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Gli “adeguati assetti” organizzativi: tra impresa, azienda e società (Appunti per uno studio)


Maurizio Onza

Data pubblicazione
11 ottobre 2021

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Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli “assetti” dal Testo unico dell’intermediazione finanziaria all’art. 2381 c.c. - 3. Gli “assetti” dell’art. 2086, 2° comma, c.c. - 4. Gli “assetti” nella giurisprudenza: qualche arresto ed una sensazione conclusiva.

* Il presente contributo è destinato a un volume collettaneo curato da Stefano Ambrosini.
Il lavoro costituisce la rielaborazione di una relazione tenuta a Rezzato, il 24 settembre 2021, nel convegno su La gestione della crisi di impresa nel post pandemia tra esigenze del Paese, Legge Fallimentare e Codice della Crisi, e fissa i punti di uno studio più ampio in corso di scrittura. Da ciò la tonalità assertiva e l’essenzialità della nota bibliografica, descritta in chiusura e selezionata sulla base di alcuni dei testi che hanno orientato l’indagine.


1.    Introduzione

Degli “adeguati” assetti organizzativi è disponibile, ormai, una letteratura vasta: sia giuridica sia economica ed aziendale. Annotazione, quest’ultima, che consente, fin da principio, di mettere in luce un aspetto (generale) del problema dal quale si possono prendere le mosse: in effetti, quello degli “assetti organizzativi” è un tema di confine, non solo tra i profili giuridici e quelli economici ed aziendali, sollevando allora il problema di come, in che senso, con quali limiti e finalità, quest’ultimi rilevino giuridicamente; ma, si diceva, è un tema di confine, soprattutto, e prima ancora, tra impresa, azienda e società, evocando, in definitiva, un (connesso ma ancora generale) problema sul rapporto tra questi referenti giuridici (cioè: impresa, società e azienda) e gli “assetti organizzativi” e, a sua volta, sul rapporto tra questi e l’ “organizzazione”; problemi generali sui quali in avvio soffermare l’analisi per poi dedicare qualche battuta finale su taluni arresti giurisprudenziali. 

 

2. Gli “assetti” dal Testo unico sull’intermediazione finanziaria all’art. 2381 c.c.

     Allo scopo si potrebbe, in via elementare, fissare quanto segue.

A.    La parola “organizzazione”, nel sistema originario del codice civile del 1942, aveva (ed ha ancora) a che fare con i fattori della produzione; distinguendo l’attività di impresa dal lavoro autonomo[1] e segnalando l’attitudine di quei fattori, attraverso uno specifico coordinamento (l’organizzazione, appunto), allo svolgimento di una attività produttiva[2].

B.     Nella storia del pensiero, poi, la medesima parola, in relazione all’attività di impresa esercitata da enti (massimamente: società), evoca una modalità dell’azione meta-individuale, distinguendo la persona dall’ente (dunque: il socio dalla società), quale risultato di un processo normativo, in un dosaggio tra legge e autonomia privata, che “inserisce nell’ordinamento giuridico” un “altro soggetto”. Modalità, poi, che si sostanzia nella produzione di regole su quell’azione. Cosicché si parla impresa “organizzata” in forma societaria.

C.    Un significato del tutto diverso è stato assegnato alla parola “organizzazione”, e segnatamente della società, dalla legislazione dei settori regolati a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Qui, l’organizzazione è della società, intesa come « struttura organizzativa […], sistema del controllo interno e […] sistema amministrativo-contabile », ed è oggetto di “vigilanza”; di una vigilanza sulla “adeguatezza[3]; e la sua conformazione è oggetto di una scelta, benché, dalla legislazione di quegli anni, solo presupposta. Questo nuovo significato è stato introdotto normativamente nei settori, s’è detto, regolati: finanziario, in primo luogo, come oggetto di specifica vigilanza del collegio sindacale delle società con azioni quotate[4] a cagione quindi della “collocazione” della società sul mercato; e, prima ancora, bancario, funzionale alla gestione della complessità tecnica dell’attività bancaria[5].

