, 02 ottobre 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa. – 2. “Sostenibile” come aggettivo giuridico del credito. – 3. Il diritto della crisi come diritto della continuità. – 4. Gli “strumenti” della crisi e il finanziamento sostenibile. – 5. Convergenze e differenze tra gli strumenti. – 6. Il correttivo 2024: ciò che cambia per le banche. – 7. Gli standard di comportamento nel rapporto banca–impresa. – 8.L’incontro tra finanza sostenibile e composizione negoziata. – 9. Una griglia giuridica per “piani ESG”. – 10. Questioni aperte. – 11. Conclusioni.
1. Premessa
Il tema del finanziamento sostenibile alle imprese in crisi rappresenta uno dei nodi centrali della trasformazione che sta attraversando il diritto dell’impresa e, in particolare, il diritto della crisi. Negli ultimi anni, infatti, la sostenibilità ha cessato di essere un riferimento prevalentemente politico o etico per assumere la veste di una vera e propria categoria giuridica, destinata a incidere direttamente sulle dinamiche dell’impresa e sulle regole della sua crisi. Essa non si limita a orientare le scelte strategiche di governance, ma produce effetti concreti sulla legittimazione del credito, sulla responsabilità degli intermediari e sulla stessa possibilità di risanamento, ridisegnando il perimetro entro cui si colloca l’intervento del diritto concorsuale.
La nozione di “sostenibilità”[1], nata nel dibattito internazionale con il Rapporto Brundtland[2] e consolidata con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite[3], ha progressivamente assunto una valenza giuridica che travalica i confini delle politiche ambientali per estendersi ai rapporti economici e societari[4]. Nel diritto dell’impresa, e a maggior ragione in quello della crisi, la sostenibilità diventa categoria capace di incidere sulla definizione delle finalità stesse degli strumenti, sul bilanciamento tra gli interessi in gioco e sulla legittimazione delle soluzioni adottate[5].
Non è un caso, quindi, che il diritto concorsuale, storicamente centrato sulla tutela dei creditori, stia oggi aprendosi a una visione più ampia, nella quale trovano spazio le istanze di lavoratori, comunità locali e, più in generale, degli stakeholders[6]. Si sta a poco a poco riconoscendo che l’impresa in crisi non è soltanto da considerare come un fascio di rapporti giuridici patrimoniali, ma anche come un organismo complesso[7] che genera esternalità e produce effetti diffusi sul tessuto sociale ed economico. La sostenibilità, dunque, non è un attributo ornamentale, bensì un criterio ordinante che accompagna – e in parte ridefinisce – la funzione attuale del diritto della crisi.
Nella evoluzione che questo settore dell’ordinamento ha subito, il tema del finanziamento sostenibile rappresenta uno dei nodi centrali. Ciò perché la sostenibilità non è rimasta un principio astratto, ma è stata progressivamente incorporata nelle fonti del diritto positivo, trasformandosi in parametro regolatorio delle decisioni economiche e finanziarie.
In questa prospettiva si colloca la riforma costituzionale del 2022, che ha inserito negli artt. 9 e 41 Cost. il principio di tutela ambientale e di sostenibilità[8], nonché la normativa unionale, con la CSRD e la CSDDD, le quali hanno ridefinito le regole del mercato e gli obblighi gravanti sugli operatori[9].
2. “Sostenibile” come aggettivo giuridico del credito
Nel sistema europeo la sostenibilità è, infatti, una categoria regolatoria che permea le decisioni d’investimento e di credito[10]. Il legislatore unionale ha tradotto questa impostazione in standard vincolanti: il Regolamento SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation)[11] impone trasparenza sui rischi di sostenibilità e sui loro effetti finanziari; la Tassonomia[12] definisce quando un’attività è allineata agli obiettivi ambientali; la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive)[13], con l’introduzione dell’“attestatore di sostenibilità” nel recepimento italiano, sposta la disclosure su basi obbligatorie e verificabili; la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive)[14] positivizza un dovere di diligenza sui diritti umani e sull’ambiente lungo la catena del valore, con impatti diretti sulla governance del rischio e sulle pretese informative degli stakeholders finanziari.
Sul versante prudenziale, la vigilanza chiede alle banche di integrare i rischi ESG nel merito creditizio, nonché di offrire disclosure di esposizioni e strategie. Non è più possibile valutare un debitore prescindendo dalla sua resilienza ai rischi ambientali e sociali e dalla qualità dei suoi presìdi di governance.
L’evidenza empirica rafforza questa traiettoria: Banca d’Italia ha rilevato che profili ESG migliori si associano a minori probabilità di default[15], mentre Cerved Rating Agency documenta probabilità di insolvenza inferiori e migliore accesso al credito per le imprese più sostenibili[16].
Conseguenza è che la sostenibilità entra nel contratto di credito come standard di diligenza e come parametro del merito[17]. Questo sposta il baricentro anche nel diritto della crisi.
Per comprendere la portata di questa trasformazione è necessario chiarire cosa significhi “finanziamento sostenibile”. Una prima definizione, che potremmo chiamare ideale, descrive il finanziamento sostenibile come quello che non si limita a non arrecare danno, ma che produce un valore positivo sul piano economico, sociale e ambientale; che si sviluppa in un orizzonte temporale medio-lungo, perché i benefici e gli impatti evitati si manifestano solo nel tempo; e che integra nella valutazione e nella gestione i rischi extra-finanziari, ossia ambientali, sociali e di governance, che possono avere riflessi diretti sulla stabilità del progetto e dell’impresa. Non basta quindi che il finanziamento sia neutrale: esso deve generare valore e prevenire i rischi che potrebbero compromettere la continuità.
