, 11 marzo 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa. - 2. I caratteri “vecchi” e nuovi del concordato successivo (o endoliquidatorio). - 3. L’emancipazione del concordato successivo dalla procedura liquidativa concorsuale - 4. L’impatto del secondo correttivo sul concordato nella liquidazione giudiziale. – 5. Il concordato nella liquidazione giudiziale di gruppo. - 6. Il contenuto della proposta di concordato del gruppo.
1. Premessa
Il cosiddetto secondo correttivo al codice della crisi[1] (d. lgs. 13 settembre 2024, n.136) ha inciso molto sul concordato nella Liquidazione giudiziale[2] - senza ombra di dubbio più di quanto è avvenuto con il passaggio dalla legge fallimentare al codice della crisi[3] – promuovendo, sotto qualche profilo, l’idea del legislatore delegante che aveva invitato a: “disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo.” (Art. 7, comma 10, lett. d), L. n. 155/2017)[4].
Così, dopo il correttivo di cui al d.lgs. 136/2024, il concordato endoliquidatorio o successivo (con tale aggettivo volendo marcare la differenza dal concordato preventivo) potrebbe, almeno dal punto di vista funzionale-contenutistico, soddisfare le aspettative in essoriposte e che devono essere individuate non soltanto in termini di più sollecita e favorevole esdebitazione concordataria del debitore, ma anche di una rilevante e concreta opportunità per la ripresa dell’attività, - una sorta di suo “fresh start” ad opera di diverso imprenditore - in uno spazio temporale (rispetto all’inizio della liquidazione giudiziale) peraltro assai contenuto. Il tutto facilitato dall’abbattimento non soltanto della debitoria privata ma anche di quella pubblica e adesso a disposizione anche per operazioni di riorganizzazione di gruppi.
2. I caratteri “vecchi” e nuovi del concordato successivo o endoliquidatorio
Tradizionalmente questo concordato viene inquadrato come strumento per un soddisfacimento dei creditori migliorato rispetto a quello ottenibile in seguito alla liquidazione fallimentare[5].
Per oltre sessant’anni il concordato successivo è stato così ridotto a mera modalità di chiusura o di estinzione della procedura di liquidazione giudiziale. Si trattava di una liaison che trovava una sua giustificazione non solo nella cadenza ma soprattutto nello schema e negli “attrezzi” contemplati nella Legge fallimentare che, di fatto, relegava questo concordato ad una costola della procedura liquidatoria, ad uno strumento che si sostituiva al fallimento accelerando i tempi del soddisfacimento dei creditori. Era assente qualsiasi residuale attenzione per la conservazione dei valori aziendali perché il concordato correva sul medesimo binario (prettamente liquidatorio) del fallimento.
Era (ed è) indubbio che le due procedure sono collegate dalla sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale il cui curatore diviene l’organo della procedura di concordato endoliquidatorio, al cui interno séguita a svolgere compiti di assoluto rilievo.
Certamente è indubbio che tra le due procedure (concordato da una parte e fallimento, oggi liquidazione giudiziale dall’altra) si determini una certa concorrenza in quanto entrambe sono destinate a coesistere a lungo, sino alla definitività del decreto di omologazione (non semplicemente alla sua efficacia). Né la prima entra in quiescenza per effetto della presentazione della domanda di concordato successivo o a seguito del suo avvio o dell’approvazione da parte dei creditori.
D’altro canto, non è prevista espressamente la sospensione della liquidazione dell’attivo patrimoniale in conseguenza della pendenza della procedura concordataria endoliquidatoria. Infine, tra le due procedure esiste il nesso della “consecuzione”.
Sussiste, dunque, un collegamento biunivoco forte tra le due procedure che oggi rimanda a quello del concordato semplificato rispetto alla composizione negoziata. Entrambi i concordati non hanno una propria autonomia potendo essere utilizzati soltanto in connessione con la fase precedente (composizione negoziata per il concordato semplificato e liquidazione giudiziale per il concordato successivo) che in qualche misura ne vincola l’utilizzo, non essendo sufficiente che tale fase sia stata instaurata perché rilevano anche i risultati raggiunti.
La stretta dipendenza dalla procedura liquidativa nella quale il concordato si innesta impediva a priori qualsiasi funzione quantomeno alternativa.
Ciò, d’altra parte, era compatibile con la impostazione storica del fallimento quale procedura impregnata di una funzione liquidativa satisfattiva e di un effetto sanzionatorio che si propagava inesorabilmente dal debitore all’attività (niente affatto autonoma rispetto al primo) e, di conseguenza completamente impermeabile ai temi del recupero delle parti vitali dell’azienda e, men che meno, a una sua valorizzazione interinale per cercare di ricollocarla sul mercato delle imprese.
Nessun mutamento vide la luce sino alla riforma organica del 2006 quando iniziò, invece, ad affermarsi una diversa concezione dell’insolvenza come accadimento fisiologico non necessariamente colpevole e non inevitabilmente disgregativo del patrimonio aziendale.
Questa svolta lambiva anche il concordato cosicché il legislatore, nel 2006, cogliendone la potenzialità per trasmettere valori aziendali, lo proponeva quale possibile apripista per un mercato delle imprese in crisi nel quale si rimettessero in gioco aziende o rami di esse, grazie all’apertura anticipata dell’iniziativa a creditori e terzi rispetto a quella “tradizionale” del debitore.
3. L’emancipazione del concordato successivo dalla procedura liquidativa concorsuale
Non può negarsi che da quella prima riforma la procedura di concordato endoliquidatorio abbia iniziato un iter di “emancipazione” dalla procedura liquidativa nella quale affonda le radici.
Questo concordato, pur tutt’oggi debitore della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale -presupposto di fatto e di diritto, termine iniziale e “condicio sine qua non” – esibisce un peculiare profilo diacronico che lo qualifica e configura in termini quanto mai anticipatori rispetto alla procedura nella quale si impianta. Oggi, è proprio questo profilo a rendere non eccentrico un suo accostamento al concordato preventivo.
