Recensione

Si è spento Giuseppe Niccolini


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Articolo

La scelta dell'istituto più adeguato per superare la crisi d’impresa


Marco Arato

Data pubblicazione
08 ottobre 2021

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* Il presente contributo riproduce, con alcune variazioni e con l’aggiunta di qualche nota, il testo della relazione tenuta a Brescia il 25 settembre 2021 al convegno di studio “La gestione della crisi di impresa nel post pandemia tra esigenze del Paese, Legge Fallimentare e Codice della Crisi”.

1. Nella scelta dell’istituto più adeguato per superare la crisi d’impresa, oltre agli usuali strumenti e procedure offerti dall’ordinamento, da individuarsi di volta in volta a seconda della gravità della crisi, a seconda che si voglia proseguire nell’attività di impresa o meno, a seconda della composizione e del numero dei creditori, occorre sicuramente tener conto delle nuove opportunità offerte dal D.L. 118/2021. Tale imponente corpo di norme, continuando con la tradizione che possiamo dire ormai consolidata dei decreti legge estivi nel settore della crisi di impresa (si pensi ai D.L. del 2010, del 2012 e del 2015), ha pesantemente e (anticipando un giudizio) positivamente rinnovato il quadro normativo. Aggiungo con una considerazione provocatoria che nel settore della crisi il Covid ha avuto benefici effetti (per trovare, almeno, un aspetto positivo alla pandemia) in quanto il recentissimo D.L. 118/2021 ha travolto l’impronta dirigista che purtroppo permeava il codice della crisi nel testo contenuto nel D. Lgs. 14/2019 e nel successivo decreto correttivo 147/2020[1]. Tale impronta, a mio modo di vedere, si discostava dalla (e non era in linea con la) legge delega n. 155/2017 e ancora di più con la direttiva UE 2019/1023.

E’ singolare che nei momenti di crisi le norme fallimentari diventino più flessibili (basti pensare alle riforme del 2010 e del 2012 post crisi Lehman, con l’introduzione dell’automatic stay italiano rappresentato dal concordato con riserva e al recentissimo D.L. 118/2021), mentre nei momenti di ripresa economica si ritorni alla rigidità (si pensi al D.L. del 2015 che ha segnato l’inizio dell’oscillazione del pendolo verso un inasprimento delle norme in quanto ha introdotto una percentuale minima di pagamento nel concordato preventivo liquidatorio e il ritorno del silenzio-rifiuto dei creditori per l’approvazione del concordato preventivo). E’ un atteggiamento irrazionale e non condivisibile (negli Stati Uniti il Chapter 11 che è l’origine di tutte le legislazioni europee sulla composizione della crisi è sostanzialmente inalterato dal 1978 e trova la sua fonte originaria nel Bankruptcy Act del 1898). Il favor verso la salvaguardia dell’impresa nell’interesse di tutti gli stakeholders non può mutare a seconda delle condizioni economiche generali. Il riconoscimento del valore dell’impresa in sé e dell’interesse anche sociale alla sua salvaguardia costituisce un dato definitivamente acquisito dalle legislazioni di tutti i Paesi occidentali. E’ brutto da dirsi, ma la pandemia è stata l’elemento trainante per spazzare via antistorici rigurgiti autoritari.

 

2. Venendo all’argomento della mia relazione, il catalogo degli strumenti a disposizione delle imprese in crisi si arricchisce non solo della composizione negoziata della crisi (artt. 2-17 D.L. 118/2021), ma anche (i) dell’anticipata entrata in vigore degli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e della convenzione di moratoria già previsti dal codice della crisi; (ii) della possibilità di pagare ai dipendenti i crediti concorsuali in caso di continuazione dell’attività; (iii) della possibilità di omologare il concordato preventivo (oltrechè l’accordo di ristrutturazione) anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria; (iv) della disciplina degli effetti dell’accordo di ristrutturazione omologato e (v) dell’ampliamento della moratoria a due anni per il pagamento dei creditori privilegiati nel concordato.  

Senza contare che le imprese in crisi avranno a loro disposizione: 

(i)       L’art. 1 c. 266 l. 178/2020 (legge finanziaria 2021) relativo alla disapplicazione per ben 5 anni degli artt. 2446 c. 2 e 3 e 2447 c.c. in caso di perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31.12.2020. La chiave di lettura della norma è tutta sulle parole “perdite emerse” che a mio modo di vedere va interpretata come perdite rilevanti che eventualmente sommate a perdite anche pregresse fanno scattare le fattispecie degli artt. 2446 e 2447 c.c.; in altre parole, non potrà giovarsi della disapplicazione degli artt. 2446 c. 2 e 3 e 2447 c.c. chi si trovasse in tale situazione già prima dell’esercizio chiuso al 31.12.2020 (con la conseguenza, però, che chi fosse stato nella situazione prevista dall’art. 2446 c. 1 nel 2019 e nel corso dell’esercizio 2020 non avesse ridotto la perdita al di sotto del terzo o addirittura fosse arrivato alla perdita integrale del capitale ex art. 2447 c.c., dovrebbe poter beneficiare della disapplicazione di tale norma). Va però aggiunto che la legge finanziaria 2021 disapplica solo le norme sulla conservazione del capitale, ma nulla dice sui profili di responsabilità degli amministratori e dei sindaci. Sicuramente non potranno essere responsabili ex art. 2486 c. 3 (responsabilità per aggravamento del passivo al verificarsi di una causa di scioglimento) in quanto l’art. 1 c. 266 l. 178/2020 oltre a disapplicare gli artt. 2446-7 afferma che non opera la causa di scioglimento della società prevista dall’art. 2484 c. 4 c.c. (e cioè lo scioglimento per la perdita del capitale sociale) e quindi fa venir meno una responsabilità derivante da una causa di scioglimento.