Una seconda definizione, complementare alla prima, sottolinea la natura bilaterale della sostenibilità. Essa non è un attributo unilaterale del finanziamento, ma costituisce lo spazio di incontro tra esigenze diverse e complementari: per l’impresa significa garantire la continuità prospettica e la resilienza nel medio-lungo periodo; per il finanziatore significa legittimare la propria decisione di erogare credito attraverso criteri di prudenza, responsabilità e trasparenza. Solo in questa reciprocità il finanziamento può dirsi autenticamente sostenibile, perché unisce la prospettiva di chi riceve con la responsabilità di chi eroga, riducendo le asimmetrie informative e costruendo fiducia reciproca[18].
Infine, una terza definizione consente di cogliere la portata giuridica del concetto: la sostenibilità entra nel contratto di credito come criterio ordinante e non come semplice optional. In questa prospettiva, essa si configura come l’“aggettivo giuridico del credito”, che qualifica la liceità delle scelte degli intermediari e incide sulla stessa struttura del rapporto obbligatorio.
Non si tratta dunque di un profilo confinato alla regolazione finanziaria, ma di un principio destinato a riflettersi anche sul diritto della crisi, orientandone categorie e strumenti. È qui che la sostenibilità incontra la logica della continuità aziendale, diventando parametro non solo per la concessione del credito, ma anche per la costruzione e la legittimazione dei piani di risanamento.
3. Il diritto della crisi come diritto della continuità
Il Codice della crisi e dell’insolvenza recepisce questa logica e la traduce in norme di sistema.
La definizione prospettica di crisi come inadeguatezza dei flussi di cassa (art. 2 CCII), l’obbligo di assetti organizzativi adeguati posto a carico degli amministratori (art. 3 CCII) e il dovere dell’imprenditore di non compromettere la sostenibilità economico-finanziaria durante le trattative (art. 21 CCII) costituiscono la codificazione del principio di continuità responsabile. Ne consegue che il diritto della crisi non è più centrato sulla liquidazione e sulla dispersione del valore, ma sulla conservazione e sul rilancio dell’attività, a condizione che essa sia sostenibile nel tempo.
Questa impostazione non rimane sul piano dei principi, ma trova applicazione concreta negli strumenti e nei percorsi delineati dal Codice: dalla composizione negoziata al concordato, essi sono tutti costruiti su regole di condotta che impongono assetti organizzativi idonei a intercettare tempestivamente la crisi e doveri di buona fede e collaborazione a carico di debitore e creditori.
La composizione negoziata è lo strumento elettivo per anticipare la gestione della difficoltà, con l’esperto nel ruolo di facilitatore del piano e di ponte tra impresa e finanza. Proprio qui si saldano sostenibilità e crisi: un piano oggi è credibile se è sostenibile. Non per un vezzo, ma perché banche e investitori hanno l’obbligo regolatorio di valutare i rischi ESG e di spiegare perché finanziano o no una certa traiettoria industriale.
Se quei rischi restano muti nel piano, la fattibilità degrada[19].
La sostenibilità opera come Grundnorm di condotta finanziaria, influenzando la buona fede della banca in trattativa e legittimando clausole ESG e due diligence di sostenibilità come contenuto doveroso della gestione sana e prudente del credito in crisi.
La dottrina aziendalistica[20] ha sistematizzato questo snodo, qualificando i fattori ESG come early warning e come fattore abilitante della nuova finanza che rende praticabile la continuità.
Ne discende un favor del mercato e della disciplina per piani in cui il rischio non finanziario è misurato, governato e comunicato in modo verificabile. Ma perché tale favor non resti un principio astratto, occorre che la sostenibilità trovi applicazione concreta negli strumenti che il Codice della crisi mette a disposizione per gestire le difficoltà d’impresa. È proprio attraverso questi canali operativi che il finanziamento sostenibile passa dall’essere categoria teorica a parametro effettivo di finanziabilità.
4. Gli “strumenti” della crisi e il finanziamento sostenibile
Nel quadro del finanziamento all’impresa in crisi, i tre principali strumenti – composizione negoziata, piano ex art. 56 o calato negli accordi ex 57, 60, 61 CCII e concordato preventivo – costituiscono i terreni su cui la sostenibilità si traduce da criterio astratto a criterio operativo.
La questione non è tanto se i piani debbano essere “green”, quanto se essi siano in grado di attrarre finanza nuova in un contesto regolato da obblighi ESG sempre più vincolanti per banche e investitori.
Nella composizione negoziata il finanziamento sostenibile assume la forma della nuova finanza prededucibile e della riattivazione delle linee sospese.
Perché il sostegno sia effettivo, le banche devono, però, motivare la scelta di erogare o di rifiutare, e la sostenibilità diventa parte integrante di questa motivazione.
Un piano che espliciti KPI (Key Performance Indicators) di transizione, milestone verificabili e gestione dei rischi ESG rafforza la legittimità dell’erogazione e protegge la banca da accuse di concessione abusiva di credito.
Nel piano (qualunque sia l’articolazione) la logica del finanziamento è più volontaria e meno protetta, ma non per questo meno legata all’ESG. L’attestatore deve certificare che il piano consente il riequilibrio e la continuità e ciò implica la misurazione dei rischi che incidono sulla bancabilità del progetto, inclusi quelli ambientali, sociali e di governance.
