Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Gli atti e le attività dell’esperto tra potere, controlli e invalidità: una possibile ricostruzione.


Gloria Visaggio
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Il ricorso alla composizione negoziata da parte degli intermediari finanziari (non bancari) tra potenzialità applicative ed incertezze interpretative*


Giustino Di Cecco

Data pubblicazione
02 marzo 2025

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Sommario: 1. Premessa. - 2. L’utilità della composizione negoziata per gli intermediari finanziari. - 2.1. L’irrilevanza, sul punto, della disciplina dell’art. 58 TUB. -3. La delimitazione del tema d’indagine. - 4. La portata del divieto di accesso a procedure concorsuali “diverse”. - 5. La compatibilità della disciplina della composizione negoziata con le norme dettate per la crisi degli intermediari finanziari. - 5.1. La compatibilità dell’autorizzazione giudiziaria alla cessione d’azienda con la disciplina degli intermediari finanziari (e le relative peculiarità). - 5.2. Il procedimento “istruttorio”. - 5.3. Il contenuto del vaglio dell’autorità giudiziaria. - 6. La competenza ad assumere la decisione di cessione dell’azienda o di suoi rami. - 7. Una (breve) considerazione conclusiva di carattere generale.


1. Premessa.

Come è noto, la disciplina della crisi degli intermediari finanziari (non bancari) si desume dall’intersezione di diverse fonti normative.

Alle norme del d. lgs. n. 58/1998 (TUF) dedicate specificamente al tema occorre, infatti, aggiungere, dapprima, le (specifiche) regole del d.lgs. 385/1993 (TUB) alle quali fa espresso rinvio l’art. 57, comma 3, TUF e, in seconda battuta, le norme del diritto concorsuale “comune” richiamate «per quanto non espressamente previsto» e «se compatibili» dall’art. 80, comma 6, TUB[1].

Il “precipitato” essenziale di tale “micro-sistema” normativo è sintetizzabile nel generale divieto di assoggettare gli intermediari (bancari e) finanziari a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta amministrativa e nell’ancor più generale principio secondo cui le norme del CCI possono essere richiamate soltanto ad integrazione della disciplina di settore e a condizione che siano con essa compatibili.

La portata effettiva della duplice regola appena descritta – chiarissima all’epoca della sua originaria formulazione – è divenuta, nel tempo, sempre meno sicura per effetto della progressiva “decolorazione” della nozione di “procedura concorsuale” dovuta alla crescente proliferazione, nel diritto concorsuale ordinario, di strumenti di regolazione della crisi di dubbia qualificazione.

Se la più nota incertezza si è posta con riferimento alla natura giuridica (ed all’applicabilità agli intermediari finanziari) degli accordi di ristrutturazione del debito[2], non v’è dubbio che il problema si presenta egualmente per tutti gli istituti del diritto concorsuale che, per diverse ragioni, non sembrano poter rientrare nei (pur ampliati) limiti della fattispecie delle procedure concorsuali.

E’ questo è il caso, prima di tutto (ancorché non soltanto[3]), della composizione negoziata della crisi di cui agli art. 12 ss. CCI[4].

Anche convenendo con l’idea che il nuovo “procedimento” possa (forse anche agevolmente) superare il divieto dell’art. 80, comma 6, TUB in considerazione del fatto che non integra neppure una vera e propria “procedura”, altri ostacoli si frappongono all’utilizzabilità dell’istituto da parte degli intermediari finanziari.

Rilevato, infatti, che la disciplina del diritto concorsuale comune può estendersi (alle banche e) agli intermediari finanziari («per quanto non espressamente previsto») nei soli limiti di “compatibilità” con la disciplina speciale, occorre verificare se, ed eventualmente entro che limiti, le norme sulla composizione negoziata della crisi siano in grado di superare il suddetto limite di “compatibilità”.

Il problema, come si vedrà, è più spinoso di quanto possa apparire ad un esame superficiale. Prima di affrontarlo, tuttavia, giova dedicare qualche breve considerazione all’utilità della composizione negoziata (anche) per gli intermediari finanziari, sì da meglio chiarire la rilevanza concreta dell’argomento.

 

2. L’utilità della composizione negoziata per gli intermediari finanziari.

Come è sin troppo noto per meritare poco più di un rapido cenno, lo stravolgimento economico prodotto dalle misure di contenimento della pandemia da Covid-19 ha indotto (se non proprio costretto) il legislatore ad abbandonare le (normativamente già regolate) procedure di allerta e prevenzione dell’insolvenza (e della composizione assistita davanti agli OCRI) in favore del nuovo procedimento di composizione negoziata della crisi[5].

L’istituto è uno strumento (per lo più) stragiudiziale attivabile (unicamente) su iniziativa del debitore per (il dichiarato fine di) individuare una soluzione alla crisi condivisa e concordata con (alcuni o tutti) i creditori anche grazie all’opera (quasi di “mediazione”) di un professionista terzo ed indipendente (l’esperto) chiamato ad esplorare e a stimolare ogni possibile accordo.

Tralasciando le molte peculiarità di una disciplina complessa ed articolata, non ci vuol molto a rilevare che l’istituto ha molteplici chiavi di possibile successo, tra le quali spicca[6] (anche[7]) la prescritta possibilità di trasferire a terzi il compendio aziendale in deroga alla responsabilità solidale dell’acquirente prescritta dall’art. 2560, comma 2, c.c.[8] (e, da ultimo, anche alle norme che riguardano i debiti fiscali[9]).

Si tratta, infatti, di una novità di non poco conto, sia perché agevola in modo significativo il trasferimento dei compendi aziendali consentendolo anche nelle ipotesi critiche in cui il valore dell’attivo sia inferiore a quello del passivo, sia perché, in precedenza, la deroga era “riservata” alle sole vendite “concorsuali”[10].

Come è noto, infatti, l’esclusione dell’acquirente dalla responsabilità per i debiti del cedente è prevista, da sempre, nella disciplina del fallimento e del concordato preventivo (agli artt. 105, comma 4, e 182, comma 5, l. fall.) ed è stata pedissequamente riproposta negli artt. 118, comma 8, e 214, commi 3 e 4, CCI, rispettivamente per le cessioni effettuate in esecuzione di un concordato preventivo[11] o di una liquidazione giudiziale. Da ultimo, con il decreto correttivo del 2024, la deroga è stata estesa anche alle vendite d’azienda oggetto di piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione ex art. 64-bis CCI[12], e, in prospettiva, dovrebbe divenire una regola “tipica” dei trasferimenti aziendali effettuati nel contesto di una qualunque strumento di regolazione della crisi (compresi, dunque, anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti che, allo stato, non consentono di beneficiare della medesima esclusione di responsabilità) [13].

Sicché, la possibilità prevista dall’art. 21 CCI di assicurare all’acquirente dell’azienda un medesimo effetto “liberatorio” senza dover ricorrere ad una procedura concordataria o di liquidazione giudiziale (o amministrativa) presenta l’indubbio vantaggio di consentire un approdo simile[14] in tempi ridotti e con costi assai più contenuti.

Se una tale caratterizzazione dell’istituto lascia, in generale, immaginare spazi applicativi della composizione negoziale forse anche maggiori di quelli sinora registrati[15], la particolare disciplina di settore degli intermediari finanziari rende lo strumento, se possibile, ancor più interessante.

Considerato, infatti, che il divieto posto a carico degli intermediari finanziari di accedere a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta amministrativa esclude la possibilità ricorrere al concordato preventivo e, dunque, circoscrive la possibilità di cedere l’azienda in deroga all’art. 2560 c.c. al solo contesto della (ben più complessa) procedura concorsuale amministrativa[16], l’utilità applicativa dell’idea che agli intermediari finanziari non sia precluso l’accesso alla composizione negoziata (ed alla cessione in deroga ivi prevista) appare indiscutibile, quanto meno in tutti i casi in cui la soluzione della loro crisi debba passare per il trasferimento a terzi del compendio aziendale.

Anche perché, la speciale disciplina del settore finanziario che regola la responsabilità del cessionario per i debiti del cedente in caso di trasferimento d’azienda (ad un intermediario) non muta i termini della questione.

 

2.1. L’irrilevanza, sul punto, della disciplina dell’art. 58 TUB.

Come è noto, l’art. 58 TUB detta un regime di responsabilità per i debiti aziendali preesistenti in ipotesi di vendita di un’azienda o di un ramo d’azienda a favore di un intermediario bancario o finanziario del tutto originale.

Nel caso, infatti, in cui il cessionario (quale che sia l’attività del cedente) sia una banca o altro operatore finanziario (vigilato), la norma di settore stabilisce che l’alienante e  l’acquirente sono solidalmente responsabili verso i terzi per tutti i debiti aziendali «oggetto della cessione» (ma soltanto) sino al terzo mese successivo all’ultimo degli obblighi pubblicitari previsti dal comma 2 della stessa disposizione e che, successivamente alla scadenza di detto termine, la responsabilità dell’alienante viene meno verso tutti i creditori ceduti che non gli abbiano espressamente richiesto l’adempimento (ferma restando, in ogni caso, la responsabilità dell’acquirente)[17].

La norma dispone, dunque, un articolato accollo ex lege[18] da parte dell’acquirente (finanziario) – e, specularmente, una condizionata (e progressiva) liberazione del cedente – dei (soli) debiti «oggetto della cessione», e non già (si badi) di tutti i debiti preesistenti. E poiché non v’è ragione, per l’acquirente, di farsi carico di debiti ulteriori e diversi da quelli nascenti da rapporti giuridici di natura bancaria e finanziaria – ossia di quelle posizioni debitorie che sono naturalmente destinate a rigenerarsi con l’ordinaria operatività bancaria dei prelievi e delle rimesse del cliente – è agevole individuare la ratio della disposizione nella volontà legislativa di garantire l’ordinaria operatività dei rapporti finanziari di tipo “continuativo”. Il che è regola posta a protezione dell’interesse prioritario del creditore non già di ottenere una tantum l’adempimento dell’obbligazione da parte del cedente (o del cessionario), quanto – ben diversamente – di poter beneficiare della continuità del rapporto contrattuale trasferito al cessionario[19].

Sicché, tralasciando le molte questioni che la disposizione finisce per porre all’interprete[20], non v’è dubbio che quello tratteggiato dalla norma speciale è un regime particolare (di natura, per così dire, opzionale) che riguarda unicamente le passività «oggetto di cessione», ossia i soli debiti che il cedente ed il cessionario dichiarino espressamente nell’atto di cessione di voler trasferire unitamente al compendio aziendale (o ai rapporti giuridici in blocco).

Per tutti i debiti “estranei” all’insieme dei rapporti giuridici «oggetto di cessione» troverà, infatti, applicazione l’ordinaria disciplina codicistica e, dunque, ai fini del discorso che si va conducendo con riguardo al trasferimento d’azienda, proprio le regole dell’art. 2560 c.c.[21].

Il che, evidentemente, consente di “ridimensionare” la portata “eversiva” della disciplina speciale che, pur derogando a gran parte di quella (generale) dell’art. 2560 c.c., trova comunque un’applicazione limitata a quelle sole passività che le parti decidano volontariamente di considerare nel perimetro dei rapporti giuridici ceduti al cessionario (evidentemente a riduzione del valore dell’attivo e, dunque, del relativo prezzo).

