Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
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Sostenibilità, continuità e procedure di insolvenza: una prospettiva internazionale*


Stefania Pacchi
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Sostenibilità, continuità e procedure di insolvenza: una prospettiva internazionale*


Stefania Pacchi

Data pubblicazione
10 novembre 2025

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Chiudere a Montevideo il XXI Congresso dell’Instituto Iberoamericano de Derecho Concursal, invita a pensare oltre i confini giuridici nazionali. Oggi, infatti, non basta più analizzare l’articolo di un codice o il comma di una direttiva: occorre interrogarsi su che cosa significhi, nella pratica, sostenere imprese, posti di lavoro e comunità, in un contesto segnato da trasformazioni tecnologiche, climatiche e geopolitiche che non conoscono confini di Stato.

Per questa ragione propongo di osservare l’insolvenza attraverso il prisma della sostenibilità, intesa non come ornamento retorico, ma come categoria operativa capace di coniugare e coordinare continuità economica, equità sociale e responsabilità ambientale.

All’origine di questa prospettiva incontriamo l’idea di un limite. I Romani segnavano con i termini il confine che non doveva essere superato. Oggi, quei limiti si chiamano bilanci ecologici, coesione sociale e stabilità finanziaria.

Sostenibilità significa sostenere e mantenere, ma anche equilibrare. La definizione del Rapporto Brundtland del 1987 — «lo sviluppo sostenibile è quello che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri» — resta un riferimento imprescindibile. Trasposta sul piano dell’impresa, essa implica che l’attività produttiva non consumi risorse finanziarie, umane o naturali, in misura tale da compromettere il futuro.

Questa concezione non è estranea al diritto concorsuale: quando interveniamo in una crisi, misuriamo non solo ciò che l’impresa è stata, ma anche ciò che può tornare a essere, se riorganizzata secondo criteri di razionalità economica e di attenzione ai propri impatti. È questa duplice dimensione — interna, economico-finanziaria, ed esterna, sociale e ambientale – a guidare oggi le nostre decisioni in ogni fase del procedimento.

Come è stato osservato, “l’idea di sustainable insolvency proceedings implica una ridefinizione del fine stesso del diritto concorsuale: non più mera allocazione delle perdite, ma gestione integrata del valore economico e sociale residuo”[1].

Dal punto di vista interno, la sostenibilità coincide con la sostenibilità economico-finanziaria ossia con la capacità dell’impresa di proseguire l’attività in condizioni di equilibrio. Essa comporta la possibilità di generare flussi di cassa adeguati, stabilizzare la struttura del capitale e preservare gli asset strategici - come capitale umano, tecnologia e relazioni di mercato – che ne assicurano la funzionalità sistemica.

Tuttavia, la sostenibilità economico-finanziaria non si esaurisce nel calcolo del valore attuale netto o nella proiezione dei flussi di cassa: essa comprende anche la resilienza dell’impresa di fronte a shock dei prezzi, interruzioni della catena di fornitura e transizioni regolatorie come quelle legate agli standard climatici, agli obblighi di due diligence in materia di sostenibilità o alle restrizioni commerciali connesse alla carbon footprint.

Ne deriva che, come osservato in dottrina, “la sostenibilità d’impresa non è una variabile esterna al diritto dell’insolvenza, ma un parametro interno alla valutazione della going concern viability[2].

Valutare la sostenibilità economico-finanziaria significa, in definitiva, valutare la capacità di adattamento. Non a caso, la Direttiva (UE) 2019/1023 sottolinea che la finalità delle procedure di ristrutturazione preventiva è “consentire al debitore in difficoltà finanziaria di ristrutturare le proprie attività e passività, di evitare l’insolvenza e di assicurare la continuità dell’impresa” (considerando 1).

In questa prospettiva, la sostenibilità si traduce in una condizione di continuità dinamica, misurabile non solo sul piano contabile, ma anche attraverso indicatori di performance ESG.
Gli studi empirici più recenti confermano che le imprese con migliori pratiche ambientali, sociali e di governance presentano un rischio di insolvenza significativamente inferiore: la sostenibilità è, dunque, un fattore predittivo di continuità aziendale[3].