Per il finanziatore, la presenza di una attestazione che includa anche profili ESG costituisce garanzia aggiuntiva di serietà e riduce l’asimmetria informativa.
Nel concordato preventivo il finanziamento sostenibile si lega alla nuova finanza autorizzata e al favore sistemico per le soluzioni di continuità. Qui il piano deve essere giudicato fattibile anche dal tribunale: la sostenibilità diventa allora criterio di validità della proposta, non solo di attrattività per le banche.
Se la disclosure ESG manca, i creditori potrebbero non votare a favore e il giudice potrebbe valutare il piano non idoneo a garantire la prosecuzione. In tutti e tre i casi il finanziamento sostenibile non è un optional, ma una condizione di finanziabilità.
La sostenibilità, tuttavia, non assume lo stesso ruolo in tutti gli strumenti del Codice della crisi, ma varia a seconda del contesto in cui viene in rilievo.
Nella composizione negoziata essa opera anzitutto come linguaggio comune tra impresa e banche, divenendo terreno condiviso su cui costruire fiducia reciproca: un piano che espliciti obiettivi di transizione, indicatori verificabili e presìdi di governance consente alla banca di motivare le proprie scelte ed evita il rischio di contestazioni di concessione abusiva, mentre per l’imprenditore rappresenta un fattore di credibilità.
Nel piano ex artt. 56, 57, 60 e 61 CCII, invece, la sostenibilità si traduce in un criterio tecnico di attendibilità: l’attestatore, infatti, non può limitarsi a certificare il riequilibrio dei flussi, ma deve verificare che i rischi ambientali, sociali e di governance siano stati valutati e governati, poiché da essi dipende la finanziabilità del progetto.
Infine, nel concordato preventivo con continuità, la sostenibilità assurge a criterio di legittimazione collettiva: creditori e tribunale devono poter riscontrare che l’attività sia effettivamente in grado di proseguire nel medio-lungo periodo, sicché la disclosure ESG diventa elemento decisivo tanto per il voto quanto per l’omologazione. In questo senso, la sostenibilità si presenta come fattore trasversale che, pur modulandosi in forme diverse, costituisce sempre più la chiave di accesso alla finanza in crisi e alla legittimazione degli strumenti che la sorreggono.
In questo senso, la sostenibilità non è più un principio etico generico, ma diventa la chiave di accesso alla finanza in crisi, con modalità che variano a seconda dello strumento utilizzato.
5. Convergenze e differenze tra gli strumenti
Questa differenziazione merita attenzione, perché la sostenibilità non opera in modo uniforme ma incide con intensità diversa a seconda del grado di formalizzazione procedurale e del livello di protezione giuridica offerto al finanziatore.
Nella composizione negoziata la sostenibilità svolge una duplice funzione, che si potrebbe definire allo stesso tempo negoziale e prudenziale. Essa rappresenta, innanzitutto, un linguaggio condiviso tra impresa e intermediari, perché consente di tradurre in parametri oggettivi – quali indicatori ESG, tappe intermedie verificabili e sistemi di governance dei rischi – la credibilità del piano e la sua idoneità ad attrarre nuova finanza. Allo stesso tempo, costituisce per le banche una vera e propria difesa prudenziale.
La riforma del 2024 ha, infatti, chiarito che i finanziamenti concessi nel corso della composizione negoziata possono beneficiare della prededuzione, e che l’accesso alla procedura non legittima di per sé la revoca delle linee di credito. In questo nuovo assetto, l’istituto di credito deve motivare le proprie decisioni e può giustificare il diniego, la concessione o la revoca dei finanziamenti facendo riferimento proprio all’analisi dei rischi ESG. L’integrazione di tali fattori, dunque, non solo rafforza la legittimità dell’erogazione, ma protegge la banca da possibili contestazioni di arbitrarietà o, all’opposto, di sostegno abusivo, trasformando la sostenibilità in un criterio prudenziale che presidia la correttezza e la trasparenza del comportamento dell’intermediario.
Nel piano ex artt. 56, 57, 60 e 61 CCII, la sostenibilità opera come garanzia di quella che la dottrina e la prassi definiscono “attendibilità” del piano. Si tratta di un concetto non espressamente codificato, ma che indica la capacità del piano di apparire fondato, credibile e idoneo a giustificare l’affidamento dei terzi. La decisione del creditore di sostenere l’impresa dipende in larga misura dalla qualità intrinseca del piano e dall’attestazione del professionista indipendente.
In questa prospettiva, i rischi ESG diventano parametro di attestabilità: integrarli nella diagnosi e nella strategia di risanamento significa rafforzare la base documentale e rendere più solida la valutazione di fattibilità, riducendo l’asimmetria informativa e accrescendo la fiducia dei finanziatori.
Nel concordato preventivo la sostenibilità si manifesta come criterio di legittimazione collettiva. Grazie al vaglio del tribunale e al voto dei creditori, il concordato offre la cornice più solida per la nuova finanza. La disclosure ESG diventa parte della trasparenza informativa e può incidere sulla valutazione di fattibilità.
Inoltre, la finanza che sostiene progetti coerenti con la transizione ambientale e sociale gode di maggiore legittimazione collettiva.
In sintesi, nella composizione negoziata la sostenibilità è strumento difensivo e motivazionale per le banche, nel piano attestato è garanzia tecnica di finanziabilità e nel concordato preventivo è criterio di legittimazione collettiva. In tutti i casi, senza un piano sostenibile, la finanza nuova difficilmente trova spazio, protezione e legittimità.