Sicché, nel caso in cui l’attivo del compendio aziendale da trasferire abbia un valore inferiore alle relative passività, la disciplina speciale finisce per non poter giocare alcun ruolo o, comunque, alcun ruolo determinante, per la semplice ragione che ben difficilmente un operatore razionale potrebbe accettare l’accollo ex lege di debiti di valore superiore a quello dell’attivo acquisito. Il che, tuttavia, è quanto dire che i debiti eccedenti il valore dell’attivo sono naturalmente destinati ad essere passività estranee a quelle «oggetto della cessione» e, quindi, per quel che qui interessa, debiti tendenzialmente sottoposti al generale regime di responsabilità solidale tra acquirente e alienante previsto dall’art. 2560 c.c.

Di conseguenza, la normativa di settore finisce per essere del tutto neutra rispetto al quadro degli interessi che vengono in gioco allorquando la soluzione della crisi di un operatore finanziario passi per la cessione di un compendio aziendale in deficit o, comunque, nel caso in cui il cessionario non intenda subentrare nelle totalità delle relative passività (essendo interessato all’acquisto del compendio soltanto a condizione di essere esonerato, in tutto o in parte, dalla responsabilità dell’acquirente per i debiti anteriori prevista dall’art. 2560 c.c.).

In altri (e più espliciti) termini, ciò è quanto dire che la disciplina speciale prevista dall’art. 58 TUB non incide sui temi posti dalla regola dell’art. 22 CCI che consente la cessione in deroga all’art. 2560 c.c. nel contesto della composizione negoziata della crisi.

 

3. La delimitazione del tema d’indagine

Rilevato, dunque, che né la natura dell’attività esercitata, né, tantomeno, le peculiarità della disciplina speciale contenuta all’art. 58 TUB incidono sulla rilevanza e sull’utilità del ricorso alla composizione negoziata da parte degli intermediari finanziari (beninteso almeno nel caso in cui la soluzione alla crisi passi per la vendita dei compendi aziendali in deroga alla disciplina generale dell’art. 2560 c.c.), si può passare ad indagare più in dettaglio la compatibilità tra la disciplina “comune” dell’istituto e quella “speciale” del settore finanziario.

Al riguardo, come detto, occorre procedere con ordine, approfondendo, dapprima, il tema (per così dire generale) della concreta portata del divieto di accesso a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta e, successivamente, quello (particolare) relativo alla compatibilità della disciplina della composizione negoziata con quella del settore finanziario.

 

4. La portata del divieto di accesso a procedure concorsuali “diverse”.

Come anticipato in apertura, che il divieto di cui all’art. 80, comma 6, TUB non impedisca l’utilizzabilità della composizione negoziata da parte degli intermediari finanziari[22] è conclusione, perlomeno allo stato, difficilmente contestabile.

Benché non vi sia concordia di opinioni né sulla natura giuridica[23] dell’istituto[24], né sulla stessa estensione della nozione di procedura concorsuale, non v'è molto spazio per mettere seriamente in discussione l’idea che l’istituto retto dagli artt. 12 ss. CCI non integri una procedura concorsuale[25].

Non è un caso, del resto, che la stessa giurisprudenza di legittimità che, a partire dal gennaio 2018, ha progressivamente consolidato – seppure per risolvere altri e diversi problemi rispetto a quello che qui interessa – l’innovativo orientamento teso ad ampliare (secondo la nota teoria “astronomica” dei cerchi concentrici[26]) la nozione di procedura concorsuale sino a ricomprendervi anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti[27], si sia premurata di precisare espressamente (seppur in obiter dictum) che la composizione negoziata (al pari del piano attestato soggetto ad omologazione[28]) resti pur sempre all’esterno dei (nuovi) limiti di tale categoria giuridica[29].

Conclusione, quest’ultima, che, ovviamente, vale addirittura a fortiori per coloro che continuano a negare la natura di procedura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti[30].

Ciò non di meno, qualche dubbio sulla qualificazione giuridica della composizione negoziata è stato avanzato con riguardo al caso particolare in cui il debitore chieda l’intervento dell’autorità giudiziaria.

La tesi, invero appena accennata[31], sembra alludere ad una natura giuridica dell’istituto “mutevole” a seconda che il debitore abbia chiesto o meno la conferma giudiziale delle misure protettive o la concessione dell’autorizzazione del tribunale all’acquisizione di finanziamenti prededucibili o, per l’appunto, alla cessione dell’azienda in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c.

Una siffatta conclusione, ove accolta, avrebbe conseguenze rilevanti per l’indagine che si va conducendo. Se così fosse, infatti, si dovrebbe ammettere che gli intermediari finanziari potrebbero accedere al procedimento per chiedere la nomina dell’esperto al fine di giungere ad uno degli esiti “non concorsuali” previsti dall’art. 23, comma 1, lett. a) e c), CCI, ma non potrebbero beneficiare né delle misure protettive né della possibilità di chiedere l’autorizzazione giudiziale per l’assunzione di nuova finanza in prededuzione o per la cessione dell’azienda in deroga. In una sorta, quindi, di utilizzabilità parziale dell’istituto che, invero, appare già di per sé conclusione di ardua giustificazione sistematica.

Peraltro, non può neppure negarsi che una tale impostazione (per così dire) “ibrida” trovi terreno fertile nella netta decolorazione della nozione di procedura concorsuale prodotta dalla proliferazione degli strumenti di risoluzione della crisi proposta dalla legislazione degli ultimi anni[32]. Sin tanto che, infatti, non si giungerà all’identificazione condivisa degli elementi costitutivi della fattispecie, nessuna conclusione potrà dirsi sicura[33].

Ciò non di meno, nel caso della composizione negoziata, la soluzione negativa appare comunque doverosa in considerazione del recente approdo interpretativo – in via di consolidamento tanto in dottrina quanto in giurisprudenza – che nega l’esistenza di una relazione biunivoca necessaria tra “regole concorsuali” e “procedure concorsuali” per giungere alla conclusione che l’applicazione di talune regole concorsuali anche ad “istituti del diritto concorsuale” che “procedure concorsuali” non sono – come è proprio il caso della composizione negoziata della crisi – non ne muta la relativa natura giuridica[34].

Il che, in definitiva, è quanto basta per concludere che il divieto di cui all’art. 80, comma 6, TUB, quand’anche si ritenga che possa precludere l’utilizzabilità degli accordi di ristrutturazione del debito, non può certo impedire, ex se, il ricorso degli intermediari finanziari alla composizione negoziata, né alle “regole concorsuali” previste per tale istituto. L’unica preclusione rilevante, dunque, resta l’impossibilità di accedere, in esito a tale procedimento, ad uno degli strumenti di regolazione della crisi “propriamente concorsuali” previsti dall’art. 23 CCI.

Superato, dunque, il dubbio circa l’ammissibilità in astratto del ricorso alla composizione negoziata da parte degli intermediari finanziari, resta da verificare se la disciplina della composizione negoziata sia compatibile con le norme del settore finanziario e, dunque, superi il filtro prescritto dall’art. 80, comma 6, TUB per tutte le norme del diritto concorsuale comune.

 

5. La compatibilità della disciplina della composizione negoziata con le norme dettate per la crisi degli intermediari finanziari.

Non ci vuol molto a rilevare che la gran parte delle norme dedicate alla composizione negoziata della crisi non sembra presentare alcun profilo di potenziale incompatibilità con quelle speciali contenute nel TUF e nel TUB a regolazione della crisi degli intermediari finanziari non bancari[35].

Un dubbio di carattere generale potrebbe porsi, almeno ad un primo approccio, con riguardo alla compatibilità della regola dell’art. art. 18, comma 4, CCI che preclude (non soltanto l’apertura della liquidazione giudiziale, ma anche) l’«accertamento dello stato di insolvenza» in pendenza delle «misure protettive del patrimonio» richieste dall’imprenditore[36]. Poiché, infatti, la disposizione si applica anche alle imprese (come quelle finanziarie) soggette in via esclusiva a liquidazione coatta amministrativa, non v’è dubbio che essa “incida” anche sulla disciplina del settore finanziario aggiungendovi una preclusione ivi non prevista.

Considerato, tuttavia, che il divieto in parola non impedisce né limita in alcun modo l’adozione del (ben diverso) provvedimento di avvio della liquidazione coatta amministrativa (tanto per gravi irregolarità gestorie, quanto per ragioni economiche, patrimoniali o finanziarie) e che l’apertura di una siffatta procedura concorsuale fa certamente venir meno l’efficacia delle misure protettive anteriori in conseguenza del più generale divieto di avvio o prosecuzione di azioni esecutive e cautelari imposto dall’art. 150 CCI[37], non v’è dubbio che, per gli intermediari finanziari, l’unico effetto del disposto dell’art. 18, comma 4, CCI si riduce all’improcedibilità dell’eventuale domanda giudiziale di accertamento preventivo dello stato di insolvenza su istanza dei creditori o della stessa autorità amministrativa. Il che, considerato che tale accertamento “preventivo” rappresenta soltanto uno (e, peraltro, neppure il più rilevante in termini di frequenza applicativa) dei presupposti della liquidazione coatta amministrativa (arg. ex art. 297 CCI), consente di escludere l’esistenza di profili di incompatibilità sostanziale tra la disciplina di diritto comune e quella di settore che possano compromettere l’applicabilità dell’istituto della composizione agli intermediari finanziari[38]. Come l’esperienza pratica ha già dimostrato, del resto, la decisione dell’intermediario di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi è del tutto compatibile con il coevo avvio di un procedimento amministrativo finalizzato all’apertura della liquidazione coatta (o anche soltanto alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività). Procedimento amministrativo che, a ben vedere, può rappresentare, per quanto qui di interesse, un’efficace modalità per “attrarre” sotto la vigilanza (anche) dell’autorità amministrativa l’attività del debitore e la stessa efficacia delle trattative durante la composizione negoziata[39].

Così acclarata l’inesistenza di ragioni ostative di carattere generale all’estensione della portata applicativa della composizione negoziata agli intermediari finanziari non bancari[40], resta da verificare la compatibilità dei singoli aspetti della relativa disciplina con quella del settore finanziario.

In questa ottica, qualche incertezza può destare l’applicazione delle regole relative alla sospensione degli effetti della riduzione del capitale per perdite prevista dall’art. 20 CCI, vista la particolare disciplina in tema di patrimonio minimo di vigilanza degli intermediari (anche con riguardo ai criteri di valutazione adottati[41]). Considerato, tuttavia, che l’accesso alla composizione negoziata non preclude né, come detto, l’adozione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione o di avvio della liquidazione coatta amministrativa, né ogni altro possibile intervento "preventivo" dell’autorità amministrativa[42], il tema dell’applicabilità o meno della disciplina della riduzione del capitale per perdite, per quanto rilevante sia in via di principio, si riduce ad avere una scarsa, se non nulla, rilevanza concreta.