In questo nuovo significato, l’ “organizzazione”, la cui “adeguatezza” è oggetto di vigilanza, è della società e deve confrontarsi (almeno) con questi referenti: “organizzazione” di cosa? per che cosa? e rispetto a cosa?; ponendosi, insomma, in una prospettiva relazionale. L’angolo visuale, d’altronde, è quello della efficienza ed efficacia della vigilanza e, in definitiva della efficienza e della efficacia della gestione della società nell’interesse dei soci e (in quanto ente) dei terzi (essendo cioè l’ente un soggetto meta-individuale), nella misura nella quale la vigilanza, in uno (se da reputare qualitativamente diversi) con i controlli, è una parte della gestione (in senso lato).

D.    Altro, si noti, parrebbe il senso dell’ “organizzazione” rispetto ai modelli organizzativi previsti dalla (successiva) disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti, come « modelli » (e non “assetti”[6]) di « organizzazione e di gestione »[7]; “modelli”, la cui adozione (con efficace attuazione[8]) “scrimina” la società, altrimenti “per legge” punita, da selezionati[9] reati commessi da selezionate[10] persone;  “modelli” relazionali e testualmente finalizzati alla prevenzione di quei reati[11].  

E.     Con la riforma del 2003[12], come noto, l’ “organizzazione” (nei sensi visti) della società « con azioni quotate »[13] diventa diritto comune della s.p.a., evolvendo in “assetti”, “organizzativi”, “amministrativi” e “contabili”, la cui disciplina, centrata nell’art. 2381 c.c.[14], potrebbe così compendiarsi:

(i)                 il Consiglio di amministrazione deve valutare l’ “adeguatezza” dell’« assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società»[15]; il Consiglio di amministrazione, all’evidenza, prima di valutare, è, quindi, tenuto ad approntare e, pertanto, a scegliere gli “assetti” oggetto della valutazione sulla relativa “adeguatezza”;

(ii)              tali “assetti” sono “curati” dagli « organi delegati » affinché siano « adeguat[i] alla natura e alle dimensioni dell’impresa »[16]. Sicché quegli organi attuano gli “assetti”, scelti e valutati “adeguati” dal Consiglio di amministrazione; è solo con l’attuazione, infatti, che può curarsi la “adeguatezza” degli “assetti” in relazione alla « natura » ed alle « dimensioni dell’impresa »; in altri termini, gli “assetti” della « società » sono “testati” rispetto alla “impresa” svolta; “test” la cui competenza è allocata su chi è “prossimo” allo svolgimento dell’attività, la “prossimità” consentendo di “vedere” l’impresa, la sua attività, in svolgimento; conseguentemente, dei risultati di questo “test all’atto pratico” gli « organi delegati » devono informare costantemente sia il Consiglio di amministrazione sia il Collegio sindacale[17]; e

(iii)            il Collegio sindacale vigila, sempre con “test”, su quella “adeguatezza” e sul « suo concreto funzionamento », in quanto quegli “assetti”, che devono essere “adeguati” e “concretamente” funzionare[18], sono elemento “particolare” dei « principi di corretta amministrazione »[19].

F.     In questa novità, la “più nuova” della riforma del 2003 (come è stato autorevolmente scritto), si colgono:

(i)                 l’obbligo degli amministratori della scelta, della predisposizione, della valutazione, della cura e, per il Collegio sindacale[20], di vigilanza sugli e degli “assetti”;

(ii)              la specificazione degli assetti come “assetti organizzativi, amministrativi e contabili”;

(iii)            il referente dell’ “adeguatezza”, puntualizzato sulla natura e le dimensioni dell’impresa;

(iv)             l’attrazione degli “assetti” nei “principi di corretta amministrazione”; e

(v)               l’ovvia rilevanza, per l’adempimento di quegli “obblighi sugli assetti”, del “circuito” informativo che, proprio con la riforma, è stato oggetto di specifiche e penetranti discipline[21].