Questa constatazione, però, non rimane sul piano teorico: il legislatore, con il correttivo del 2024, è intervenuto proprio per rimuovere ostacoli pratici che finora frenavano la disponibilità delle banche a sostenere i percorsi di continuità[21].
6. Il correttivo 2024: ciò che cambia per le banche
Il correttivo del 2024, emanato con il decreto legislativo n. 136, ha inciso in profondità sul comportamento degli istituti di credito, ridefinendo le condizioni di partecipazione alla composizione negoziata e rafforzando gli incentivi a finanziare imprese con prospettive di sostenibilità.[22].
La prima novità riguarda l’articolo 16, comma 5 del Codice della crisi: la semplice notizia dell’accesso alla composizione negoziata, o la partecipazione della banca alle trattative, non possono più essere considerate di per sé motivo sufficiente per sospendere o revocare gli affidamenti, né per riclassificare il credito. Se l’istituto di credito decide diversamente, deve fornire una motivazione specifica e informare i propri organi di amministrazione e di controllo, potendo invocare solo ragioni di vigilanza prudenziale. Non si tratta di una neutralità assoluta, ma di un onere motivazionale qualificato che cambia la regola del gioco, spostando l’equilibrio verso una maggiore trasparenza e responsabilità.
La seconda innovazione riguarda l’articolo 18, che disciplina le misure protettive. Esse sono ora meglio coordinate e possono essere applicate anche in modo selettivo. Quando vengono confermate, scatta l’obbligo di riattivare le linee di credito sospese, salvo che permangano motivazioni prudenziali che giustifichino il contrario. Per la prima volta i creditori bancari sono inclusi espressamente tra i destinatari di questa disciplina, il che rafforza la tenuta del circuito operativo dell’impresa durante la fase delle trattative.
Un terzo passaggio cruciale si trova nell’articolo 22, che estende e chiarisce la disciplina della prededuzione. Il tribunale può oggi autorizzare non solo la concessione di nuova finanza in qualsiasi forma, ma anche la riattivazione delle linee sospese e la concessione di garanzie, con la conseguenza che tali interventi beneficiano della prededucibilità, anche oltre la chiusura della composizione negoziata. L’introduzione del nuovo comma 1-ter consolida l’idea che la finanza-ponte non rappresenti un azzardo del singolo finanziatore, ma un interesse della massa dei creditori.
In questo quadro, le banche vengono ricondotte sul terreno della fattibilità di lungo periodo. È proprio qui che entra in gioco la sostenibilità: se l’istituto deve motivare le proprie scelte, lo farà sulla base della qualità del piano e, inevitabilmente, della sua traiettoria ESG.
Non si tratta di un innesto artificiale, ma della conseguenza naturale degli obblighi previsti dal Sustainable Finance Disclosure Regulation e dalla Corporate Sustainability Reporting Directive, oltre che delle regole fissate dall’Autorità bancaria europea in tema di credito responsabile. Questo spostamento di prospettiva non riguarda però soltanto le banche: coinvolge l’intero ecosistema degli attori della crisi, imponendo a ciascuno standard di condotta più elevati e coerenti con la logica della sostenibilità.
7. Gli standard di comportamento nel rapporto banca–impresa.
Gli standard di comportamento degli attori nel contesto della crisi d’impresa sono stati, infatti, profondamente ridefiniti, tanto per l’imprenditore quanto per gli intermediari finanziari.
Per quanto riguarda l’imprenditore, l’articolo 3 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e l’articolo 2086 del codice civile impongono di adottare assetti organizzativi idonei a intercettare i rischi materiali che possono minacciare la continuità. Oggi, tra questi rischi rientrano a pieno titolo quelli ambientali, sociali e di governance: la transizione tecnologica e normativa, le vulnerabilità di carattere sociale, le criticità nella governance.
Un piano che ignorasse tali profili risulterebbe inidoneo già ex ante e rischierebbe di essere bocciato ex post, sia in sede di omologazione sia nell’eventuale scrutinio concorsuale, poiché mancherebbe della misurazione di rischi determinanti per la fattibilità. Come ha sottolineato di recente la dottrina, l’analisi ESG non costituisce un elemento accessorio o opzionale, ma un tassello fondamentale del controllo di gestione, capace di prevenire spese inattese, crisi reputazionali e difficoltà di accesso al finanziamento.
Sul versante delle banche, il correttivo ha introdotto tre obblighi chiave. La banca è chiamata a partecipare in modo attivo e informato alle trattative, nel rispetto dei doveri di buona fede e collaborazione sanciti dall’articolo 4 del Codice; deve valutare la situazione dell’impresa sulla base del piano e non lasciandosi condizionare dall’“effetto annuncio” dell’accesso alla procedura, come chiarisce l’articolo 16, comma 5; infine, è tenuta a motivare in modo specifico eventuali revoche o sospensioni, ancorandole a ragioni prudenziali concrete e garantendo coerenza con i propri framework ESG, così come richiesto dalle linee guida dell’Autorità bancaria europea e dagli obblighi di trasparenza previsti dal terzo pilastro di Basilea.
Già prima della riforma, la dottrina aveva colto come l’etica della sostenibilità si traducesse in veri e propri doveri di condotta nel rapporto banca–impresa: la due diligence di sostenibilità, l’inserimento di clausole ESG calibrate sugli obiettivi di transizione, la determinazione di un pricing coerente con il profilo di rischio e la disclosure proattiva durante le negoziazioni.