Più articolato, invece, è il tema della compatibilità della disciplina dell’autorizzazione giudiziaria alla cessione dell’azienda prevista dagli artt. 22, comma 1, e 24, comma 1, CCI con riguardo alla facoltà[43] del debitore di chiedere il preventivo vaglio giudiziale della propria decisione di cedere a terzi il compendio aziendale nel corso del procedimento di composizione negoziata al fine di ottenere un doppio regime di favore: l’esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti pregressi ex art. 2560, comma 2, c.c. e la stabilità degli effetti della cessione anche in caso di naufragio del tentativo di superamento della crisi e di conseguente avvio di una procedura concorsuale.

 

5.1. La compatibilità dell’autorizzazione giudiziaria alla cessione d’azienda con la disciplina degli intermediari finanziari (e le relative peculiarità).

Il tema della compatibilità della disciplina autorizzatoria prescritta dall’art. 22 CCI con le disposizioni del settore finanziario va affrontato sotto due diversi punti di vista in ragione, per un verso, dell’esistenza di un (potenzialmente concorrente) regime autorizzatorio della Banca d’Italia (per il caso in cui il cessionario sia un intermediario finanziario o una banca e la cessione sia “rilevante”)[44] e, per altro verso, della diffusa affermazione secondo cui il placet giudiziario alla cessione d’azienda previsto dall’art. 22 CCI avrebbe natura “anticipatoria” rispetto alla vendita d’azienda effettuata nel corso della liquidazione giudiziale (ma anche amministrativa)[45].

Non ci vuol molto, tuttavia, a rilevate che la possibile coesistenza di due diversi regimi autorizzatori non presenta profili di criticità in considerazione de fatto che le due autorità sono chiamate ad emettere provvedimenti con finalità ed effetti del tutto diversi, e dunque, a svolgere un vaglio del tutto complementare, senza alcuno spazio di sovrapposizione o potenziale contraddittorietà.

L’autorizzazione giudiziale, avendo, come già detto, il limitato (per quanto rilevante) effetto di escludere la responsabilità del cessionario ex art. 2560 c.c. e la revocabilità dell’atto di cessione, è, infatti, finalizzata a valutare l’impatto di tali conseguenze sui diritti dei soggetti incisi dall’operazione, ossia, in sostanza, dei creditori anteriori del debitore.

Il placet amministrativo, invece, quando previsto dalla legge, è finalizzato a consentire la valutazione degli effetti della cessione sul patrimonio (e sulla stabilità) del cessionario, a tutela di interessi (più generali) del tutto diversi e, proprio per tale ragione, condiziona la stessa validità dell’atto di trasferimento[46].

Se, dunque, il vaglio sotteso all’autorizzazione del tribunale non esclude affatto (ma anzi si aggiunge al) le (peraltro eventuali) valutazioni di più ampio spettro rimesse alla Banca d’Italia, le due discipline, non avendo profili di sovrapposizione, non presentano potenziali profili di incompatibilità.

Sotto l’altro dei due profili segnalati in apertura, non ci vuol molto a rilevare che ogni dubbio che si voglia far discendere dal combinato effetto, per un verso, dell’affermata natura anticipatoria dell’autorizzazione giudiziale e, per altro verso, della circostanza che, nel caso dell’unica procedura concorsuale degli intermediari finanziari, tale placet è di competenza dell’autorità amministrativa[47], è null’altro (o poco più) che una mera suggestione interpretativa.

Se è vero, infatti, che l’autorità giudiziaria ordinaria non ha modo di tener conto (in tale sede per così dire “pre-concorsuale”) di quegli interessi generali di più ampio spettro rispetto ai diritti dei creditori che giustificano la sottrazione degli intermediari finanziari alle procedure concorsuali “giudiziali”, è altresì innegabile che, ove rilevanti, tali interessi sono rimessi all’esclusiva valutazione della Banca d’Italia in tutti i casi in cui ne è richiesto il relativo placet. La conclusione trova esplicita conferma, del resto, nella lettera dell’art. 24 CCI che, evidentemente non a caso, si premura di precisare espressamente che «gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 22 conservano i propri effetti» (proprio ed) anche nelle eventuali successive procedure di «liquidazione coatta amministrativa» (senza altra specificazione[48]). Il che, evidentemente, è una previsione che in tanto ha un senso, in quanto l’autorizzazione giudiziale è rilasciata, proprio e per l’appunto, (anche) ai richiedenti assoggettati (anche o soltanto) a liquidazione coatta amministrativa.

Un problema più serio attiene, invece, alle modalità di coordinamento tra l’autorizzazione giudiziale (per ottenere gli effetti di esonero previsti da CCI) e quella dell’autorità di vigilanza per «le operazioni di maggiore rilevanza»[49].

Che i due provvedimenti siano naturalmente destinati a condizionarsi reciprocamente è, infatti, ineludibile. In che modo, in punto di rispettiva applicazione di ciascuna delle due discipline, le due autorità debbano tener conto della decisione dell’altra è, tuttavia, questione procedimentale meno chiara.

 

5.2. Il procedimento “istruttorio”.

Per quanto concerne il procedimento, la norma dell’art. 22 CCI si limita a prescrivere la necessaria audizione delle «parti interessate», il potere-dovere del giudicante di assumere tutte «le informazioni necessarie» e l’eventuale nomina, ove ritenuto utile, di un ausiliario del giudice ai sensi dell’art. 68 c.p.c. per il «compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sè solo».

Come da più parti messo in luce, la disposizione non fa espresso riferimento né all’audizione dell’esperto incaricato di svolgere la composizione negoziata, né alla sua possibile nomina quale ausiliario del giudice. Il silenzio della legge, tuttavia, non pare potersi intendere quale implicita espressione di un divieto, sia perché all’esperto è comunque richiesto di esprimere un parere sull’operazione[50], sia perché nulla osta a che il giudice possa richiedere all’esperto specifiche informazioni o valutazioni ulteriori rispetto a quelle da questi spontaneamente offerte, sia che lo investa della qualifica di “ausiliario”, sia che non lo faccia.

Del pari, la legge non offre alcun indizio circa l’identificazione delle «parti interessate» e l’estensione delle «informazioni necessarie» che il giudice può e deve acquisire in via istruttoria. Ciò non di meno, non sembra dubitabile che il tribunale possa (e forse debba) invitare ad esprimere la propria opinione tutti coloro i cui diritti siano direttamente incisi dalla prospettata operazione di cessione in deroga, né che vi siano concreti limiti alle ulteriori informazioni che possa concretamente considerare necessarie per la decisione richiesta.

In quest’ottica, il tribunale ben potrà sentire sia i creditori che sono stati invitati a partecipare alle trattative, sia quelli che ne sono rimasti estranei[51] e tutti gli altri stakeholders interessati, quali i lavoratori dell’impresa e le rispettive organizzazioni sindacali e, ove rilevante, anche i fornitori ed i clienti strategici, nonché, ovviamente, le stesse autorità amministrative eventualmente coinvolte (come, per l’appunto quelle incaricate della vigilanza sull’attività svolta dal debitore).

Allo stesso modo, non può certo escludersi che il giudicante abbia titolo a richiedere maggiori o più ampie informazioni al debitore, all’esperto o ai singoli soggetti auditi, invitandoli a partecipare ad un’ulteriore audizione[52] o, come è forse più efficace, a trasmettere le proprie considerazioni all’ausiliario incaricato di svolgere specifiche attività di analisi. Il che, in sintesi, significa che nulla osta a che l’autorità giudiziaria possa instaurare (direttamente o con la mediazione dell’ausiliario) un vero e proprio dialogo (più o meno articolato) con alcuni (o finanche con tutti i) soggetti interessati.

In quest’ottica, nel caso particolare della composizione negoziata di un intermediario finanziario, pare ragionevole ritenere che il tribunale, all’atto di sentire le «parti interessate» e di assumere «le informazioni necessarie», non potrà fare a meno di acquisire il parere dell’autorità di vigilanza sull’operazione prospettata, sì da poter tener conto nella determinazione delle «misure ritenute opportune (…) al fine di tutelare gli interessi coinvolti» delle loro (eventuali) istanze.

E’ vero, naturalmente, che nessuna disposizione prevede l’obbligatorietà di un tale dialogo “privilegiato” con l’autorità amministrativa. Ma è anche vero che almeno nei casi in cui l’operazione di cessione del compendio aziendale è sottoposta anche all’autorizzazione della Banca d’Italia (seppure per diverse finalità), l’omessa acquisizione (o considerazione) del relativo parere amministrativo nel procedimento giudiziario rischierebbe di privare di ogni efficacia (ed utilità) l’autorizzazione rilasciata dal tribunale (che potrebbe, addirittura, anche trovarsi a dover nuovamente vagliare la medesima operazione nel caso il cui il placet della Banca d’Italia fosse concesso subordinatamente alla modifica dei termini dell’accordo imponendo in tal modo il rinnovo del procedimento giudiziario).

In sostanza, ancorché non espressamente codificata, la sostanziale necessità di un coordinamento endo-procedimentale promosso dall’autorità giudiziaria verso quella amministrativa pare difficilmente contestabile in via generale, quanto meno per evidenti esigenze di economia di processo.

 

5.3. Il contenuto del vaglio dell’autorità giudiziaria.

Come già anticipato, l’art. 22 CCI rimette al tribunale un duplice, delicato, compito: (i) verificare «la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori» e, come appena detto, (ii) dettare nel provvedimento autorizzativo «le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti».

Se non v’è dubbio che i due presupposti della «funzionalità rispetto alla continuità aziendale» e della «migliore soddisfazione dei creditori» debbano sussistere congiuntamente, non è così chiaro né su quali basi il giudizio richiesto all’autorità giudiziaria debba essere concretamente espresso, né quanto ampio possa essere lo spettro delle «misure ritenute opportune» che possono essere concretamente adottate a tutela degli interessi delle parti interessate.

Considerato che la deroga all’ordinario regime di responsabilità del cessionario prevista dalla norma è, di per sé stessa, solo parziale (non includendo la responsabilità del cessionario per i debiti verso i dipendenti ex art. 2112 c.c.), non vi dovrebbe essere alcuna preclusione a che la richiesta autorizzazione riguardi una parte soltanto dei debiti del cedente. Allo stesso modo, nulla dovrebbe ostare a che l’autorizzazione richiesta sia concessa soltanto in misura parziale rispetto a quanto richiesto dal debitore[53] ove tale restrizione sia considerata dal tribunale necessaria a garantire la funzionalità della cessione rispetto alla continuità aziendale[54] o la migliore soddisfazione dei creditori o sia, più in generale, considerata una idonea “misura opportuna” da adottarsi in considerazione di una istanza avanzata da una delle parti interessate a tutela dei propri interessi.

Se, come è naturale che sia, sarà solo la prassi a svelare le modalità concrete del vaglio richiesto al tribunale, o, se si preferisce, a dare concreta luce al caleidoscopio delle possibili misure concretamente adottabili al riguardo, v’è da dire che le prime decisioni edite fanno già emergere un quadro generale dai contorni piuttosto netti ed in via di progressivo consolidamento.

