Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Amministratori e soci di società di capitali in crisi: una sintesi delle questioni intorno all’art. 120-bis CCII


Stefano Ambrosini
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Amministratori e soci di società di capitali in crisi: una sintesi delle questioni intorno all’art. 120-bis CCII


Stefano Ambrosini

Data pubblicazione
22 agosto 2025

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Sommario: 1. Premessa; 2. Cenno alla ratio legis; 3. Sintesi del dibattito dottrinale: un sistema dotato di contrappesi; 4. Ambito di applicazione della disciplina; 5. Decisioni degli amministratori sull’accesso allo strumento; 6. Segue: … e chiarimento sui poteri dei liquidatori; 7. Cenno alla posizione degli amministratori della holding; 8. La necessità della giusta causa per la revoca degli amministratori; 9. Le modifiche statutarie previste dal piano; 10. Obblighi di informazione nei confronti dei soci; 11. La presentazione di proposte concorrenti da parte dei soci.


1. Premessa

Le considerazioni esposte in questa sede, inerenti ad aspetti cruciali del nuovo diritto della crisi d’impresa, costituiscono la sintesi aggiornata dei contributi pubblicati da chi scrive sul n. 3-4/2025 di Diritto fallimentare e delle società commerciali, nonché nel Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza diretto da Alberto Maffei Alberti e Marco Speranzin (CEDAM, 2025).

Il presente saggio è quindi destinato ai lettori dell’online, la diffusione del quale ha ormai da tempo sopravanzato quella delle riviste cartacee; riviste il cui livello di approfondimento rimane peraltro, specie a fini scientifici, oggettivamente insostituibile.

 

2. Cenno alla ratio legis

Volendo premettere poche righe sulla ratio della disciplina di cui qui si tratta[1] (e segnatamente dell’art. 120-bis), giova ricordare che essa affonda notoriamente le radici nell’art. 12 della Direttiva Insolvency, là dove la norma unionale richiede agli Stati membri di impedire che i soci siano in grado di ostacolare irragionevolmente l’adozione, l’omologazione e l’attuazione di un piano di ristrutturazione. Al che si aggiunge il tenore del Considerando 96, in base al quale l’efficacia del processo di adozione e attuazione del piano di ristrutturazione non dovrebbero essere compromesse dalla disciplina di diritto societario.

Precisamente in ciò risiede allora la ragione della disposizione qui oggetto di esame: nell’intento di scongiurare condotte ostruzionistiche dei soci rispetto a un progetto di ristrutturazione dell’impresa idoneo – in thesi – a tutelare gli interessi dei creditori (e di altri stakeholders) in misura maggiore a quanto accadrebbe in caso di liquidazione giudiziale. Senza dimenticare quella correlazione fra potere e responsabilità che corrobora la scelta del legislatore di rafforzare le competenze esclusive dell’organo gestorio.

 

3. Sintesi del dibattito dottrinale: un sistema dotato di contrappesi

Il segmento della disciplina in esame, com’è noto, è particolarmente controverso in dottrina: a fronte di coloro che hanno salutato con favore le novità di tali norme e la relativa “filosofia” ispiratrice, sotto il profilo dell’efficienza e della funzionalità rispetto all’obiettivo del risanamento[2], vi è infatti chi, all’opposto, si è espresso in termini fortemente critici[3], arrivando a prospettare elementi di contrasto con la Direttiva Insolvency e vizi di incostituzionalità[4]. Ciò che non sembra revocabile in dubbio, ad ogni modo, è la valenza fortemente agevolativa della ristrutturazione, oltre al fatto che la carica innovativa che connota tali previsioni importa un mutamento di paradigma concettuale nell’analisi dei rapporti fra shareholders e management[5] all’insegna di una preminente e rafforzata protezione della continuità aziendale e dell’adeguatezza patrimoniale[6], con una oggettiva compressione dei diritti dei soci e una traslazione della loro tutela dal piano reale a quello risarcitorio[7].

Il tutto, beninteso, alla luce (e per effetto) della peculiare “curvatura” impressa alla disciplina dallo stato di crisi o di insolvenza della società, che giustifica il trattamento riservato alle varie fattispecie declinate dagli artt. 120-bis e seguenti.  Ma proprio questo assunto va sottoposto a verifica, nella misura in cui vi è chi, autorevolmente, ha formulato critiche serrate all’indirizzo di tali previsioni[8]  o ne ha addirittura messo in luce asseriti profili di contrasto con la Direttiva Insolvency, nonché, in questa e in altra prospettiva, possibili vizi di incostituzionalità[9].

Al riguardo, si è posto in luce come un’importanza centrale rivesta l’espressione “irragionevolmente”, riferita agli ostacoli che i soci (non) possono frapporre alla ristrutturazione e contenuta nel già citato art. 12 della Direttiva Insolvency: il che ai fini che ci occupano consente di ricorrere, per l’appunto, al criterio di ragionevolezza (e al principio di ragionevolezza per lo scrutinio della legittimità costituzionale) come “bussola” interpretativa di sicura utilità[10], perché le misure ritenute ragionevoli rispetto all’obiettivo perseguito dalla fonte unionale dovrebbero, come tali, andare esenti da censure.

