, 17 aprile 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Dalle procedure concorsuali, ai quadri di ristrutturazione preventiva sino agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (SRCI). – 2. Distinzione fra strumenti di risanamento e strumenti liquidatori. Molteplicità e disomogeneità della categoria. – 3. I differenti presupposti soggettivi e oggettivi. – 4. Possibili elementi di disciplina comune: volontarietà dell’iniziativa; il piano distinto secondo le finalità. – 5. (Segue): I profili processuali del cd. procedimento unitario e il principio di alternatività a pregiudizialità non assoluta. – 6. (Segue): La competenza esclusiva degli amministratori su iniziativa, redazione e proposta dello SRCI ex art. 120-bis CCII, anche con pregiudizio dei diritti dei soci. Problematicità.
1. Dalle procedure concorsuali, ai quadri di ristrutturazione preventiva sino agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (SRCI).
Gli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (SRCI) trovano la loro generale e generica definizione nell’art. 2, lett. m-bis CCII. Ma si tratta di una categoria eterogenea, sia per presupposti soggettivi sia in parte per presupposti oggettivi di applicazione.
Ciò non toglie che, in quanto definizione normativa, essa costituisce parte della disposizione giuridica in cui è volta a volta eventualmente richiamata, contribuendo alla interpretazione di quella disposizione e al contempo ricevendo anche dal “contesto” in cui è inserita il significato che in esso vi assume. La disciplina di questi “strumenti” – nella sistematica del Codice della Crisi – appare recata dal Titolo IV della Parte Prima, cui fa seguito il Titolo V dedicato alla liquidazione giudiziale e alla liquidazione controllata. Dal che dovrebbe discendere che gli SRCI non dovrebbero comprendere le procedure collettive esclusivamente liquidatorie, compresa la liquidazione coatta amministrativa e se si vuole l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Ma una tale conseguenza è tutt’altro che automatica, considerato che negli SRCI è ricompreso certamente anche il concordato preventivo liquidatorio e non solo quello in continuità (diretta o indiretta) e quello misto, laddove la stessa amministrazione straordinaria può avere uno sbocco liquidatorio ma anche di ristrutturazione in continuità.
Sta di fatto che alla costruzione di tale categoria si è pervenuti per approssimazioni successive.
Il primo tentativo di individuare una categoria unitaria in materia strumenti di soluzione della crisi e dell’insolvenza si coagula intorno alla nozione di “procedure concorsuali”, in realtà mai legislativamente definita (neppure nel Codice della crisi) ma frutto di interpretazione dottrinaria[1] e giurisprudenziale[2], non senza contrasti. In particolare la Suprema Corte (Cass. 9087/2018) ha individuato i requisiti minimi di una “procedura concorsuale” nei seguenti: “(i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l’autorità giudiziaria, con finalità quantomeno ‘protettive’ (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo e forse anche solo per attribuire ad alcuni di essi un ruolo di ‘estranei’, da cui scaturiscono conseguenze giuridicamente predeterminate; (iii) una qualche forma di pubblicità”.
Mi piace ricordare che ad un tale inquadramento (che vedeva assottigliarsi le differenze fra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione sia sul piano della progressiva privatizzazione delle procedure concorsuali sia sul piano del controllo giurisdizionale in funzione di garanzia piuttosto che di direzione della procedura) ero pervenuto anch’io in un inedito parere pro veritate precedente agli interventi della Cassazione[3], in cui peraltro sostenevo – proprio per questa comune caratteristica della “concorsualità” ampiamente intesa – l’applicazione analogica della disciplina del concordato preventivo agli accordi di ristrutturazione nella fase esecutiva post-omologatoria con speciale riferimento all’annullamento e risoluzione degli accordi medesimi.
Del resto, la riconduzione di determinate tipologie di risoluzione della crisi e dell’insolvenza alla categoria unitaria delle procedure concorsuali ha senso proprio nell’ottica applicativa di una integrazione delle discipline, laddove se ne segnali l’esigenza per effetto di un vuoto normativo, come è stato correttamente osservato[4]. Si pensi al tema della consecuzione delle procedure ai fini della revocatoria e del computo del termine iniziale del periodo sospetto o della prededuzione dei compensi professionali; o ancora della responsabilità degli organi societari connessi alla tempestiva rilevazione della crisi e alla adozione parimenti tempestiva di provvedimenti idonei a reagirvi.