In primo luogo, è diffusa (se non indiscussa) l’idea, suggerita in dottrina[55], che l’autorizzazione può essere concessa soltanto nel caso in cui, a tutela delle ragioni dei creditori, l’acquirente sia scelto con adeguata procedura competitiva e l’autorità giudiziaria sia posta in effettiva condizione di vagliare la bontà delle relative modalità (adottate o adottande)[56].

Frequente, tuttavia, è anche l’affermazione che l’autorizzazione può essere concessa soltanto ove l’ipotizzata cessione risulti in stretta correlazione con il buon esito della composizione negoziata. Correlazione che oltre ad imporre la negazione del placet ogni qual volta la prospettata cessione non risulti coerente con le misure indicate nel piano di risanamento proposto ai creditori[57] e/o con l’effettivo andamento delle trattative[58], legittima altresì la concessione di un’autorizzazione espressamente subordinata al positivo risultato del procedimento[59]. Il secondo corollario sembra, peraltro, trovare testuale conferma nel nuovo comma 1-bis dell’art. 22 CCI (aggiunto dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136) laddove si consente al tribunale di disporre che l’attuazione dell’autorizzazione concessa possa avvenire anche «successivamente alla chiusura della composizione negoziata».

Sotto un diverso profilo, ma il punto è meno sicuro, nulla dovrebbe ostare ad ammettere che, tra le misure concretamente adottabili per tener conto «delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti», il tribunale possa legittimamente imporre specifiche cautele con riguardo agli atti di disposizione del ricavato della vendita[60] e, a tutela dei creditori pretermessi dall’autorizzazione, forse anche specifici vincoli di destinazione delle relative somme, ferma la natura meramente obbligatoria di tali limiti[61].

Quali che siano le soluzioni che si preferiscono tra quelle che compongono il variegato quadro appena tratteggiato, certo è che nessuna delle determinazioni concretamente adottabili dall’autorità giudiziaria sembra porsi in rapporto di astratta incompatibilità con la disciplina di settore degli intermediari finanziari. Il che, per quanto qui interessa, è quanto basta e consente di volgere lo sguardo ad una considerazione ulteriore (e finale) con riguardo all’organo sociale competente ad assumere la decisione di cessione d’azienda nel corso della composizione negoziata.

 

6. La competenza ad assumere la decisione di cessione dell’azienda o di suoi rami.

E’ noto che allorquando si discuta della competenza ad assumere, nelle società di capitali, la decisione di cedere l’intera azienda o suoi rami “rilevanti” non sono poche le voci, sia in dottrina che in giurisprudenza, che affermano la necessità che l’organo amministrativo sia tenuto a chiedere (ed ottenere) la preliminare autorizzazione dell’assemblea dei soci in applicazione della nota teoria delle cc.dd. “competenze assembleari implicite” sulle materie di “interesse primordiale” dei soci[62].

Il tema è tornato di stringente attualità dopo che il CCI ha rimesso alla esclusiva competenza degli amministratori di tutte le società di capitali non soltanto la decisione riguardante l’«accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza» e quella, strettamente connessa alla prima, relativa all’individuazione del «contenuto della proposta» e delle «condizioni del piano» (art. 120-bis, CCI), ma anche e soprattutto l’«adozione di ogni atto necessario» a dare esecuzione al piano omologato anche nell’ipotesi in cui si tratti di determinazione estranee alla sfera delle loro ordinarie competenze (come nel caso delle operazioni di aumento e riduzione del capitale sociale e delle eventuali altre modificazioni statutarie previste dal piano: art. 120-quinquies CCI).

Il sistema relega i soci delle società in crisi ad un ruolo “passivo” rispetto alle decisioni dei managers, riservando loro il solo diritto “patrimoniale” di vedersi riconosciuto dal piano di ristrutturazione predisposto senza il loro consenso un’utilità non inferiore a quella che potrebbero ottenere dall’alternativa liquidatoria (arg. art. 120-quater, comma 3, CCI). Non a caso, del resto, lo stesso art. 120-bis, comma 4, CCI si premura di condizionare l’efficacia della revoca degli amministratori alla sola ipotesi in cui sussista una giusta causa e la relativa decisione sia preventivamente “approvata” dal tribunale.

La netta “retrocessione” dei diritti di voice dei soci nelle decisioni circa la sorte dell’impresa in crisi induce a riflettere sulla competenza ad assumere la determinazione di cedere l’azienda nel contesto della composizione negoziata.

Se, infatti, la decisione di accedere al percorso della composizione negoziata è certamente dell’organo amministrativo[63], non v’è ragione per dubitare del fatto agli amministratori spetti anche la competenza ad assumere ogni e qualsivoglia decisione reputata necessaria a superare la crisi in tale contesto.

Del resto, non può trascurarsi che il positivo esito della composizione può tradursi anche (benché non soltanto) nella sottoscrizione di accordi che, considerati in se stessi, rappresentano proprio ed esattamente uno strumento di regolazione della crisi[64] o, al più, fattispecie ad essi assimilabili per struttura, contenuto ed effetti[65].

Considerato, infatti, che non soltanto la decisione di accedere ad uno di tali strumenti, ma anche quella relativa al «contenuto del piano» sotteso allo strumento prescelto sono pacificamente di competenza degli amministratori a norma dell’art. 120-bis CCI, non può dubitarsi del fatto analoga competenza deve, coerentemente, ritenersi sussistente in capo all’organo amministrativo anche per le decisioni che riguardano l’accesso alla composizione della crisi (come pacificamente pure si ammette) e, per l’appunto, l’assunzione delle iniziative di soluzione della crisi in tale contesto “para-concorsuale”, anche ove esse consistano nella decisione di cedere a terzi l’intero compendio aziendale nel corso o ad esito del procedimento di composizione. E ciò anche in considerazione del fatto che, come già anticipato, una tale decisione, ove incontri l’autorizzazione giudiziale, pare essere null’altro che una soluzione della crisi assunta in via “anticipata” rispetto a quella conseguente all’avvio di una procedura concorsuale[66].

Una tale conclusione, ove accolta, avrebbe conseguenze non trascurabili per la gestione della crisi degli intermediari finanziari, escludendo in radice ogni possibile interferenza dei soci dell’intermediario nelle decisioni riguardanti la gestione della crisi in qualsivoglia fase essa sia rilevata e, dunque, anche nel caso in cui l’ente sia sottoposto ad una qualche misura di “prevenzione” disposta dell’autorità amministrativa di vigilanza.

Ammettere, infatti, che tanto la decisione di ricorrere alla composizione negoziata, quanto quella di cedere l’azienda nel contesto di tale procedura sono sottratte ad ogni interferenza dei soci consente di concludere che, in ognuno dei numerosi casi nei quali la gestione dell’impresa è coattivamente sottratta agli amministratori degli intermediari finanziari per essere affidata a “sostituti” o “commissari” nominati dall’autorità amministrativa di vigilanza[67], è a questi ultimi che occorre riconoscere il potere di decidere autonomamente (con la preventiva autorizzazione dell’ente di vigilanza) tanto l’accesso ad una procedura di composizione della crisi, quanto, se del caso, la cessione dell’azienda a terzi (con o senza l’autorizzazione giudiziale) senza alcuna necessità di dover passare per le “forche caudine” di un’autorizzazione assembleare che, ove mancasse, imporrebbe di “rinviare” la cessione ad un momento successivo alla formale apertura di una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Il che, invero, appare considerazione di non poco conto nella valutazione della complessiva utilità dell’istituto nel contesto della disciplina degli intermediari finanziari.

 

7. Una (breve) considerazione conclusiva di carattere generale.

La tendenza legislativa italiana ad ampliare (forse anche a) dismisura il novero degli strumenti di regolazione della crisi dell’impresa rappresenta un dato di fatto tanto indiscutibile, quanto non facilmente giustificabile.

Mentre la legge fallimentare del 1942 si limitava a prevedere quale unica soluzione alternativa al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa il ricorso al concordato preventivo (e, per di più, nella sola conformazione c.d. “liquidatoria”)[68], le varie riforme succedutesi senza soluzione di continuità a partire dal 2007 hanno progressivamente concesso all’imprenditore intenzionato ad evitare la liquidazione concorsuale della sua impresa una gamma sempre più vasta di strumenti alternativi.

L’effettiva utilità di ciascuna “variante” è, tuttavia, ancora tutta da dimostrare[69], finendo per dipendere dal combinato effetto di non poche variabili (invero, a volte, neppure dal chiarissimo fondamento[70]), tra le quali non mancano né gli stessi presupposti per l’accesso a ciascuna di esse[71], né la possibilità di consentire o meno la cessione del compendio aziendale in deroga alle regole ordinarie dell’art. 2560 c.c. che, come detto, è deroga prevista “a macchia di leopardo”[72].

Prudenza suggerisce, dunque, di affidare al naturale trascorrere del tempo o, meglio, all’incessante selezione (“naturale”) svolta quotidianamente dagli operatori economici il difficile compito di svelare le effettive differenze e le conseguenti diverse potenzialità applicative dei numerosi istituti presenti nella vigente disciplina del diritto della crisi.

Qualche eccezione, tuttavia, non manca. Ed è il caso, prima di tutto, della composizione negoziata della crisi che, per quanto si è visto, sembra istituto destinato ad un successo applicativo maggiore rispetto a quello (forse non eccelso) sin qui registrato[73], specialmente, se si condivide quanto si è osservato, nel settore dell’intermediazione finanziaria.

 

(*) Il saggio è destinato agli Studi in onore del prof. Vittorio Santoro.

[1] Sulla cui ampia portata v., per tutti, S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, 2021, 11, per il quale al complesso sistema normativo dettato dal TUB e dal TUF «va aggiunto (…) il profilo rappresentato dalla possibile applicazione anche agli intermediari finanziari – bancari e non bancari – di alcune disposizioni dei “diritto comune concorsuale”, di cui non consti la incompatibilità con le corrispondenti disposizioni di “diritto speciale bancario”, o di cui non sia espressamente vietata l’applicazione».

[2] Specialmente dopo l’omologazione degli accordi di ristrutturazione del “Gruppo Delta” da parte di Trib. Bologna, 17 novembre 2011, in Fall., 2012, 594, con commento adesivo di S. Bonfatti, Pluralità di parti ed oggetto dell’accertamento del Tribunale nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall. (e nel concordato preventivo), e di una SGR nell’interesse di un fondo in propria gestione da parte di Trib. Milano, 3 dicembre 2015, in Fall., 2016, 958, con nota di E. Grigò, Accordi di ristrutturazione dei debiti e fondi comuni di investimento: una possibile “diversa” lettura?, in Fall., 2016, 959. Più di recente, v. Trib. Torino, 22 aprile 2020, inedito, che ha omologato (invero senza specifica motivazione sul punto) l’accordo ad efficacia estesa di cui all’art. 182-septies l. fall. stipulato da un confidi con circa quaranta banche creditrici (titolari di oltre il 75% dell’indebitamento totale); caso al quale si riferisce anche G. Aloia, Applicazione degli strumenti di composizione della crisi e prevenzione alle banche e agli intermediari finanziari, in Aa.Vv., Composizione negoziata della crisi e concordato preventivo. Esperienze a confronto, a cura di N. Rocco di Torrepadula, Milano, 2024, 35, unitamente alla più recente omologazione (parimenti inedita) dell’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCI concluso da Credimi S.p.a. con i propri creditori per la cessione a Banca Cf+ S.p.a. del proprio compendio aziendale (sotto il costante monitoraggio dell’Autorità di vigilanza).

