomia privata, nel caso in cui “la legge disponga diversamente” (come da inciso finale del comma 1 dell’art. 1418 c.c.) con la previsione di una sanzione diversa dalla nullità e la possibilità di assicurare l’effettività della norma (imperativa) attraverso la previsione diversi non direttamente incidenti sul negozio».
[31] In tal senso si parla in dottrina di “criterio del minimo mezzo”, la cui paternità è attribuita a De Nova G., op. cit., p. 269. Con questa formula si fa riferimento al criterio secondo cui la nullità deve essere esclusa se l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione di una sanzione (civile, penale o amministrativa) sia compiutamente realizzata con la relativa irrogazione, mentre deve essere sempre ammessa in caso contrario. In giurisprudenza si veda, ad esempio, Cass., sez. III, ord. n. 525/2020; Cass. sez. lav. sent. n. 8499/2018; nonché Cass. SS. UU. 26724, 26725 del 2007 e 33719/2022.
[32] Sono stati già tratteggiati brevemente quelli che paiono essere gli interessi tutelati dall’obbligo di valutazione del merito creditizio. E, in particolare, si è osservato come tale obbligo, quando positivizzato ai capi I-bis e II del titolo VI del T.U.B., rispettivamente rubricati “credito immobiliare ai consumatori” e “credito ai consumatori”, assuma una natura spiccatamente protettiva del contraente debole. Così, proprio in forza di tale natura, in dottrina (Tucci A., Semeraro M., op. cit., p. 1846 ss.) si è osservato che, tra i rimedi configurabili in relazione alla violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio, vi è quello della nullità; e che discutere di nullità (assoluta) «non andrebbe a vantaggio del cliente, esponendolo all'obbligo di restituire l'intero capitale e parte degli interessi».
In questo senso allora si può profilare, quantomeno in via teorica, una nullità virtuale di protezione per violazione di norme di condotta.
Sebbene tale ricostruzione possa trovare una qualche conferma probabilmente solo con riferimento alle previsioni di cui agli articoli 124-bis e 120-undecies – la cui riconducibilità all’ordine pubblico economico di protezione peraltro non è da tutti condivisa – e con difficoltà possa essere ricondotta alla violazione del generale obbligo di valutazione del merito creditizio ricavato, come detto ampiamente sopra, dal combinato disposto degli articoli 1176 c.c. e 5 T.U.B., in ogni caso l’eventuale natura di nullità di protezione non ci sembra di per sé elemento in grado di escludere in ipotesi la nullità virtuale. E ciò per quanto segue.
Sebbene, infatti, vi sia parte della dottrina che la nega (ci si riferisce alla ricostruzione prospettata da D’Amico G., op. cit.), la dottrina più autorevole (tra tutti si veda Gentili A., La “nullità di protezione”, in Europa e diritto privato, 1, 2011, pp. 77-119), a cui chi scrive si associa, ed anche la giurisprudenzasono concordi nel ritenere che la nullità virtuale di protezione trovi cittadinanza all’interno del nostro ordinamento. Le argomentazioni di chi non ammette la nullità di protezione paiono infatti poco convincenti, in quanto sostanzialmente basate sulla natura prettamente individuale dell’interesse tutelato dalle norme di protezione, estranea pertanto a quella “generalità” che dovrebbe essere propria degli interessi tutelati dalle norme la cui violazione consente una declaratoria di nullità virtuale ex art. 1418, co. 1, c.c.
In realtà, se pur è vero che, di norma, gli interessi tutelati dalle norme di protezione del contraente debole, sono interessi “privati” o quantomeno interessi di “classe”, non possiamo astenerci dal rilevare che, però, è rei publicae interest che tali interessi siano protetti. È in questo senso che allora si recupera quella natura pubblicistica dell’interesse che è alla base dell’istituto della nullità virtuale e che ne consente l’ammissibilità anche dinanzi a violazione di norme poste a tutela solo apparentemente individuali.
Per queste ragioni, qualora nel caso di specie si volesse discutere di nullità virtuale di protezione, non ci sembra questa sia la ragione che consente di predicarne, in ipotesi, l’inammissibilità.