Il secondo tentativo nasce dalle sollecitazioni comunitarie provenienti dalla direttiva Insolvency 1, ove si preferisce parlare di “quadri di ristrutturazione preventiva”, che secondo il Considerando 2 della Direttiva UE 2019/1023 “dovrebbero innanzitutto permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l'insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane. Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso”. Tali finalità trovano il loro precipitato definitorio nell’art. 2, par. 1, n. 1 della direttiva che si concentra sulla nozione di “ristrutturazione”, specificandola nelle “misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi”. Insomma i quadri di ristrutturazione preventiva sono indirizzati a imprese “sane” ma in “difficoltà finanziarie”, imprese in “crisi” ma non insolventi – diremmo con la terminologia del Codice della crisi – , colte in una “fase precoce” atta a “prevenire l’insolvenza”, sì da impedire “la perdita di posti di lavoro” e di “conoscenze e competenze” pur nell’ottica di “massimizzare il valore totale per i creditori”. In questa direzione lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva, nella versione preliminare adottata il 17 marzo 2022, sostituiva la nozione di “procedure di risoluzione della crisi e dell’insolvenza” con quella di “quadri di ristrutturazione preventiva”. Ma era a tutti evidente che ciò finiva per espungere le soluzioni negoziali di tipo completamente liquidatorio e trascurava di valorizzare gli strumenti il cui presupposto poteva anche essere quello della “insolvenza” come spesso accade, piuttosto che quello della crisi.
Di qui lo slittamento verso una nozione più onnicomprensiva, quale quella adottata nell’art. 2 lett. m-bis CCII, introdotta dal d.lgs. n. 83/2022, identificandosi gli SRCI ne “le misure, gli accordi e le procedure, diversi dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata, volti al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”, ove dunque nulla è detto in merito al “presupposto oggettivo” come anche al “presupposto soggettivo” di tali strumenti, ma semmai se ne evidenziano i connotati strutturali e finalistici, con l’esigenza allora di ricorrere ad una analisi dei singoli istituti pur inquadrabili nella definizione indicata e ove semmai si coglie un evidente spartiacque fra strumenti di risanamento e strumenti di liquidazione.
2. Distinzione fra strumenti di risanamento e strumenti liquidatori. Molteplicità e disomogeneità della categoria.
La cennata definizione, peraltro, è lungi dall’offrire elementi di unitarietà dei molteplici istituti che ad essa possono ricondursi, rendendo altresì estremamente difficile identificare un tronco di disciplina comune o comunque destinata a integrare eventuali vuoti normativi che dovessero emergere in sede applicativa dei singoli istituti.
Quando si coglie, per esempio, lo spartiacque fra strumenti di risanamento e strumenti di liquidazione, valorizzando l’elemento finalistico senza altra specificazione come faceva la formulazione della norma precedente alla modifica del d.lgs. n. 136/2024, occorreva chiedersi se fra i primi potessero trovare collocazione anche istituti come l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi che pure non è disciplinata nel Codice della crisi ma che alla finalità risanatoria è in parte deputata; e se fra i secondi dovessero ricomprendersi anche la liquidazione giudiziale (già fallimento) o la liquidazione controllata o la liquidazione coatta amministrativa, anche quest’ultima in buona parte estranea nelle sue molteplici e specifiche applicazioni alla normativa del Codice.
Ora a me pare che già la sistematica del Codice suggeriva che dagli SRCI dovessero espungersi tutti quegli istituti che non trovino fondamento esclusivo, nella fase iniziale di avvio, nella domanda del debitore ma che si risolvano in un risanamento o liquidazione coattivi, avviati su iniziativa di una autorità amministrativa o del pubblico ministero o di terzi creditori. Non è senza ragione, per esempio, che la liquidazione giudiziale sia disciplinata in un Titolo V a sé stante, dopo che il Titolo IV è dedicato agli SRCI. Tale soluzione è ora espressamente enunciata dalla modifica alla definizione arrecata con il d.lgs. n. 136/2024 che esclude dagli SRCI la liquidazione giudiziale e la liquidazione controllata. Sì che in forza di tale criterio, mentre potrà annoverarsi fra gli SRCI il “concordato semplificato” per la liquidazione del patrimonio ex art. 25-sexies CCII, dovranno considerarsi estranei a quel complesso strumentale la liquidazione giudiziale, la liquidazione controllata, la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi[5].