Il discorso attiene in particolare all’accresciuta difficoltà per i soci di rimuovere gli amministratori dalla carica, ma anche ai poteri, di questi ultimi in prima battuta e del giudice in ultima istanza, di modificare lo statuto incidendo direttamente sui diritti partecipativi dei soci. E in proposito si tratta di focalizzarsi sul fatto che tale sacrificio avviene, per così dire, sull’altare del buon esito della ristrutturazione, destinato in thesi a ridondare a vantaggio non soltanto dei creditori ma anche, a determinate condizioni, della società e degli stessi soci; e soprattutto, va posta la necessaria attenzione alla circostanza che la situazione prefigurata dalle norme in esame non risulta affatto priva di “contrappesi”, vale a dire di presidi a tutela della posizione dei “proprietari” della società. Merita infatti considerare, da quest’ultimo punto di vista, che il sistema concepito dal codice della crisi consente, nell’ordine: che: (i) l’alterazione o la modificazione degli assetti proprietari sia strettamente funzionale al buon esito dell’operazione di ristrutturazione (art. 120-bis, comma 2); (ii) la riserva di ricchezza avvenga comunque nel rispetto dell’ordine di priorità delle posizioni finanziarie delle relative classi dei creditori, dovendo rimanere i soci comunque dei residual claimants (art. 120-quater); (iii) l’individuazione e la quantificazione di una siffatta ricchezza siano frutto di una negoziazione occorsa nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede; (iv) la conservazione e il coinvolgimento dei vecchi soci siano funzionali e strumentali al successo della ristrutturazione stessa da operarsi nella (sola) forma di “continuità diretta” (art. 84, comma 2); (v) la riserva di ricchezza sia limitata al solo “plusvalore da continuità” che, a propria volta, si rifletta sul “valore effettivo della partecipazione” (art. 120-quater, comma 1 e 2); (vi) in assenza, infine, di interventi e manipolazioni abusivi, in spregio alla regola della partecipazione solidaristica al risanamento della crisi e in danno tanto dei soci, quanto dei creditori medesimi[11].

A ciò si aggiunga che il rimedio dell’impugnativa della delibera consiliare ex art. 2388 c.c. deve ritenersi pienamente operante, anche perché non derogato dal codice della crisi: a tacere della sua virtuosa funzionalità alla caducazione di delibere illegittime, la conservazione delle quali non risponde evidentemente a interessi meritevoli di tutela. Impugnativa, quella in parola, che, oltre a rappresentare una prerogativa dei soci tutte le volte in cui la delibera appaia lesiva dei loro diritti, integra un potere/dovere che la norma stessa pone in capo al collegio sindacale, come tale a fortiori non obliterabile in via interpretativa.

E proprio il ruolo di vigilanza di quest’organo va tenuto in debito conto nell’ottica di delineare compiutamente il quadro dei rimedi di cui trattasi, se è vero che anche all’esercizio dei poteri sindacali è affidata la reazione a possibili abusi in danno dei soci, dalla convocazione dell’assemblea all’impugnativa di delibere consiliari fino alla denuncia di gravi irregolarità: organo di controllo - è stato giustamente precisato - “al quale ovviamente sarebbe dovuta una integrale disclosure[12].

D’altra parte - e terminando il discorso sul punto - la valenza derogatoria del regime speciale del codice della crisi incontra un limite invalicabile in quelle disposizioni che configurano come imprescindibili alcuni diritti di voice dei soci. È il caso, ad esempio, della previsione sulla trasformazione regressiva, che postula indefettibilmente il consenso del socio che per effetto di essa è destinato ad assumere la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali[13].

Senza dire del rimedio previsto dall’art. 2395 come reazione a un danno diretto ingiustamente subito dal singolo socio, quale parrebbe verificarsi tutte le volte in cui gli amministratori decidano, in legittima autonomia ma in difetto dei presupposti di legge (a cominciare ovviamente dallo stato di crisi), l’accesso a uno degli strumenti contemplati dal codice; pur nella consapevolezza delle difficoltà probatorie degli elementi costitutivi di tale responsabilità, a cominciare dal nesso eziologico fra condotta e pregiudizio[14]. E da questo punto di vista appare interessante la fattispecie di recente affrontata in giurisprudenza[15], che ha fornito l’occasione per formulare l’assunto secondo il quale i diritti sottesi all’azione ex art. 2395 – nella specie esperita da un fornitore dell’impresa in crisi – vanno contemperati con i doveri di solidarietà posti in capo a tutti i creditori.

Alla stregua dei rilievi che precedono si evince che l’assetto ordinamentale nel suo complesso è tutt’altro che privo di meccanismi di bilanciamento fra le istanze della ristrutturazione (e quindi in primo luogo dei creditori, stante la regola di non deteriorità rispetto alla liquidazione giudiziale) e quelle dei soci. Un bilanciamento diseguale, certo, com’è probabilmente logico che sia in virtù della prioritaria tutela dell’interesse alla ristrutturazione, ma non per questo irragionevole.

E ciò tanto più in quanto alle rafforzate prerogative dell’organo gestorio corrisponde la responsabilità del medesimo nel caso in cui non venga fatto ricorso – e comunque non tempestivamente – a uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza, dal momento che l’assemblea dei soci è, per definizione, organo irresponsabile e che nessun socio (a meno che sia qualificabile come amministratore di fatto) può essere accusato di concorso nell’aggravamento del dissesto: responsabilità a cui può aggiungersi quella del collegio sindacale, oltre tutto legittimato in via autonoma, ex art. 37, c. 2, a proporre la domanda di apertura della liquidazione giudiziale; sicché il potere esclusivo degli amministratori ex art. 120-bis, c.1, sembra trovare, da questo punto di vista, ulteriore giustificazione.  

D’altronde, per effetto della disciplina di cui trattasi (e in particolare di quella sul concordato con attribuzioni ai soci ex art. 120-quater) si registra il passaggio da una concezione proprietaria, e quindi statica, della partecipazione sociale al dinamismo di una posizione che finisce per diventare essa stessa strumento della ristrutturazione, nel quadro della sancita “concorsualizzazione” dei rimedi a tutela dei soci[16] e all’insegna - com’è stato osservato - del necessario rispetto da parte dei soci stessi, alla stregua di quanto sancito dal ridetto art. 120-quater, di un “principio di sacrificio solidale partecipativo”[17].

Di tal che pare arduo, all’interno della cornice fin qui tratteggiata (caratterizzata da un obiettivo quanto consapevole sovvertimento dei paradigmi tradizionali), cogliere profili di irragionevolezza così flagrante da configurare altrettanti momenti di diretto contrasto con l’ordinamento unionale o il dettato costituzionale, trattandosi di scelte di politica legislativa coperte (ancorché non necessitate) dalla Direttiva[18].