Più di una soluzione che il legislatore ha inteso fornire per quest’ultimo istituto, invero, risulta adesso applicata al concordato successivo endo-liquidatorio[6] che offre la possibilità di una riallocazione di risorse in funzione produttiva nonostante l’insolvenza dell’attività cui afferivano. La funzione riallocativa promossa dall’offerta di quelle risorse sul mercato si concretizza ove si profilino domande di acquisizione. L’insolvenza, allora, può trovare soluzione virtuosa – in quanto evita dispersione di ricchezza - grazie alla negozialità e all’apertura al mercato.
Come ho già anticipato, il concordato successivo è uno strumento che consente a chiunque di investire in un complesso produttivo[7] di un’impresa insolvente a condizione che sia ancora appetibile per altri imprenditori e che la procedura sottostante (la liquidazione) sia riuscita a conservare l’avviamento tramite un esercizio o un affitto[8].
Attraverso questo concordato, allora, si cerca di proporre una sistemazione del passivo ricorrendo al coinvolgimento dei creditori o di terzi nella gestione di una vicenda che si avvalga delle attività dell’impresa insolvente.
È il valore residuo dell’attività – l’appeal per il mercato – che può suggerire a terzi e ai creditori di investirvi.
Su questa linea si è mossa la riforma del 2006 introducendo con questo concordato una sistemazione del dissesto più conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare per i creditori ma anche, se possibile, utile per riallocare un corpo ancora funzionante di beni, contratti e posti di lavoro.
Facendosi strada la visione per la quale un’impresa non solo in crisi ma anche in stato d’insolvenza possa presentare un’utilità appetibile sulla quale investire, il legislatore da una parte ridisegna l’esercizio provvisorio dell’impresa, disciplina l’affitto d’azienda e, quindi, modella lo strumento negoziale che fino ad allora poteva inquadrarsi come mera ipotesi di chiusura del fallimento.
Così abbiamo assistito all’upgrade della sua funzione: accanto a quella satisfattiva, tutt’oggi insopprimibile, emergeva quella di salvaguardare – perfino in uno strumento che trae la ragion d’essere da un default - i complessi produttivi quando possano associarsi ipotesi di prosecuzione dell’attività per mano di imprenditori terzi che sfruttino l’ampliamento della legittimazione a proporsi per una proposta concordataria.
Un concordato pur sempre (endo) liquidatorio può, così, essere anche orientato in prospettiva, seppure non a livello di oggetto negoziale, verso una prosecuzione dell’attività, con ragioni sociali e denominazioni sociali diverse od in forme diverse, ma eventualmente anche ispirato alla conservazione di un “marchio” famoso, ancora conosciuto e rispettato, pur se travolto dall’insolvenza.
In un certo senso, può dirsi che il nuovo concordato successivo abbia per oggetto e scopo una più proficua liquidazione unitaria, “guardando” anche, in una prospettiva virtuosa, al futuro ed alla prosecuzione/ripresa dell’attività medesima, in forme analoghe o diverse ma non di rado nel rispetto, qualora possibile e conveniente, del marchio d’impresa.
Se il recupero dell’impresa fuoriesce ancora dallo stesso schema della procedura – non è richiesto al proponente terzo un piano industriale quale condizione di ammissibilità della proposta - e non può essere, quindi, ritenuto lo scopo esclusivo della disciplina, cionondimeno può rappresentare un motivo(ancora giuridicamente irrilevante ma economicamente apprezzabile) di valida attrazione per gli investitori e, in prospettiva, di auspicabile approdo.
Sotto questo aspetto, più (od oltre) che in concorrenza con il concordato preventivo liquidatorio, il concordato successivo potrebbe anche, nei casi di maggiore rilevanza e qualità aziendale, rappresentare, soprattutto a seguito della “omogeneizzazione” in tema di cram down e di apertura ai gruppi d’impresa, una alternativa al concordato preventivo in continuità, al quale potrebbe essere preferito dagli investitori (ma non, di regola, dal debitore) in ragione dei minori costi ed anche di meccanismi di approvazione e di omologazione meno rigidi e più convenienti.
Può affermarsi, nel complesso, che attualmente il concordato endoliquidatorio non possa essere inteso quale semplice procedimento incidentale dipendente dalla procedura “principale” di liquidazione giudiziale.
Intanto, se esso, ma solo a far tempo dalla omologazione definitiva, è motivo di definizione della procedura di liquidazione giudiziale (art. 246, comma 2, CCII) è pur vero che non rientra nei casi di chiusura tipici di cui all’art. 233 CCII e ciò in quanto presenta appunto caratteristiche sue proprie che lo rendono assolutamente un unicum: in effetti, la chiusura della liquidazione giudiziale, sostituita dal subentrare del concordato successivo, determina la cessazione del vincolo relativo alla destinazione produttiva dei beni componenti l’attivo patrimoniale.
4. L’impatto del secondo correttivo sul concordato nella liquidazione giudiziale
Il Codice della crisi, sulla stessa linea della Legge fallimentare riformata nel 2006, ripropone la chiusura della procedura di liquidazione dell’imprenditore insolvente attraverso un concordato, che può essere presentato dal debitore o da soggetti terzi, con l’obiettivo di riorganizzare i debiti e garantire il pagamento dei creditori. Il secondo intervento correttivo ha apportato modifiche significative per rendere questa soluzione più accessibile ed efficace.
In estrema sintesi, tra le principali novità delle quali il d.lgs. 136/2024 è portatore, è segnalo l’introduzione di una disciplina specifica per il concordato nella liquidazione giudiziale di gruppo (alla quale dedico il prossimo paragrafo) e l’aggiornamento delle tormentate regole per la presentazione e successiva valutazione di più proposte concordatarie. A proposito di tale questione, il secondo correttivo (d.lgs. n. 136/2024), - aggiungendo all’art. 241, comma 2, un periodo finale – sancisce che nel caso di presentazione di più proposte o se comunque ne sopraggiunga una nuova prima che il giudice delegato ordini la comunicazione: “tutte le proposte sono sottoposte all’approvazione dei creditori, salvo che il curatore e il comitato dei creditori, congiuntamente, ne individuino una o più maggiormente convenienti”.