Alcuni autori hanno messo in luce come questi doveri trovino fondamento nella buona fede ex articolo 4 del Codice e nel principio di sana e prudente gestione del credito: la banca che trascuri rischi ESG rilevanti o che continui a finanziare progetti manifestamente “brown” e privi di prospettive di transizione si espone a responsabilità.
Tale responsabilità può assumere anche la forma della concessione abusiva di credito, quando il sostegno non fa che aggravare il dissesto senza reali possibilità di superamento. In questo solco si colloca la giurisprudenza della Cassazione tra il 2021 e il 2023, che ha definito i confini dell’illecito qualificando come abusiva l’erogazione volta unicamente a protrarre artificialmente l’attività di un’impresa senza prospettive.
Oggi queste coordinate devono essere lette alla luce dei rischi ESG, che diventano fattori di merito creditizio e di valutazione prognostica della continuità aziendale. Ne deriva che la sostenibilità non è soltanto parametro di responsabilità, ma anche criterio operativo che orienta le soluzioni della crisi, trovando nel terreno della composizione negoziata il suo banco di prova privilegiato.
8. L’incontro tra finanza sostenibile e composizione negoziata
L’elemento comune che unisce la finanza sostenibile e la composizione negoziata è, infatti, il tempo: entrambe guardano alla continuità dell’impresa e non alla sua liquidazione. La finanza sostenibile, infatti, si fonda sul principio della doppia materialità, che impone di considerare non solo gli impatti dei fattori ambientali, sociali e di governance sull’impresa, ma anche gli effetti che l’attività dell’impresa produce sull’ambiente e sulla società. Si tratta di un vero e proprio obbligo di gestione del rischio, ormai incorporato nei modelli bancari e nelle prassi di vigilanza. La composizione negoziata, dal canto suo, non è una procedura concorsuale e neppure uno “strumento”(in senso atecnico) di soluzione, ma un percorso (o procedimento[23]) volto a ricostruire, attraverso trattative con le parti interessate, l’equilibrio finanziario e industriale di un’impresa ancora vitale.
Il punto di contatto operativo tra queste due dimensioni sta nella qualità del piano di risanamento. Un piano credibile non può limitarsi a prospettare misure economico-finanziarie, ma deve esplicitare con chiarezza la diagnosi e le terapie rispetto ai rischi ESG. Non perché ciò sia imposto in modo esplicito dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ma perché lo esigono, da un lato, gli obblighi di valutazione e di disclosure delle banche, dall’altro, i doveri di buona fede e di collaborazione imposti dallo stesso Codice, e infine i criteri intrinseci di fattibilità che condizionano la continuità aziendale.
È attraverso questa via che le clausole ESG entrano nei contratti di finanziamento prededucibile e nelle autorizzazioni giudiziali di cui all’articolo 22, traducendosi in indicatori di performance di transizione, tappe intermedie da verificare, obblighi di reporting periodico e rimodulazioni di prezzi e covenant al raggiungimento, o meno, degli obiettivi previsti dal piano.
In questa prospettiva, il correttivo del 2024 ha svolto un ruolo decisivo, perché ha agevolato l’innesto di tali logiche ESG all’interno della composizione negoziata. Esso ha neutralizzato l’“effetto fuga” del credito sancendo, con l’articolo 16, comma 5, che l’accesso al percorso non giustifica la revoca automatica delle linee di finanziamento; ha favorito la riattivazione dei rapporti bancari con la conferma delle misure protettive, come previsto dall’articolo 18; e ha stabilizzato la prededuzione estendendola anche alle riattivazioni e alle garanzie, secondo l’articolo 22, comma 1 lett.a.
Il risultato è un perimetro giuridico che si mostra coerente con le esigenze prudenziali delle banche e con la logica orientata alla sostenibilità che ispira gli intermediari finanziari.Resta allora da chiedersi come tradurre questo quadro normativo in criteri concreti di costruzione e valutazione dei piani: la sostenibilità, per non restare enunciazione astratta, deve riflettersi in una griglia giuridica capace di orientare diagnosi, misure e responsabilità.
9. Una griglia giuridica per “piani ESG”
Con il lemma “piani ESG” non si intende che i piani di risanamento debbano essere “verdi” o dedicati esclusivamente a progetti ambientali, ma che debbano integrare stabilmente i fattori ESG nella loro struttura e nelle loro logiche di fattibilità.
Si tratta di piano che: a) non separa i profili economico-finanziari da quelli ambientali, sociali e di governance, ma li considera insieme, come elementi che incidono tutti sulla continuità aziendale; b) prevede diagnosi e misurazione dei rischi ESG, cioè individua quali fattori ambientali (es. transizione energetica, conformità normativa), sociali (es. gestione del lavoro, impatto occupazionale), o di governance (es. assetti organizzativi, trasparenza) possano compromettere il risanamento; c) traduce queste valutazioni in strategie operative e impegni misurabili, come KPI, milestone, covenant, obblighi di reporting; d) rende tali impegni verificabili e attestabili, cioè suscettibili di controllo da parte dell’attestatore, delle banche e, se necessario, del tribunale.
Anzitutto occorre partire dalla diagnosi e dalla governance dei rischi. Il piano deve mappare con chiarezza i rischi ambientali, sociali e di governance che possono incidere sulla continuità, come ad esempio quelli legati alla transizione normativa e tecnologica, alla dipendenza da fornitori critici, alla sicurezza e alla gestione delle risorse umane, nonché al mantenimento di licenze e permessi.
