, 06 dicembre 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. La concessione abusiva di credito. Inquadramento generale. 2. La responsabilità dell’organo gestorio. 3. La responsabilità dell’istituto finanziatore. 4. Legittimazione attiva del curatore e onere della prova
1. La concessione abusiva di credito. Inquadramento generale
La concessione abusiva di credito è una fattispecie elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza; nel panorama normativo possiamo individuare diverse disposizioni che ci possono aiutare a ricostruire tale fattispecie, ma manca una vera e propria definizione legislativa.
Secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, l'erogazione del credito è qualificabile come abusiva qualora venga effettuata, con dolo o colpa, ad un'impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi[1].
L’impresa finanziata, pertanto, si deve trovare in istato d'insolvenza o comunque in stato di crisi conclamata e non devono sussistere, secondo una valutazione ex ante, fondate prospettive di risanamento[2].
Sempre secondo la Corte di Cassazione, il confine tra finanziamento meritevole e finanziamento abusivo si fonda sulla ragionevolezza e sulla fattibilità di un piano aziendale[3]. In altri termini, soltanto il finanziamento non giustificato da un progetto di risanamento può essere contestato.
La precisazione è importante, atteso che, nel nostro ordinamento, il finanziamento dell’impresa in crisi non soltanto non è vietato, ma in alcuni casi risulta incoraggiato, in virtù di un generale favor del legislatore verso il sostegno finanziario dell’impresa in crisi. Si pensi, soltanto per fare un esempio, alla disciplina dei finanziamenti prededucibili prevista dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto Legislativo 12 gennaio 2019 n. 14).
Sul tema della concessione abusiva di credito è intervenuto, di recente, anche il Tribunale di Milano.
In particolare, i giudici meneghini ci ricordano che l’istituto di credito, in quanto soggetto qualificato, è tenuto al rispetto dei principi di sana e prudente gestione. Ne consegue che, in caso di erogazione di credito qualificata come abusiva, può configurarsi la responsabilità dell’istituto di credito che abbia cagionato un danno al patrimonio del soggetto finanziato, derivante dalla violazione dei principi di sana e prudente gestione[4].
La concessione abusiva di credito, mantenendo artificiosamente in vita l'impresa decotta, ne aggrava il dissesto, causando un danno sia al patrimonio della società stessa sia alla massa dei creditori, la cui garanzia patrimoniale viene ulteriormente erosa.
In dottrina si parla di fattispecie plurioffensiva, proprio perché la concessione abusiva di credito può determinare un duplice danno; verso l’impresa (in questo caso si parlerà di responsabilità contrattuale) e verso il ceto creditorio (responsabilità extracontrattuale)[5].
2. La responsabilità dell’organo gestorio
La concessione abusiva di credito, per sua natura, presuppone la condotta del ricorso abusivo al credito da parte dell’organo gestorio dell’impresa[6].
Il ricorso abusivo al credito, che può avere, nei casi più gravi, anche una rilevanza penale[7], si configura quando l’amministratore o gli amministratori della società continuano l'attività d'impresa finanziandola con nuovo debito, nonostante l'assenza di prospettive di ripresa, in violazione degli obblighi di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.
La scelta di proseguire l'attività in stato di dissesto costituisce una violazione dei doveri gestori, che aggrava il passivo e pregiudica le ragioni dei creditori.
Tale condotta dell’organo gestorio, evidentemente, produce dei danni anche verso la stessa società. Da quanto punto di vista, si può parlare di una responsabilità degli amministratori tanto verso la società (cfr. artt. 2392 e 2393 codice civile), quanto verso i creditori sociali (cfr. art. 2394 codice civile).
In tale contesto, si inserisce la responsabilità concorrente della banca (nella gran parte dei casi si tratta di una banca, ma lo stesso discorso vale per tutti gli intermediari finanziari), che si può configurare come responsabilità solidale ex art. 2055 codice civile[8].
3. La responsabilità dell’istituto finanziatore
Qualora l’imprenditore, che presenta una domanda di finanziamento, versi in una situazione di crisi, il principio di sana e prudente gestione richiede all’istituto di credito di accertare le concrete prospettive di superamento della situazione di difficoltà. Se non vi sono queste prospettive, la banca ha il dovere di negare il finanziamento. Del resto, l’obbligo di non far credito alle imprese immeritevoli si configura come un corollario della responsabilità sociale dell’intermediario finanziario[9].