In definitiva, è dubbio che le reiterate critiche mosse da alcuni sotto il profilo della pretesa illegittimità della disciplina in esame[19] colgano pienamente nel segno, apparendo inidonee a minare alle fondamenta - come invece vorrebbero - il sistema giuridico (e il relativo assetto di interessi) che il legislatore del codice ha inteso, seppur in modo - va detto - non sempre lineare e puntuale, costruire.


4. Ambito di applicazione della disciplina 

Il primo comma dell’art. 120-bis si riferisce all’accesso a uno “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, la cui definizione è fornita dall’art. 2, c. 1, lett. m-bis). Da ciò deriva che la disciplina dell’art. 120-bis - ed anche delle disposizioni seguenti - non si applica alla liquidazione giudiziale né alla liquidazione controllata, ma neppure alla composizione negoziata, che di tali strumenti non fa parte[20].

Per effetto dell’integrazione apportata dal decreto correttivo del 2024, poi, la previsione trova applicazione anche alle ipotesi in cui lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza sia presentato con riserva di deposito della proposta, anche se già in precedenza l’opinione prevalente era orientata in tal senso[21].

Non paiono esservi dubbi, inoltre, circa il fatto che il carattere generico dell’indicazione normativa conduca a ricomprendervi tanto gli strumenti che perseguono l’obiettivo della continuità aziendale quanto quelli di natura e contenuto prettamente liquidatori. E difatti la giurisprudenza ha chiarito che la norma è applicabile anche al concordato semplificato, cosicché il controllo sulla ritualità della proposta richiesto dall’art. 25 sexies, co. 3, ha ad oggetto la verifica della competenza del giudice, l’iscrizione nel registro delle imprese del debitore, la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, la completezza della documentazione ex art. 39 e la tempestività della domanda, nonché, qualora il debitore sia una società, la sottoscrizione della proposta da parte di un suo legale rappresentante[22].

Quanto a possibili distinzioni a seconda dei tipi societari, i commi primi, terzo e quarto dell’articolo in esame si riferiscono genericamente agli amministratori di società, senza menzione di singoli tipi. E se a ciò si aggiunge che l’ultimo comma, al pari dell’ultimo comma dell’art. 120-ter, estendono lo spettro applicativo delle rispettive previsioni al di fuori dei confini dell’ambito societario deve concludersi, a fortiori, che non sussistono limitazioni relativamente a determinati tipi di società e che si tratti pertanto di norma transtipica[23].

La rubrica della norma, infine, è riferita esclusivamente agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società. Nondimeno, l’ultimo comma precisa che le disposizioni ivi contenute si applicano anche - seppur solo in quanto compatibili - agli imprenditori collettivi diversi dalle società. Ne consegue che nel predetto ambito devono ritenersi ricompresi: i) le associazioni, nella quali la presenza di uno scopo associativo di tipo ideale e il divieto di distribuire eventuali avanzi di gestione tra i soci non impedisce la possibile qualificazione come impresa di un'attività esercitata da questi enti; ii) i consorzi con attività esterna, costituiti da più imprenditori per la disciplina o lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese; iii) i Gruppi Europei di Interesse Economico (GEIE), organismi di servizio introdotti da un regolamento comunitario analogo al consorzio e dal quale si differenziano soprattutto per il fatto di non essere riservati ai soli imprenditori, ma a qualsiasi operatore economico[24]

 

5. Decisioni degli amministratori sull’accesso allo strumento

Il primo comma della norma in esame, come già ricordato, attribuisce il potere decisionale di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza in via esclusiva agli amministratori (nonché, come si dirà fra breve, ai liquidatori). Ciò comporta un significativo rafforzamento delle prerogative dell’organo gestorio a scapito di quelle proprie dell’organo assembleare[25], tanto più che la norma stabilisce che spetta al primo pure la determinazione del contenuto della proposta e delle condizioni del piano.  

Anche con riferimento alla delega di prerogative assembleari si è a suo tempo parlato di “riallocazione di competenze”[26], ma in questo caso essa ha carattere privativo, nella misura in cui la competenza dei soci viene meno a favore di quella degli amministratori[27]: e questa etero-allocazione “espropriativa” dei diritti corporativi[28] trova conferma nel fatto che il potere in questione non è solo esclusivo ma anche inderogabile[29] e come tale non comprimibile ad opera dello statuto, né tantomeno da delibere assembleari ad hoc.

Ne consegue che non risulta più possibile configurare una clausola statutaria che attribuisca ai soci la decisione circa la scelta dello strumento adottabile per fronteggiare la crisi, contrariamente a quanto invece continua ad essere possibile in materia di concordato nella liquidazione giudiziale[30], né altre clausole che abbiano l’effetto di svuotare il precetto della competenza esclusiva degli amministratori. Al riguardo, si è osservato come tale deroga negli statuti societari sia comunque stata, a ben vedere, di scarsa applicazione e ciò perché, in sede di costituzione, difficilmente si pensa ad un futuro stato di crisi della società che sta nascendo (si segnala sul punto che, in occasione di alcune operazioni sul capitale di società in crisi, è stata inserita la clausola derogatoria al solo scopo di consentire al socio pubblico di minoranza una maggiore possibilità di controllo)[31].

In tema di accordi di ristrutturazione, la giurisprudenza ha affermato che il ricorso per omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, proposto da società in liquidazione, va supportato dalla determina dell’organo liquidatorio della società nelle forme previste dall’art. 120-bis CCII, evidenziandosi al riguardo che l’attuale formulazione di tale articolo (come modificata dal D.Lgs. n. 136/24, con previsione applicabile anche alle procedure pendenti) ha definitivamente risolto i dubbi se sia sufficiente la determina dell’organo di liquidazione, od occorra il conferimento del relativo potere da parte dell’assemblea, optando per la prima soluzione (con conseguente equiparazione dei liquidatori agli amministratori)[32].