G.    In questo (nuovo) contesto, allora, sembra potersi sostenere che:

(i)                 gli “assetti” e la loro “adeguatezza” sono essenzialmente orientati ad una “amministrazione e controllo” (cioè ad una gestione) dell’impresa svolta in forma di s.p.a. “efficiente e corretta[22], declinazione, appunto, dei “principi di corretta amministrazione”;    

(ii)              la gestione efficiente e corretta è principio generale di gestione (e controllo)[23] che parrebbe irrazionale applicare alle società per azioni e non ad altre società (o enti)[24];

(iii)            ciò, almeno perché se la società è un ente, rilevando giuridicamente come soggetto “altro” per i soci e per i terzi, la corretta ed efficiente gestione si ripercuote necessariamente sia su tutti i soci (i.e. sul patrimonio della società) sia sui terzi (i.e. sui creditori[25] o, comunque, sul patrimonio dei soggetti direttamente danneggiati, soci, allora in quanto terzi, compresi). Di conseguenza, gli “obblighi sugli assetti” sono obblighi il cui inadempimento è reclamabile secondo l’apparato della responsabilità (risarcitoria) degli amministratori e dei sindaci[26].

La rilevanza verso i terzi, del resto, spiega e giustifica la regolamentazione sugli “assetti” stabilita, da un lato, per gli enti che società non sono e che solo in via eventuale svolgono attività di impresa; “assetti” l’« adeguatezza » dei quali è oggetto di “vigilanza” dell’ « organo di controllo »[27]; e, dall’altro, per gli enti che svolgono istituzionalmente attività di impresa (essenzialmente) con finalità non lucrativa e di “interesse generale”, incaricando i « sindaci » di quella vigilanza[28].

 

3. Gli “assetti” dell’art. 2086, 2° comma, c.c.           

     Il quadro normativo sugli “assetti” si è poi, come noto, arricchito con l’art. 2086, 2° comma, c.c., disposizione “prodotto”, nel codice civile, della riforma delle « discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza »[29].  

     Questi (quelli dell’art. 2086, 2° comma, c.c.) “assetti” (sempre “organizzativo, amministrativo e contabile”) sono testualmente connotati nella finalità: sono istituiti (anche) in funzione « della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale »[30].

     Ebbene, qualunque significato si attribuisca alle locuzioni “crisi d’impresa” e “continuità aziendale” e qualunque ricostruzione del rapporto tra le due si proponga[31], si possono proporre le seguenti osservazioni.

A.    Lanecessità di “assetti” così funzionalizzati sembra avere a che fare innanzituttocon l’“economicità” dell’attività di impresa esercitata[32], come programmazione dell’attività in modo da pareggiare i costi con i ricavi; non solo, si badi, un equilibrio tra questi e quelli ma anche un equilibrio programmato, dunque stabile, proiettato nel tempo[33] e allora, nel tempo,da (efficacemente) controllare (lato sensu). Con una prima conseguenza: l’istituzione di questi “assetti” è sistematicamente da predicare ogni qualvolta si eserciti un’attività di impresa[34].

B.     Quella funzionalizzazione si è resa (almeno nelle intenzioni del legislatore) necessaria per il funzionamento degli strumenti di allerta i quali, a ben vedere, servono perapprontare il prima possibile una “reazione” ad una crisi di impresa “indicata” dagli “indicatori[35]. Sicché la funzionalizzazione di questi “assetti” si apprezza in ordine sia alla “rilevazione” della crisi d’impresa sia all’approntamento delle conseguenti “reazioni”.

Cosicché, questi “assetti” devono misurarsi nel senso della capacità di “rilevazione” della crisi di impresa e della “reazione” ad essa, scolorando di significato precettivo l’asimmetria testuale tra l’art. 2086, 2° comma, c.c., dove la finalità è connessa solo alla “rilevazione”, e l’art. 3, 2° comma, d.lgs. n. 14/2019, dove la finalità riguarda l’una e l’altra[36]. Il che significa, ancora, che il funzionamento degli “assetti” si commisura pure alla capacità di orientare per la scelta della “reazione” più acconcia al caso concreto.