[3] Identico problema si pone, infatti, anche per i piani attestati di risanamento su cui, per tutti, v. S. Bonfatti, La natura giuridica dei “Piani Attestati di Risanamento” e degli “Accordi di Ristrutturazione”, in ilcaso.it, 31 gennaio 2018.

[4] Che, d’altronde, non è forse neppure una vera e propria procedura, ma più semplicemente un “procedimento” o, come (laicamente) precisato dalla relazione accompagnatoria del d.l. n. 118/2021, un non meglio identificato “percorso”.

[5] Sulle ragioni ispiratrici del nuovo istituto v., per tutti, I. Pagni - M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in www.dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021. Sull’arretramento delle interferenze giudiziali nel nuovo procedimento, v. invece, A. Jorio, Composizione negoziata e pubblico ministero, ivi, 2 dicembre 2021.

[6] Come rilevato anche da G. D’Attore, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 5 novembre 2021, p. 1, secondo cui la norma dell’art. 10, comma 1, d.l. 24 agosto 2011, n. 118 è «disposizione di sicuro rilievo pratico e di ancora più rilevante impatto sistematico, che innova in modo significativo molti dei principi consolidati del nostro ordinamento».

[7] Ma, ovviamente, non soltanto. Merita menzione, infatti, di certo anche l’inedito obbligo prescritto a carico dei creditori finanziari di partecipare in buona fede alle trattative con atteggiamento attivo ed informato e di motivare specificamente ogni proprio dissenso rispetto alle proposte del debitore che, all’evidenza, amplia significativamente le possibilità di trovare soluzioni che superino le ragioni dei dissensi e che, dunque, conducano al buon esito delle trattative. In argomento v., per tutti, V. Santoro, Le banche e gli altri intermediari nel procedimento di composizione negoziata della crisi d’impresa, in Banche Europa e sviluppo economico, a cura di A Brozzetti, 2023, p.107 ss. e, in giurisprudenza, Trib. Napoli Nord, 4 giugno 2024, in ilcaso.it, secondo cui, stante l’assenza di una specifica sanzione», non resta che concludere che «l’unico rimedio alla assoluta inerzia dei creditori sia costituito dalla proroga delle misure protettive, come misura di persuasione indiretta alla partecipazione alle trattative».

[8] Sull’art. 2560 c.c. e sulla copiosa giurisprudenza stratificatasi sul punto, v., ex multis, cfr. G.E. Colombo, Il trasferimento dell’azienda e il passaggio di crediti e debiti, Padova, 1972; Id., L’azienda, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale di diritto pubblico dell’economia, III, Padova, 1979, 10 ss.; F. Ferrara jr., La teoria giuridica dell’azienda, Milano, 1982; M.S. Spolidoro, Conferimento di ramo d’azienda (considerazioni su fattispecie e disciplina applicabile), in Giur. comm., 1992, I, 694; U. Minneci, Trasferimento di azienda e regime dei debiti, Torino 2007, 71 ss.; F. Martorano, L’azienda, in Trattato di diritto commerciale, diretto a R. Costi e fondato da V. Buonocore, Torino, 2010, 213 ss.; G.U. Tedeschi, L’azienda, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 16, IV, Torino, 2012, 112 ss.; G. Racugno, Debiti e scritture contabili nel trasferimento d’azienda, in Giur. comm., 2013, II, 1006; F. Fimmanò-A. Picchione, Sub Art. 2560 c.c., in D. Santosuosso (a cura di), Delle società - Dell’azienda - Della concorrenza, in E. Gabrielli (a cura di), Commentario del codice civile, Torino 2014, 891.

[9] A decorrere dal 29 giugno 2024, il nuovo testo dell’art. 14, comma 5-bis, d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 dispone che la speciale responsabilità solidale del cessionario (salva la preventiva escussione del cedente ed entro il limite del valore dell’azienda ceduta) prevista dal comma 1 dell’art. 14 non trova applicazione, salvo il caso di frode, alle cessioni effettuate «nell’ambito della composizione negoziata della crisi o di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza giudiziale di cui al Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14» (peraltro anche nel caso di cessione «effettuata nei confronti di terzi da una società controllata, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, dall'impresa o dalla società che ha fatto ricorso oppure è assoggettata a uno dei suddetti istituti, a condizione che: a) la cessione sia autorizzata dall’autorità giudiziaria ovvero sia prevista in un piano omologato dalla medesima autorità; b) sia funzionale al risanamento dell'impresa o del soggetto controllante la società cedente o al soddisfacimento dei creditori di tali soggetti»). Sull’ultima novità v. l’ampia ricostruzione di G. Andreani, A. Tubelli, Cessione d’azienda e responsabilità per i debiti tributari dell’impresa in crisi, in Il fisco, 2024, n, 29, 2743. Sulla disciplina previgente, più in generale, cfr., per tutti, G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, in Riv. dir. trib., 2009, 181.

[10] Tanto che nell’esperienza concreta delle crisi d’impresa è prassi comune (ed anche frequente) la formulazione di proposte (anche irrevocabili) di acquisto dell’azienda sottoposte alla condizione sospensiva dell’omologazione di un concordato preventivo (in c.d. “continuità indiretta”) o del previo accesso ad altra procedura concorsuale che garantisca all’acquirente il medesimo esonero dalla responsabilità per i debiti del cedente.

[11] Oltre che di un concordato semplificato ex art. 25-sexies CCI e di un concordato minore ex art. 74 CCI.

[12] Secondo il nuovo testo dell’art. 64-bis, comma 9-bis, CCI (aggiunto dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136), la deroga all’art. 2560 c.c. trova applicazione anche alle cessioni effettuate nell’ambito dei piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione, nel caso in cui l’imprenditore chieda, anche prima dell’omologazione, l’autorizzazione al tribunale e questo verifichi che il trasferimento rispetti il principio di competitività nella selezione dell’acquirente e sia funzionale alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, fermo restando l’art. 2112 c.c. a tutela dei lavoratori.

[13] Quando (e se) verrà data attuazione all’art. 9, comma 1, n. 3), della legge 9 agosto 2023, n. 111 che, in materia di delega alla riforma del sistema fiscale, richiede espressamente al Governo di «estendere a tutti gli istituti disciplinati dal codice della crisi e dell’insolvenza (..) l’esclusione dalle responsabilità previste [dalla normativa fiscale e] (…) dall’art. 2560 del Codice civile».

[14] Gli effetti della cessione “concorsuale” e della cessione “in deroga” non sono del tutto identici: mentre nel primo caso, la cessione esclude ogni responsabilità del cessionario per i debiti del cedente ed è “purgativa” delle formalità anteriori sui beni che costituiscono il compendio aziendale, nel secondo l’autorizzazione del giudice prevista dall’art. 22 CCI esonera l’acquirente della responsabilità per i debiti diversi da quelli verso i dipendenti senza, tuttavia, cancellare i diritti di prelazione e le trascrizioni pregiudizievoli esistenti sui beni aziendali (con la conseguenza che l’acquirente si può comunque trovare a dover subire il rischio di escussione dei beni acquistati su cui insiste una garanzia a favore di un creditore del cedente): sul tema, per tutti, G. D’Attorre, La concorsualità ‘liquida’ nella composizione negoziata, in Fall., 2022, 309 ss.

[15] E puntualmente resi noti dalle relazioni semestrali dell’Osservatorio sulla composizione negoziata della crisi d’impresa istituito da Unioncamere (pubblicate su uniocamere.gov.it).

[16]Anche considerando che (come già detto supra), allo stato, neppure l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti consente all’acquirente dell’azienda di beneficiare della deroga all’art. 2560, comma 2, c.c.

[17] Sulla disposizione speciale v., per tutti, R. Cercone, Cessione di rapporti giuridici a banche, in La nuova legge bancaria, a cura di P. Ferro Luzzi e G. Castaldi, II, Milano, 1996, 985; D. La Licata, La cessione di rapporti giuridici individuabili in blocco nell'art. 58 T.U. bancario, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d'Italia, n. 45, 1997, 11; C.L. Appio - L. Anselmi, Commento all’art. 58 t.u.b., in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli - G. Contento - A. Patroni Griffi - M. Porzio - V. Santoro, Bologna, 2003, 890 ss.; D. Vattermoli, Commento all’art. 58 t.u.b., in Commentario al t.u.b., a cura di M. Porzio, Milano, 2010, 524; R. Costi, L’ordinamento bancario, Milano, 2012, 725; M. Perrino, Commento all’art. 58 t.u.b., in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di C. Costa, I, Torino, 2013, 680; P. Masi, Commento all’art. 58 t.u.b., in Commentario t.u.b., a cura di F. Capriglione, Padova, 2018, 707; C. Presciani, Cessione di azienda in bonis e responsabilità solidale del cessionario per i debiti “fisiologici” e “patologici”: disciplina codicistica e normative speciali, in Riv. dir. banc., 2020, 675 ss.

[18] R. Costi, op. cit., 726.

[19] Il che, peraltro, ben spiega perché la regola trova applicazione per i debiti del cedente «oggetto di cessione» (e non per tutti) anche nell’ipotesi in cui (per avventura) non risultino dalle scritture contabili del cedente. Sul punto, efficacemente, v. M. Perrino, op. cit., 680, per il quale la disciplina speciale trova ragione proprio nelle peculiarità delle “passività specificamente bancarie” che, tipicamente, sono “trasferite” all’acquirente e che si risolvono in «passività per lo più costituite non già da meri debiti – per così dire – “comuni”, rispetto ai quali, cioè, l’interesse dei creditori sia quello all’adempimento nel senso ordinario di soddisfacimento, in chiave allora di estinzione; bensì dal saldo, attivo per il cliente, di rapporti di conto corrente bancario, e perciò dell’obbligazione della banca relativa al mantenimento di una disponibilità finanziaria, disponibilità rispetto alla quale l’interesse del cliente, e lo stesso accento legislativo della disciplina dei rapporti in questione, ricade sulla conservazione, per lo più a tempo indeterminato, di un potere di disposizione, piuttosto che sulla consumazione di un diritto ad esigere, estinguendo l’obbligazione».

[20] Peraltro numerose e non di poco conto, andando dal dubbio circa la disciplina applicabile ai debiti «non oggetto di cessione» (su cui v. infra nel testo), al diritto dei creditori ceduti di chiedere l’adempimento anticipato delle obbligazioni non ancora scadute entro i tre mesi dalla notizia della cessione (su cui, per tutti, v. D. Vattermoli, op. cit., 518, M. Perrino, op. cit., 80; R. Cercone , op. cit., 985, C. Presciani, op. cit., 791), alla responsabilità del cessionario per i debiti sorti successivamente alla cessione in relazione a fatti ad essa anteriori (su cui, per tutti, v. G.B. Portale, Sostituzione di un’azienda di credito ad un’altra nell’esercizio di una sede o filiale e responsabilità per debiti da revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, in Banca borsa tit. cred., 1989, I, 3, A. Jorio – S. Ambrosini, Cessione di azienda bancaria e responsabilità per debiti derivanti da azioni revocatorie di rimesse in conto corrente, in Giur. it., 2022, 1536 e C. Presciani, op. cit., 808 ss.).