Dal punto di vista esterno, la sostenibilità interroga la forma e la struttura del procedimento concorsuale: la sua efficienza, la sua trasparenza e la sua giustizia distributiva. Un processo che dissipa risorse in adempimenti inutili o che concentra i costi sui più vulnerabili è, per definizione, insostenibile.

Questa articolazione tra dimensione interna ed esterna — tra continuità economica ed equità procedurale — deve orientare le nostre decisioni in ogni fase della procedura.

Le norme europee offrono esempi significativi di questa evoluzione. La Direttiva (UE) 2019/1023 mostra come il paradigma sostenibile si traduca in obblighi concreti: piani che non siano solo economicamente ragionevoli, ma che garantiscano anche la tutela occupazionale e il rispetto delle obbligazioni ambientali.

Parallelamente, la Direttiva (UE) 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD) ha imposto alle imprese di rendicontare, in modo standardizzato, gli impatti ambientali, sociali e di governance; mentre la più recente Direttiva (UE) 2024/3018 (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CSDDD) ha introdotto obblighi di diligenza sostenibile estesi all’intera catena del valore.

Benché non concepite specificamente per il diritto concorsuale, tali disposizioni incidono in modo diretto su di esso: un’impresa in crisi non può ignorare obblighi di reporting e di due diligence sostenibile, e un piano di ristrutturazione che li ometta rischia di risultare inattuabile sul piano regolatorio e non credibile su quello reputazionale.

Come sottolinea INSOL Europe (Sustainability in Insolvency and Restructuring Procedures, marzo 2024), “la sostenibilità, se integrata nel disegno procedurale, diviene un elemento di stabilità e legittimazione sociale della ristrutturazione”.

Negli Stati Uniti, il Chapter 11 continua a rappresentare un modello di riferimento su come la continuità aziendale possa erigersi a principio fondante del sistema. Tuttavia, anche oltreoceano cresce il dibattito sulle implicazioni sociali e ambientali dei piani di ristrutturazione: come è stato osservato, “la sostenibilità impone di considerare il fallimento non solo come un problema di efficienza allocativa, ma come un passaggio nella transizione verso un’economia resiliente e responsabile”[4].

In America Latina, le riforme più recenti in Paesi come Cile, Messico e Brasile mirano a modernizzare le procedure, introducendo strumenti di mediazione e negoziazione orientati a garantire risultati capaci di salvaguardare la continuità produttiva in un contesto di profonde trasformazioni economiche e sociali.

In Asia, giurisdizioni come Singapore si sono affermate come laboratori di innovazione normativa, promuovendo procedure rapide, trasparenti e gestite da professionisti altamente specializzati, in grado di coniugare rapidità decisionale e certezza del diritto.

Se si osserva l’insieme degli strumenti oggi disponibili, emerge con chiarezza che la linea di confine fra procedure preventive e procedure liquidatorie non è più così netta. Nei diversi contesti — Europa continentale, Stati Uniti, America Latina e Asia — si rileva una tendenza convergente verso modelli in cui: la tempestività dell'intervento è anticipata, grazie a meccanismi di ristrutturazione e precoce; la negoziazione professionale assume un ruolo centrale, favorendo un dialogo costruttivo tra debitore e creditori; e la cessione di complessi aziendali o di rami di impresa diviene uno strumento ordinario di salvaguardia del going concern, anche nell'ambito di procedure formalmente liquidatorie.

La chiave, pertanto, non risiede nel nome della procedura, ma nella sua capacità di preservare il valore perché “la sostenibilità concorsuale non dipende dalla tipologia di strumento, bensì dalla misura in cui esso consente la conservazione delle funzioni economiche e sociali essenziali dell’impresa”[5].