C.    Se, poi, al centro degli “assetti” v’è l’impresa, come attività programmaticamente economica, e la funzionalizzazione degli “assetti” è su “rilevazione” e “reazione” della sua crisi, non stupisce che di queste si predichi l’applicazione anche all’imprenditore non entificato, in cui una “organizzazione” come “altro da sé” manca, mancando un ente ed allora affidandosi, per la “rilevazione”, a « misure idonee »[37].

D.    In questa prospettiva, dunque, gli “assetti” devono essere “adeguati” in relazione a quella funzionalizzazione (i.e., “rilevazione” e “reazione”); “adeguatezza” da calibrarsi sull’impresa, secondo un ovvio principio di proporzionalità, a cagione, tra l’altro, dell’efficacia e dell’efficienza di approntamento e di funzionamento di quelli del funzionamento (riducendo i rischi di sotto o sovra dimensionamento) nonché dei relativi costi; in particolare, da calibrarsi su natura e dimensioni dell’impresa[38], così coinvolgendo le « imprese minori » e le « imprese agricole », soggette agli strumenti di allerta, sì, ma compatibilmente con la loro « struttura organizzativa »[39].

E.     Ne segue che in questa “funzionalizzazione” un ruolo determinante deve riconoscersi alle scritture contabili, la cui mancanza o irregolarità (lato sensu) funge, oggi e per diritto scritto, da criterio di quantificazione del danno in taluni casi di responsabilità degli amministratori[40]. Del resto, le scritture contabili misurano l’azienda in funzionamento: ne segue il coinvolgimento dei soggetti competenti alla revisione legale (o contabile) sulla verifica, imposta nella disciplina sulle procedure di allerta, sulla valutazione “costante” degli amministratori sulla “adeguatezza” degli “assetti”, di tutti, si badi, gli “assetti”, essendo tutti (e non solo di quello “organizzativo”[41]) funzionalizzati nei sensi chiariti. Obbligo di verifica sulla valutazione “costante” al quale è tenuto, sia pure nell’ambito delle proprie competenze, anche l’organo di controllo[42]e che non si saprebbe rintracciare nella disciplina del codice civile[43].

F.     Sempre ponendo l’impresa al centro della funzionalizzazione di questi “assetti”, può ancora aggiungersi:

(i)                 che la scelta sugli “assetti” è scelta gestoria, affidata agli amministratori sebbene tanto per l’approntamento quanto per il funzionamento si possa discutere sulla necessità o opportunità di una interlocuzione con i soci;

(ii)              che, forse, per tutto quanto fin qui detto gli “assetti” dell’art. 2086, 2° comma, c.c. non coincidono contenutisticamente con gli “assetti” dell’art. 2381 c.c.;

(iii)            che altro è la crisi di impresa e la perdita di continuità aziendale ed altro è lo scioglimento della società per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale[44]; questo riferendosi all’attività programmata e svolta dalla società; laddove la crisi d’impresa e la perdita di continuità aziendale si pongono, appunto, dal punto di vista dell’impresa, della sua “economicità”;

(iv)             che, ancora, proprio quella funzionalizzazione consente di non limitare la “reazione” agli “strumenti” previsti nel d.lgs. n. 14/2019, quali unici « strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale » di cui testualmente discorre l’art. 2086, 2° comma, in fine, c.c. Qualunque “reazione” lecita consenta di superare quella crisi e di realizzare quel recupero è da stimarsi corretto adempimento del dovere di “reazione”.

G.    Rispetto, poi, proprio al dovere, meglio ai “doveri” titolati nell’art. 2086, 2° comma, c.c. i relativi inadempimenti possono radicarsi:  

(i)                 nella mancata istituzione degli “assetti”;

(ii)              nell’istituzione di “assetti” “inadeguati” in generale (ipotesi forse da trattare in modo equivalente alla prima);

(iii)            nell’istituzione di “assetti” non “adeguati” alla natura ed alla dimensione dell’impresa ai fini della “rilevazione” e/o della “reazione”.