Tuttavia, esistono anche altre ragioni di responsabilità degli amministratori, dalla mancata istituzione “di un assetto organizzativo amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale” al dovere “di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (così art. 2086 c.c.), senza dimenticare le conseguenze penali fallimentari (aggravamento del dissesto a causa del ritardato accesso a procedure concorsuali o ricorso abusivo al credito). Insomma, se la legge disapplica le cause di scioglimento della società conseguenti alla perdita del capitale, ciò non significa che gli amministratori possano continuare per cinque anni nella gestione come se niente fosse; devono immediatamente adoperarsi per superare la crisi della società considerando la moratoria quinquennale come un’agevolazione di cui non debbono abusare. 

(ii)    L’art. 9 c. 5 bis D.L. 23/2020 che fino al 31.12.2022 (v. art. 21 D.L. 118/2021) consente al concordato con riserva di sfociare in un piano di risanamento attestato ex art. 67 c. 3 lett. d l.f.[2]; 

(iii)  L’art. 22 del D.L. 118/2021 che nel concordato con riserva assegna al debitore fino alla cessazione giuridica dell’emergenza pandemica (attualmente il 31.12.2021) il termine di 120+60 giorni per la presentazione della domanda piena di concordato, dell’accordo di ristrutturazione (o del piano di risanamento) anche in presenza di istanze di fallimento. 


3.
Quali considerazioni possono allora svolgersi di fronte a questo articolato catalogo normativo: 

(a)     Sicuramente la composizione negoziata della crisi (artt. 2-17 del D.L. 118/2021) rappresenterà un efficacissimo strumento di ristrutturazione dell’indebitamento[3].

La circostanza che:  

(i)       sia una procedura stragiudiziale offerta a debitori in crisi o insolventi purchè con una insolvenza reversibile (come affermato nella Relazione Illustrativa al D.L. e correttamente condiviso da autorevole dottrina[4]) 

(ii)    lasci la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa in capo al debitore; 

(iii)  consenta un ombrello protettivo fino a 8 mesi; 

(iv)   preveda la figura di un esperto/mediatore nominato da una commissione composta da soggetti terzi, esperto ben lontano dalla figura del commissario giudiziale e del consulente del giudice[5]. I membri della commissione che nomina l’esperto sono un magistrato della sezione imprese, un soggetto indicato dal Presidente della Camera di Commercio e un membro designato dal Prefetto. Se i primi due designatori riprendono i soggetti che nel Codice della Crisi indicano i componenti dell’OCRI, il Prefetto quale designatore è una novità assoluta. La ragione del coinvolgimento del Prefetto nella soluzione della crisi di impresa non va individuata negli eventuali riflessi della crisi sull’ordine pubblico ma nella rappresentanza governativa locale del Prefetto con l’obiettivo di prevenire se non ridurre i numerosissimi tavoli di crisi attualmente aperti presso il Mise; 

(v)     possa concludersi con un accordo con i creditori che assicuri delle misure premiali, o con uno degli strumenti offerti dall’ordinamento, rappresentano esiti estremamente flessibili e adattabili alle più variegate esigenze delle imprese. In sostanza ci si è ispirati all’esperienza francese del conciliateur judiciaire di cui all’art. 611-4 Code de Commerce (introdotto da un decennio e modificato il 15.9.2021 con Ordonnance 2021/1193) che sta dando buoni frutti e che però in Francia non è ammesso per le imprese che siano insolventi (in cessation des paiements) da più di 45 giorni. 

(b)     Si aggiunga che l’introduzione dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa consente al debitore di obbligare all’accordo anche i creditori recalcitranti purchè non siano più del 25% o del 40% nel caso in cui il contenuto dell’accordo sia condiviso dall’esperto. In sostanza, è sufficiente una maggioranza del 75% o del 60% di creditori aderenti per estendere (giudizialmente) l’accordo ai creditori recalcitranti.

Si tratta di una previsione che rende la composizione agevolata non troppo dissimile dal concordato preventivo (ove gli aderenti devono essere almeno il 51%) ma con il vantaggio (i) di costi e tempi contenuti, (ii) dell’assenza di un apparato giudiziario/autorizzativo (si pensi alle relazioni del Commissario Giudiziale ex artt. 172 e 180 l.f., se non ex art. 173 l.f.), (iii) dell’assenza di un attestatore e (iv) del mantenimento della gestione ordinaria e straordinaria in capo al debitore. Infine, siccome la composizione negoziata non è una procedura concorsuale, in linea di principio non trovano applicazione i reati fallimentari, a meno che non si pervenga ad accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa. 