Una vendita che disarticola contratti, disperde capitale umano e interrompe relazioni commerciali distrugge più ricchezza di quanta ne realizzi; al contrario, una cessione unitaria o un affitto di azienda ben strutturati possono salvaguardare le funzioni produttive, mantenere l’occupazione e preservare il Know-how organizzativo, generando al contempo un ritorno più elevato per i creditori.

È questa, in definitiva, la logica della sostenibilità applicata alla liquidazione: proiettare il valore verso il futuro, non limitarsi a realizzarlo nel passato.

Nei procedimenti liquidatori più evoluti, la sostenibilità richiede un’analisi prospettica che consideri non solo il valore economico immediato degli attivi, ma anche il rendimento potenziale durante la loro gestione o vendita, le dinamiche settoriali e tecnologiche in grado di rivalutarli, e, soprattutto, la capacità dell’acquirente di mantenere e valorizzare risorse umane, know-how e relazioni d’impresa che costituiscono intangibili critici.

Sul versante preventivo, la questione decisiva è comprendere che cosa renda un piano sostenibile. Un piano può dirsi tale quando genera valore netto per la massa, distribuisce equamente i sacrifici e rispetta le obbligazioni legali, comprese quelle ambientali e lavoristiche; ma soprattutto, se è correttamente calibrato nel tempo.

La sostenibilità, tuttavia, è anche una questione di ritmo: se la ristrutturazione procede con eccessiva lentezza, l’impresa soffoca sotto il peso dell’incertezza; se, al contrario, si sviluppa troppo rapidamente sacrifica gli investimenti necessari al rilancio. La misura della sostenibilità sta dunque nella capacità di mantenere l’equilibrio fra tempo economico e tempo giuridico della crisi.

Il diritto comparato offre risposte siginificative a questa esigenza di equilibrio. Alcuni ordinamenti hanno introdotto la classificazione dei creditori e i meccanismi di cram-down per neutralizzare comportamenti opportunistici e impedire che minoranze ostruzionistiche compromettano la ristrutturazione; altri hanno valorizzato quadri di mediazione e facilitazione, Finalizzati ad allineare le aspettative e a ricostruire la fiducia tra le parti; altri ancora hanno previsto incentivi alla finanza interinale e post-concorsuale, accompagnandoli con regole di priorità chiare e con adeguate salvaguardie contro derive estrattive o comportamenti abusivi.

Come rileva INSOL Europe nel rapporto Sustainability in Insolvency and Restructuring Procedures (marzo 2024), “la sostenibilità non è un principio astratto, ma un criterio operativo che deve permeare la struttura stessa del processo di insolvenza, dalla fase di allerta alla liquidazione, passando per la ristrutturazione”.

La prassi internazionale conferma altresì il valore di strumenti che rendono la ristrutturazione più rapida e prevedibile. Gli accordi pre-pack, ad esempio, consentono di negoziare la vendita di attivi o rami d’azienda prima dell’apertura della procedura e di ottenerne l’approvazione giudiziale in modo trasparente e tempestivo; le vendite giudiziali protette (section 363 sales del Chapter 11 statunitense) permettono il trasferimento di beni sotto la protezione del giudice e in condizioni di concorrenza leale; le moratorie di durata calibrata concedono all’impresa il tempo necessario per respirare, senza tuttavia paralizzare il mercato; infine, i piani flessibili (o a parametri variabili), modulano automaticamente i pagamenti in base all’andamento effettivo dei ricavi, evitando rigidità che possono condurre al fallimento del piano.

Tutti questi strumenti devono confluire in una architettura procedurale coerente, capace di valutare non solo costi e benefici economici, ma anche i risultati sociali e ambientali.
E’ necessario distinguere tra imprese sostenibili in sé, per i loro risultati economici e finanziari, e imprese sostenibili per funzione che, pur fragili sul piano patrimoniale, risultano sistemicamente rilevanti per i servizi o le infrastrutture che forniscono – si pensi, ad esempio, a operatori energetici, reti di trasporto, servizi idrici o filiere agroalimentari essenziali[6].