Dubbi continuano ad essere sollevati in merito alla riconducibilità alla categoria della “composizione negoziata”[6], pur dovendosi ammettere che la norma definitoria sembra escludere quel percorso negoziale (cui tuttavia non è estraneo l’eventuale intervento giudiziario in sede di concessione di misure protettive, cautelari e/o autorizzatorie) tanto dalle procedure concorsuali quanto dalla più ampia categoria degli SRCI, già solo per il fatto che queste ultime possono o meno essere precedute dalla prima.
Al riguardo può compiersi subito una precisazione: fra SRCI e procedure concorsuali – per quanto sin qui sostenuto – può esservi solo parziale sovrapposizione, sia nel senso che non tutti gli strumenti sono riconducibili a vere e proprie procedure concorsuali (non sono tali ad es. i piani attestati o gli accordi esclusivamente stragiudiziali privi di ogni intervento giudiziario omologatorio) sia nel senso che non tutte le procedure concorsuali sono definibili come SRCI (si sono escluse da tale novero tutte le procedure coattive su iniziativa di terzi[7]).
Peraltro non può trascurarsi la circostanza che l’art. 23 CCII individua alcune soluzioni conclusive delle trattative condotte nel corso della composizione negoziata che potrebbero riportarsi alla definizione di SRCI benchè non espressamente disciplinate all’interno del Titolo IV che di quegli strumenti espressamente si occupa. Intendo riferirmi: (i) al contratto concluso con uno o più creditori oppure con uno o più parti interessate all’operazione di risanamento se idoneo – secondo la relazione dell’esperto – ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni (art. 23, comma 1, lett. a); (ii) all’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori aderenti e dalle altre parti interessate all’operazione di risanamento che vi hanno aderito nonché dall’esperto che dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza (accordo peraltro che produce gli effetti dell’esonero da revocatoria dei relativi atti esecutivi ai sensi dell’art. 166, comma 3, lett. d CCII nonché dell’esenzione dai reati di bancarotta ex art. 324 CCII) (art. 23, comma 1, lett. c)[8].
Dalla definizione generale di SRCI possono ricavarsi, oltre alla volontarietà dell’iniziativa del debitore e alla distinzione finalistica fra strumenti di risanamento e strumenti di liquidazione, almeno altri due profili:
a) sul piano strutturale si segnala la variegata articolazione degli strumenti nella triplice distinzione di “misure, accordi e procedure”: le misure attengono con molta probabilità alle attività riorganizzative interne all’impresa, nella misura in cui i piani attestati si limitino a disporre interventi sul piano finanziario e industriale che non si traducano anche in accordi con i creditori; gli accordi rinviano a misure negoziali che coinvolgano tutti o parte dei creditori; le procedure implicano una sequenza coordinata di atti perlopiù destinati a svolgersi sotto il controllo o a sottoporsi al controllo giudiziario. Si tratta di distinzioni, comunque, che non escludono ibridazioni nell’attuazione concreta degli istituti[9];
b) gli SRCI finalizzati al risanamento non sono destinati esclusivamente a imprenditori come parrebbe desumersi dalla prima parte della norma, ma anche ai sovraindebitati non imprenditori, come i consumatori o i professionisti, cui non trovano applicazione i soli strumenti liquidatori.
3. I differenti presupposti soggettivi e oggettivi.
Ad ogni modo la disciplina principale degli SRCI si trova nel già citato Titolo IV (artt. 56-120-quinquies) CCII, a sua volta suddiviso in Capi e Sezioni: Capo I dedicato agli Accordi in cui vengono catalogati il Piano attestato di risanamento (Sez. I), gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (distinti in quello ordinario, agevolato, ad efficacia estesa), la Convenzione di moratoria e gli Accordi/Transazione su crediti tributari e contributivi; Capo I-bis dedicato al Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione; Capo II dedicato alle Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento in cui confluiscono la Ristrutturazione dei debiti del consumatore, le Procedure familiari e il Concordato minore; e infine il Capo III dedicato al Concordato preventivo.
La categoria appare piuttosto eterogenea ove si pensi ai differenti presupposti soggettivi ed oggettivi che condizionano l’accesso, pur volontario per il debitore, ai vari istituti.