È stata invece soppressa la previsione, secondo il quale “su richiesta del curatore, il giudice delegato può ordinare la comunicazione ai creditori di una o di altre proposte, tra quelle non scelte, ritenute parimenti convenienti. Si applica l’art. 140, comma 4”. Da ciò discende che il giudice delegato non è più vincolato alle scelte del curatore (il che allontana i concreti dubbi di costituzionalità della precedente normativa) circa la proposta da inviare al voto dei creditori e che anche questi ultimi saranno liberi di valutare congiuntamente la proposta più conveniente.
In questo modo sarà al tempo stesso possibile evitare acquisizione di posizioni di vantaggio, determinate unicamente dalla tempestività di deposito della proposta (circostanza, quella della prevenzione, comunque valutata positivamente dal Codice della crisi, ma solo in caso di parità di voti: art. 244, comma 4).
Le diverse proposte saranno, quindi, contemporaneamente trasmesse ai creditori per il voto e riuscirà vincente quella che avrà ottenuto la maggioranza più elevata ovvero la doppia maggioranza più elevata in caso di classamento, entrambe computate con il meccanismo del silenzio assenso.
Poiché le diverse proposte giungeranno (di regola) in tempi diversi, si pone il problema del termine ultimo per ritenere sussistente in capo al giudice delegato l’obbligo di disporre la comunicazione ai creditori, per mezzo del curatore, della proposta (insieme ai pareri previsti dalla legge) per la votazione congiunta.
Appare evidente che, se esso venga fatto coincidere con l’invio al curatore della proposta per la comunicazione ai creditori, l’innovazione legislativa rischierebbe di essere stata vana, se solo si consideri il caso, tutt’altro che remoto, in cui il giudice delegato disponga la trasmissione della proposta il giorno stesso del suo deposito o comunque tempestivamente.
Sarebbe stato necessario, probabilmente, che il legislatore avesse previsto uno “spatium deliberandi” dilatorio prima di procedere oltre nell’ordine di comunicazione. E meglio ancora, il Codice della crisi avrebbe dovuto contemplare un qualche meccanismo di pubblicità dell’avvenuto deposito della (prima) proposta, in modo da sollecitare entro un certo termine il deposito delle proposte concorrenti. È probabile che, la prassi dei tribunali si orienti nel senso di attendere un lasso di tempo ragionevole prima di procedere oltre nell’ordine di trasmissione.
Rilevo che non è stato disciplinato il fondamentale aspetto della garanzia della concorrenza tra proposte, perché, in base alla normativa vigente, non è chiaro come di volta in volta i proponenti possono avere notizia dell’avvenuto deposito di una proposta di concordato endoliquidatorio e sembra proprio allo stato che il legislatore suggerisca una sorta di passaparola o, peggio, incentivi accessi in cancelleria da parte dei terzi o contatti con il curatore o il giudice delegato di dubbia legittimità, per avere conoscenza della situazione.
Resta ferma l’eventualità che il curatore e il comitato dei creditori, congiuntamente, individuino una o più proposte come maggiormente convenienti. In tal caso, deve ritenersi che il giudice delegato sia vincolato alla scelta e debba trasmettere al voto dei creditori le sole proposte indicate, salvo che non si consenta al giudice delegato una delibazione sommaria volta ad escludere vizi di palese o macroscopica irragionevolezza della selezione operata da curatore e comitato dei creditori; fermo restando che, qualora dovesse accedersi a questa opzione interpretativa, ed il giudice delegato dovesse ravvisare detto vizio, dovrebbe allora trasmettere al curatore per la comunicazione ai creditori tutte le proposte, senza eccezioni, avendo cura di motivare adeguatamente la propria decisione, peraltro sempre impugnabile ai sensi dell’art. 124 CCII.
L’attenzione del secondo correttivo si è poi appuntata sulla fase di omologazione che è stata rivista con l’inserimento del meccanismo di cram-down fiscale e contributivo: il tribunale può approvare il concordato anche in caso di voto contrario dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali, a condizione che l’accordo offra una soluzione più vantaggiosa rispetto alla prosecuzione della liquidazione.
Nell’intento di accelerare la conclusione della procedura, l’omologazione produce effetti immediati, evitando ritardi nell’attuazione del concordato. Il decreto che la dispone può sempre essere oggetto di reclamo nel cui giudizio è stato introdotto un termine decadenziale per la costituzione delle parti resistenti, che devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza e eleggere domicilio nel comune della corte d’appello.
È stato previsto un meccanismo di inibitoria che consente alla corte d’appello di sospendere temporaneamente o parzialmente l’efficacia del decreto del tribunale o della stessa corte in caso di ricorso per cassazione, su richiesta di parte o del curatore, quando vi siano gravi motivi.
Il decreto della corte d’appello è immediatamente esecutivo dalla pubblicazione, senza attendere la scadenza dei termini di impugnazione. Inoltre, in caso di riforma o cassazione del decreto di omologazione, restano validi gli atti già compiuti in esecuzione del concordato.
Infine, nella fase esecutiva del concordato, è stato stabilito che, una volta trasferiti i beni e incassato il prezzo, il giudice delegato ordini la cancellazione di iscrizioni su diritti di prelazione, pignoramenti e altri vincoli, come già previsto per il concordato preventivo.
5. Il concordato nella liquidazione giudiziale di gruppo
Il Codice della crisi, come modificato con il D.Lgs. n. 136/2024, introduce, per la prima volta nella storia del diritto delle procedure concorsuali, la figura del concordato endoliquidatorio o successivo di gruppo[9],pur non menzionandolo mai espressamente né nella rubrica né nel corpo dell’art. 240, ma operando un rinvio a due norme del titolo VI della Parte I in materia di gruppi di imprese, attinenti rispettivamente al concordato preventivo di gruppo[10] e alla procedura unitaria di liquidazione giudiziale di gruppo[11].