L’individuazione dell’inadempimento emerge come elemento problematico essenzialmente non già, all’evidenza, per l’ipotesi di comportamento omissivi bensì per il caso di comportamento commissivo “inadeguato”, da commisurare a natura e dimensione dell’impresa (referente, medio relazionale e proporzionale, scelto dal legislatore) e da applicare con una valutazione ex antea considerando, vale a dire, il momento in cui sono state adottate (o eseguite) le decisioni pertinenti. 

H.    E pure, sempre ragionando sugli inadempimenti, si potrebbe, quale ipotesi di laboratorio qui suscettibile solo di essere abbozzata, valorizzare la qualifica di “dovere” (e non di obbligo) che l’art. 2086, 2° comma, c.c. riserva alla “istituzione degli assetti” e, per tale via, ricostruire una responsabilità risarcitoria per il suo inadempimento “oltre” quella responsabilità di amministratori e sindaci[45] delineata, in particolare, per le società cc.dd. di capitali, alla quale prima s’è fatto cenno[46]. Ipotizzando, piuttosto, una responsabilità risarcitoria normativamente diversa, al fondo, contrattuale, in linea con la rilevanza “sociale e di contesto” della crisi d’impresa, per un verso, e, per l’altro, con le tendenze evolutive dell’ordinamento giuridico in atto che orientano verso l’emersione giuridica della relazione tra impresa e contesto in cui questa opera[47]. Sotto questo profilo, sembra scolorare precettivamente pure l’uso, nell’art. 2086, 2° comma, c.c., del connettore “anche” che potrebbe richiamare altre funzionalizzazioni, presentando piuttosto una valenza inedita proprio dei principî di gestione (lato sensu) dell’impresa; gestione che, pertanto, deve essere corretta, efficiente eprogrammaticamente “sostenibile” (come persistenza dell’impresa) sul mercato.

     Passando, infine, all’analisi delle locuzioni “crisi d’impresa” e “continuità aziendale”, deve segnalarsi che della prima v’è una specifica definizione giuridica, appuntata su uno “stato” connotato da uno “squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”; squilibrio, a sua volta, che si « manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate »[48]; viceversa, della seconda, non v’è una specifica definizione giuridica, benché sia pensabile grosso modo come « capacità dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamento »[49], essendo allora fondamentale per la sua rilevazione il rendiconto finanziario e divenendo cruciale, per la sua misurazione, l’orizzonte temporale di riferimento, da assetarsi, stante la funzionalizzazione degli “assetti” e per le ragioni che tra un attimo si vedranno, « all’esercizio in corso »[50].

     A ben vedere, nella (nuova) regolazione della crisi d’impresa, la continuità aziendale - che richiama, ancora una volta, l’economicità dell’attività di impresa come (forse: lecita[51]) persistenza, e quindi auto-sufficienza, dell’impresa sul mercato; in quella regolazione, si diceva, la continuità aziendale (meglio: l’assenza di sue prospettive) è uno tra gli elementi alla base della valutazione di un indicatore della crisi dell’impresa, dello “squilibrio” « di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario »[52]; è, in definitiva, il referente degli indici di uno degli indicatori della crisi.

     Qualificazione, questa, coerente con gli “assetti” che sono funzionali a rilevare il prima possibile l’assenza di prospettive della continuità aziendale che costituisce l’indice della crisi d’impresa.

    

4. Gli “assetti” nella giurisprudenza: qualche arresto ed una sensazione conclusiva


     Scandagliando la giurisprudenza disponibile alcuni arresti sembrano confermare quanto si è fin qui opinato.

     E così si afferma che:

(i)                 la scelta sugli “assetti” previsti tanto dall’art. 2381 c.c. quanto dall’art. 2086, 2° comma, c.c. è soggetta alla c.d. business judgement rule, l’applicazione della quale richiede una valutazione ex antea[53];

(ii)              gli “assetti” di cui all’art. 2381 c.c. sono predicabili anche per la s.r.l.[54];

(iii)            la mancata adozione degli “assetti” (quelli dell’art. 2086, 2° comma, c.c.) è sindacabile dal Tribunale nel procedimento ex art. 2409 c.c., valutando (sempre ex antea) con “proporzionalità” e “ragionevolezza”[55];