In base a quanto precede, dunque, risulta definitivamente sancito il tramonto, in materia di crisi dell’impresa societaria, della c.d. shareholder’s primacy, anche perché con il manifestarsi della crisi i doveri degli amministratori sono rivolti, più ancora che ai soci, ai creditori e agli altri stakeholders. Conclusione, questa, che trova ulteriore, plastica conferma nel disposto dell’art. 120-quinquies, c. 1, ai sensi del quale la sentenza di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza “determina” qualsiasi modifica statutaria prevista dal piano, incluse quelle che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci[33] e “tiene luogo” delle delibere aventi ad oggetto operazioni straordinarie, nel senso che le sostituisce e ne produce gli effetti. E ciò tanto più se si ritiene che nel perimetro delle modifiche statutarie di competenza degli amministratori ricadano non solo quelle strettamente necessarie al piano, ma anche quelle utili alla sua miglior esecuzione[34].

 

6.  Segue: … e chiarimento sui poteri dei liquidatori

I medesimi poteri attribuiti in via esclusiva e inderogabile agli amministratori sono ora riconosciuti, per effetto del decreto correttivo del 2024, anche ai liquidatori: e la scelta appare corretta, nella misura in cui la ratio legis risulta oggettivamente comune a entrambe le situazioni.

Resta ferma la possibilità che la revoca sia disposta, ai sensi dell’art. 2487, c. 4, c.c., dal tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero, anche perché la norma civilistica prescrive a sua volta la sussistenza di una giusta causa.

Residua tuttavia il dubbio se la previsione dell’art. 120-bis, c. 1, CCII, si riferisca solo a strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza di carattere liquidatorio, o se ai liquidatori sia consentito il perseguimento dell’obiettivo della continuità aziendale, nel qual caso dovrebbe ritenersi loro attribuito (implicitamente) anche il potere di revocare lo stato di liquidazione, che non sarebbe quindi più esercitato dall’assemblea[35].

Quel che è certo, i liquidatori, per potersi attivare ai fini dell’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, devono già essere stati nominati dall’assemblea dei soci, ovvero dal tribunale nell’ipotesi di cui all’art. 2487, c. 2, c.c., e devono aver accettato la designazione.

 

7. Cenno alla posizione degli amministratori della holding

Nel caso in cui la società in crisi o insolvente faccia parte di un gruppo di imprese si pone naturaliter il tema del rapporto fra l’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e l’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla holding [36].

A tutta prima si potrebbe pensare che ciò rientri sic et simpliciter nel perimetro dell’attività di direzione e coordinamento e che, quindi, la decisione circa l’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza competa agli amministratori della holding, tanto più quando si opti per la presentazione di un unico ricorso e di un piano unitario (con allegazione del bilancio consolidato) ai sensi, rispettivamente, dei commi primo e quarto dell’art. 284 CCII.

In realtà, questa norma si riferisce espressamente, al primo comma, a “più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo”, attribuendo loro la facoltà di presentare un ricorso unico e un piano unitario. Ciò sembra deporre nel senso che il potere di assumere tale decisione vada pur sempre attribuito all’organo gestorio di ciascuna società del gruppo: e del resto, ove il legislatore del codice della crisi avesse voluto annettere tale prerogativa alla holding, lo avrebbe verosimilmente fatto ex professo, stanti la delicatezza e l’invasività di una decisione del genere.

Sebbene quindi possano senz’altro esservi esigenze di “politica di gruppo” nell’affrontare la crisi o l’insolvenza, specie se tali condizioni siano comuni, come di regola accade, a più componenti del gruppo[37], non pare che, di fronte al dettato normativo di cui al combinato disposto degli artt. 120-bis e 284, la decisione se accedere a uno degli strumenti in questione e quale di essi adottare possa essere imposta dagli amministratori della capogruppo[38], giacché per l’appunto essa pertiene in via esclusiva agli amministratori delle singole società interessate dalla situazione di crisi o di insolvenza. Ferma, naturalmente, la possibilità per la holding di addivenire alla revoca degli amministratori non allineati alle sue indicazioni, beninteso al cospetto dell’indefettibile condizione della giusta causa: con la precisazione che il disallineamento da tali indicazioni non integra di per sé una giusta causa di revoca, se non quando gli amministratori della società controllata si rifiutino irragionevolmente (e illegittimamente) di accedere a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ancorché le circostanze lo richiedano, dovendo in tal caso scongiurarsi i rischi di aggravamento del dissesto di quella specifica società e di contagio alle altre entità del gruppo.

Non pare infine fondatamente predicabile la soluzione opposta, vale a dire la pretesa attitudine dell’art. 120-bis di sterilizzare, sotto il profilo che ci occupa, l’attività di direzione e coordinamento. Ed invero, a tale conclusione non consentono di addivenire né il diritto positivo (non essendovi deroghe di sorta all’art. 2497), né un insussistente principio di incompatibilità tra le due previsioni in parola, dovendosi piuttosto concludere nel senso di una loro necessitata (e dialettica) convivenza, senza che nessuna delle due appaia dotata della forza di prevalere sull’altra, escludendone l’operatività[39].

La delicatezza del tema, oggetto qui di un semplice accenno, merita comunque maggior approfondimento in una sede successiva.


8. La necessità della giusta causa per la revoca degli amministratori

Il co. 4 dell'art. 120-bis ha introdotto una previsione volta ad impedire ai soci – che oltre tutto potrebbero non avere più interesse nella società - di ostacolare l'attuazione di uno degli strumenti di regolazione della crisi, stabilendo l'impossibilità per costoro di revocare gli amministratori senza giusta causa (come accade per i sindaci nelle società per azioni). Il che si pone in linea con l'obbligo gravante in capo all'organo gestorio di accedere ad uno degli istituti previsti dal codice della crisi e dell'insolvenza nelle ipotesi in cui l'impresa risulti in stato di crisi e, a fortiori, di insolvenza.

Il CCII, insomma, blinda gli amministratori[40], statuendo che non costituisce giusta causa di revoca la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza in presenza delle condizioni di legge[41]. Si amplifica così il distacco dell'organo di gestione della società dalla proprietà del capitale, incentivandosi l'allineamento del primo alla missione del conseguimento prioritario dell'interesse dei creditori sociali, assegnatagli dall'art. 4, co. 2, lett. c), CCII[42].