[33] Si è già avuto modo di dire supracome quello di valutazione del merito creditizio è qualificato da dottrina e giurisprudenza maggioritarie come obbligo di comportamento o di condotta.
[34] Cass. Civ. sent. n. 1901/1977; cfr. Cass., Sez. III, ord. n. 7243/2024. Ma sul punto richiamiamo i riferimenti citati alle note n. 4, 5, 7 e 8.
[35] Si allude a Cass. Civ. sent. n. 1387/2023.
[36] Perlingieri G., L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e regole di validità, ESI, Napoli 2013, p. 11. Si noti come egli sottolinei che di principio di non interferenza ha senso parlare solamente quando il rimedio non è espressamente previso dal legislatore. In questo senso, secondo l’autore, non avrebbe senso discutere di nullità testuale per violazione di norme di comportamento.
[37] Ci si riferisce alle celebri “sentenze Rordorf”, nn. 26724 e 26725 del 2007 in cui la Corte di Cassazione ha escluso la nullità dei contratti di derivati stipulati senza le informazioni che l’articolo 6 della legge n. 1/1991 imponeva all’intermediario finanziario (nel caso concreto trattasi di una banca) di fornire al cliente.
[38] Così ad esempio Trabucchi A., Il dolo nella teoria dei vizi del volere, CEDAM, Padova 1937, pp. 105 ss., ritenuto uno dei padri della distinzione tra norme di validità e di comportamento; Benatti F., La responsabilità precontrattuale, in Rivista di diritto commerciale, 2, 1956, pp. 360 ss.; Nappi F., Responsabilità precontrattuale: il dictum delle Sezioni Unite al collaudo di un giudizio applicativo, in Tatarano G., Perchinunno R. (a cura di), Studi in memoria di Giuseppe Panza, Napoli 2010, pp. 470 ss.; Castronovo C., Principi di diritto europeo dei contratti. Parte I e II, Un contratto per l’Europa, XXIV, Giuffè, Milano 2001; Scognamiglio C., op. cit.; Maggiolo M., Servizi ed attività di investimento. Prestatori e prestazione, in Trattato dir. civ. comm., Cucu A., Messineo F., Mengoni L., continuato da Schlesinger P., Giuffrè, Milano 2012, p. 498; Albanese A., Violazione di norme imperative e nullità del contratto, cit.
[39] Perlingieri G., op. cit.; Passagnoli G., op. cit.; secondo la nostra opinione anche Gentili A., Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in I contratti, 4, 2008, pp. 392-402; Roppo V., op. cit., pp. 542 ss.
[40] Di questo è convinto Gentili A., Disinformazione e invalidità, cit., pp. 542 ss.; contra Perlingieri G., op. cit., che sembra escludere che essa trovi un fondamento logico.
[41] La stessa Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 33719/2022, ha messo in luce come nel discutere di nullità virtuale sia necessario tenere sempre in considerazione il principio di certezza del diritto. Ad opinione di chi scrive, in realtà, la giurisprudenza tende a dimostrare un atteggiamento recessivo in tema di nullità virtuale, arrivando a ridurne eccessivamente l’ambito di applicazione in nome della tutela del principio di certezza del diritto.
[42] Natoli R., Sul dialogo tra diritto civile e diritto dei mercati finanziari in punto di regole di validità e regole di responsabilità, in Bellavista A., Plaia A., Le invalidità nel diritto privato, Giuffrè, Milano 2011, p. 417.
[43] Così D’Amico G., Nullità non testuale, cit., p. 826.
[44] Si veda il punto n. 5 del decreto dell’impugnato decreto del 6158/2022 del Tribunale di Torino secondo cui “l’obbligo di effettuare la valutazione del merito creditizio in capo alla banca emerge dal principio di sana e prudente gestione di cui all’art. 5 T.U.B.”, nonché il considerato 3.1 della sentenza in commento dove i giudici scrivono che “i generali principi di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito” sono “sottesi all’art. 5 T.U.B.”.
[45] Essa integra invece un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, come chiarito da Cass. sent. n. 18610/2021. Si rimanda inoltre alla nota di Dolmetta A.A., Merito del credito e concessione abusiva, in dirittobancario.it.