Il concordato preventivo è fruibile dal solo imprenditore commerciale sopra soglia, che non sia cioè qualificabile come “impresa minore” (e v. art. 84 che rinvia al presupposto soggettivo della liquidazione giudiziale ex art. 121); e il suo presupposto oggettivo può essere indifferentemente lo stato di crisi o di insolvenza.
I medesimi presupposti soggettivo (imprenditore commerciale non minore) ed oggettivo (stato di crisi o di insolvenza) si estendono al Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis).
Ma quando si passa agli Accordi di ristrutturazione nella loro varia tipologia e alla Transazione tributaria o contributiva che vi è collegata, i rimedi sono applicabili a qualsiasi imprenditore, commerciale o agricolo che sia, purchè non minore (artt. 57 e 63); mentre il Piano attestato e la Convenzione di moratoria sono estesi ad ogni imprenditore tout court. Tutti comunque accomunati dal medesimo presupposto oggettivo dello stato di crisi o di insolvenza, salvo – parrebbe – per la Convenzione di moratoria che è “diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi”[10].
Le Procedure di sovraindebitamento, a loro volta, sono riservate la Ristrutturazione dei debiti al solo consumatore (art. 67) e il Concordato minore alle sole imprese minori ed ai professionisti (art. 74). Ed è noto che il presupposto oggettivo del sovraindebitamento richiama tanto la nozione di crisi quanto quella di insolvenza.
Ma non può trascurarsi in questo elenco la Composizione negoziata, non definibile certo come procedura concorsuale non fosse altro che per la riservatezza che la dovrebbe contrassegnare, ma con molte perplessità sottraibile alla più ampia qualificazione di SRCI ove si considerino la volontarietà dell’iniziativa, la concorsualità dei creditori e i possibili esiti delle trattative. Qui il presupposto soggettivo coinvolge ogni imprenditore (commerciale o agricolo che sia, sopra o sotto soglia) (art. 12); il presupposto oggettivo si dilata oltre che alle situazioni di crisi e di insolvenza (come a mio avviso si desume dall’art. 21, comma 1) anche alle situazioni di pre-crisi, ad una fase insomma sufficientemente anticipata perchè risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Tale finalità di risanamento è essenziale all’avvio del percorso quale che sia lo stato oggettivo in cui versa l’impresa, tanto che in fase iniziale l’esperto è chiamato a valutare l’esistenza di “concrete prospettive di risanamento”, in mancanza delle quali ha l’onere di chiedere l’archiviazione dell’istanza (art. 17, comma 5). Insomma, la composizione negoziata esclude dal proprio orizzonte soluzioni esclusivamente liquidatorie. E’ opportuna comunque una precisazione: se è vero che ogni imprenditore può ricorrere alla composizione negoziata, è parimenti vero che alcune soluzioni perseguibili dipendono da sue ulteriori qualificazioni: l’art. 25-quater, ad esempio, specifica quali strumenti possono essere adottati dall’impresa minore o dall’imprenditore agricolo (per il quale v. pure l’art. 23, comma 2, lett. d) ult. periodo).
4. Possibili elementi di disciplina comune: volontarietà dell’iniziativa; il piano distinto secondo le finalità.
Considerata la grande varietà ed eterogeneità degli SRCI, non è agevole individuare tratti di disciplina comune ai relativi istituti. Al di là del carattere volontario della iniziativa, rimessa al debitore e salvo a comprenderne gli ambiti di discrezionalità nella scelta del momento e dello strumento da attivare, mi pare che un elemento comune possa essere rappresentato dal punto di vista strutturale dalla presenza di un “piano” la cui fattibilità è poi soggetta a valutazione.
Ma il contenuto del piano può a sua volta variare in relazione allo strumento attivato: (i) nel concordato preventivo può avere tanto contenuto liquidatorio quanto di risanamento in continuità aziendale (diretta o indiretta) o misto; (ii) negli accodi di ristrutturazione altrettanto, fatta esclusione per l’accordo ad efficacia estesa che deve necessariamente avere “carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta” (art. 61, comma 2, lett. b). (iii) Nel piano attestato e probabilmente (iv) nella convenzione di moratoria si impone il “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa” e il “riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria” (art. 56, comma 1) ovvero la “dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito” (art. 62, comma 1): dal che si ricava che il piano attestato non può avere contenuto meramente liquidatorio (vi si parla di piano industriale accanto al piano finanziario); ma è probabile che ad analoga conclusione debba pervenirsi per la convenzione di moratoria, che deve essere accompagnata anch’essa da una relazione di professionista indipendente attestante la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi e la mancanza di pregiudizio per i creditori non aderenti cui vengono estesi gli effetti della convenzione a fronte di quanto ricaverebbero dall’alternativa della liquidazione giudiziale.