Il principio di sana e prudente gestione rappresenta, dunque, il principio fondamentale che orienta tutta l’attività bancaria. Ciò risulta confermato dalla stessa Banca d’Italia, con la Circolare n. 229/1999, secondo la quale la sana e prudente gestione, riferendosi ai singoli soggetti vigilati, costituisce, al contempo, finalità della vigilanza e regola di condotta per gli intermediari[10].
Il principio in questione trova fondamento nell’art. 5 del Testo Unico Bancario (Decreto Legislativo 1° settembre 1993 n. 385), in base al quale «le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati».
Il principio di sana e prudente gestione, al quale si aggiunge quello della buona fede nelle trattative, previsto dall’art. 1337 codice civile, impone alle banche e agli intermediari finanziari degli obblighi stringenti nella fase di concessione del credito[11].
Più precisamente, nel procedimento di concessione del credito, la banca è obbligata ad accertare la meritevolezza del cliente, attraverso un’istruttoria approfondita, che non si deve soffermare sulla consistenza patrimoniale del soggetto da finanziare, dovendosi estendere alla sostenibilità e alla coerenza del piano economico posto alla base della domanda di finanziamento.
Tra l’altro, la valutazione del rischio, da parte dell’istituto finanziatore, non riguarda soltanto la fase dell’istruttoria, ma anche la fase dell’erogazione, così come quella del monitoraggio, anche perché la banca è tenuta ad intervenire in qualsiasi momento, soprattutto in caso di anomalia. Si parla, a tal riguardo, di framework di monitoraggio del rischio di credito, perché la banca deve essere in grado di gestire e monitorare le proprie esposizioni durante tutto il loro ciclo di vita.
Il dovere di accertamento del merito creditizio, di cui si discute, si può ricavare da un complesso sistema di norme, tanto di matrice nazionale, quanto di matrice comunitaria. Tale sistema normativo ci consente di definire nel dettaglio anche il processo di valutazione del merito creditizio.
Un riferimento certamente importante, a livello internazionale, è costituito dalle Linee Guida EBA del 29-5-2020 (Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti), applicabili a decorrere dal 30 giugno 2021[12].
Secondo quanto si legge nel predetto documento, ai fini della valutazione del merito creditizio delle imprese (microimprese, piccole, medie e grandi imprese), l’ente finanziatore dovrebbe avere a disposizione e utilizzare le seguenti informazioni base: a) finalità del prestito, se pertinente per il tipo di prodotto; b) reddito e flusso di cassa; c) posizione e impegni finanziari, comprese le attività costituite in garanzia e le passività potenziali; d) modello di business e, se del caso, struttura aziendale; e) piani aziendali supportati da proiezioni finanziarie; f) garanzia reale (per i prestiti garantiti); g) altri fattori di attenuazione del rischio, come eventuali garanzie personali; h) documentazione legale specifica del tipo di prodotto (ad esempio, permessi, contratti).
Per quanto riguarda, poi, l’analisi della posizione finanziaria del cliente, l’ente dovrebbe considerare i seguenti elementi, secondo un approccio forward-looking:
1) la posizione finanziaria attuale e prospettica, compresi i bilanci, la fonte della capacità di rimborso per adempiere gli obblighi contrattuali, anche in caso di possibili eventi sfavorevoli, la struttura patrimoniale, il capitale circolante, il reddito e il flusso di cassa;
2) il livello di leva finanziaria, la distribuzione dei dividendi e le spese in conto capitale effettive e previste del cliente, nonché il suo ciclo di conversione di cassa in relazione alla linea di credito in esame;
3) il profilo di esposizione fino alla scadenza, in relazione ai potenziali movimenti di mercato, come le esposizioni denominate in valuta estera e le esposizioni garantite da veicoli di rimborso;
4) la probabilità di default, sulla base del credit scoring o del rating interno;
5) l’uso di opportune metriche e indicatori finanziari, specifici per classe di attività o per tipo di prodotto.
Se le informazioni e i dati non fossero prontamente disponibili, l’ente dovrebbe raccogliere le informazioni e i dati necessari dal cliente e/o da terzi, comprese le banche dati pertinenti.