[21] Come affermato da D. Vattermoli, op. cit., 529, in sostanza, per le passività “trasferite” all’acquirente (in quanto «oggetto della cessione») la responsabilità del cessionario è “senza limiti” (e vale anche per i debiti non iscritti nelle scritture contabili), mentre quella del cedente ha un termine di decadenza di tre mesi dal trasferimento. Per le passività “non trasferite” all’acquirente, l’alienante risponde sempre senza limiti o eccezioni, mentre l’acquirente è tenuto a rispondere verso i terzi a norma dell’art. 2560 c.c. dei soli debiti iscritti nelle scritture contabili (fermo il proprio diritto di regresso verso l’alienante). Nello stesso senso v. anche R. Cercone, op. cit., 986 e, da ultimo, da C. Presciani, op. cit., 794, ove i necessari ulteriori riferimenti. Coì anche App. Venezia, 11 agosto 2006, in www.ilcaso.it, secondo cui qualora «si ritenesse che il cessionario risponde solo dei debiti risultanti dai libri obbligatori si finirebbe per escludere, trascorsi tre mesi dalla cessione e atteso il disposto della prima parte del comma quinto […] qualsiasi responsabile, premiando il banchiere inadempiente all’obbligo di regolare tenuta dei libri e pregiudicando senza alcuna plausibile ragione il creditore». Per una diversa conclusione v,. tuttavia, C.L. Appio - L. Anselmi, op. cit., 902, secondo le quali l’art. 2560 c.c. troverebbe applicazione integrativa nel caso di cessione d’azienda (con conseguente estensione della responsabilità del cessionario ai soli crediti iscritti nelle scritture contabili), mentre il regime particolare dell’art. 58 TUB si applicherebbe integralmente alla sola ipotesi di cessione di rapporti in blocco.

[22] E per autorevole opinione, in teoria, anche dalle stesse banche: G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in dirittodellacrisi.it, 9 febbraio 2023, 3.

[23] Osserva efficacemente F. Lamanna, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi d’impresa, Milano, 2021, 23 ss. che la composizione negoziata è «uno strumento procedimentale di natura complessa e mista, in parte privatistico-negoziale, in parte amministrativa» che non può rientrare nella nozione di procedura concorsuale: «se qualche dubbio può residuare (…) su ciò che la composizione negoziata è, nessun dubbio può invece seriamente nutrirsi su ciò che essa non è».

[24] Per espressa precisazione dell’art. 2, comma 1, lett. m bis), CCI, escluso anche dal novero degli «strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza».

[25] Il tema è stato sollevato (e sin da subito anche risolto negativamente) inizialmente da S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni aziendali, 23 agosto 2021, 11, secondo il quale se deve certamente escludersi che si tratti di una procedura concorsuale ove si segua «l’approccio tradizionale» (per l’assenza «di un provvedimento giudiziale di ammissione (o comunque di omologazione)», occorre giungere ad una risposta «probabilmente negativa anche se si opta per una nozione “minimalista” di procedura concorsuale quale adottata negli ultimi tempi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di accordi di ristrutturazione (sulla scia della Direttiva UE), giacché nella specie non sembra potersi riscontrare la compresenza di quegli elementi, ritenuti indispensabili, costituiti da: (i) una qualsiasi forma di interlocuzione con l’autorità pubblica, con finalità protettive nella fase iniziale e di controllo in quella finale; (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori; (iii) una qualche forma di pubblicità della procedura». Lo spunto è stato poi sviluppato da I. Pagni - M. Fabiani, Introduzione alla composizione negoziata, in Fall., 2021, 1480, per i quali «Non si è dinanzi ad una procedura concorsuale “vicaria”, nonostante la previsione di una protezione del patrimonio, perché non vi è: (i) alcuna apertura di un procedimento di regolazione della crisi; (ii) alcun organo della procedura; (iii) alcun blocco di crediti e debiti; (iv) alcuna previsione di un ordine di distribuzione; (v) alcun, neppur minimo, spossessamento (vi); alcuna necessità di coinvolgimento di tutti i creditori (vii) alcuna formazione di una “massa” segregata a favore di taluni creditori». Nello stesso senso, v., tra i molti: R. Brogi, Le autorizzazioni e la rideterminazione delle condizioni contrattuali, in Fall., 2021, 1556; M. Ferro, La composizione negoziata e il riposizionamento delle istituzioni della concorsualità giudiziale dopo il D.L. n. 118/2021, in Fall., 2021, 1577; L. De Simone, Le autorizzazioni giudiziali, in dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2021, 2; L. Panzani, La composizione negoziata della crisi: il ruolo del giudice, in dirittodellacrisi.it, 4 febbraio 2022, 1, secondo cui la composizione negoziata «Può probabilmente essere considerata una “misura”, e quindi un segmento di un quadro di ristrutturazione nel senso indicato dagli artt. 2, par. 1, n. 1 e 4, comma 5, della Direttiva 1023/2019, ma non una procedura concorsuale»; A Nastri, Le autorizzazioni del Tribunale nella composizione negoziata della crisi, in dirittodellacrisi.it, 23 marzo 2022, 2; G. D’Attorre, La concorsualità ‘liquida’ nella composizione negoziata, cit., 302; F. Marelli, L’intervento giudiziale nella composizione negoziata della crisi, in La composizione negoziata quale soluzione alla crisi d’impresa, a cura di G. Rocca, 2022, 24-25; G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., 2; S. Rossetti, Presupposti e condizioni per l’accesso alla composizione negoziata. Il valore perseguibile: il risanamento dell’impresa, in dirittodellacrisi.it, 3 aprile 2023, 1; S. Bonfatti, La procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa: funzione, natura, presupposti ed incentivi, in dirittodellacrisi.it, 20 settembre 2023, 5; M. Arato, La cessione d’azienda nella composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 15 aprile 2024, 4.

[26] Per Cass. 12 aprile 2018 n. 9087 (in Fall., 2018, 984 ss., con nota di C. Trentini, Gli accordi di ristrutturazione sono una procedura concorsuale; la Cassazione completa il percorso e in Dir. fall., 2019, II, 444 ss. con nota di M. Del Linza, La Cassazione fissa un punto fermo sulla vexata quaestio della natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti) il “grado” di concorsualità di ciascun istituto è in rapporto di proporzione inversa rispetto all’ampiezza dell’autonomia privata lasciata al debitore, in una sorta di concorsualità decrescente a partire dal nucleo della liquidazione giudiziale per arrivare al limite esterno degli accordi di ristrutturazione dei debiti, passando per i diversi livelli intermedi rappresentati dai singoli istituti diversi del concordato preventivo e fallimentare, della liquidazione coatta amministrativa, dell’amministrazione straordinaria, degli accordi del sovraindebitato con gli istituti finanziari ed anche della convenzione di moratoria. Secondo l’arresto della Suprema Corte la «cifra della moderna concorsualità» va individuata nella necessaria compresenza dei seguenti «profili minimali»: i) una qualsivoglia forma d’interlocuzione con l’autorità pubblica con finalità protettive (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori quanto meno a livello informativo (e per attribuire ai c.d. estranei certe conseguenze giuridicamente predeterminate); iii) una qualche forma di pubblicità̀ della procedura. Nello stesso senso, v. già Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass., 25 gennaio 2018, n. 1896 e, poco dopo, Cass., 24 maggio 2018, n. 12965, tutte reperibili su ilcaso.it, in tema di applicazione della disciplina sulla prededuzione e sulla concessione di un termine per apportare integrazioni al piano o produrre nuovi documenti.

[27] Così condannando (forse anche involontariamente) gli intermediari finanziari a non potervi fare ricorso (in considerazione del ricordato divieto di accesso a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta amministrativa).

[28] Trattandosi, come evidenziato da M. Spiotta, op.cit., 2-3 di «un quadro di ristrutturazione che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali, ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto».

[29] E’ il caso delle nota decisione di Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021, n. 42093 (in Fall., 2022, 356, con nota di G.B. Nardecchia e in ilcaso.it, con nota di F. Casa) secondo cui «fuori dallo stretto campo delle tradizionali procedure (…), egualmente la concorsualità ha investito nuovi istituti, come la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (…) che pacificamente non integra una procedura concorsuale».

[30] Sul tema della natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, v., tra i molti, P. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 178 ss.; S. Bonfatti, Accordo di ristrutturazione” ex art. 182 – bis l. fall. e fondi comuni di investimento immobiliari, in Dial. dir. ec., 2015, p. 8; E. Grigò, Accordi di ristrutturazione dei debiti e fondi comuni di investimento: una possibile “diversa” lettura?, in Fall., 2016, 959 ss. ove un’ampia ricostruzione delle complesse questioni che riguardano la natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. e la loro utilizzabilità da parte degli intermediari finanziari; M. Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il codice della crisi e dell’insolvenza, in ilcaso.it, 9 ottobre 2018; S. Bonfatti, I “cerchi concentrici” della concorsualità̀ e la prededuzione dei crediti (“dentro o fuori”?), in ilcaso.it, 25 giugno 2018; M. Fabiani, Dal codice della crisi d’impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in ilcaso.it, 14 ottobre 2018; C. Trentini, “Saturno contro”: sugli accordi di ristrutturazione dei debiti si rinfocola il contrasto tra legittimità̀ e merito (e non solo), in Fall., 2019, 1335, ove i necessari ulteriori riferimenti all’importante e risalente dibattito. Per una serrata critica v., da ultimo, S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, 2021, 15 ss.

[31] Da R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 8 settembre 2021, 14, il quale, per l’appunto, si chiede se «non si potrebbe ipotizzare una “doppia personalità” della composizione negoziata», nel senso di non considerarla una procedura concorsuale «ove nella fattispecie concreta non venga coinvolta l’autorità giudiziaria» e di ritenere «che invece essa acquisti detta natura ove vengano chieste misure protettive e / o cautelari (ex artt. 6 e 7) o si chiedano autorizzazioni al tribunale o il suo intervento per la rinegoziazione dei contratti (artt. 10)». L’Autore, tuttavia, si premura di precisare la propria «consapevolezza che siano molti di più gli argomenti, anche nel caso di intervento dell’autorità giudiziaria, che fanno pensare che non sia corretto sussumere il nuovo istituto nella categoria delle procedure concorsuali». Lo spunto è poi ripreso da M. Spiotta, É necessaria o inutile una definizione di procedura concorsuale (o di procedura regolazione della crisi o di quadro di ristrutturazione)? Quando le categorie generali possono conservare funzionalità, in dirittodellacrisi.it, 22 aprile 2022, 10, che riporta il dubbio (ma non anche la conclusione negativa) dell’Autore e vi aggiunge, per vero in modo equivoco, il riferimento alla «natura ibrida» dell’istituto evidenziata da F. Lamanna, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi d’impresa, cit., 23 ss., senza precisare che il dubbio, tuttavia, riguarda (come già ricordato supra) il fatto che l’istituto possa essere considerato «uno strumento procedimentale di natura complessa e mista, in parte privatistico-negoziale, in parte amministrativa» e non anche la sua riconducibilità alla fattispecie delle procedure concorsuali (che è conclusione espressamente esclusa).