Il comma 4-bis, dell’art. 240 CCII (introdotto dall’art. 39, co. 1, lett. c) del d.lgs. 136/2024) stabilisce che “quando il tribunale dispone l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale unitaria ai sensi dell’articolo 287, la proposta di cui al comma 1 può essere presentata con unica domanda, con più domande tra loro coordinate o con domanda autonoma”. In tal caso, “resta ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive”. La domanda unica o le domande coordinate devono contenere l’illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, rispetto alla scelta di presentare una domanda autonoma.
Ciascuna delle società del gruppo in crisi è legittimata alla presentazione della domanda scegliendo di attivare la procedura con trattazione separata ed autonoma o unitaria[12].
E’ in ogni modo necessario che la proposta di concordato successivo di gruppo investa esclusivamente imprese o società insolventi - come stabilito in sede di sentenza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale - con esclusione della possibilità di inserimento nel piano di concordato di entità, facenti o meno parte del gruppo ab origine, in bonis, come nel caso della capogruppo insolvente che incorpori una o più società controllatemaggiormente patrimonializzate e non in crisi, inizialmente tenute separate dalla rimanente attività d’impresa per sottrarle al relativo rischio (o viceversa); o come nel caso della fusione di una società del gruppo nel quadro di un piano di concordato di gruppo, ma che intervenga con una società terza.
Con la finalità di realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori di ciascuna impresa del gruppo (art. 284, comma 4, secondo periodo), in un non facile ma equilibrato contemperamento di interessi[13], paiono ammissibili domande autonome o coordinate provenienti da imprese tutte in crisi e facenti parti del gruppo pur essendo alcune funzionali alla liquidazione del patrimonio ed altre destinate in prospettiva alla prosecuzione dell’attività sul mercato per effetto del concordato e tutte siano interessate da trasferimenti di risorse infragruppo, tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese (art. 285, comma 2).
Il ricorso allo strumento “unitario” è facoltativo, o meglio discrezionale (soggetto, però, al controllo del tribunale quanto ai presupposti di ammissibilità legalmente stabiliti). Indubbia rilevanza assumeranno nella scelta del tipo di domanda da presentare, le forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi ipotizzate nella proposta, che sovente imporranno l’opzione per più domande coordinate. In questo caso, proprio le sinergie aziendali che così si verrebbero a determinare potrebbero consentire una più proficua liquidazione del complesso aziendale residuo in modo unitario ed a condizioni più vantaggiose rispetto alla liquidazione giudiziale atomistica, agevolando al tempo stesso – sia pure in una prospettiva che non forma oggetto immediato della procedura di concordato ma rappresenta lo scopo finale che ha di mira il gruppo in crisi, previa ristrutturazione del debito – processi di risanamento destinati a favorire la continuità aziendale e quindi un fresh re-start delle altre imprese del gruppo.
L’art. 240, comma 4-bis, CCII, riproducendo solo in parte e con modificazioni l’art. 284, comma 1, dettato in tema di concordato preventivo di gruppo esprime un indubbio “favor” per la concentrazione dei giudizi e per il simultaneus processus[14], in presenza dell’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una o più imprese insolventi facenti parte di un “gruppo”.
Può anche ammettersi che il menzionato “favor” sia dettato dalla opportunità di consentire a ciascuna società del gruppo, di usufruire dei vantaggi di una “ristrutturazione trasversale”, altrimenti impossibile in caso di riorganizzazione condotta separatamente; né sembra estranea a questa visione una attenzione estesa ai benefici che da questa scelta potranno al tempo stesso derivare ai creditori.
Non sembra, tuttavia, che tale “favor” si spinga sino al punto di riservare un trattamento di favore al gruppo di imprese nel caso di opzione per la procedura unitaria, elidendo il vincolo temporale dilatorio (decorrenza di un anno dalla sentenza che ha dichiarato l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale) e quello finale (decorrenza massima di due anni di tempo dal decreto che rende esecutivo lo stato passive); né il gruppo di imprese risulta sgravato dall’obbligo di accompagnare la proposta con l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento.
Non vi sono ragioni, invero, per non ritenere applicabile al gruppo di imprese quanto stabilito dall’art. 240, comma 1, CCII per il concordato “monade”[15] o individuale, dal momento che anche per le imprese debitrici riunite nel “gruppo” in crisi valgono le stesse ragioni “sanzionatorie” che hanno legittimato i maggiori oneri stabiliti per il debitore “individuale”: il ritardo nella opzione per il modello concordatario e l’omesso utilizzo di rimedi “preventivi” all’uopo predisposti dal legislatore.
Se la disciplina propende per la trattazione unitaria o coordinata[16] cionondimeno questa è subordinata all’assolvimento da parte della proponente dell’onere di allegare le ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, rispetto alla scelta di presentare una domanda autonoma. Questo perché, accanto al “favor” per la trattazione congiunta, dovuta a ragioni di economia processuale, il legislatore non perde mai di vista che il fine ultimo della procedura di concordato successivo, in qualunque forma e da chiunque proposto, è pur sempre il massimo soddisfacimento possibile dei creditori.
Pur non trattandosi di un onere probatorio in senso stretto, essendo sufficiente, stante il tenore della norma (“contenere l’illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza”), l’allegazione di un principio di prova circa le ragioni di maggiore convenienza della trattazione congiunta rispetto alla alternativa della presentazione “atomistica”, è ragionevole ritenere che il tribunale possa dichiarare inammissibile il ricorso per difetto dei presupposti di legge, quando risulti “ictu oculi” carente in concreto il requisito del “migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese”. Sembra, infatti, contrario al principio di economia processuale dovere attendere la fase dell’omologazione per poi dare atto della assenza dei pre-requisiti di ammissibilità[17].