Sempre con riferimento alle imprese, si precisa che l’ente finanziatore, se del caso, potrebbe utilizzare anche i seguenti elementi aggiuntivi: 1) Informazioni sulla finalità del prestito; 2) la prova della finalità del prestito; 3) prospetti di bilancio e note di accompagnamento a livello di entità singola e a livello consolidato (stato patrimoniale, conto economico, flusso di cassa) relativi a un periodo ragionevole, conti certificati o sottoposti a revisione contabile; 4) relazione/prospetto di anzianità dei crediti; 5) piano aziendale sia per il cliente che in relazione alla finalità del prestito; 6) proiezioni finanziarie (stato patrimoniale, conto economico, flusso di cassa); 7) evidenza dei pagamenti fiscali e delle passività fiscali; 8) dati dei registri dei crediti o degli uffici crediti, contenenti quanto meno informazioni sulle passività finanziarie e sugli arretrati di pagamento; 9) informazioni sul rating del credito esterno del cliente; 10) informazioni sulle clausole restrittive esistenti e sul loro rispetto da parte del cliente; 11) informazioni su importanti contenziosi che vedono coinvolto il cliente al momento della richiesta; 12) informazioni sulla garanzia reale; 13) attestazione della proprietà della garanzia reale; 14) attestazione del valore della garanzia reale; 15) attestazione dell’assicurazione della garanzia reale; 16) informazioni sull’esigibilità della garanzia (nel caso di un prestito specializzato, descrizione della struttura e del pacchetto di garanzie reali dell’operazione); 17) informazioni sulle garanzie personali, altri fattori di attenuazione del rischio di credito e garanti; 18) informazioni sulla struttura proprietaria del cliente ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e della lotta al finanziamento del terrorismo (AML/CFT).
Si comprende, quindi, come nella propria valutazione, l’ente finanziatore non si debba limitare ad un controllo puramente formale, ma debba effettuare una valutazione più complessiva. La valutazione dell’intermediario non può prescindere, ad esempio, dal controllo dell’idoneità del piano industriale e finanziario della società cliente, soprattutto laddove quest’ultima ha la necessità di superare una fase di difficoltà economica[13].
Si tenga presente, inoltre, che la responsabilità dell’intermediario non può essere esclusa neanche quando il cliente fornisce informazioni lacunose, qualora la banca abbia colpevolmente omesso di compiere le opportune verifiche[14].
In aggiunta a quanto sopra, l’eventuale presenza di una garanzia statale, collegata al finanziamento, come quella del Mediocredito Centrale (ipotesi molto frequente nella prassi), dovrebbe comportare per la banca un’istruttoria più accurata.
L’eventuale violazione del dovere di accertamento del merito creditizio determina, per l’ente finanziatore, una responsabilità di natura risarcitoria. La Corte di Cassazione lo ha ribadito più volte, anche di recente. In particolare, parlando degli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi, come, appunto, l’abusiva erogazione del credito, la Suprema Corte ha precisato che non si tratta di atti illeciti né nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell'ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato[15].
Non sembra superfluo precisarlo, dal momento che, negli ultimi anni, una parte della giurisprudenza di merito ha introdotto la tesi, alquanto estrema, della nullità del contratto di finanziamento abusivo per violazione di norme imperative o per violazione del buon costume finanziario[16].
Per quanto riguarda, in particolare, i profili civili risarcitori, la concessione abusiva di credito della banca può causare dei danni alla stessa società finanziata, perché può comportare, ad esempio, l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa.
In questi casi, la giurisprudenza parla di responsabilità precontrattuale e/o contrattuale. Più precisamente, avremo una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 codice civile laddove la banca abbia contrattato e concesso il finanziamento in spregio dei propri doveri di condotta; una responsabilità più propriamente contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 codice civile, laddove sia imputata alla banca l’illecita prosecuzione di un finanziamento in corso[17].
La banca, evidentemente, potrebbe essere responsabile anche verso i creditori della stessa società finanziata, sicché si parlerà di responsabilità extracontrattuale, eventualmente in concorso con quella degli organi sociali (cfr. artt. 2043 e 2055 codice civile).