La sostenibilità introduce, inoltre, una nuova agenda di governance nella cosiddetta zona d’ombra dell’insolvenza, cioè nella fase che precede l’apertura formale della procedura. Le decisioni adottate in questo frangente — alienazioni di beni, nuova finanza, priorità nei pagamenti — richiedono standard di condotta responsabili, capaci di incentivare la ristrutturazione tempestiva senza punire irragionevolmente il rischio imprenditoriale.

Diversi ordinamenti hanno introdotto safe harbors per la finanza-ponte o criteri di responsabilità orientati alla preservazione del valore, evitando la criminalizzazione di ogni tentativo di salvataggio fallito.

Parallelamente, la tutela dei lavoratori — attraverso la continuità contrattuale, i fondi di garanzia dei salari o i meccanismi di ricollocazione — non può dipendere unicamente dalla buona volontà dell’acquirente, ma deve costituire parte integrante del disegno procedurale.

In modo analogo, la tutela dell’ambiente — si pensi alle passività ambientali latenti — esige una ponderazione attenta del regime applicabile ai crediti di fonte regolatoria e delle obbligazioni di bonifica. Un approccio sostenibile deve evitare tanto la loro emarginazione automatica che svuoterebbe di contenuto l’interesse pubblico alla riparazione del danno ambientale quanto la loro assolutizzazione che finirebbe per precludere ogni prospettiva di continuità o di rigenerazione industriale.

Un approccio sostenibile dell’insolvenza non ignora i creditori pubblici, ma li integra in un sistema di regole prevedibili e trasparenti. Come dimostrano le esperienze di transazione tributaria e regolarizzazione condizionata, la riscossione futura migliora quando l’impresa sopravvive: la cooperazione fiscale può dunque rivelarsi più efficiente del rigore indiscriminato.

La sostenibilità si estende alla dimensione transfrontaliera. I gruppi societari operano in più giurisdizioni, e la conservazione del valore richiede coordinamento effettivo tra autorità, tribunali e professionisti. Gli strumenti internazionali di riconoscimento e cooperazione — in particolare la Model Law on Cross-Border Insolvency (UNCITRAL, 1997) e la Model Law on Enterprise Group Insolvency (UNCITRAL, 2019) — forniscono un linguaggio giuridico comune che consente di evitare corse ai tribunali, gestire i conflitti di giurisdizione e garantire simmetria informativa.

Come osserva INSOLEurope nel Position Paper on Cross-Border Cooperation (2023), “il concetto di centre of main interests assume valore operativo solo quando è posto al servizio dell’efficienza, e non della competizione giudiziaria”. Senza cooperazione, il valore si disperde tra le crepe del sistema; con la cooperazione, le parti del gruppo possono essere riallocate secondo una logica industriale, preservando la continuità complessiva.

Una riflessione sulla sostenibilità deve necessariamente soffermarsi anche sulle micro, piccole e medie imprese, autentica colonna portante delle nostre economie. Per esse, la sostenibilità significa semplicità procedurale, riduzione dei costi e accesso effettivo alla consulenza qualificata.

I modelli più efficaci prevedono piani standardizzati, piattaforme digitali per la gestione dei flussi informativi, mediatori con competenze economico-finanziarie e soluzioni prevedibili per il trattamento delle garanzie reali e personali. Sul piano sociale, le PMI rappresentano un tessuto comunitario: distruggerlo per rigidità e inefficienze procedurali significa infliggere un danno che trascende il dato economico.

La sostenibilità, in questo contesto, si traduce nel principio di proporzionalità che impone di calibrare il peso delle procedure in base alla dimensione dell’impresa.

 Non si può chiedere a una panetteria di quartiere di sostenere lo stesso apparato procedurale richiesto a un conglomerato multinazionale, senza tuttavia rinunciare alla tutela dei terzi e alla regolarità degli adempimenti. Come rileva INSOLEurope nel SME Insolvency Project (2023), “la proporzionalità è la prima forma di giustizia concorsuale nelle micro e piccole imprese”.