(v) Nel Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione parrebbe che la continuità (anche solo indiretta) dovrebbe permeare il contenuto del piano in cui è obbligatoria la divisione dei creditori in classi e l’approvazione unanime delle stesse per giungere alla omologazione. Il contenuto non meramente liquidatorio sembra emergere dalla circostanza che si tratta appunto di un piano di “ristrutturazione”, termine noto alla direttiva Insovency 1 come si è già detto nel par. 1 che precede e riferito a imprese viable.
(vi) Nel Concordato minore il sovraindebitato non consumatore presenta preferibilmente un piano che consenta di “proseguire l’attività imprenditoriale o professionale” (art. 74, comma 1), ma non è esclusa la soluzione liquidatoria benchè condizionata – come nel concordato preventivo – dall’apporto di apprezzabili risorse esterne; diversamente il (vii) Concordato semplificato attivabile dall’imprenditore “corretto e in buona fede” all’esito infausto delle trattative della composizione negoziata ha chiaro contenuto liquidatorio (art. 25-sexies); e (viii) nel Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore è inevitabile che debba comunque prevedersi una qualche forma di continuità per la sussistenza della persona fisica del debitore.
5. (segue): I profili processuali: il cd. procedimento unitario e il principio di alternatività a pregiudizialità non assoluta.
Un ulteriore aspetto di disciplina (invero parzialmente) comune agli SRCI si gioca soprattutto sul piano processuale, in merito alla trattazione dei relativi rimedi nel cd. procedimento unitario e al principio di alternatività a pregiudizialità non assoluta rispetto alla liquidazione giudiziale (e liquidazione controllata). Anche in questo caso siamo di fronte ad una applicazione parziale di questa disciplina comune, considerato che la cd. trattazione unitaria investe non tutti gli SRCI, ma solo quelli che vengono canalizzati dalla domanda del debitore dinanzi all’Autorità giudiziaria, insomma quegli strumenti che possono definirsi al contempo delle vere e proprie procedure concorsuali. L’art. 40 dispone che le domande di accesso agli SRCI e alla liquidazione giudiziale vengano trattate dinanzi al Tribunale in composizione collegiale in un procedimento unitario. Ma in verità già a monte, nei principi generale di carattere processuale, l’art. 7 impone la trattazione in un “unico procedimento” delle domande di accesso agli SRCI e alle procedure di insolvenza, prevedendo che ogni domanda sopravvenuta si riunisca a quella già pendente; nel concorso di più domande, prevede l’esame “in via prioritaria” di quelle relative agli SRCI sempre che ricorrano determinate condizioni (cfr. il comma 2).
Da ciò consegue innanzitutto che esulano da tale disciplina gli SRCI extraprocessuali, come il piano attestato e la convenzione di moratoria, ove l’intervento del Tribunale è solo eventuale ed ex-post. In secondo luogo si afferma un principio di pregiudizialità della trattazione della domanda concernente lo SRCI (concordato preventivo, a.d.r., piano di r. soggetto ad omologazione, ma anche concordato minore e concordato semplificato) rispetto alla trattazione dell’istanza di liquidazione giudiziale (o liquidazione controllata), sia pure sottoposto a termini: ove sia pendente un procedimento di accesso ad uno SRCI, l’eventuale istanza di apertura della liquidazione giudiziale è proposta nel medesimo procedimento già pendente sino alla rimessione al collegio per la decisione e se presentata separatamente è riunita d’ufficio dal Tribunale (art. 40, comma 9); ove sia pendente un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale su istanza non del debitore, questi dovrà proporre domanda di trattazione di uno SRCI nel procedimento pendente e tuttavia – a pena di decadenza – entro il termine della prima udienza fissata per la convocazione delle parti ex art. 41, comma 1, e se proposta separatamente – pur sempre entro detto termine – viene riunita d’ufficio. Successivamente alla prima udienza, la domanda non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (sempre che, ovviamente, non sia stata dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale) (art. 40, comma 10). Un meccanismo analogo si applica in caso di domanda di accesso ad uno SRCI con riserva di deposito della documentazione concernente proposta, piano e accordi (art. 44).