[32] Sull’ampio tema della nozione di procedura concorsuale, v., tra i moltissimi, S. Fortunato, Procedure concorsuali tra unitarietà̀ e frammentarietà̀, in Giur. comm., 2000, I, 16 ss.; G. Terranova, Le procedure concorsuali, Torino, 2019, 552, ove l’acuta osservazione secondo cui «si va scoprendo […] che la concorsualità non ha nulla a che vedere con la divisione della torta […] e con il rispetto della par condicio, ma si realizza attraverso il riconoscimento d’una prevalenza dell’interesse della massa sull’interesse dei singoli creditori»; M. Fabiani, Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza tra definizioni, principi generali e qualche omissione, in Foro it., 2019, I, 164 ss.; S. Ambrosini, Procedure concorsuali: tipologie, caratteri e presupposti, in S. Pacchi e S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020, 47 ss.

[33] Il problema, vista l’indiscussa rilevanza della qualificazione di un certo istituto come “procedura concorsuale” in punto di applicazione di numerosi segmenti della disciplina “concorsuale” (con riguardo agli effetti della consecuzione tra procedure, alla prededucibilità degli oneri sostenuti, ecc.), è tutt’altro che meramente dogmatico e, dunque, impone certamente una soluzione interpretativa: come correttamente sottolineato da M. Fabiani, La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Fall., 2018, 293, «Con le categorie giuridiche non si può “scherzare”: sono una cosa seria sulla quale si deve svolgere, sempre, una riflessione profonda». Sul tema generale v. anche P. Vella, Postergazione e finanziamenti societari nella crisi di impresa, Milano, 2012, 121 ss.

[34] Seguono l’impostazione di Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2021, n. 42093, cit., tra gli altri, G. D’Attorre, La concorsualità ‘liquida’ nella composizione negoziata, cit., 302; G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in dirittodellacrisi.it, 9 febbraio 2023, 2, per il quale «nelle trattative possono inserirsi frammenti di disciplina propri delle procedure concorsuali benché la composizione negoziata pacificamente non lo sia» e S. Bonfatti, La procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa: funzione, natura, presupposti ed incentivi, in dirittodellacrisi.it, 20 settembre 2023, 5, in considerazione della «insufficiente attitudine dei segnalati “effetti speciali” – esenzione da revocatoria; prededucibilità – ad attribuire all’istituto de quo natura di “procedura concorsuale”».

[35] Nessuna disposizione speciale, infatti, pare essere di ostacolo a che un intermediario finanziario chieda la nomina di un esperto «riservato, imparziale e indipendente» (arg. art. 16, comma 2, CCI) affinché questi agevoli le trattative da svolgere con i creditori «ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa» (art. 12, comma 2) o anche l’autorizzazione giudiziaria all’acquisizione di finanziamenti prededucibili. Per la compatibilità dell’autorizzazione alla cessione d’azienda in deroga all’art. 2560 c.c. (art. 22 CCI) v. infra nel testo.

[36] O meglio, «Dal giorno della pubblicazione dell'istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, (…) salvo che il tribunale disponga la revoca delle misure protettive».

[37] E che, a differenza di quanto previsto dall’art. 18, comma 1, CCI, non consente in nessun caso ai creditori di acquisire diritti di prelazione.

[38] Considerato che l’applicazione della regola prevista dall’art. 18, comma 4, CCI agli intermediari finanziari finisce unicamente per rinviare l’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza ad un momento successivo o alla cessazione delle misure protettive o all’avvio della liquidazione coatta amministrativa, senza conseguenze di particolare rilevanza.

[39] Come ben evidenziato da G. Aloia, Applicazione degli strumenti di composizione della crisi e prevenzione alle banche e agli intermediari finanziari, cit., 36, ove la corretta osservazione secondo cui in tal modo si preserva «la possibilità per la Banca d’Italia di adottare in ogni momento il provvedimento di revoca o di richiedere l’avvio della liquidazione coatta amministrativa in caso di esisti non soddisfacenti delle interlocuzioni in corso».

[40] Nessuna rilevanza può essere, infatti, attribuita alla circostanza che il più volte ricordato divieto di accesso a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta amministrativa non consente agli intermediari finanziari di accedere, in caso di esito negativo delle trattative, al concordato semplificato di cui all’art. 25-sexies CCI [art. 23, comma 2, lett. c), CCI] e, in caso di esito positivo delle stesse, ad alcuni degli strumenti previsti dall’art. 23 CCI. Si tratta, infatti, di istituti diversi e distinti dal procedimento di composizione negoziata la cui compatibilità con la disciplina speciale va valutata in via del tutto autonoma.

[41] Come espressamente previsto, ad esempio, dall’6, comma 1, n. 5, TUF

[42] Tra i quali v’è anche il potere di «ordinare la convocazione degli organi sociali, fissandone l’ordine del giorno» e di procedervi direttamente in caso di inadempimento degli organi competenti: art. 7, comma 1, TUF.

[43] Poiché la composizione negoziata non comporta alcuna limitazione alla libertà negoziale del debitore, nulla vieta che il trasferimento dell’azienda (o di suoi rami) avvenga anche senza la richiesta dell’intervento giudiziale o anche a seguito dell’espresso diniego dell’autorizzazione richiesta. Considerata, tuttavia, l’oggettiva assenza per l’acquirente di plausibili ragioni di convenienza a procedere senza le tutele e le deroghe garantite dal previo ottenimento dell’autorizzazione del tribunale, non c’è dubbio che la vendita senza autorizzazione finisca per essere poco più di un’ipotesi di scuola. In tal caso, infatti, le parti porranno in essere un trasferimento comportante l’ordinaria responsabilità dell’acquirente per i debiti pregressi di cui all’art. 2560 c.c. (o, peggio, dall’art. 58 TUB) e l’applicazione della particolare disciplina dell’art. 21 CCI in materia di (informazione preventiva dell’esperto degli) atti di straordinaria amministrazione, con il conseguente speciale regime di successiva revocabilità dell’atto (tanto nel corso di una successiva procedura concorsuale quanto al di fuori di essa, ad opera dei singoli creditori insoddisfatti) ex dall’art. 24, comma 3, CCI in caso di iscrizione nel registro delle imprese del dissenso dell’esperto (o di diniego della richiesta autorizzazione giudiziale).

[44] La complessa materia è regolata dall’art. 58 TUB, che demanda alla Banca d’Italia il compito di dettare le «istruzioni per la cessione a banche di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco» con espressa facoltà di «prevedere che le operazioni di maggiore rilevanza siano sottoposte ad autorizzazione della Banca d'Italia» e dalla disciplina della Sezione II, Capitolo 3, Titolo V, paragrafo 2.3, della Circolare n. 288 del 3 aprile 2015 ove si dispone che « Sono soggette ad autorizzazione della Banca d’Italia le operazioni di cessione di aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco realizzate tra soggetti che – anche in esito alla cessione stessa – non appartengono al medesimo gruppo finanziario e il prezzo stabilito per la cessione superi il 10% dei fondi propri dell’intermediario finanziario o del gruppo cessionari».

[45] Così espressamente Trib. Piacenza, 1° giugno 2023, cit., secondo cui la «funzione “anticipatoria” del trasferimento d’azienda autorizzato ex art. 22 CCII» discende dalla finalità stessa dell’istituto «di incentivare all’immediato acquisto dell’azienda i potenziali interessati» ed «è anche ulteriormente confermata dalla previsione che il Tribunale, oltre a dover vagliare la funzionalità dell’atto rispetto alla continuità ed al miglior soddisfacimento dei creditori, deve altresì verificare “il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente”, elemento che rafforza la similitudine tra il trasferimento in sede di composizione negoziata e la cessione competitiva endoconcorsuale».

[46] Come ben evidenziato anche da M. Perrino, op. cit., 675, al quale si rinvia anche per i necessari approfondimenti con riguardo alla natura degli interessi tutelati dal prescritto controllo preventivo dell’autorità di vigilanza ed alla conseguente sanzione della nullità degli atti compiuti in difetto di autorizzazione. Sul tema v. la Circolare n. 288 del 3 aprile 2015, Sezione II, Capitolo 5, Titolo III, par. 1, nella parte ove precisa che la finalità del controllo preventivo dell’Autorità di Vigilanza è quella di verificare gli «effetti rilevanti sulla stabilità della banca cessionaria, dovuti ad esempio a crescite operative o a ristrutturazioni organizzative».

[47] Cfr. art. 90, comma, 2, TUB secondo cui «I commissari, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d'Italia, possono cedere attività e passività, l'azienda, rami d'azienda nonché beni e rapporti giuridici individuabili in blocco».

[48] E’ vero, infatti, che il riferimento potrebbe anche essere inteso come limitato alle sole procedure di liquidazione coatta (delle società cooperative) che possono aprirsi “in alternativa” alla liquidazione giudiziale secondo il noto principio della prevenzione e non anche alle procedure amministrative “esclusive” (degli intermediari finanziari), in considerazione del fatto che le prime, a differenza delle seconde, sono poste a tutela di interessi diffusi di non così pregnante rilevanza da escludere in ogni caso la liquidazione giudiziale. Ma è anche vero che l’assenza di ogni specificazione al riguardo è elemento testuale di non poco conto per l’opposta conclusione.

[49] Individuate, come già ricordato, dalla Circolare n. 288 del 3 aprile 2015 nelle sole cessioni in cui il prezzo sia superiore al decimo dei fondi propri del cessionario: sul punto, per tutti, M. Perrino, op. cit., 673 ss. (anche se con riferimento alla previgente formulazione delle istruzioni che disponevano la necessità di autorizzazione per le operazioni di cessione in cui «la somma delle attività e passività oggetto della cessione supera il 10% del patrimonio di vigilanza della banca cessionaria» e in quelle poste in essere, in qualità di cessionaria, da banche o gruppi bancari il cui «margine patrimoniale (…) sia nullo o negativo»).

[50] Come previsto anche dal paragrafo 12 del DM 21 marzo 2023 del Ministero della Giustizia.

[51] Essendo, sul punto, irrilevante se la richiesta di deroga all’art. 2560 c.c. riguardi tutti o soltanto alcuni dei creditori, stante l’effetto di stabilità dell’atto conseguente al rilascio del placet che impatta su tutti i creditori.

[52] Come sembra, del resto, confermato dalla precisazione aggiunta ad opera del terzo decreto correttivo (di cui al d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136) all’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 22 secondo cui «Il tribunale può assumere informazioni e acquisire nuovi documenti».

[53] Come suggerito da L. De Simone, Le autorizzazioni giudiziali, in dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2021, 10.