Il nostro tempo richiede, inoltre, intelligenza dei dati nella gestione della crisi.
La rilevazione precoce dei segnali di vulnerabilità — come la riduzione dei margini, l’ allungamento dei tempi d’incasso o la concentrazione eccessiva dei fornitori — consente di attivare meccanismi volontari di risanamento prima che l’insolvenza diventi irreversibile.

L’analitica avanzata può migliorare la stima delle probabilità di recupero e l’analisi di sensibilità dei piani, a condizione che non sostituisca né il giudizio professionale né la valutazione giudiziale. Come è stato efficacemente osservato “l’uso dei dati e dell’intelligenza artificiale nel diritto concorsuale deve rispettare il principio di sostenibilità istituzionale, che impone decisioni verificabili, giuste e trasparenti”[7].

In questa prospettiva, l’intelligenza artificiale può assistere — e non sostituire — i professionisti nella classificazione dei crediti, nella revisione dei contratti e nella simulazione di scenari, purchè nel rispetto dei principi di privacy, non discriminazione e responsabilità algoritmica. Un’insolvenza sostenibile è anche un’insolvenza informata, trasparente e verificabile.

Tuttavia, non si possono ignorare i rischi del cosiddetto “greenwashing concorsuale”. Definire “verde” un piano non lo rende automaticamente sostenibile: se l’investimento promesso non riduce rischi materiali né migliora la produttività, se gli indicatori ESG selezionati non sono pertinenti o se gli obiettivi sociali restano meramente dichiarativi, il procedimento perde credibilità. “La sostenibilità dichiarata e non misurata è il peggior nemico della ristrutturazione credibile”[8].

Intesa in senso ampio, la sostenibilità non riguarda soltanto l’ambiente o la responsabilità sociale, ma anche — e in modo essenziale — il funzionamento del credito e del sistema finanziario. Il credito è l’asse vitale dell’economia contemporanea: sostiene gli investimenti, alimenta la produttività e condiziona la stessa possibilità di continuità aziendale.

Il modo in cui il credito è concesso e gestito non può essere unicamente in chiave contrattuale o patrimoniale, ma anche sotto il profilo etico, prudenziale e sociale[9].

Parlare di credito sostenibile significa riconoscere l’esistenza di una tensione strutturale tra due esigenze ugualmente legittime: da un lato, la necessità di preservare la stabilità prudenziale del sistema finanziario attraverso regole rigorose; dall’altro, l’esigenza di promuovere una finanza responsabile che favorisca la ripresa delle imprese vitali e la tutela del tessuto produttivo.

La sostenibilità, in questa prospettiva, non contraddice la prudenza, ma la integra e la completa: solo un credito che contribuisce alla continuità economica può considerarsi davvero sicuro nel lungo periodo. Come ricorda INSOL Europe nel Report on Sustainable Finance in Restructuring (2024) “la vera prudenza finanziaria è quella capace di trasformare il rischio in continuità”.

Il credito sostenibile non implica, dunque, un allentamento della vigilanza, ma una ridefinizione del rischio: il rischio non si misura più soltanto sulla capacità immediata di rimborso, ma anche sulla viabilità futura del progetto imprenditoriale, sulla trasparenza del debitore, sulla qualità delle informazioni e sulla coerenza fra finalità economiche e sociali del finanziamento.

Gli studi empirici più recenti confermano che pratiche ESG di qualità riducono sensibilmente il rischio d’insolvenza e incrementano la stabilità del credito[10]. In altri termini la sostenibilità finanziaria è parte integrante della sostenibilità economica. Come osservato in dottrina, “la prudenza finanziaria deve essere reinterpretata in chiave sistemica, come gestione del rischio che preservi la continuità economica, non come inibizione dell’investimento”[11].

Ne consegue che la sostenibilità introduce una dimensione temporale più ampia e una visione più complessa della prudenza: una prudenza che non congela il credito, ma lo orienta verso la rigenerazione del valore.