La condotta illecita della banca potrebbe essere commissiva, ma anche omissiva. Commissiva nel momento in cui concede il finanziamento senza accertare che vi fossero i presupposti per la prosecuzione dell’attività. Omissiva perché potrebbe mantenere in essere una linea di credito nonostante i gravi e conclamati inadempimenti della società, in violazione dei più elementari doveri di prudenza.
Si pensi all’ipotesi della banca che, una volta concesso il finanziamento abusivo, lo mantenga in vita per un periodo di tempo rilevante, nonostante i gravi ritardi nel pagamento delle rate da parte della società cliente, ritardi che giustificherebbero la revoca dello stesso finanziamento e la riclassificazione del credito.
La condotta della banca risulta rilevante anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi d’impresa (art. 12 e ss. codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), dove non ci sono esimenti e dove si applicano, per i rapporti bancari, le regole ordinarie[18].
4. Legittimazione attiva del curatore e onere della prova
A prescindere dalle strategie eventualmente adottate in sede di verifica del passivo, il curatore può promuovere un autonomo giudizio ordinario per far accertare la responsabilità degli amministratori e/o della banca e ottenere la condanna al risarcimento del danno.
Sotto il profilo della legittimazione attiva, non vi sono dubbi sul fatto che l’azione risarcitoria contro gli amministratori e/o contro la banca possa essere esercitata dagli organi della procedura concorsuale, come, appunto, il curatore nella liquidazione giudiziale[19].
La norma di riferimento è l’art. 255 codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che prevede espressamente le azioni di responsabilità esperibili dal curatore, dietro autorizzazione del giudice delegato.
Al curatore appartiene la legittimazione attiva a richiedere sia il risarcimento per i danni arrecati alla società, sia il risarcimento per i danni indiretti arrecati alla massa dei creditori. In entrambi i casi, il curatore agisce per integrare il patrimonio sociale pregiudicato dall’abusiva concessione del credito.
Sotto il diverso profilo dell’onere della prova, il curatore, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, alla quale ha aderito anche il Tribunale di Milano, dovrà allegare e provare i seguenti elementi: 1) la condotta illecita dell’organo gestorio e/o della banca, caratterizzata almeno da colpa; 2) il danno evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; 3) il danno conseguenza, rappresentato dall’aggravamento del dissesto; 4) il nesso di causalità tra la condotta tenuta e i predetti danni[20].
Si tratta, all’evidenza, di un onere probatorio impegnativo per il curatore, anche perché gli elementi di cui sopra dovranno essere provati sia per la condotta illecita degli amministratori, sia per la condotta (commissiva e/o omissiva) della banca, chiamata a rispondere in concorso con i primi, ai sensi dell’art. 2055 codice civile.
Come chiarito dalla stessa Corte di Cassazione, la necessità di definire ed accertare con rigore tali elementi costitutivi deriva dal doveroso rispetto del punto di equilibrio tra opposti valori meritevoli di tutela, quali, da un lato, la posizione giuridica del finanziato e dei suoi creditori, e, dall'altro lato, la libertà contrattuale del banchiere[21].
Per quanto riguarda, in particolare, il danno, che consiste nell’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell'attività d’impresa, lo stesso andrà quantificato secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali, prendendo in considerazione le risultanze dei bilanci, a decorrere dall'esercizio antecedente all'ultima operazione di finanziamento controversa e, successivamente, sino all'ultimo esercizio precedente la dichiarazione di liquidazione giudiziale, attraverso il riscontro dei netti patrimoniali e della relativa evoluzione[22].
Una volta provato il danno, il curatore dovrà provare l’elemento del nesso causale (probabilmente la prova più difficoltosa).
Nello specifico, la verifica del nesso causale, ai sensi dell'art. 1223 codice civile, andrà effettuata alla stregua della teoria della causalità adeguata, per la quale non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, di tal che l'evento dannoso si ponga come conseguenza normale dell'antecedente, il quale abbia rappresentato, secondo la logica del “più probabile che non”, la ragione della prosecuzione dell’attività d’impresa e, quindi, del pregiudizio economico di cui si chiede il risarcimento[23].
La relazione particolareggiata del curatore, prevista dall’art. 130 codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, costituisce un documento di rilevanza fondamentale nell'ambito dell'azione di responsabilità (il principio vale per tutte le azioni di responsabilità esercitabili dal curatore), poiché può essere utilizzata per supportare le richieste di risarcimento danni sulla base dei fatti e delle circostanze accertate dal curatore nel corso della sua attività[24].