Sotto il profilo procedurale viene in evidenza la necessità che la deliberazione di revoca sia approvata con decreto dalla sezione specializzata del tribunale delle imprese competente, sentiti gli interessati. In tale sede, il controllo che il tribunale è chiamato a svolgere non ha carattere meramente estrinseco ma è finalizzato a una valutazione di merito della delibera assunta, potendo sindacarne il contenuto sotto il profilo della legittimità delle condotte della compagine sociale e amministrativa[43]. In tal modo, la disciplina di questa peculiare ipotesi di revoca degli amministratori viene ad essere sostanzialmente assimilata – lo si diceva – a quella dei sindaci[44], all'insegna di una rafforzata stabilità della carica nell'ottica di rendere i gestori della società per quanto possibile indipendenti, rispetto alla decisione di cui trattasi, dal gruppo di comando che li ha nominati.

Nonostante la portata oggettivamente innovativa della previsione in commento, una parte della giurisprudenza non sembra denotarne piena consapevolezza. Con riferimento all’efficacia della delibera di revoca, ad esempio, si è affermato che essa “è da considerarsi immediatamente efficace, benché sottoposta all’approvazione del Tribunale delle imprese, non venendo in questione il diverso istituto della prorogatio del precedente organo amministrativo e producendo il contratto concluso tra la società e gli amministratori i propri effetti sin dal momento della sua conclusione, anche riguardo ai profili legati alla rappresentanza”[45]. In altra pronuncia si è ritenuto che l’art. 120-bis, comma 4°, CCII non introduca alcuna deroga al principio generale nella parte in cui dispone che “dalla iscrizione della decisione nel registro delle imprese e fino alla omologazione, la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa: la stessa disposizione in esame, per come formulata, si limita a sancire semplicemente l’inefficacia ex tunc della delibera soltanto nel caso in cui la stessa, all’esito del procedimento di omologazione, risulti viziata dall’assenza di giusta causa”[46]. In altri termini, la norma, lungi dall’introdurre una speciale condizione sospensiva di efficacia della delibera, si limiterebbe, secondo tale prospettazione, a precisare la retroattività degli effetti dell’eventuale rigetto della domanda di omologa.

La dottrina, di contro, ha correttamente posto in luce che il comma 4° dell’art. 120-bis CCII, in maniera innovativa rispetto alla comune disciplina del rapporto gestorio, assume la necessità dell’intervento del tribunale, “tanto da escludere che, come avviene in assenza del decreto di cui all’art. 2400 c.c., l’assemblea possa, da subito, con la revoca dell’amministratore nominarne altri in sostituzione (per cui ogni questione connessa alla prorogatio o alla natura del contratto resta ultronea e non influente), e tanto con immediata efficacia o effetti”[47].

In senso contrario rispetto alle anzidette letture restrittive, deve invece ritenersi che il principio della irrevocabilità degli amministratori se non per giusta causa appare dotato di una «forza espansiva» tale da ricomprendere, vietandole implicitamente, manovre dei soci dirette a perseguire lo scopo proibito dalla norma. Ci si riferisce, ad esempio, a quelle delibere assembleari che, all’evidente fine di aggirare le preclusioni di legge, mirino ad alterare la composizione del consiglio di amministrazione, aumentandone il numero di componenti (all’interno del range previsto dallo statuto sociale o addirittura modificando quest’ultimo) onde poter mutare gli equilibri (e in ipotesi le maggioranze) venutesi a creare all’atto in cui gli amministratori hanno deciso di accedere a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza.

D’altra parte, non sembra potersi negare la ricorrenza di una giusta causa ogniqualvolta i soci invochino (e dimostrino) la mancanza dei presupposti in questione (a cominciare dallo stato di crisi), ovvero la manifesta irragionevolezza della scelta degli amministratori rispetto allo strumento di risoluzione della crisi o dell’insolvenza concretamente adottato o al contenuto del piano.

Ciò non esclude che – ad esempio con riferimento alla scelta sul tipo di strumento – la deliberazione possa essere contestata con l’esercizio di un’azione di responsabilità che resta prerogativa della società (artt. 2393 e 2476 c.c.), anche se in tal caso l’esercizio dell’azione non determina la revoca “incidentale” di cui all’art. 2393, c. 5[48].

Parrebbe invece meno agevole contestare l’operatività della clausola simul stabunt, simul cadent, in ipotesi presente nello statuto, trattandosi di fenomeno oggettivamente diverso dalla revoca, ancorché potenzialmente idoneo a produrre, per altra via, effetti analoghi.  

 

9. Le modifiche statutarie previste dal piano

Il secondo comma dell’art. 120-bis sancisce la possibilità che, ai fini del buon esito della ristrutturazione, il piano preveda “qualsiasi modifica dello statuto della società debitrice”; e il decreto correttivo del 2024 ha in proposito precisato che il riferimento è anche al piano che sia stato in ipotesi modificato prima dell’omologazione.

La norma soggiunge opportunamente che nell’espressione che precede vanno ricompresi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.

L’elencazione non è evidentemente tassativa, come denota il ricorso all’espressione “altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci”, che volutamente allude a situazioni non prefigurate dalla norma, quale ad esempio la cessione dell’intero compendio aziendale, ovvero di alcuni degli asset strategici dell’impresa[49].

Nel sistema attuale dunque, com’è stato posto in evidenza[50], risulta definitivamente superato il principio di neutralità organizzativa delle procedure concorsuali, data la possibilità per gli amministratori di modificare l’organizzazione societaria e di incidere sulla partecipazione dei soci sino al punto di estrometterli totalmente dalla compagine sociale (soprattutto attraverso aumenti a pagamento senza diritto di opzione).