Parimenti in caso di domanda di liquidazione controllata proposta dai creditori, è consentito al debitore entro la prima udienza presentare domanda di accesso ad una procedura di regolazione del sovraindebitamento o chiedere al Tribunale la concessione di un termine per provvedervi (art. 271, che al secondo comma precisa che nella pendenza del termine non può essere dichiarata aperta la liquidazione controllata).
Insomma, è evidente che tutte queste disposizioni consacrino il principio della pregiudizialità di trattazione della domanda del debitore di accesso ad uno SRCI, prima che si pervenga ad una dichiarazione di soggezione alla esecuzione concorsuale coattiva, come pure si ricava dall’art. 49, comma 1, secondo cui “il tribunale, definite le domande di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, eventualmente proposte, su ricorso di uno dei soggetti legittimati e accertati i presupposti dell’art. 121, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale”. Ma la pregiudizialità non è assoluta, innanzitutto perchè l’esame del Tribunale da effettuarsi in limine litis deve stabilire – ai sensi dell’art. 7 citato – che: a) la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile; b) il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati; c) nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni dell’assenza di pregiudizio per i creditori. Esistono poi termini di decadenza – come s’è visto – quantomeno ove penda già una istanza di liquidazione giudiziale.
La disciplina parla espressamente di “unico procedimento”, ma com’è stato correttamente osservato siamo di fronte ad un mero “contenitore unitario”, poiché sin dall’inizio la domanda dovrà precisare lo strumento attivato o che si intende attivare, ciascuno allora con propri presupposti e con una propria indagine processuale, sì che nell’unitario contenitore sono destinati a svilupparsi plurimi procedimenti[11].
6. (segue): La competenza esclusiva degli amministratori su iniziativa, redazione e proposta dello SRCI ex art. 120-bis CCII, anche con pregiudizio dei diritti dei soci. Problematicità.
Un ultimo tronco di disciplina comune agli SRCI è dovuto al Capo III-bis del Titolo IV, come innovativamente regolato dal d.lgs. n. 136/2024. La normativa investe innanzitutto la competenza decisionale alla presentazione e redazione di uno SRCI da parte in ispecie delle società e quindi i rapporti con i relativi soci e la fase esecutiva post-omologatoria dello strumento. Si tratta di disciplina che ha sollevato un acceso dibattito sulla stessa legittimità oltre che opportunità di disposizioni che paiono comprimere in maniera alquanto eccessiva i diritti dei soci.
L’art. 120-bis, senza distinguere fra società di persone e società di capitali e in verità con estensione nei limiti di compatibilità anche agli imprenditori collettivi diversi dalle società, attribuisce alla competenza esclusiva di amministratori e liquidatori il compito di decidere l’accesso ad uno SRCI, anche con riserva, determinando altresì “il contenuto della proposta e le condizioni del piano”. Questa competenza esclusiva, che sembra voler espropriare i soci da ogni decisione al riguardo ponendosi in capo agli amministratori espressamente un mero dovere di informazione successiva all’avvenuta decisione di accesso e di refertarne periodicamente l’andamento (comma 3), si spinge sino a introdurre – come componente del piano e ai fini del buon esito della ristrutturazione – previsioni di qualsiasi modificazione statutaria, inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con esclusione o limitazione del diritto di opzione e “altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni” (comma 2).
Una competenza esclusiva che viene ulteriormente blindata dal superamento delle regole ordinarie di diritto societario che non sempre esigono la giusta causa per la revoca di amministratori o liquidatori e che qui diventa necessaria dalla iscrizione nel registro delle imprese della decisione di accesso e fino alla omologazione dello strumento, con la precisazione che non costituisce giusta causa la presentazione della domanda di accesso “alle condizioni di legge” (?). Non solo ma l’eventuale revoca per giusta causa deve essere approvata dal Tribunale sezione imprese, sentiti gli interessati.