(iv)             il Tribunale, sempre nel procedimento ex art. 2409 c.c., può ordinare agli amministratori di adottare un regolamento della « attività consiliare » sul conflitto di interessi quale « applicazione della regola di buon governo societariodi organizzare » gestione ed amministrazione secondo “assetti adeguati” a natura e dimensioni dell’impresa, prescritta dagli artt. 2086, 2° comma, 2380 bis e 2381, 3° e 5° comma, c.c.[56];

(v)               il difetto di continuità aziendale si apprezza qualora l’impresa sia « in grado di far fronte alle obbligazioni correnti ma non ha […] risorse finanziarie per sistemare le posizioni debitorie risalenti»[57];

(vi)             l’inadeguatezza degli “assetti” può annidarsi nella “reazione”, stimata “inadeguata” in caso di mancata recezione di apporto di finanza (c.d. esterna) nel piano industriale o di ristrutturazione del debito[58];

(vii)           l’inadeguata “reazione” può rilevare quale « grave irregolarità » secondo l’art. 2409 c.c. legittimando la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario[59];

(viii)         la continuità aziendale può atteggiarsi come capacità dell’impresa « di svolgere la propria attività in un prevedibile futuro »[60];

(ix)             il « monitoraggio […] sulla continuità aziendale consente di accertare precocemente gli indizi iniziali della crisi, ciò al fine di pianificare gli interventi da adottare, già nel momento in cui la continuità inizia ad essere pregiudicata »[61];

(x)               si riscontra una « correlazione tra principî di corretta amministrazione, adeguati assetti e monitoraggio della continuità aziendale »[62];

(xi)             la finalità degli assetti di cui all’art. 2086, 2° comma, c.c. è « duplice », coinvolgendo sia “rilevazione” sia “reazione” dovendo entrambi essere « tempestivi »[63];

(xii)           il “sospetto di grave irregolarità” alla base dell’avvio del procedimento delineato dall’art. 2409 c.c. può essere integrato, quale mancata “adeguata reazione” secondo l’art. 2086, 2° comma, c.c.[64], dall’approvazione di un piano di “reazione” non realizzato nonché dalla scelta di conferire (e non cedere a titolo oneroso) un ramo d’azienda, non ricevendo così liquidità da impiegare per la riduzione di un “ingente indebitamento”[65];

(xiii)         nella s.r.l. alla “inadeguatezza” degli “assetti” contabili di cui all’art. 2381 c.c. conduce la mancata osservanza, nel tempo, di procedure idonee per documentare le spese, la cui entità va commisurata alla dimensione dell’impresa[66].

     Ed ecco, allora, una sensazione conclusiva: oggi, più di ieri e meno di domani, il “governo dell’impresa” si risolve, prima di tutto, nella “scelta di come scegliere”, residuando un margine di discrezionalità radicato nella “relazionalità” del caso concreto rispetto al quale l’apporto del formante giurisprudenziale è decisivo per la costruzione di un quadro di regole, anche operazionali, stabile e, soprattutto, prevedibile.

 