[46] Concorde è anche la giurisprudenza di merito. Si veda, ad esempio, Trib. Padova, decreto del 23 luglio 2024, in One legale, secondo cui «la violazione delle regole sulla valutazione del merito creditizio non comporta nullità del contratto di mutuo, costituendo, al più, presupposto per la condanna al risarcimento dei danni e per la risoluzione del contratto nei casi che lo consentano». Trib. Modena, sent. 1018/2024, in One legale secondo cui non è «seriamente sostenibile [...] che alla asserita condotta illecita della banca finanziatrice di c.d. “concessione abusiva del credito” consegua, per ciò solo, la nullità del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni».
[47] Ci riferiamo a Spadaro M., Orientamenti giurisprudenziali di merito, in Il fallimento, 3, 2023, pp. 416-417, secondo cui «la violazione di tale obbligo [n.d.r. l’obbligo di valutazione del merito creditizio] e la concessione di un finanziamento privo di alcun rischio per la banca, perché assistita dalla garanzia statale, secondo il Tribunale di Torino, rilevano ai fini della valutazione della validità contratto di finanziamento»; e a Staunovo-Polacco E., La nullità dei contratti per concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto, alla prova degli insegnamenti della Suprema Corte sulle nullità «virtuali», in questa Rivista, 29 luglio 2024, il quale scrive che il «decreto del Tribunale di Torino [...] ha esclusodal concorso un credito riveniente da un finanziamento chirografario con garanzia del Mediocredito Centrale concesso ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m), d.l. 23/2020 [...], per averlo la Banca accordato ad una società già in crisi, senza valutarne il merito creditizio, violando perciò il principio della “sana e prudente gestione” di cui all’art. 5 T.U.B.».
[48] Della stessa opinione anche Bertolotti S., Scaccaglia L., Mutui garantiti da MCC: sulla nullità per violazione del precetto penale, in Dirittobancario.it.
[49] Mantovani M., Violazione di norme penali e nullità virtuale del contratto, in Studi in onore di Luigi Costato, vol. 3, I multiformi profili del pensiero giuridico, Jovene Editore, Napoli, 2014, pp. 403-418.
[50] Leoncini I., I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 3, 1990, pp. 997-1066.
[51] Così Di Marzio F., Illiceità penale della condotta e invalidità del contratto, in I contratti, 3, 2013, pp. 307-315.
[52] Franchi A., Responsabilità della banca per concessione abusiva del credito, in I contratti, 2, 2004, pp. 145-155.
[53] Così la Cassazione è concorde nell’escludere la nullità del contratto concluso a seguito di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro (art. 640 c.p.), ancorché penalmente accertata, e nel ricondurre la fattispecie al terreno dell’annullabilità. Si veda ex multis Cass. sent. n. 1440/2014.
[54] Infatti, il c.d. decreto correttivo ter al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha correttamente precisato che la prosecuzione del rapporto contrattuale tra banca e imprese in crisi non è di per sé fonte di responsabilità della banca. Sul punto si rimanda a Ambrosini S., I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in questa Rivista, 4 ottobre 2024, pp. 5 ss.
[55] Ci si riferisce a Cass. sent. n. 25209/2023, secondo cui «in mancanza di una norma che in via generale vieti di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito».
[56] Infatti, scrivono i giudici di legittimità, nel caso di specie a «venire in rilievo non è tanto l’orientamento di questa corte in base al quale l’erogazione del credito sia qualificabile come abusiva [...] integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere questi venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, obbligando il medesimo al risarcimento del danno ove ne discenda un aggravamento del dissesto [...], quanto un profilo prettamente penalistico ridondante, sul piano negoziale, in un vizio di nullità».
[57] In particolare, com’è noto, anche il quadro normativo Unionale vieta alle banche di detenere crediti troppo rischiosi e stabilisce criteri predittivi per la valutazione del merito creditizio (si veda il c.d. “CRD IV Package”, ossia il Regolamento UE n. 575/213 e la direttiva 2013/36, recepita dal d.lgs. 72/2015). L’obbligo di valutazione del merito creditizio è poi integrato anche dalle fonti secondarie, quali le raccomandazioni, linee guida, orientamenti e best practice (si vedano, ad esempio, gli Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti del 29 maggio 2020 dell’ABE).