[54] Come potrebbe accadere, ad esempio, in caso di espresso rifiuto di un fornitore strategico a garantire l’operatività a favore del cessionario in assenza della sua responsabilità solidale per i debiti pregressi.

[55] Da G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata, cit., 5 ss., il quale, correttamente, ritiene che «Anche se di offerte concorrenti e di competitività non vi è traccia espressa nel dato normativo, (…) il tribunale, salvo casi eccezionali, debba comunque verificare l’esistenza di eventuali soluzioni migliori sul mercato, analogamente a quanto previsto nella liquidazione dei beni nel concordato semplificato ex art. 19 d.l. 118/2021». Per L. De Simone, Le autorizzazioni giudiziali, in dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2021, 10, non è necessario ricorrere ad «una competitività procedimentalizzata», potendo essere sufficiente «un’ostensione della trattativa nei confronti del mercato finalizzata a sondarne le eventuali, diverse reazioni e a far emergere interessi paralleli sulle potenzialità e sul valore del complesso produttivo in dismissione» o anche «un’indagine di mercato deformalizzata)», ferma restando, in ogni caso, la necessità che il tribunale sia «messo in grado di leggere l’effettività, sia del sondaggio del mercato, sia delle pari condizioni fra i potenziali acquirenti di provare a rilevare l’azienda».

[56] In tal senso cfr. Trib. Milano, 17 marzo 2024, in ilcaso.it; Trib. Milano, 12 agosto 2023, in dirittodellacrisi.it, ma soprattutto Trib. Piacenza, 1 giugno 2023, in ilcaso.it, secondo cui l’autorizzazione è da negarsi sia nel caso in cui il proponente si limiti a precisare che la selezione avverrà secondo una «non meglio precisata “procedura competitiva” da svolgersi in sede di composizione negoziata» non potendo, in tal caso, l’autorità giudiziaria «effettuare un benché minimo controllo sul rispetto dei criteri di trasparenza e pubblicità», sia nel caso in cui l’ipotizzata cessione faccia seguito ad un preliminare affitto dell’azienda in considerazione del fatto che «la stessa possibilità di una selezione competitiva del potenziale acquirente è in realtà già ex se pregiudicata dal fatto che le procedure competitive di una impresa gravata da un affitto sono, logicamente, meno penetranti sul mercato, sia per le asimmetrie tra i potenziali interessati, sia perché eventuali terzi interessati sconterebbero l’impossibilità di ottenere il pronto ed immediato trasferimento del bene per il quale si concorre». Sul punto v. anche Trib. Parma, 4 novembre 2022, in ilcaso.it, che, pur dando atto «delle iniziative autonomamente assunte dalla ricorrente», ha ritenuto di poter spingersi sino al putto di dettare espressamente uno specifico (ed invero dettagliatissimo) regolamento della procedura competitiva finalizzata alla vendita. Da ultimo, v. anche Trib. Brescia, 7 novembre 2024, in ilcaso.it, che ha negato l’autorizzazione alla cessione per la mancata prova dello svolgimento del procedimento competitivo nonostante il parere favorevole dell’esperto motivato dall’osservazione che, «all’esito verrebbero pagati al 100% tutti i creditori, prevedendo il piano solo delle dilazioni di pagamento dopo l’omologazione del proponendo accordo di ristrutturazione dei debiti». Ad avviso del giudicante, infatti, la «competitività nella scelta dell’acquirente (…) costituisce un requisito autonomamente richiesto dalla norma, ulteriore rispetto alla funzionalità e coerenza della cessione di azienda in rapporto al piano di risanamento».

[57] Come nel caso di Trib. Piacenza, 1 giugno 2023, cit., che ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata nel contesto di un piano di risanamento da realizzarsi con un futuro accordo di ristrutturazione del debito con transazione fiscale ex artt. 57 e 63 CCII sulla scorta della condivisibile osservazione che, in tal caso, «il trasferimento dell’azienda non avrebbe, in realtà, la funzione di agevolare il pronto acquisto della stessa e la continuità aziendale, bensì l’unico effetto di garantire all’affittuario/futuro cessionario l’effetto favorevole di deroga alla responsabilità solidale ex art. 2560, co 2, c.c., il tutto ben prima che la funzionalità della intera operazione rispetto al prioritario obbiettivo del risanamento dell’impresa venga sottoposta al vaglio giurisdizionale e dei creditori nella sede concorsuale prospettata come soluzione della crisi».

[58] Essendo, dunque, essenziale che il debitore abbia «delineato le concrete modalità operative del progetto di risanamento ed indicato lo stato di avanzamento delle trattative, le modalità della ristrutturazione dell’esposizione debitoria e il grado di consenso dei creditori»: Trib. Parma, 4 novembre 2022, in ilcaso.it, secondo cui «il giudice, al fine di decidere sulla richiesta di autorizzazione alla cessione dell’azienda ex art. 10 D.L. n. 118/2021, potrà entrare nel merito non solo della scelta gestoria dell’imprenditore ma anche nel progetto di risanamento in cui la richiesta di autorizzazione si colloca».

[59] In tal senso v. Trib. Milano, 12 agosto 2023, cit., e Trib. Parma, 30 luglio 2024, in ilcaso.it., che ha subordinato l’autorizzazione alla cessione in deroga alla condizione che il debitore raggiungesse «un accordo definitivo con i creditori sulla base delle soluzioni previste dall’art. 23, comma 1, CCII» entro il termine (apparentemente perentorio) fissato dal giudicante («il 10 ottobre 2024»).

[60] Come deciso da Trib. Parma, 30 luglio 2024, cit., che, nell’ambito della regolamentazione della procedura competitiva, ha disposto «che le somme comunque derivanti dalla cessione dell’azienda vengano depositate su di un conto corrente intestato alla ricorrente e vincolato all’autorizzazione dell’Esperto».

[61] Sul punto v. G. D’Attorre, La concorsualità ‘liquida’ nella composizione negoziata, cit., 305, per il quale si tratta di «possibilità che non sembra preclusa» fermo restando che «l’effetto di un eventuale piano di riparto» non ha alcun rilievo reale, non potendosi immaginare altra conseguenza all’inadempimento del debitore che la sua responsabilità verso i creditori. Sul tema, e nello stesso senso, v. anche R. Brogi, Le autorizzazioni e la rideterminazione delle condizioni contrattuali, cit., 1557, la quale, oltre al problema del rispetto delle cause legittime di prelazione, si interroga anche sulla sorte del c.d. “pegno non possessorio” di cui all’art. 1, comma 2, d.l. n. 59/2016 sui beni mobili, non registrati, destinati all’esercizio dell’impresa.

[62] Sull’argomento, e sulla sterminata letteratura che ne è occupata, v. (per tutti e da ultimo) N. De Luca, Gestione dell'impresa e disposizione dell'azienda. Uno studio di diritto comparato, in Riv. soc., 2022, 366; C. Angelici,Apropositodi“interessiprimordiali”deisocie“gestioneesclusiva”degli amministratori, in Riv. dir. comm., 2020, I, 59; G.B. Portale - N. De Luca, Il Sovrano non ha abdicato. Interessi primordiali degli azionistiecompetenzeimplicitedell’assemblea,inBancaBorsaTit.Cred.,2019,II,757 ss.; M. Ferrari,S.r.l.:ladiscutibilenullitàdell'attodicessionediaziendanonpreviamente decisa dai soci, in Notariato, 2019, 444; N. De Luca N. – A. Gentile, Cessionedell'interaazienda:limitilegaliaipoteridegli amministratori e nullità degli atti, in Società, 2018, 1371; N. De Luca, Da “Holzmüller e Gelatine” a “Bulli e Pupe”. Competenze implicite dell'assemblea e limiti legali ai poteri degli amministratori nelle società di capitali, in Banca Borsa Tit. Cred., 2017, II, 380; M. Maugeri,Considerazionisulsistemadellecompetenzeassemblearinellas.p.a.,in Riv.Soc.,2013, 336; P. Abbadessa,LacompetenzaassembleareinmateriadigestionenellaS.p.A.:dal codiceallariforma,inAmministrazioneecontrolloneldirittodellesocietà.Liber amicorum Antonio Piras, Giappichelli, Torino, 2010, 1 ss.; M. Maugeri,Sullecompetenze“implicite”dell'assembleanellasocietàperazioni,in Riv.dir. soc.,2007, 91.

[63] Non ricorrendo neppure il duplice obbligo previsto dall’art. 120-bis, comma 1, CCI per gli strumenti di regolazione della crisi di far risultare detta decisione in un verbale notarile da iscrivere nel registro delle imprese e di dare pronta informazione ai soci.

[64] Come nel caso della «convenzione di moratoria di cui all’articolo 62».

[65] Come caso del «contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all'articolo 25- bis, comma 1, se, secondo la relazione dell'esperto di cui all'articolo 17, comma 8, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni» e dell’«accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori e dall'esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166, comma 3, lettera d), e 324».

[66] Per Trib. Piacenza, 1° giugno 2023, cit.

[67] Alla proliferazione degli istituti di diritto concorsuale ha fatto eco, negli ultimi anni, una crescita esponenziale delle misure di intervento delle autorità amministrative di vigilanza del settore finanziario. Al riguardo v., per tutti, S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, cit., 97 ss.

[68] La pur formalmente vigente amministrazione controllata era, infatti, sostanzialmente inutilizzabile tanto da essere considerata abrogata in via di fatto (“per disuso”).

[69] Poca consolazione, del resto, può trarsi dal fatto che l’unica ragione (nota) sottesa alla scelta di introdurre talune fattispecie “innovative” del CCI (come il piano di ristrutturazione omologato) sia stata quella di aver voluto adeguare il diritto concorsuale italiano a quello unionale.

[70] Come dimostrato dal fatto che, attualmente, la cessione dell’azienda in deroga alla disciplina dell’art. 2560, comma 2, c.c. è prevista per la composizione negoziata della crisi che, pacificamente, non è una procedura concorsuale mentre non è prevista per gli accordi di ristrutturazione dei debiti che, perlomeno per molti (ivi inclusa la Suprema Corte), è da considerarsi una procedura concorsuale.

[71] E basti considerare che l’insieme dei soggetti sottoposti, in caso di insolvenza, ad una procedura di liquidazione giudiziale non coincide con quello di coloro che possono accedere ai diversi strumenti alternativi che ne consentono di scongiurare l’avvio (come accade, ad esempio, per gli imprenditori “sotto soglia” che, seppur non “liquidabili giudizialmente”, ben possono avvalersi degli accordi di ristrutturazione del debito o dei piani attestati o della composizione negoziata). Del pari, le diverse procedure “minori” neppure soggiacciono al medesimo presupposto oggettivo, stante la ormai familiare distinzione tra insolvenza, crisi, difficoltà economico-finanziaria (ed anche “probabilità della crisi”).

[72] Almeno sino a quando non verrà data attuazione al (già ricordato) disposto dell’art. 9, comma 1, n. 3), della legge 9 agosto 2023, n. 111.

[73] Nelle puntuali relazioni semestrali dell’Osservatorio sulla composizione negoziata della crisi d’impresa istituito da Unioncamere (pubblicate su uniocamere.gov.it).