È prevedibile che sul requisito del miglior soddisfacimento dei creditori prenda avvio un dibattito giurisprudenziale. Non è chiaro, infatti, se sia sufficiente che i creditori di alcune delle imprese ricevano un soddisfacimento in misura superiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale, a condizione che quelli di altre imprese non siano sacrificati ovvero non ricevano di meno rispetto alla liquidazione giudiziale, secondo una interpretazione che di fatto applica la teoria dei vantaggi compensativi anche ai creditori, ma di dubbia compatibilità con l’art. 285, comma 2, CCII; ovvero se sia piuttosto necessario che i creditori di tutte le imprese del gruppo siano avvantaggiati dall’operazione che realizza il trasferimento di risorse[18], ivi compresi quelli dell’impresa il cui patrimonio sia oggetto del trasferimento, rispetto all’ipotesi di un concordato monade o individuale ovvero anche di un concordato di gruppo privo delle operazioni di riorganizzazione, secondo una interpretazione che per parte sua potrebbe trovare un ostacolo nella tutela offerta dall’art. 285, comma 4, CCII ai creditori dissenzienti, attraverso l’opposizione all’omologazione rispetto alle operazioni pregiudizievoli comprese quelle riorganizzative.
L’opzione per la trattazione unitaria, oltre a richiedere la sussistenza (in positivo) del requisito di ammissibilità già rammentato, conosce poi un limite, che integra una condizione negativa.
Ai sensi dell’art. 287, comma 2, secondo periodo, CCII, qualora il tribunale, pendente la liquidazione giudiziale, abbia disposto la separazione dell’unica procedura per essere emersi conflitti di interessi tra le diverse imprese del gruppo oppure conflitti tra le ragioni dei rispettivi creditori, deve ritenersi precluso l’accesso al concordato di gruppo nelle forme della trattazione congiunta. Ciò rappresenterebbe, infatti, un aggiramento della decisione del tribunale e comunque contrasterebbe con il principio di ragionevolezza, apparendo un non senso la trattazione unitaria in presenza di conflitti di interessi tra le imprese proponenti o componenti il gruppo.
Ove non venisse scelta l’opzione unitaria e si dovesse, allora, procedere nelle forme della trattazione separata, rimarrebbe però l’imprinting del gruppo sulla procedura. Non pare infatti preclusa, infatti, l’applicabilità anche al concordato successivo del disposto dell’art. 288 CCII, secondo il quale “nel caso in cui più imprese appartenenti a un medesimo gruppo siano assoggettate a separate procedure (…), gli organi di gestione delle diverse procedure cooperano per facilitare la gestione efficace di tali procedure”.
Per quanto riguarda la competenza del tribunale deve ritenersi applicabile l’art. 286, comma 1, che richiama l’art. 27 CCII, secondo il quale se le diverse imprese del gruppo hanno il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, è competente il tribunale in relazione al centro degli interessi principali della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista dall’art. 2497-bis c.c., esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all’ultimo bilancio approvato[19].
Non può ritenersi consentito l’accesso al concordato endoliquidatorio di gruppo nell’ipotesi di operazioni infragruppo poste in essere da imprese facenti parte dello stesso gruppo ma sottoposte, ciascuna di esse, a un distinto concordato monade o individuale, perché in tal caso, pur essendo lecite le operazioni in sé, esse non potranno essere considerate in termini unitari (fattispecie cui sembra assimilabile quella in cui sia previsto l’intervento in veste però di assuntore di una società controllante quella che propone il concordato).
Nel caso delle operazioni di scissione infragruppo è, invece, ammissibile la veicolazione del concordato successivo di gruppo mediante domanda presentata dalla società scissionaria, purché anche quest’ultima e non solo la società scissa facesse già parte del gruppo; viceversa non risulta possibile che la domanda sia presentata da una società scissionaria di nuova costituzione con finalità meramente riorganizzativa della compagine sociale, oppure dalla holding che già rivestiva la veste di scissa e dalle società scissionarie cui è stato affidato lo svolgimento delle varie attività d’impresa facenti capo al gruppo.
6. Il contenuto della proposta di concordato del gruppo
Vengono in luce le operazioni di ristrutturazione la cui varietà è estremamente ampia. Così i rapporti di coordinamento tra le domande depositate, idonei ad incidere sull’oggetto del processo e della decisione, con effetto anche sui gradi successivi (cfr. art. 331 c.p.c.), sono il frutto del ruolo assegnato a ciascuna delle società del gruppo nell’ambito di quella che può spaziare tra una riorganizzazione aziendale complessiva meramente conservativa ed una in termini realmente innovativi: si può così intervenire sulla stessa struttura organizzativa modificandone i profili patrimoniali e finanziari, con operazioni consistenti nell’aumento di capitale o nella cessione di partecipazioni, in grado come tali di provocare un ricambio nella compagine sociale senza però realizzare spostamenti patrimoniali; oppure si può incidere con operazioni che implicano il trasferimento del patrimonio sociale a una Newco inizialmente interamente partecipata dalla holding o da una delle società del gruppo, mediante trasferimento in vendita o conferimento del complesso aziendale, in tal caso incidendo sulla struttura societaria con un modulo alternativo a quello classico della fusione o della scissione; o ancora, ricorrendo ad ulteriori tipologie di operazioni derivanti dal combinato disposto di quelle neutre e di quelle dispositive, come ad esempio mediante operazioni riorganizzative conservative ma accompagnate dal mutamento dei soci ovvero mediante operazioni innovative, che però intervengono tra i soci attuale.
Resta fermo che lo scopo finale deve essere quello di realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori attraverso una ristrutturazione del debito possibilmente orientata anche a preservare valori, ma senza che il segmento relativo alla reimmissione sul mercato dell’azienda rientri nell’oggetto della procedura.
A tal fine, nel piano da una parte si farà leva sulle sinergie già esistenti nel gruppo prima della crisianche razionalizzando l’organizzazione e la produzione e, dall’altra, saranno eliminate eventuali distorsioni.
In ogni modo ricorrerà la fattispecie delle operazioni di riorganizzazione infragruppo solo quando esse abbiano attinenza ad imprese e società che siano ricomprese nella nozione di gruppo di imprese così come delineata sopra dal Codice della crisi all’epoca della presentazione della domanda di concordato di gruppo, con esclusione delle operazioni straordinarie infragruppo realizzate precedentemente e rivolte ad unificare varie entità per presentare un’unica domanda di concordato. Neppure potrà parlarsi di operazione riorganizzativa di gruppo qualora vi sia attribuzione di tutte le attività delle imprese partecipanti ad un assuntore sotto forma di Newco costituita a tale scopo e non facente parte del gruppo all’epoca della proposta di concordato.