Così concepito, il credito sostenibile richiede una etica istituzionale da parte delle banche e degli intermediari finanziari. La banca non è soltanto un soggetto privato, ma un intermediario di fiducia pubblica: deve operare entro un quadro di responsabilità condivisa, armonizzando la gestione del rischio con i principi di equità e cooperazione.

L’azione prudente, lungi dall’essere immobilismo, si traduce in una valutazione qualitativa del rischio, capace di distinguere tra il debitore che distrugge valore e quello che può ricostruirlo attraverso un processo ordinato di ristrutturazione. “La sostenibilità del credito è una forma di solidarietà economica: il finanziatore che comprende il ciclo vitale dell’impresa partecipa alla sua rigenerazione e non solo alla sua estinzione”[12].

Da questa evoluzione concettuale nasce un nuovo equilibrio: la sostenibilità non sostituisce la prudenza, ma la umanizza; e la prudenza non elimina il credito, ma lo razionalizza. In tale equilibrio si radica l’idea di un credito regolato responsabilmente, che protegge il sistema finanziario senza rinunciare alla sua funzione sociale.

In ultima analisi, il credito sostenibile si configura come una categoria giuridica ed etica che ridefinisce la struttura stessa del diritto concorsuale: uno strumento di stabilità e continuità, capace di conciliare la sicurezza del mercato con la giustizia economica.

Un sistema finanziario veramente prudente non è quello che rifugge il rischio, ma quello che lo governa affinché l’impresa in continuità possa sopravvivere e il valore sociale non vada perduto.

Conclusioni

La sostenibilità esige metriche verificabili e strumenti di misurazione oggettiva: impegni di efficienza energetica accompagnati da cronoprogrammi chiari e investimenti quantificabili; programmi di formazione e riqualificazione del personale con risultati misurabili; una governance dei dati conforme a standard internazionali di compliance ambientaleesociale. La giustizia concorsuale, per sua natura, si fonda sulla prova e sulla verifica: ogni promessa di sostenibilità deve tradursi in un riscontro empirico, ogni dichiarazione di principio deve trovare rispondenza imparammo metri misurabili.

Occorre inoltre affrontare con lucidità la tensione tra continuità e concorrenza. Salvare imprese attraverso vantaggi regolatori indebiti distorce il mercato e penalizza gli operatori corretti. Per questo, la sostenibilità deve dialogare con il diritto della concorrenza e con la disciplina sugli aiuti di Stato, in particolare con le linee guida della Commissione europea del 2023 sugli Aiuti di Stato per il clima, la tutela ambientale e l’energia[13].

Il principio generale è chiaro: preservare capacità produttive e capitale umano quando il valore sociale netto lo giustifica, evitando però la sopravvivenza artificiale di imprese non più competitive perchè “la sostenibilità concorsuale è legittima solo se serve alla creazione di valore condiviso, non al mantenimento di inefficienze private”[14].

L’esperienza contemporanea — tanto in Europa quanto in America Latina — dimostra che le crisi economiche non giungono mai isolate ma intrecciate con crisi climatiche, geopolitiche e tecnologiche.

 Siccità e inondazioni che colpiscono settori agroindustriali, shock delle materie prime, transizioni tecnologiche che rendono obsolete intere filiere produttive o mutamenti improvvisi nelle preferenze di consumo mettono alla prova la flessibilità dei nostri quadri giuridici e la capacità adattiva delle economie reali.

In simili contesti, la sostenibilità si rivela più una bussola che una mappa: Essa orienta le scelte giuridiche e istituzionali, adattandole ai contesti mutevoli. A seconda delle circostanze, lo strumento adeguato potrà essere un accordo preventivo con classi di creditori e cram-down, una vendita di unità produttiva con garanzie occupazionali, oppure una liquidazione ordinata che consenta di preservare ciò che può essere riutilizzato in un nuovo progetto imprenditoriale.