Dal raffronto con il precetto contenuto nel primo comma, di carattere imperativo, si evince peraltro che in questo caso il legislatore ha inteso configurare una semplice facoltà, da parte del debitore, di inserire nel piano i suddetti interventi modificativi dello statuto. Ne deriva, secondo alcuni, la legittimità di una clausola statutaria di opt-out rispetto al regime del 2° comma dell'art. 120-bis, diretta a escludere che gli amministratori possano proporre all'interno di un piano concordatario (o legato ad altro strumento di regolazione) modificazioni statutarie destinate ad essere approvate non dai soci ma dal tribunale con l'omologazione. A tale conclusione conduce in particolare, secondo questa impostazione, il rilievo che i poteri degli amministratori nella formulazione del piano, precisati dal 2° comma dell'art. 120-bis, non sono posti da norma inderogabile, a differenza di quella del 1° comma.

Resta tuttavia il dubbio sulla compatibilità di una clausola come quella descritta rispetto alla necessità che gli amministratori della società debitrice siano realmente messi in condizione di optare per la redazione di un piano con valenza modificativa dello statuto: opzione che sarebbe esclusa in radice da una previsione statutaria siffatta, la cui ammissibilità potrebbe forse ritenersi, da questo punto di vista, contra rationem legis.

 

10. Obblighi di informazione nei confronti dei soci

Il terzo comma dell’articolo qui in commento sancisce l’esistenza, in capo agli amministratori, di un duplice obbligo: (i) quello di informare i soci dell'avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza; (ii) e quello di riferire loro periodicamente circa l’andamento del percorso prescelto.

L’esigenza di effettività del diritto riconosciuto ai soci impone che l’obbligo informativo di cui trattasi sia adempiuto tempestivamente, mentre a rigore non è previsto che ciò debba avvenire preventivamente rispetto all’adozione della decisione di cui al secondo comma. In dottrina si è affermato che nelle società di capitali dovrebbe esigersi la tempestiva convocazione dell’assemblea, potendo non essere sufficiente la mera comunicazione del verbale con mezzi di comunicazione elettronica, che non consentirebbero i dovuti approfondimenti in assemblea, ove ciascun socio ha il diritto di avanzare le opportune richieste di chiarimenti agli amministratori[51].

Tenuto conto della notevole laconicità del dettato normativo, gli statuti potrebbero intervenire integrandone la disciplina, specificando l’ampiezza dell’informazione da fornire e la relativa cadenza periodica, ampliando i doveri informativi legali, persino anticipandoli alla prima rilevazione di segnali di una situazione di crisi e non già all’intervenuta decisione sull’accesso ad uno strumento[52].

In ragione della legittimazione ad avanzare proposte concorrenti ai sensi del comma 5 (su cui v. il successivo e ultimo paragrafo), si ritiene che l’informazione non debba limitarsi alla mera comunicazione di quanto è (in corso di venir) pubblicato nel registro delle imprese (ai sensi del 1° comma dell’art. 120-bis), dovendo essere illustrati i contenuti della proposta e del piano dello strumento cui gli amministratori hanno inteso far accesso; con la precisazione che i soci hanno comunque diritto di richiedere al commissario giudiziale le relative informazioni su proposta e piano (ex art. 92, 3° comma, CCI)[53].

 

11. La presentazione di proposte concorrenti da parte dei soci

In funzione di contrappeso rispetto all’avvenuta sottrazione all’assemblea delle importanti competenze di cui si diceva, il legislatore ha previsto, al penultimo comma della disposizione in esame, la legittimazione dei soci alla presentazione di proposte concorrenti ex art. 90. Non si tratta di una legittimazione individuale data la prescritta soglia del dieci per cento, a meno che evidentemente vi siano uno o più soci che raggiungono detta percentuale di capitale. La domanda con cui è formulata la proposta dev’essere sottoscritta da ciascuno dei soci che intende avanzarla.

La ratio della previsione appare perspicua, essendosi inteso attribuire ai soci uno strumento di reazione dinanzi a soluzioni ritenute dagli stessi eccessivamente penalizzanti o, comunque, subottimali. Ben potrà trattarsi – si è osservato – di soci “non contenti” di un piano di concordato che non riservi loro una parte del valore della ristrutturazione o che ne riservi una porzione da essi ritenuta insufficiente[54].

Tale facoltà si presta a essere letta nell’ottica della tradizionale dialettica tra maggioranza e minoranza, potendo quindi essere considerata alla stregua diritto spettante alle minoranze qualificate.  Si è peraltro osservato come non possa escludersi che, nei contesti di crisi, emerga una frattura ancora più radicale, perché collocata non all’interno della compagine sociale, bensì tra i soci nel loro complesso e gli amministratori, atteso che questi ultimi, nella gestione della crisi, possono prescindere dal sostegno della maggioranza, essendo immuni da revoca, salvo che sussista una giusta causa accertata dal tribunale[55]. 

Inoltre, benché l’art. 120-bis, 5° comma, diversamente dall’art. 90, 1° comma, non faccia espresso riferimento agli acquisti effettuati anche successivamente all’apertura del concorso, non pare esservi ragione per distinguere, sotto il profilo in esame, la posizione del creditore da quella del socio. Pertanto, la legittimazione alla presentazione della proposta concorrente deve riconoscersi non solo a chi abbia acquisito la sufficiente quantità di crediti successivamente all’accesso del debitore al concordato, ma anche a coloro che siano divenuti soci qualificati solo in costanza di procedura[56].

La sussistenza del requisito di socio qualificato deve verificarsi al momento della presentazione della proposta concorrente. È invece controverso se debba altresì permanere successivamente e, in particolare, se vada conservato fino all’omologazione. Pur nella consapevolezza dell’oggettiva opinabilità della questione (anche per assenza di indicazioni normative al riguardo), la soluzione affermativa sembrerebbe preferibile, potendosi probabilmente applicare in via analogica la regola di cui all’art. 2378, 2° comma, c.c. secondo la quale gli impugnanti la delibera assembleare di società azionaria devono conservare il numero di azioni di cui all’art. 2377, 3° comma, c.c. sino all’esito della lite[57].