Viceversa, risulteranno correttamente veicolate all’interno della proposta di concordato successivo di gruppo le operazioni di riorganizzazione infragruppo non ancora realizzate all’atto della presentazione della domanda unica ovvero delle più domande autonome ovvero reciprocamente interconnesse, non dovendo in ogni caso mancare analitiche informazioni sulla struttura del gruppo.
Di tutti questi aspetti occorre pertanto che le singole domande, coordinate o non, tengano conto, perché il risultato finale rischia di essere neutralizzato, se non immediatamente, dal tribunale in sede di valutazione dell’ammissibilità della proposta, quantomeno successivamente in sede di omologazione o di opposizione alla omologazione[20]. È una prospettiva previsionale non agevole, della quale tuttavia debbono farsi carico la società capogruppo, le società del gruppo e i loro amministratori, ai quali è assegnato un compito assai arduo di contemperamento di interessi, compito non esente dal rischio di responsabilità nei confronti dei creditori lesi ed eventualmente anche dei soci.
[1] Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 non può infatti considerarsi un correttivo essendo intervenuto per recepire la Direttiva UE 2019/1023 nel nostro ordinamento. il primo decreto correttivo è il d.lgs. n. 147/2020 che, al pari del d.lgs. 136/2024 ha avuto come binario esclusivamente quello tracciato dalla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155. Alle modifiche al Codice della crisi recate dal d.lgs. n. 136/2024 è dedicato il fascicolo 1 del 2025 della Rivista Procedure concorsuali e crisi d’impresa. In particolare, sul tema al quale sono dedicate queste pagine segnalo lo scritto di M. FABIANI, Spigolature su alcune novità in materia di liquidazione giudiziale e di concordato nella liquidazione giudiziale, pp. 79 e ss.
[2] G. MINUTOLI e F. VERMIGLIO, I concordati nella liquidazione giudiziale, Milano, 2024; A. PEZZANO – M. RATTI, Il nuovo concordato “finale”: i tratti salienti del (finalmente) incentivato concordato nella liquidazione giudiziale, in Dirittodellacrisi, 12 febbraio 2025.
[3] Su questo istituto oltre alla manualistica aggiornata al d.lgs. 136/2024 (tra cui, S. PACCHI – AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, IV ed., Bologna, 2025;G. D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, II ed., Torino, 2024 nonché il volume di M. FABIANI, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, II ed., Piacenza, 2024), v. A. PETTERUTI, Commento agli artt. 240- 253, in A. CAIAFA, Commentario al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Roma, 2024; G. BUCCARELLA, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, in IRRERA E CERRATO (diretto da), Commentario sistematico diretto da, Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, II, Bologna, 2024. Per un commento anteriore al d.lgs. 136/2024 agli artt. 240-246 del Codice della crisi, rinvio a S. PACCHI, in P. VALENSISE, G. DI CECCO e D. SPAGNUOLO (a cura di) Il Codice della crisi. Commentario, Torino, 2024, pp.1302-1334.
[4] Prima del secondo decreto correttivo (d.lgs. 136/2024) si rintracciavano diverse lacune e incongruenze nella disciplina del concordato nella liquidazione giudiziale. Intanto per un verso risaltava la previsione di un apporto di finanza terza pari ad almeno il 10% dell'attivo, per un altro l’assenza di una disciplina specifica per i concordati di gruppo, nonostante fosse richiesta dalla legge delega (art. 3, comma 3, lett. d) L. n. 155/2017) e fosse coerente con la possibilità delle liquidazioni giudiziali di gruppo. Si poteva riscontrare una volontà di emarginare – in controtendenza rispetto alla riforma organica del 2006 - questo istituto visto che era stata eliminata, nell'art. 213 CCII, la menzione del concordato dal programma di liquidazione, presente invece nell'art. 104 ter della legge fallimentare e che nell'art. 130, comma 9, CCII scompariva l'obbligo di pubblicazione al registro delle imprese dei rapporti periodici del curatore, previsto invece nell'art. 33, comma 5, della legge fallimentare, privando così i potenziali investitori di un necessario strumento informativo.
[5] Da ultimo, G. D’ATTORRE, Concordato di liquidazione, in Crisi d’impresa, I tematici, Enciclopedia del diritto, Milano, 2024, 155 ss.
[6] La possibilità che lo strumento sia attivato da gruppi imprenditoriali, per il tramite di domande plurime interconnesse o di domanda unica plurisoggettiva; che plurime siano anche le proposte inviate contestualmente per un’unica votazione ai creditori; che il deposito delle proposte possa essere anticipato ad una fase assai anteriore rispetto a quella della verifica dei crediti (circostanza questa già anteriore al Codice della Crisi ma che va letta “a sistema”); che non sussista più discriminazione ai fini del cram down tra creditori pubblici e creditori privati con possibilità di sostituzione della valutazione favorevole del Tribunale anche in caso di voto contrario; che l’attenzione del legislatore sia rivolta altresì alla velocizzazione della procedura mediante l’opportuna previsione della immediata efficacia del decreto di omologazione; ebbene, si tratta di aspetti che, unitariamente considerati, certamente renderanno questo istituto assai più appetibile tanto per il debitore quanto per i creditori e per investitori italiani ed esteri.
[7] S. PACCHI (a cura di), Il concordato fallimentare. La disciplina nel nuovo diritto concorsuale: da mezzo di cessazione del fallimento a strumento d'investimento, Milano, 2008; M. Ferro - S. Pacchi – G.M. Nonno – R. Brogi (a cura di), La continuità aziendale nelle procedure concorsuali, Pisa, 2018, p. 321-349; Id., Il concordato fallimentare da ieri a oggi, in O. CAGNASSO e L. PANZANI (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali. T II. p. 2342-2373, UTET (Torino), 2016; S. AMBROSINI, Il concordato fallimentare, in S. AMBROSINI – A. JORIO – G. CAVALLI, Trattato di diritto commerciale, Vol. XI, Tomo II: Il Fallimento, Padova, 2008, 699 ss.