Lo stesso discorso può essere fatto per la consulenza tecnica di parte, da allegare all’atto introduttivo del giudizio, nonché per l’eventuale CTU disposta dal Tribunale. Anche questi documenti possono contribuire fattivamente a ricostruire le responsabilità degli amministratori e/o della banca, agevolando le valutazioni del Tribunale.
[1] Cfr. Corte di Cassazione, 27 ottobre 2023 n. 29840, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[2] Cfr. Corte di Cassazione, 30 giugno 2021 n. 18610, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it
[3] Si può fare l’esempio del piano attestato di risanamento, previsto dall’art. 56 codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che sia «idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria».
[4] Cfr. Tribunale di Milano, 17 giugno 2025 n. 4937.
[5] Cfr. “Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi”, di Pietro Gobio Casali e Matteo Binelli, in DDC, 18 aprile 2023.
[6] Secondo la dottrina più autorevole, non vi può essere concessione abusiva di credito senza un preventivo ricorso abusivo al credito. In questi termini Sido Bonfatti, “Finanziamenti con garanzie pubbliche: dalla concessione abusiva al danno erariale”, in www.dirittobancario.it.
[7] La fattispecie penale è disciplinata dall’art. 325 codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ai sensi del quale «Gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un'attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli 322 e 323, dissimulando il dissesto o lo stato d'insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni». Al di fuori di questi casi, si può comunque configurare, in capo all’amministratore, il reato di bancarotta semplice, previsto dall’art. 323 codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, allorquando vengano compiute operazioni di grave imprudenza per ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale o venga aggravato il dissesto della società, evitando di richiedere la liquidazione giudiziale o con altra grave colpa.
[8] Ai sensi della norma citata «se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno».
[9] In questi termini Andrea Natale, “La concessione del credito. Rischi e presidi”, Pisa, 2025, p. 108.
[10] In questi termini Circolare di Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999.
[11] In questi termini A. Natale, op. cit., p. 112.
[12] Le Linee Guida EBA definiscono il processo di gestione del credito, partendo dalle fasi di concessione e monitoraggio. Per una disamina più approfondita sulle Linee Guida EBA v. anche Ettore Andreani, “Verifica del merito creditizio ed abusiva concessione di credito”, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2 gennaio 2023.
[13] Così Christian Romeo, Francesca Perini, “La concessione abusiva del credito”, in Contratti, 2024, p. 537 ss.
[14] Cfr. Corte di Cassazione, 30 giugno 2021 n. 18610, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[15] In questi termini v. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 5 marzo 2025 n. 5841, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[16] Cfr. ad esempio Tribunale di Asti, 8 gennaio 2024; Tribunale di Ferrara, 3 maggio 2024; Tribunale di Piacenza, 8 gennaio 2025. In senso contrario, invece, v. Tribunale di Roma, 31 ottobre 2025, il quale conferma l’impostazione della Corte di Cassazione, affermando che dalla concessione abusiva di credito non può farsi discendere l’invalidità del contratto di finanziamento, ma soltanto la responsabilità dell’ente e dei suoi organi rappresentativi.
[17] In tal senso Corte di Cassazione, 30 giugno 2021 n. 18610, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[18] Edoardo Staunovo-Polacco, “Concessione abusiva di credito e responsabilità delle banche nella composizione negoziata della crisi d’impresa”, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 27 maggio 2025.
[19] Cfr. Tribunale di Milano, 18 dicembre 2023 n. 10193.
[20] Tra le decisioni più recenti v. Tribunale di Milano, 17 giugno 2025 n. 4937, ma anche Tribunale di Milano, 9 agosto 2025 n. 6492.
[21] Cfr. Corte di Cassazione, 30 giugno 2021 n. 18610, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[22] Cfr. Tribunale di Milano, 17 giugno 2025 n. 4937.
[23] Cfr. Tribunale di Milano, 17 giugno 2025 n. 4937.
[24] In questo senso A. Ferri, A. Fratalocchi e B. Lunghini, “Consulenza tecnica e onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore”, in www.ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 27 novembre 2025.