E’ pur vero che modificazioni statutarie, previste nel piano e anche incidenti sui diritti partecipativi dei soci, per diventare operative devono passare al vaglio della omologazione giudiziale (art. 120-quinquies), ma in pratica siamo ad una definitiva espropriazione dei poteri decisionali dei soci in materia con il concorso di gestori e Autorità giudiziaria. Le contropartite offerte, come le proposte concorrenti ex art. 90 CCII che soci rappresentanti almeno il dieci per cento del capitale sociale possono presentare (art. 120-bis, comma 5) o la formazione di una o più classi di soci per esprimere il voto (su cosa?), non paiono adeguate alla portata fortemente innovativa sui diritti partecipativi dei soci (artt. 120-ter e 120-quater)[12].
Questa esclusiva responsabilizzazione degli amministratori in merito agli SRCI solleva l’ulteriore questione dei relativi doveri a fronte dello stato di crisi e/o insolvenza dell’impresa. In quale momento sono essi tenuti ad attivarsi? Sono liberi nella scelta dello SRCI da adottare? Mi sembra che su tutta questa tematica aleggi la questione della applicabilità anche in tali circostanze della BJR, cioè della discrezionalità gestoria spettante alle decisioni degli amministratori, che si traduce nella insindacabilità della opportunità e convenienza del momento e dello strumento adottato purchè non appaia manifestamente irragionevole e non sorretto da adeguata istruttoria e conseguenziale logicità.
[1] In dottrina cfr. M. ARATO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il codice della crisi e dell’insolvenza, in ilcaso.it, 9 ottobre 2018; M. SPIOTTA, È necessaria o inutile una definizione di procedura concorsuale (o di procedura di regolazione della crisi o di quadro di ristrutturazione)? Quando le categorie generali possono conservare funzionalità, in Dir. della Crisi, 22 aprile 2022; e per un inquadramento più generale cfr. S. AMBROSINI, “Catalogo” degli strumenti normativi: caratteri e presupposti, in S. PACCHI-S. AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza4, Zanichelli, Bologna, 2025, 50 ss. Il chiaro A. contrappone una “concezione tradizionale” di concorsualità ad una sua “attuale concezione minimale”, anche per effetto della normativa elaborata in sede europea; ivi (p. 55) anche il riferimento a Cass. S.U. n. 42093/2021, sulla cui scia si tende a parlare di “concorsualità liquida”.
[2] E v. Cass. 18.1.2018, n. 1182; Cass. 12.4.2018, n. 9087; e Cass. 21.6.2018, n. 16347.
[3] S. FORTUNATO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.: vizi genetici e difetti sopravvenuti, ove osservavo: “è innegabile che anche negli accordi di ristrutturazione al momento privatistico si accompagna un momento processuale destinato a concludersi con l’eventuale provvedimento giudiziario della omologazione. Insomma, anche gli accordi di ristrutturazione si inseriscono in un procedimento che condivide con il procedimento del concordato preventivo un ruolo di “garanzia” dell’Autorità giudiziaria e determinati effetti incidenti in modo del tutto analogo sulle posizioni di terzi. Valorizzando questo secondo elemento, parte della dottrina qualifica gli accordi in questione come “procedimenti concorsuali”, benché caratterizzati da una fase stragiudiziale che, peraltro, con la più recente riforma può essere tutelata da un provvedimento giudiziario di sospensione delle altrui iniziative esecutive e cautelari”.
[4] E v. M. ARATO, nt. 1, 7 ss.; ma anche M. SPIOTTA, nt. 1, 3, 14 e nt. 84, la quale – pur con molti caveat – si spinge a suggerire la codificazione di una definizione così concepita: «procedure che aprono il concorso, anche solo potenziale e in una posizione attiva o passiva, fra creditori, su tutti o una parte dei beni del debitore, per realizzare la garanzia patrimoniale in maniera dinamica favorendo il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale ovvero, in difetto, il proficuo avvio di una procedura liquidatoria».
[5] Osservo peraltro che l’art. 23, comma 2, lett. d) CCII pare estendere anche all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (d.lgs. n. 270/1999 e d.l. n. 347/2003 conv. In l. n. 39/2004) la qualifica di SRCI. Ma sul punto nutro molte perplessità.
[6] Cfr. M. SPIOTTA, nt. 1, 2 e 10.