(c)     L’immediata entrata in vigore della convenzione di moratoria, che prevede la sua estensione ai creditori recalcitranti purché non siano più del 25%, offre uno strumento che si può affiancare alla composizione negoziata allungando nella sostanza le misure protettive o che può essere lo sbocco stesso della composizione negoziata (art. 11 c. 1 lett. b D.L. 118/2021) con una sorta di reintroduzione (e correzione) della amministrazione controllata abrogata 16 anni fa. 

(d)     L’introduzione del concordato liquidatorio semplificato quale esito infausto della composizione negoziata certificato dall’esperto rappresenta una novità rilevante. Non solo perché si tratta di una procedura concorsuale al di fuori della legge fallimentare, ma perché è una forma di concordato profondamente diversa dal concordato preventivo liquidatorio: in primo luogo perché è possibile la liquidazione aggregata dei beni (e cioè la cessione dell’azienda), secondariamente perché non è prevista la soglia minima di pagamento del 20% a favore dei creditori chirografari prevista dalla legge fallimentare o la soglia minima di soddisfazione rafforzata prevista dal codice della crisi. Non è neppure prevista l’ammissione alla procedura, non è previsto il commissario giudiziale, non è previsto il voto dei creditori ma solo la possibilità per i creditori di opporsi. Si tratta di una procedura che sulla carta è spedita: il tribunale acquisisce il parere dell’esperto relativo ai presumibili risultati della liquidazione, nomina un ausiliario (figura ben diversa dal commissario giudiziale), acquisisce il parere dell’ausiliario, dispone che la proposta venga comunicata ai creditori che potranno opporsi. In sede di omologa del concordato il tribunale deve verificare il rispetto della par condicio, la fattibilità (giuridica – ndr) del piano di liquidazione e che la proposta non arrechi “pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicuri un’utilità a ciascun creditore”. Si tratta di un controllo più semplice rispetto “alle verifiche delle alternative concretamente praticabili”.

In definitiva, il possibile ricorso al concordato liquidatorio semplificato quale esito di una composizione negoziata non andata a buon fine potrebbe essere un valido deterrente rispetto ad eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori in sede di composizione negoziata. Ipotizziamo, ad esempio, una proposta di accordo con i creditori che preveda una continuità indiretta attraverso la cessione dell’azienda a terzi. Se i creditori non l’approvano, il debitore potrà pur sempre perseguirla e imporla ai creditori attraverso un concordato semplificato.

 

4. In conclusione, le nuove norme, sicuramente (e finalmente) debtor oriented sono destinate a modificare il quadro delle procedure concorsuali con una prevedibile riduzione delle tradizionali procedure concorsuali e con l’attribuzione ai giudici del solo compito di dirimere le controversie, senza che siano più chiamati a valutare a priori la convenienza o meno di una determinata proposta. Tutto ciò nel solco della direttiva comunitaria 2019/1023.

C’è da augurarsi che non solo questo corpo di norme venga mantenuto anche dopo l’entrata in vigore del CCI, ma che anzi, prima dell’entrata in vigore del CCI si ponga nuovamente mano all’articolato normativo al fine di coordinarlo con la direttiva comunitaria 2019/1023. Penso in particolare alla disciplina del concordato preventivo che dovrebbe (i) eliminare quei complicati (ed errati) riferimenti alla salvaguardia occupazionale che nel concordato in linea generale è già garantita (ii) modificare la disciplina del concordato misto eliminando il criterio della prevalenza e, infine (iii) accedere alla regola della relative priority rule (abbandonando quindi l’attuale regola della absolute priority rule). Senza contare che a mio giudizio si dovrebbe ripristinare il silenzio-assenso attualmente previsto per tutti i concordati (fallimentare, nella Marzano e nel sovraindebitamento) ad eccezione del concordato preventivo.



[1] Sull’opportunità del rinvio dell’entrata in vigore del codice della crisi e sull’inidoneità dello stesso a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà Ambrosini, Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento”, in Ristrutturazioni aziendali, 22 settembre 2021. Sul cambio di cultura proposto dal D.L. 118/2021, Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristrutturazioni aziendali, 9 agosto 2021.

[2] Norma spiritosamente definita un ircocervo da Ambrosini, La rinuncia al concordato preventivo dopo la legge (n. 40/2020) di conversione del “Decreto liquidità”: nascita di un “ircocervo"?, in IL CASO.it, 10 giugno 2020 (blog.ilcaso.it/news_967).

[3] In argomento si vedano Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 8 settembre 2021; Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021; Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni aziendali, 23 agosto 2021; Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ristrutturazioni aziendali, 9 settembre 2021; Riva, Ruolo e funzioni dell’esperto “facilitatore”, in Ristrutturazioni aziendali, 30 settembre 2021.

[4] Ambrosini, La “mini riforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. Fall., 2021, I, 910.

[5] Così Panzani, “Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, cit..