In presenza di una proposta concorrente dei soci, poi, è obbligatoria la suddivisione in classi dei creditori del concordato nonché dei soci stessi ai sensi dell'art. 120-ter, 1° comma, affinché anch'essi possano esprimere il voto sulla proposta[58]. Con riguardo al contenuto della proposta, il silenzio della legge depone nel senso della possibilità di determinarlo liberamente, sicché risulta configurabile una proposta concorrente che abbia ad oggetto un piano liquidatorio, anche se la proposta originaria, ad esempio, prevedeva la continuità aziendale.

Va infine evidenziato che il diritto attribuito ai soci interessati a presentare una proposta concorrente, verosimilmente espressione di una minoranza, appare destinato a scontrarsi con l'eventualità, tutt'altro che remota, che gli stessi possano non essere in grado di acquisire una conoscenza della situazione patrimoniale della situazione patrimoniale della società. A tale asimmetria informativa, secondo l'opinione accolta in dottrina, porrebbe rimedio la previsione di cui all'art. 92 CCII, ancorché non espressamente richiamata, statuente il diritto di accesso alle informazioni, riconosciuto dal terzo comma della norma[59]: sicché, attraverso un'interpretazione estensiva, per non dire ortopedica, i soci sarebbero destinatari del diritto all'informazione (imprescindibile) per poter esercitare la facoltà di reazione offerta loro dal co. 5 dell'art. 120-bis CCII[60]. Secondo altra opinione, si potrebbe ipotizzare che il legislatore abbia voluto introdurre un vero e proprio diritto soggettivo dei soci a essere informati, come tale tutelabile dai soci stessi anche ex art. 700 c.p.c.; diritto soggettivo funzionale, anche ma non solo, alla presentazione di eventuali proposte concorrenti[61].



[1] Ex aliis, da ultimo, S. Ambrosini, Profili societari degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Pacchi, S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, Bologna, 2025, 388 ss.; amplius, in precedenza, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, in Riv. soc., 2022, 1271 ss.; L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Riv. dir. soc., 2020, 297 ss.; R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Società, 2023, 1138 ss.; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 settembre 2022; G. Scognamiglio, F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in Nuovo dir. soc., 2022, 1171 ss.; N. Michieli, Il ruolo dell'assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell'impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, in Riv. soc., 2022, I, 843 ss., nonché, più di recente, N. De Luca, Sull’art. 120 bis CCII. Ossia sul nuovo rapporto tra soci e amministratori di società in crisi, inM. Irrera, S.A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, II, Bologna, 2024, 1953 ss.; E. La Marca, La partecipazione nelle società in crisi: problemi di governance e meccanismi di tutela (anche alla luce del “Correttivo-ter”),in Giur. Comm., 2024, I, 1173 ss.; C. Vasta, I rapporti tra gli amministratori e l’assemblea dei soci nella nuova disciplina del CCII, in Giur. Comm., 2024, I, 1011 ss.; P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo: il punto (storico e prospettico) sul diritto societario della crisi, in Proc. conc. cr. impr., 2025, 91 ss.; nonché, da ultimo, O. Cagnasso, Gli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), in Crisi d'impresa e procedure concorsuali, Torino, 2025, 2029 ss.; G. Mucciarone, Accesso delle società ad uno strumento di regolazione della crisi: poteri degli amministratori, interesse sociale e tutela dei creditori, in F. Lamanna (a cura di), Società e soci nel Codice della crisi d'impresa, Milano, 2025, 279 ss.; F. Grieco, Il ruolo degli amministratori nella gestione della crisi ex art. 120 – bis CCII, ivi, 519 ss.; F. Guerrera, Il sistema di tutela dei soci e degli investitori negli strumenti di regolazione della crisi, e dell’insolvenza: uno sguardo di assieme e alcune riflessioni, in Dir. Fall., 2025, I, 480 ss.

[2] L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, cit., 295 ss.; Ferri jr.Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, I, 531 ss.

[3] G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d'impresa e dell'insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in Riv. soc. 2022, 1149 ss.; Id, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Tra fratture e modernizzazione del diritto societario (capitale sociale adieu?), in AGE, 2023, 5 ss.; N. De Luca, Sull’art. 120 bis CCII,cit., 1960.

[4]  A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 11 ottobre 2022, 15.

[5] F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi, cit., 1271 ss.

[6] Il riferimento è al saggio di G. B. Portale, Il codice italiano della crisi d'impresa e dell'insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in Riv. soc., 2022, 1153, il quale osserva: “fin dall'inizio il «patrimonio» (dunque: il c.d. patrimonio netto destinato all'impresa societaria) non deve essere manifestamente inadeguato. In altri termini: il rilievo che in passato si è tentato di attribuire al capitale sociale oggi deve essere riconosciuto al «patrimonio netto»”.

[7] P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo, cit., 98.

[8] G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 1149 ss.

[9] A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 15.

[10] In senso analogo P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione. Note minime a margine dell'art. 120 bis del Codice della crisi, in Dir. fall., 2023, I, 500, il quale tuttavia ne fa derivare la fondatezza, per vero dubbia, di un’interpretazione restrittiva della disciplina ogniqualvolta essa comporti una compressione dei diritti dei soci.

[11] Così P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”, cit., 15.

[12] P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 504.

[13] O. Cagnasso, C.F. Giuliani, G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, in Società, 2023, 996.

[14] P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 508.

[15] Trib. di Brescia, 13 gennaio 2025, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5 febbraio 2025.

[16] Da ultimo, sul punto, S. Ambrosini, Breve appunto sul bilanciamento degli interessi nel novellato art. 116 CCII, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 gennaio 2025, 3 s.

[17] P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”, cit., 30.

[18] P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 498.

[19] A. Nigro, Qualità della legislazione e Codice della crisi: considerazioni critiche e qualche puntualizzazione in tema di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Dirittodellacrisi.it, 28 novembre 2024, 7.

[20] Conforme P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo, cit., 94.