[7] Sempre M. SPIOTTA, nt. 1, 4 rinviene la concorsualità in altre procedure caratterizzate da presupposti soggettivi e oggettivi ben diversi da quelli di cui ci occupiamo, come l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario (artt. 498 ss. c.c.) o l’eredità giacente (art. 530 c.c.); la limitazione del debito dell’armatore (art. 620 cod. nav.); la liquidazione delle persone giuridiche private (art. 14 disp. att. c.c.) o del patrimonio destinato (262 e 263 c.c.i.i. e artt. 155 e 156 l. fall.); la cessione dei beni ai creditori (art. 1982 c.c.); il dissesto degli enti locali (artt. 244 ss. d.lgs. n. 267/2000, t.u.e.l.);
l’accertamento e soddisfacimento dei diritti dei terzi nell’ambito dei procedimenti previsti dal cod. antimafia.
[8] Per il resto l’art. 23 sembra richiamare gli istituti presenti nel Titolo IV a cominciare dalla convenzione di moratoria ex art. 62, al piano attestato di risanamento ex art. 56, agli accordi di ristrutturazione ex artt. 57, 60 e 61, più genericamente agli SRCI disciplinati dal Codice, ma anche al concordato semplificato e all’accordo transattivo con le agenzie fiscali.
[9] E v. per esempio Cass. 12 aprile 2018, n. 9087 che non manca di qualificare gli accordi di ristrutturazione come “procedure”.
[10] E’ stato sollevato il dubbio che il piano attestato potrebbe non essere fruibile dall’impresa minore considerato che l’introduzione dell’art. 25-quater nell’ambito della disciplina della composizione negoziata per le imprese sotto soglia non fa menzione dell’istituto fra le soluzioni perseguibili all’esito delle trattative (così R. BROGI, Codice della crisi d’impresa: gli strumenti di regolazione della crisi di tipo negoziale, in il QG, 20 dicembre 2022). Mi pare tuttavia che questo presupponga che le alternative indicate nell’art. citato debbano considerarsi tassative rispetto alla loro idoneità al superamento della situazione oggettiva di crisi o insolvenza (comma 3), ma tale conclusione non mi pare suffragabile.
[11] E v. R. D’ALONZO-F. DE SANTIS, Il cd. procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in OdC, 4 ottobre 2022, 4 ss. Sui rapporti intercorrenti fra composizione negoziata e pendenza di domande di accesso a SRCI ex art. 40, 44, comma 1 lett. a, 54, comma 3, e 74 cfr. E. QUARANTA, Il rapporto tra la liquidazione giudiziale e strumenti di regolazione della crisi nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ivi, 22 settembre 2022, 10 ss.
[12] Gli artt. 120-ter e 120-quater sembrano voler dare una soluzione all’esigenza di tener conto dei diritti partecipativi del socio, pur dopo averne decretato l’espropriazione decisionale in fase di accesso allo SRCI e di approvazione del contenuto del piano, quand’anche incidente sui suoi ordinari diritti societari. Si prevede infatti: (i) la facoltà dei soci di organizzarsi in una o più classi (in quest’ultimo caso ove esistano soci muniti di diritti diversi secondo lo statuto) ovvero l’obbligo di formare le relative classi nel caso di modificazioni incidenti sui loro diritti partecipativi o in ogni caso per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, onde esprimere il proprio voto “nelle forme e nei termini previsti per l’espressione dei voti da parte dei creditori”. Senonchè nulla è precisato in merito al peso che la classe dei soci possa avere in sede di approvazione e omologazione dello SRCI; (ii) quando il concordato prevede l’attribuzione ai soci del valore risultante dalla ristrutturazione, è consentito ai soci (individualmente considerati?) di opporsi all’omologazione “al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria”. L’idea che sembra sorreggere tutto l’impianto è che a fronte della insolvenza (ma parrebbe anche della sola crisi, considerato l’ambivalente presupposto oggettivo del concordato preventivo e di altri SRCI) i doveri fiduciari degli amministratori nei confronti dei soci vengano meno a vantaggio di doveri fiduciari nei confronti dei creditori (shifting duty) e che ad ogni buon conto il tutto può misurarsi in termini patrimoniali/economici nell’attribuzione dei valori ai soci. Mi vengono in mente le parole del matematico F.P. Ramsey (riferite in un bel saggio di K.R. POPPER, Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, in Scienza e filosofia, Einaudi, Torino, 1969, 118), il quale affermava di differire dai propri amici matematici dal fatto che “do poca importanza alle dimensioni fisiche, e che ci sono qualità che mi colpiscono molto più di quanto non mi colpisca la dimensione”.