Tribunale di Avellino, 15 luglio 2025, n. 0. Pres. Guglielmo. Est. Russolillo.
Con questa pregevole sentenza il Tribunale irpino affronta alcune questioni di oggettivo interesse.
Si afferma in primo luogo che la natura liquidatoria del piano, “nel quale infatti non confluiscono risorse derivanti dalla pur prospettata ripresa dell'attività commerciale, non esclude l'accesso allo strumento in questione, atteso che gli accordi di ristrutturazione sono compatibili con soluzioni basate sulla mera dismissione del patrimonio aziendale, salve le limitazioni in tal caso previste dagli artt. 61 co. 2 lett. b) e 63 co. 4 lett. a) CCI.
Nella specie le suindicate limitazioni non rilevano, atteso che gli accordi di ristrutturazione proposti da non prevedono né l'estensione di effetti a creditori non aderenti, né l'applicazione delle regole del cram down fiscale e previdenziale, avendo invece la ricorrente optato, come meglio si evidenzierà anche in seguito, per la prosecuzione del piano di rottamazione quater, considerando, pertanto, gli enti impositori alla stregua di creditori estranei.
Con riguardo poi alla percentuale di adesioni, nel provvedimento si legge quanto segue.
“L'omologa degli accordi di ristrutturazione presuppone il raggiungimento di una percentuale di adesioni non inferiore al sessanta per cento dei crediti complessivi.
Non operando, nello strumento di regolazione ni esame, le regole della par condicio creditorum in considerazione della sua natura eminentemente negoziale, la percentuale suddetta deve calcolarsi su tutti i crediti - compresi quelli non ancora scaduti - che risultino esistenti al momento di presentazione della domanda di omologa, non rilevando per contro la distinzione fra quelli anteriori all'accesso alla fase prenotativa e quelli successivamente maturati.
La ricorrente ha quantificato la percentuale di adesione nel 74,98 % delle passività complessive alla data del 31.01.2025, corrispondendo esse ad un monte crediti di € 30.303.540 su un'esposizione debitoria di € 40.411.072 Correttamente estata considerata estranea la curatela del fallimento ……., essendosi dato atto dell'esistenza di una mera intesa, sia pure già autorizzata dal Comitato dei creditori, finalizzata a definire l'esposizione debitoria di € 2,4 milioni di euro con accordo successivo all'omologa del concordato preventivo.
Al riguardo deve infatti osservarsi che sono creditori aderenti, da includere nella percentuale del sessanta per cento richiesta dall'art. 57 CCII, solo coloro che abbiano già prestato assenso, al momento della domanda, alla proposta di accordo formulata dall'imprenditore siglando i relativi contratti, sia pur con effetti condizionati all'omologa, in modo da consentire il rispetto delle forme di pubblicità dello strumento previste dalla legge, non potendo essere considerati pertanto tali coloro che abbiano raggiunto intese parallele prive delle forme indicate (arg. ex Cass. 15 maggio 2023, n. 13154).
Per analoghe ragioni vanno reputati estranei anche i crediti tributari, avendo l a ricorrente preferito dar corso al piano di definizione agevolata (rottamazione quater) gia in essere piuttosto che formulare una separata proposta di accordo negoziale.
Diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, il credito tributario avrebbe dovuto tuttavia essere computate dalla data della domanda nella sua totalità (€ 8.816.258,39) e non già per li minor importo risultante dall'ammissione al beneficio di legge (in elenco creditori pari ad € 3.286.450), ma cionondimeno le percentuali minime risultano egualmente raggiunte”.
Quanto infine al credito oggetto di motivata contestazione da parte del debitore, il Tribunale svolge le seguenti considerazioni.
“È noto che, in sede di omologa degli accordi di ristrutturazione, le ragioni che hanno portato a contestare l'esistenza e l'entità del credito sono suscettibili di accertamento in via incidentale al solo fine di verificare se esse siano meramente pretestuose ed abbiano avuto l'effetto di incidere indebitamente ed in modo decisivo sulla percentuale minima di adesioni e sul fabbisogno finanziario della procedura (Cass. 24 maggio 2018, n. 12965).
In altri termini, se la contestazione è priva di fondamento e soltanto strumentale a creare le condizioni per l'omologa degli accordi, il credito va considerato parte del passivo ed essere computato nel denominatore della frazione al fine di verificare il rispetto della maggioranze di legge.
Si ritiene al riguardo che il credito della è stato correttamente contestato ed escluso almeno per la parte costituita dal doppio della caparra confirmatoria, pari all'ulteriore importo di € 1.830.000,00 (così riducendosi a non più di € 2.338.831,55).
Ed infatti la clausola negoziale, inserita nel preliminare di vendita (art. 5), secondo cui al perdita di efficacia del contratto, in quanto derivante dal mancato verificarsi delle condizioni risolutive ivi incluse, avrebbe comportato la sola restituzione della caparra versata da parte della promittente venditrice "senza aggravio di interessi e senza che venga considerata inadempiente", ha avuto l'intento di escludere convenzionalmente, nel caso indicato, il ricorrere della condizione di inadempimento che costituisce invece, ai sensi dell'art. 1385 co. 2 c.c., il presupposto per il versamento del doppio della caparra da parte di chi l'ha ricevuta”.
Abstract e segnalazione a cura del prof. Stefano Ambrosini
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