È necessario che queste analisi siano accompagnate da misure e tempistiche precise, raccordate agli assetti organizzativi richiesti dall’articolo 3 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, e, quando applicabile, alle regole di rendicontazione previste dalla CSRD e dagli standard ESRS. La credibilità del piano passa inoltre per l’attestabilità e l’assicurabilità dei dati chiave, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 125 del 2024.
Un secondo asse riguarda la nuova finanza e la prededuzione. Il piano deve dimostrare la funzionalità dei finanziamenti richiesti non solo alla continuità aziendale, ma anche alla migliore soddisfazione dei creditori.
Ciò significa prevedere clausole contrattuali ESG e indicatori di performance legati a investimenti di transizione, utilizzare, quando opportuno, garanzie calibrate su asset “verdi” o su investimenti di efficientamento e stabilire un pricing coerente con la riduzione di rischio attesa. È importante, inoltre, richiedere l’autorizzazione di cui all’articolo 22 del Codice anche per la riattivazione delle linee di credito, e garantire che la prededuzione concessa persista anche nell’eventuale successione di procedure.
Un terzo profilo riguarda la condotta delle banche. La partecipazione deve essere verbalizzata in modo informato, evidenziando l’analisi dei rischi ESG rilevanti. In caso di diniego o di revoca del sostegno, la banca deve fornire una motivazione specifica ancorata a regole prudenziali, evitando formule stereotipate. È bene ricordare che la selettività delle misure protettive non legittima trattamenti discriminatori privi di base prudenziale, come confermato dagli articoli 16 e 18 del Codice.
Infine, un quarto elemento concerne le responsabilità. Occorre evitare, da entrambe le parti, gli estremi della concessione abusiva di credito, cioè il sostegno a piani non sostenibili, e, specularmente, l’ingiustificata rottura del credito, vale a dire revoche immotivate che possano arrecare danno alla massa dei creditori. Gli standard elaborati dalla giurisprudenza di Cassazione tra il 2021 e il 2023 fungono oggi da stella polare, ma vanno letti anche alla luce dei rischi ESG, i quali diventano fattori determinanti tanto per il merito creditizio quanto per la prognosi di continuità.
Chiariti i criteri di responsabilità e la cornice operativa per i piani ESG-integrati, rimangono tuttavia aperti alcuni nodi applicativi che richiedono attenzione e che segnalano la necessità di un approccio proporzionato e realistico.
10. Questioni aperte
Un primo profilo riguarda le piccole e medie imprese e i costi di conformità. La misurazione dei fattori ESG è spesso onerosa e rischia di generare un effetto selettivo: come è stato osservato[24], se le metriche rimangono opache o troppo costose, le imprese meno strutturate rischiano di essere escluse dal mercato della finanza sostenibile.
La risposta pratica, però, non è nell’imporre oneri sproporzionati, ma nell’adottare un criterio di proporzionalità. Ciò significa calibrare gli obblighi informativi del piano sulla dimensione dell’impresa, fare uso di proxy ragionevoli e ricorrere ad attestazioni mirate, che siano sufficienti a dimostrare la fattibilità senza cadere nella tentazione di un reporting eccessivo e di facciata. In sede giudiziale, infatti, conta la sufficienza probatoria del piano, non il perfezionismo documentale.
Un secondo tema cruciale è quello del greenwashing e della standardizzazione. Un piano che manchi di dati “robusti” rischia di ridursi a un esercizio cosmetico, privo di reale capacità di incidere sulla continuità aziendale.
In questo senso, la Corporate Sustainability Reporting Directive e l’assurance obbligatoria sul report di sostenibilità costituiscono il benchmark minimo per le imprese di maggiori dimensioni. Per le altre, può risultare utile adottare un approccio più proporzionato, mutuando la logica degli ESRS “lite”, ossia degli European Sustainability Reporting Standards applicati alle sole aree davvero materiali per la continuità, così da garantire sostanza e non mera forma.
Infine, occorre considerare l’interazione con la vigilanza prudenziale. L’articolo 16 del Codice della crisi non elimina i doveri di classificazione prudenziale delle banche, ma consente loro di sospendere o revocare i finanziamenti solo se esistono motivazioni concrete di vigilanza. In questo quadro, la qualità del piano, anche sotto il profilo ESG, diventa una vera e propria difesa per il debitore e, al contempo, uno scudo per la banca.
Da un lato, la qualità del piano protegge l’impresa contro decisioni arbitrarie; dall’altro, consente all’istituto di credito di giustificare le proprie scelte ed evitare contestazioni di sostegno abusivo. In questo equilibrio si riflette appieno la funzione del diritto della crisi come regolatore di comportamenti responsabili e trasparenti.
Una volta messe a fuoco le opportunità e i limiti applicativi, è possibile volgere lo sguardo alla prospettiva complessiva, per cogliere come la finanza sostenibile ridisegni i rapporti tra impresa, credito e sistema giuridico.
11. Conclusioni
La finanza sostenibile entra nella composizione negoziata per una duplice via: da un lato per forza d’inerzia normativa, frutto del quadro europeo (SFDR, CSRD, CSDDD, linee guida EBA[25]) che obbliga banche e investitori a integrare i rischi ESG nei propri modelli di credito[26]; dall’altro per coesione sistematica con i principi del Codice della crisi (artt. 3 e 4 CCII), che impongono assetti adeguati e doveri di leale collaborazione. Il piano (ex artt. 56, 57, 60 e 61) diventa così il luogo in cui questa convergenza si manifesta, trasformandosi in banco di prova della credibilità dell’impresa e della responsabilità degli intermediari.