[8] S. PACCHI, La liquidazione dell'attivo con particolare riferimento all'azienda, in Riv.dir.fall., 2016, I, 1ss.; Id., Il concordato fallimentare nella prospettiva della liquidazione dell’azienda, in M. FERRO - S. PACCHI – G.M. NONNO – R. BROGI (a cura di), La continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 321 ss.; Id., Una possibile alternativa per la continuità indiretta: l’acquisto dell’azienda da parte dei lavoratori, in Ristrutturazioni aziendali, 30 giugno 2021.
[9] A tal fine è fondamentale perimetrare la nozione di gruppo di imprese muovendo dalla definizione posta nell’art. 2, comma 1, lett. h), CCII, come “l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545 septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica. A tal fine si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure dalla società o ente che le controlla, direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto”. Tale definizione estende (rispetto a quella civilistica di cui all’art. 2497, comma 1, c.c.) la nozione sino a comprendervi anche la fattispecie della holding persona fisica. Il Codice della crisi nel definire il “gruppo” (termine ignoto all’art. 2497 c.c.) richiama la nozione (ampliandola) di direzione e coordinamento posta alla base della disciplina generale degli artt. 2497 ss. c.c., mutuando poi dalla disciplina codicistica la presunzione relativa di esercizio dell’eterodirezione fondata sull’obbligo di redigere il bilancio consolidato e sul rapporto di controllo, di cui all’art. 2359 c.c., che nella norma di cui all’art. 2, comma 1, lett. h), viene estesa anche all’ipotesi di controllo congiunto. Questa presunzione traslata nell’ambito della disciplina della crisi ha, peraltro, una funzione diversa da quella che svolge nel quadro sistematico della disciplina generale dell’istituto dettata dal codice civile. In quest’ultimo contesto la presunzione vale ad agevolare la prova della sussistenza della direzione e coordinamento al fine di legittimare gli strumenti di esercizio del potere della capogruppo in una logica unitaria che giustifica l’applicazione del criterio dei vantaggi compensativi e di consentire, in caso di esercizio abusivo di tali prerogative, l’attivazione delle tutele ivi previste a presidio dei soci e dei creditori delle società del gruppo. Nella disciplina concorsuale, invece, la presunzione ha la funzione di porre le premesse per la presentazione dell’unica istanza di accesso agli strumenti di regolazione della crisi di cui agli artt. 284 ss. CCII (L. PANZANI, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Dirittodellacrisi.it, 25/08/2021, 43 ss.; N. ABRIANI-G. SCOGNAMIGLIO, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 23/12/2021; M. ARATO, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it,23/11/2021). Più in generale il Codice della crisi accoglie un concetto di gruppo più ampio rispetto a quello di diritto comune, comprensivo anche delle società (e degli enti non societari).
[10] Il Codice assegna al concordato successivo (endoliquidatorio) una disciplina procedurale non mutuata da quella in tema di concordato preventivo di gruppo, quanto piuttosto agganciata, almeno per la fase introduttiva, a quella in tema di “liquidazione giudiziale di gruppo: la c.d. procedura a “trattazione unitaria” o “congiunta”. Ciò non toglie che, dove necessario ed utile, ravvisando senz’altro piena compatibilità, il legislatore ha previsto un rinvio a talune disposizioni in materia di procedimento di concordato preventivo di gruppo. Segnatamente, all’art. 286, commi 5, 6 e 8, CCII, secondo cui “i creditori di ciascuna delle imprese che hanno proposto la domanda di accesso al concordato di gruppo, suddivisi per classi, qualora tale suddivisione sia prevista dalla legge o dal piano, votano in maniera contestuale e separata sulla proposta presentata dall’impresa loro debitrice. Il concordato di gruppo è approvato quando ciascuna proposta è approvata dalla maggioranza prevista dall’articolo 109 CCII Sono escluse dal voto le imprese del gruppo titolari di crediti nei confronti dell’impresa ammessa alla procedura. Il concordato di gruppo omologato non può essere revocato, risolto o annullato quando i presupposti per la revoca, risoluzione o l’annullamento si verificano soltanto rispetto a una o ad alcune imprese del gruppo, a meno che ne risulti significativamente compromessa l’attuazione del piano anche da parte delle altre imprese”.
[11] Per l’inquadramento di questa previsione occorre muovere dall’art. 287 CCII, secondo cui “più imprese in stato di insolvenza, appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il centro degli interessi principali nello Stato italiano, possono essere assoggettate, in accoglimento di un unico ricorso, dinanzi ad un unico tribunale, a una procedura di liquidazione giudiziale unitaria, quando risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione dell’obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo, ferma restando l’autonomia delle rispettive masse attive e passive. A tal fine, il tribunale tiene conto dei preesistenti reciproci collegamenti di natura economica o produttiva, della composizione dei patrimoni delle diverse imprese e della presenza dei medesimi amministratori”.
[12] L’iniziativa per la procedura unitaria è inoltre riservata alle sole imprese che abbiano la propria sede legale nel territorio dello Stato. Deve quindi trattarsi di imprese appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il centro degli interessi principali nello Stato italiano (art. 287, comma 1). Circostanza, quest’ultima, che solleva invero non pochi dubbi di compatibilità col diritto unionale, traducendosi di fatto in una ingiustificata restrizione alla libertà di concorrenza (101-109 TFUE) e di stabilimento (49-55 TFUE), che daranno certamente luogo al rinvio pregiudiziale presso la Corte di Giustizia UE ovvero direttamente alla disapplicazione della normativa interna nella parte in cui irragionevolmente contrasta con i principi comunitari.
[13] Contra, G. BUCCARELLA, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, in IRRERA E CERRATO (diretto da), Commentario sistematico diretto da, Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, II, Bologna, 2024, 2571op. cit., 2631, secondo il quale l’art. 285 comma 2 CCII sarebbe norma eccezionale.