[21] Contra, prima del Correttivo, Trib. Mantova. 22 marzo 2023, in OneLegale, che aveva affermato che la domanda di concordato con riserva potesse essere validamente presentata senza la determina dell’organo amministrativo, trovando applicazione la prescrizione dell’art. 120-bis, 1° co., solo al momento del completamento della domanda con il deposito della proposta di concordato e del relativo piano.

[22] Trib. Parma 12 luglio 2023, in Fall., 2023, 1463.

[23] O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, in Società, 2023, 240.

[24] Così F. Iozzo, C. Scribano, Sub art. 120-bis, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve alle leggi su crisi di impresa e insolvenza, Padova, 2023, 882.

[25]  In luogo di altri, anche per riferimenti, F. Briolini, I conflitti tra amministratori e soci in sede di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Prime riflessioni, in Nuovo dir. soc., 2023, 5 ss.; N. Michieli, Il ruolo dell'assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell'impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, cit., 843 ss.

[26] S. A. Cerrato, Le deleghe di competenze assembleari nelle società per azioni, Milano, 2009, 135.

[27] O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, cit., 244.

[28] P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo, cit., 94.

[29] N. De Luca, Sull’art. 120 bis CCII,cit., 1957 ss.

[30] Cfr. S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell'impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall. 2022, I, 843, richiamato da A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit.

[31] Così F. Iozzo, C. Scribano, op. cit., 882.

[32] Trib. Verona, 12 dicembre 2024, in IlCaso.it.

[33] Sul punto, cfr., ex aliis, N. De Luca, Sull’art. 120 bis CCII,cit., 1953 ss.

[34] O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, cit., 246. E sul perimetro delle modifiche statutarie cui si estende la competenza esclusiva degli amministratori v. Id, Gli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società, cit., 2050 ss.

[35] In questo secondo senso, infatti, P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo, cit., 95.

[36] In argomento, tra gli altri, F. Guerrera, Assetti organizzativi di gruppo e prevenzione delle crisi, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 settembre 2024; N. Abriani, Crisi e ristrutturazioni dei gruppi di impresa, in corso di pubblicazione su Dir. fall., I, 2025.

[37] Sul tema, già nel vigore della legge fallimentare, M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi di impresa nei gruppi di società, in M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, Società, Banche e Crisi d’impresa Liber amicorum Pietro Abbadessa, III, Torino, 2014, 2709 ss., citato anche da O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, cit., 243.

[38] In senso contrario pare invece orientato O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, cit., 243; critico in ordine allo “sbilanciamento” dei poteri in capo all’organo gestorio della holding F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi, cit., 1271 ss.

[39] E in argomento v. anche N. Abriani, Crisi e ristrutturazioni dei gruppi di impresa, cit.

[40] L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, cit., 313.

[41] A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in S. Ambrosini (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo codice. Commento tematico ai dd.lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, Bologna, 2022, 1063; S. Ambrosini, Profili societari degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 388.

[42] F. Iozzo, C. Scribano, op. cit.,886.

[43] Trib. L’Aquila 18 aprile 2023, in Dir. fall., 2024, II, 376,connota di Viola.

[44] Cfr. S. Ambrosini, Collegio sindacale: nomina, composizione e funzionamento,in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale,IV, 1, 2010, Padova, 742 ss., richiamato anche da G. Fauceglia, Osservazioni sull’art. 120 bis, comma 4°, CCII e su qualche pericolosa aporia interpretativa, in Dir. fall., 2025, I, 32 (una prima versione del cui contributo è apparsa in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 18 dicembre 2024).

[45] Trib. L’Aquila, 18 aprile 2023, in Dir. fall., 2024, II, 376, nt. Viola.

[46] Trib. Roma, 17 settembre 2024, inedita.

[47] Così G. Fauceglia, Osservazioni sull’art. 120 bis, comma 4°, CCII e su qualche pericolosa aporia interpretativa, cit., 32; nello stesso senso già O. Cagnasso, C.F. Giuliani, G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, cit., 984.

[48] M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza,2024, 259. Sul tema, in epoca anteriore alla riforma del diritto societario, cfr. A Jorio, Ancora sulla revoca automatica dei sindaci, in Giur. comm., 1998, II, 75 ss.

[49] M. S. Spolidoro, I soci dopo l'accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Riv. soc., 2022, 1254 ss.

[50] N. De Luca, Sull’art. 120 bis CCII,cit., 1959.

[51] P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 503.

[52] O. Cagnasso, L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società: la posizione degli amministratori, in Dirittodellacrisi.it, 1° febbraio 2023, 13; F. Briolini, in Nuovo dir. soc., 2023, 19 s.; contra, parrebbe, L. Panzani, E. La Marca, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte con l’attuazione della Direttiva Insolvency, ivi, 2022, 1501; P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 503.

[53] Cfr. G. Scognamiglio, F. Viola, in Nuovo dir. soc., 2022, 1179, nt. 31; L. Panzani, E. La Marca, Nuovo dir. soc., 2023, 1502, nt. 78; P. M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione, cit., 504.

[54] G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino, 2024, 177.

[55] M. Aiello, Le nuove proposte e offerte concorrenti, Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 15 gennaio 2024, 15.

[56] M. Aiello, ibidem.

[57] Cfr. D. GriffiniLe proposte concorrenti di concordato preventivo, in Giur. it., 2017, 263, nt. 11.

[58] Cfr. N. De Luca, cit., 1973, il quale rileva che i soci hanno inoltre diritto ad opporsi anche ad eventuali proposte concorrenti ulteriori, spiegate da altri soci o da creditori quando queste risultino pregiudizievoli nei loro riguardi e, più precisamente, quando dalla proposta risulti che il tratta­mento loro riservato sia inferiore rispetto a quello che riceverebbero nel caso in cui si procedesse alla liquidazione della società (art. 120-quater, 3° comma)

[59] Fra i primissimi a porlo in evidenza S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell'impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall. 2022, I, 843, richiamato da A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Società, 2022, 946.

[60] A. Rossi, ivi, 954.

[61] Cfr. R. Guidotti, op. cit., 14.