Il correttivo del 2024 ha contribuito a ridurre gli ostacoli che scoraggiavano le banche dal sostenere le imprese in composizione negoziata, rimuovendo il “rumore di fondo” che alimentava revoche e sospensioni automatiche e imponendo, in cambio, coerenza prudenziale e responsabilità argomentativa. Ma la vera sfida resta culturale: occorre elaborare piani nei quali la sostenibilità non sia un orpello retorico, bensì la condizione stessa della fattibilità del risanamento.
In questa prospettiva, la sostenibilità si declina in una duplice dimensione: da un lato, come sostenibilità economico-finanziaria, cioè capacità dell’impresa di garantire equilibrio e continuità; dall’altro, come sostenibilità ESG, intesa come responsabilità verso lavoratori, comunità e ambiente. Queste due dimensioni non sono alternative, ma complementari: un’impresa che non regge economicamente non è sostenibile, ma la sola tenuta finanziaria non basta se produce esternalità negative. La crisi diventa così il momento di verità, in cui entrambe le dimensioni vengono sottoposte a verifica e il piano di risanamento deve dimostrare resilienza prospettica e coerenza con obiettivi sociali e ambientali.
Da questa lettura emerge una sintesi sistematica: la sostenibilità si configura, in primo luogo, come principio del Codice della crisi, che orienta la definizione stessa di crisi e gli obblighi organizzativi imposti agli amministratori (artt. 2, 3 e 21 CCII); al tempo stesso, opera come parametro operativo di finanziabilità, in quanto condiziona l’accesso alla nuova finanza e costituisce la base delle decisioni creditizie degli intermediari; infine, si manifesta come criterio di bilanciamento, capace di legittimare soluzioni che non riguardano soltanto i creditori finanziari, ma anche lavoratori, comunità territoriali e stakeholder diffusi.
Questa trasformazione non si esaurisce sul piano normativo, ma richiede un mutamento culturale che coinvolge tutti gli attori del sistema.
Per l’imprenditore, significa concepire il risanamento non come mera sopravvivenza a breve termine, ma come percorso di resilienza prospettica, capace di reggere nel tempo anche rispetto ai rischi ESG.
Per i finanziatori, la sostenibilità diventa parametro giuridico di legittimazione del credito: non più semplice tecnica prudenziale, ma criterio sostanziale che orienta e giustifica le scelte di erogazione.
Per i professionisti e gli attestatori, la sfida è integrare la verifica dei fattori ESG nella valutazione della fattibilità del piano, ampliando così la portata del giudizio attestativo. Infine, per i giudici, la sostenibilità rappresenta un elemento essenziale della fattibilità, da valutare non con controlli tecnici di merito ambientale o sociale, ma attraverso la verifica della coerenza giuridica della disclosure e dell’affidabilità dei sistemi di monitoraggio.
Il principio conclusivo è netto: un piano è fattibile se è sostenibile, e un credito è legittimo se poggia su tale sostenibilità. Essa non costituisce un corredo formale, ma una condizione giuridica della finanziabilità del piano e della legittimazione del credito che lo sostiene.
Come ricordava Piero Calamandrei, il diritto non è fatto per tutelare soltanto l’oggi, ma per garantire un domani più giusto. Questa riflessione illumina bene il senso ultimo del finanziamento sostenibile: non semplice strumento contingente per superare la crisi, ma criterio di legittimazione e responsabilità, capace di proiettare l’impresa e il credito verso un futuro fondato sulla continuità, sulla trasparenza e sulla responsabilità condivisa.
[1] Il vocabolo affonda le proprie radici semantiche nel primigenio significato di “sorreggere” (dal latino habere e sustinere) nel senso di abilità di sostenere, di essere cioè in grado di sopportare sia cambiamenti di stato emotivo che di status economico. “Sostenibilità” evoca la presenza di differenti posizioni che in un rapporto devono tutte trarre soddisfazione, ciascuna contemperando la propria pretesa con quelle degli altri. Il vocabolo richiama il “senso del limite” che, inevitabilmente, suggerisce un bilanciamento degli interessi e sottintende un “principio di responsabilità”. Ciascuno è responsabile del soddisfacimento dell’altro.
[2] Report della World Commission on Environment and Development (WCED): Our Common Future (1987) che definisce la sostenibilità “come “una strategia di sviluppo sociale che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.
[3] Il programma dell’Agenda 2030 si articola in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile - e poi all’Agenda 2030 sottoscritta, nel 2015, da 193 paesi membri delle Nazioni Unite (La 2030 Agenda for Sustainable Development, è leggibile in: //sustainabledevelopment.un.org/post2015/transformingourworld.
[4] Sull’espansione di “sostenibilità” quale “paradigma, forse anche retorico, di adeguamento a valori generalmente riconosciuti ed accettati diffusamente dalle carte costituzionali e dai trattati internazionali”, E. RICCIARDIELLO, Sustainability and going concern, in Riv. soc., 2022, pp. 53 ss.
[5] S. PACCHI, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 3 settembre 2021; Id., Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 26 maggio 2023;
T. LINN, Insolvency proceedings from a sustainability perspective, in International Insolvency Revue. 2019, 212; G. FAUCEGLIA, Sostenibilità e crisi di impresa tra opzioni ideologiche e finalità delle procedure, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5 settembre 2025; B. INZITARI, Crisi dell'impresa e riparto fra i creditori dei costi della sostenibilità, in Rivista Orizzonti del diritto commerciale, 2023, 359.