[14] Il simultaneus processus può apririsi con: a) domanda unica, se proponente è una sola società del gruppo (di regola, ma non necessariamente, la capogruppo, stanti i meccanismi della imputazione di responsabilità, in particolare per violazione dei doveri organizzativi e aggravamento del deficit delle controllate); b) domanda autonoma, se le domande sono più d’una e ciascuna è presentata da una società del gruppo e/o dalla capogruppo, senza che tra le diverse domande sussista un nesso di coordinamento; c) plurime domande tra loro coordinate, quando le domande sono più d’una e ciascuna è presentata da una società del gruppo e/o dalla capogruppo e tra di esse esiste un nesso rilevante come “coordinamento”.
[15] Sul quale vedi le osservazioni di M. RESCIGNO, Il concordato di gruppo: considerazioni sparse tra fisiologia e patologia dell’istituto,in A. JORIO e R. ROSAPEPE(a cura di), La Riforma delle procedure concorsuali, Milano, 2021, 270 ss., il quale tratteggia altresì le significative differenze intercorrenti tra il concordato monade e quello di gruppo con riferimento alle clausole generali dei presupposti di ammissibilità e della funzione loro affidata.
[16] Possono aversi domande “coordinate” in ragione dell’ampia tipologia di operazioni di riorganizzazione preventiva di volta in volta previste. Il coordinamento delle domande dovrà tenere in conto i rapporti infragruppo, le operazioni contrattuali e riorganizzative e gli eventuali i trasferimenti di risorse infragruppo programmati.
[17] La declaratoria di inammissibilità non comporta alcuna decadenza, poiché sulla decisione non si forma giudicato esterno.Il ricorso per concordato endoliquidatorio può quindi essere ri-presentato in forma separata da ciascuna società del gruppo in crisi nel rispetto dei termini stabiliti dall’art. 240 prima che sia liquidato l’attivo. A fortiori, qualora dovesse, in virtù di fatti sopravvenuti, essersi modificata la prospettiva di soddisfacimento dei creditori delle singole imprese in senso favorevole alla trattazione unitaria della procedura, la domanda di concordato può essere nuovamente presentata nella forma del simultaneus processus. In ogni caso, è ammissibile il reclamo ex art. 124 CCII avverso il decreto di inammissibilità/improcedibilità pronunziato dal tribunale.
[18] Sul quale vedi R. Sacchi, Sui trasferimenti di risorse nell’ambito del concordato di gruppo nel c.c.i.i., in La Riforma delle procedure concorsuali, a cura di A. JORIO e R. ROSAPEPE, Milano, 2021, 281. L’autore, richiamato il Regolamento UE 2015/848 sulle insolvenze transfrontaliere, osserva come, non senza ambiguità, il Codice della crisi oscilli tra concentrazione e consolidamento delle procedure e ravvisa altrettante disposizioni idonee a incrinare la separazione delle masse, oltre che nell’art. 285, comma 2, nell’art. 286, comma 8, CCII, laddove si dovesse ammettere la risoluzione o l’annullamento parziale del concordato di gruppo, limitata alla parte del concordato relativo alla società per la quale si sono determinate le relative condizioni; e nell’art. 286, comma 3, CCII, la cui ratio è da individuare in basilari esigenze di giustizia distributiva, imponendo alle imprese rispettivi creditori di rispondere pro quota rispetto al presumibile valore delle risorse destinate al soddisfacimento della massa dei creditori ed in quest’ottica potrebbe accadere che i costi della procedura di concordato di gruppo vengano ripartiti in proporzione delle rispettive masse attive delle singole società anche se il plusvalore generato dal piano unitario e dai piani coordinati è stato distribuito in modo non proporzionale alle masse stesse, con una asimmetria nel rapporto costi della procedura e benefici da essi derivanti che risulta lesiva della insensibilità che la massa attiva e quella passiva di ogni società dovrebbero presentare rispetto alle vicende delle altre società del gruppo e delle loro masse, se si volesse dare piena attuazione al principio di separazione delle masse. In argomento appaiono fondamentali G. D’ATTORRE, I concordati di gruppo nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fall., 2019, 277 ss. e G. FERRI JR., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, in Corr. giur., 2020, 289 ss.
[19] Tale previsione è da ricollegare alla pendenza del procedimento unitario di liquidazione giudiziale di gruppo (art. 287 CCII). Una volta “stabilito” in tal modo il giudice competente, esso resta tale e non muta più, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., e ad esso soltanto deve farsi riferimento per ogni successiva domanda che dia origine ad un sub-procedimento o ad un procedimento complementare, come nel caso del concordato endoliquidatorio di gruppo, sia nel caso di trattazione unitaria sia nel caso di trattazione separata (non a caso, l’art. 288 CCII, che fa riferimento alla eventualità della pendenza di più procedure dinanzi a giudici diversi, disciplina il diverso caso in cui sin dall’origine le imprese appartenenti allo stesso gruppo siano state assoggettate a separate procedure di liquidazione giudiziale ovvero a separate procedure di concordato preventivo, imponendo un obbligo di collaborazione tra i diversi organi di gestione).
[20] Cfr. M. RESCIGNO, Il concordato di gruppo ecc., cit., 271 ss., per la sottolineatura della (voluta) asimmetria tra il parametro di omologabilità e quello di ammissibilità della procedura del concordato di gruppo, dal momento che mentre l’art. 285, comma 2, CCII, prevede che il concordato di gruppo possa essere ammesso una volta che si dimostri che sia preferibile a quello monade perché in grado di soddisfare i creditori di tutte le imprese del gruppo, l’art. 285, comma 4 in tema di omologazione prevede piuttosto che il concordato di gruppo debba essere valutato in relazione al soddisfacimento che i creditori possano ottenere in esito all’adempimento del piano in misura non inferiore a quello che riceverebbero in sede di liquidazione giudiziale. In altre parole, il parametro di omologabilità non si riferisce a quanto i creditori avrebbero ricavato da un concordato della singola società, bensì a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola società.