Come osserva INSOL Europe (Sustainability in Insolvency and Restructuring Procedures, 2024), “la liquidazione sostenibile è quella che proietta il valore nel futuro, consentendo al patrimonio residuo di diventare infrastruttura per nuova attività economica”.

La sostenibilità, nel diritto concorsuale del XXI secolo, non è un obiettivo accessorio ma un principio ordinante. Essa richiede di ripensare le procedure non come meccanismi di liquidazione, ma come strumenti di rigenerazione del valore economico e sociale. Le Direttive 2019/1023, 2022/2464 (CSRD) e 2024/3018 (CSDDD), insieme alle linee guida UNCITRAL e ai rapporti INSOL Europe 2024, tracciano un percorso normativo e culturale convergente: rendere la continuità economica e la responsabilità sostenibile criteri strutturali del diritto concorsuale. Il diritto concorsuale è, in ultima analisi, un meccanismo di fiducia collettiva, non un rituale di chiusura. La sua legittimità dipende dalla capacità di generare futuro, non di distribuire passato.

In questa prospettiva, una domanda che deve guidare le decisioni di giudici, professionisti e legislatori: la scelta adottata preserva o distrugge valore economico, sociale e ambientale nel medio periodo?

Se la risposta è la prima, il diritto concorsuale adempie la propria funzione di strumento di stabilità e rigenerazione; se è la seconda, anche la più raffinata costruzione teorica fallisce nel suo scopo.

L'esperienza comparata e la riflessione maturata in questo Congresso mostrano che il percorso è complesso, ma praticabile. La comunità scientifica e professionale dispone oggi degli strumenti analitici, della creatività interpretativa e del senso etico necessari per rendere la sostenibilità non un enunciato di principio, ma un criterio operativo del diritto concorsuale del futuro.


(*) Lo scritto corrisponde al testo della relazione tenuta il 15 ottobre 2025 a Montevideo in chiusura del XXI Congresso dell’Instituto IberoAmericano de derecho concursal. Una versione ampliata è in corso di pubblicazione nella Rivista del diritto fallimentare e delle società commerciali.


[1] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law. Are “Sustainable Insolvency Proceedings” Possible?, in J. Corp. Law Stud., 2022, p. 3 ss. 

[2] T.LINNA, Business Sustainability and Insolvency Proceedings – The EU Perspective, in J. Sustainability Research, 2020, vol. 2, n. 2.

[3] H. LIN, R. CHEN e Y. ZHAO, Corporate ESG Performance and Bankruptcy Risk, in J. Corp. Finance, 2025.  

[4] G.R. WARNER, Sustainable Bankruptcy, Harvard Law School Bankruptcy Roundtable, 16 settembre 2025.

[5] M. PORZYCKI, Sustainability in Corporate Insolvency Law, cit., p. 12. 

[6]T. LINNA (op. cit.).

[7] Y. S. ANG - T. LAMBOOY, Re-defining Corporate Solvency for Sustainability, SSRN, 2022, p. 14 ss.

[8] M. PORZYCKI, op. cit., p. 25.

[9] Come ricorda G. R. WARNER, “la sostenibilità del credito non si misura nella riduzione del rischio, ma nella capacità di sostenere l’economia reale senza comprometterne la resilienza” (Sustainable Bankruptcy, Harvard Law School Bankruptcy Roundtable, 2025).

[10]H. LIN, R. CHEN, Y. ZHAO, Corporate ESG Performance and Bankruptcy Risk, in J. Corp. Finance, 2025.

[11] T. LINNA, Business Sustainability and Insolvency Proceedings – The EU Perspective, 2020.

[12] Così, Y. S. ANG, Re-defining Corporate Solvency for Sustainability, cit., p. 27 ss.

[13] M. PORZYCKI (op. cit., p. 30 ss.) afferma che “la sostenibilità non può trasformarsi in privilegio, ma deve rimanere criterio di efficienza allocativa e giustizia di sistema”.

[14] T. LINNA, op. cit.