[6] Ex multis, sul tema, V. BUONOCORE, Impresa (Diritto privato), in Enciclopedia del diritto. Annali I, Milano, 2007, 765; U. TOMBARI, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 36 ss.; La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. CASTELLANETA E F. VESSIA, Napoli, 2019; G. D’ATTORRE, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2021; Id., La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss.; M. FABIANI, Introduzione ai principi generali e alle definizioni del codice della crisi, in Fallimento, 2022, 1177; M. CALLEGARI, Il problema della sostenibilità della gestione imprenditoriale, in S. AMBROSINI, L’impresa nella Costituzione, Bologna, 2024, 141 ss.
[7] “L’impresa non può più essere letta come mero strumento di profitto individuale: essa è chiamata a contribuire al bene comune, integrando la ricerca dell’utile con la tutela dell’ambiente, dei lavoratori e della comunità.” (R. TAROLLI, Crisi, continuità aziendale e bene comune: interessi, prerogative e responsabilità nel complesso ciclo dell’impresa sostenibile, in Ristrutturazioniziendali.ilcaso.it, 18 luglio 2025, p. 14).
[8] Per un’ampia e brillante rivisitazione del tema dell’impresa inquadrata nell’ambiente costituzionale, S. AMBROSINI, L’impresa nella Costituzione, Bologna, 2024, passim. Sulla riforma di queste norme costituzionali: G. CAPO, Libertà d’iniziativa economica, responsabilità sociale e sostenibilità dell’impresa: appunti a margine della riforma dell’art. 41 della Costituzione, in Giust. civ., 2023, 100 ss.; S.A. CERRATO, Appunti per una “via italiana” all’ESG: l’impresa “costituzionalmente solidale” (anche alla luce dei “nuovi” artt. 9 e 41, comma 3, Cost.), in AGE, 2022, 73 ss.; M. LIBERTINI, Principi di gestione sostenibile e crisi d’impresa, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2|2025, 634.
[9] G. SCHNEIDER, L’impresa tra scopo di lucro e istanze ESG: dal reporting al dovere di diligenza nel prisma Costituzionale, in Rivista della regolazione dei mercati, 2024, 260.
[10] “La sostenibilità, lungi dall’essere un elemento ornamentale, è ormai un criterio giuridico che condiziona la stessa fattibilità dei piani di risanamento e la loro capacità di attrarre nuova finanza.” (R. TAROLLI, cit., p. 22).
[11] Regolamento (UE) 2019/2088 (SFDR – Sustainable Finance Disclosure Regulation).
[12] Regolamento (UE) 2020/852 (Tassonomia)
[13] Direttiva (UE) 2022/2464 (CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive), recepita con d.lgs. 125/2024.
[14] Direttiva (UE) 2024/1760 (CSDDD – Corporate Sustainability Due Diligence Directive).
[15] F. FERRIANI e M. PERICOLI, Profili di sostenibilità e sopravvivenza delle imprese: evidenze dalle probabilità di fallimento su diversi orizzonti temporali, Questioni di economia e finanza (Occasional Papers), n. 892, Novembre 2024, scaricabile in Bancaditalia.it
[16] Cerved Rating Agency, Esiste una correlazione fra rischio di credito e sosteniblità?, 2024, scaricabile n https://ratingagency.cerved.com/esiste-una-correlazione-fra-rischio-di-credito-e-sostenibilita/
[17] “Il quadro regolatorio europeo – dal SFDR al CSRD, fino alla CSDDD – delinea un sistema coerente che rende i rischi ESG fattori giuridicamente rilevanti per la concessione del credito.”(R. TAROLLI, cit., 2025, p. 27)
[18] Sul tema, v. R. CARATOZZOLO, L'integrazione della sostenibilità ambientale nel sistema delle banche, in Rivista della regolazione dei mercati, 2024, 177 ss.
[19] G. SCHNEIDER, Prevenzione della crisi d’impresa e rischi ESG: il ruolo della finanza sostenibile, in Riv.dir.banc., 2023, 327 ss.
[20] R. TAROLLI – L. RIONDATO, Legami tra fattori ESG e crisi d’impresa, in JUS crisi d’impresa, 22 aprile 2025; R. TAROLLI, Crisi, continuità aziendale e bene comune: interessi, prerogative e responsabilità nel complesso ciclo dell’impresa sostenibile, cit.
[21] Va da sé che la portata della sostenibilità, tuttavia, non si esaurisce nel dialogo bilaterale tra impresa e banca. L’art. 84, comma 2 CCII attribuisce espressamente rilievo alla tutela occupazionale e al mantenimento del tessuto produttivo, riconoscendo che la valutazione di un piano non può ridursi a criteri strettamente patrimoniali, ma deve includere anche effetti sociali e territoriali. La sostenibilità diventa così principio di bilanciamento, chiamato a ricomporre le tensioni tra valore economico, coesione sociale e impatto ambientale.
[22] Sul tema, S. AMBROSINI, I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in Ristrutturazioniziendali.ilcaso.it, 10 marzo 2024.
[23] A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2025, 93.
[24] G. SCHNEIDER, Prevenzione della crisi d’impresa e rischi ESG: il ruolo della finanza sostenibile, in Riv.dir.banc., 2023, 327 ss.
[25] EBA, Guidelines on loan origination and monitoring (LOM), 2020: sul credito responsabile e sull’integrazione dei rischi ESG; EBA, Implementing Technical Standards on Pillar 3 ESG disclosures, 2022: sulla disclosure prudenziale delle banche.
[26] Recentemente M. LIBERTINI, Principi di gestione sostenibile e crisi d’impresa, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2|2025, 627 ss.