Bibliografia essenziale

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Commentario, fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli e Ponzanelli, Milano, 2021; Ginevra e Presciani, Il dovere di istituire assetti adeguati ex art. 2086, in Nuove leggi civ. comm., 2019, p. 1209 ss.; Ibba, Codice della crisi e codice civile, in La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi, cit., p. 606 ss.; Irrera, Adeguatezza degli assetti organizzativi tra correttezza e business judgment rule, in Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, cit., p. 55 ss.; Marasà, L’imprenditore. Artt. 2082-2083, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli e Ponzanelli, Milano, 2021; Meruzzi, L’adeguatezza degli assetti, in Adeguati assetti e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, diretto da Irrera, Bologna, 2016, p. 41 ss.; Montalenti, Il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, cit., p. 13 ss.; Id., Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgment rule: una questione di sistema, in Il nuovo dir. soc., 1/2021, p. 11 ss.; Mosco, Funzione amministrativa e sistema di amministrazione, in Le Società a responsabilità limitata, a cura di Ibba e Marasà, Milano, 2020, vol. II, p. 1625 ss.; Nigro, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, in Riv. soc., 2018, p. 1207 ss.; Pacileo, Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, 2017; Panzani, La disciplina degli assetti ai fini della rilevazione della crisi, con particolare riferimento alle s.r.l., inLa società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi, cit., p. 649 ss.; Perrino, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure, in Corr. giur., 2019, p. 653 ss.; Presti, Società nel settore finanziario e collegio sindacale: un puzzle normativo per una identità sfuggente, in Collegio sindacale e sistema dei controlli nel diritto societario comune e speciale, a cura di Presti, Milano, 2002, p. 3 ss.; Ranalli, Adeguatezza degli assetti organizzativi. “Indicatori” e prevenzione della crisi tra tecnica e diritto, in Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, cit., p. 55 ss.; M. Rescigno, “Sostenibilità”: una nuova clausola generale nelle regole dell’esercizio dell’attività di impresa?, in Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, a cura di Sacchi, Milano, 2021, p. 431 ss.; Rordorf, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. soc., 2019, p. 929 ss.; Schiuma, La disciplina dell’organo societario di controllo e il sistema dei controlli interni, in Il Testo Unico finanziario, a cura di Cera e Presti, **, Bologna, 2020, p. 2017 ss.; Spiotta, Scritture e assetti contabili. Un’asimmetria normativa tra codice civile e codice della crisi, in Riv. dir. comm., 2020, II, p. 197 ss.; Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell’impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, p. 270 ss.; Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Riv. dir. soc., 2020, p. 295 ss.; Id., Il codice della crisi di impresa: una primissima lettura (con qualche critica), in Corr. giur., 2019, p. 449 ss.; Terrizzi, Adeguatezza degli assetti organizzativi per la gestione della crisi di impresa, in Soc., 2020, p. 280 ss.; Sacchi, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in Nuove leggi civ. comm., 2018, p. 1280 ss.; Spada, Lezione sull’azienda, in Aa.Vv., L’impresa, Milano, 1985, p. 43 ss.; Id., La tipicità delle società, Milano, 1974; Trimarchi, Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Not., 2019, p. 115 ss.

 



[1] V. l’art. 2082 c.c.

[2] Assunti, allora, come « azienda », referente di una specifica disciplina sulla circolazione: cfr. gli artt. 2555 ss. c.c.

[3] E, per il sistema amministrativo-contabile, sulla « affidabilità [a] rappresentare correttamente i fatti di gestione »: art. 149, 1° comma, lett. c), d.lgs. n. 58/1998 testo originario.

[4] Questo il lessico del testo originario del d.lgs. n. 58/1998.

[5] V., ad esempio e nella normativa di fonte primaria, l’art. 15, 1° comma, d.lgs. n. 385/1993 testo originario, sul potere dell’Autorità di interdire lo « stabilimento [nel territorio italiano] di una nuova succursale per motivi attinenti all’adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca ».

[6] V. ultra, in questo §, sub E.

[7] Cfr. art. 6, 1° comma, lett. a), d.lgs. n. 231/2001.

[8] Ibidem.

[9] Cfr. artt. 24 ss. d.lgs. n. 231/2001.

[10] V. l’art. 5, 1° comma, d.lgs. n. 231/2001.

[11] Ed infatti per “scriminare” il “modello” deve essere finalizzato alla prevenzione del reato effettivamente commesso: v., ancora, l’art. 6, 1° comma, lett. a), d.lgs. n. 231/2001.

[12] D.lgs. n. 6/2003.

[13] V. supra, nt. 4.

[14] Ragionando, per semplicità espositiva, del sistema di amministrazione e controllo c.d. tradizionale e, così, “residuale”.

[15] V. l’art. 2381, 3° comma, c.c.

[16] V. l’art. 2381, 5° comma, primo periodo, c.c.

[17] Cfr. l’art. 2381, 5° comma, secondo periodo, c.c.

[18] Evocando l’efficacia “attuazione” previsti per i modelli di cui al d.lgs. n. 231/2001: v. supra, in questo §, sub D.

[19] V. art. 2403, 1° comma, c.c.

[20] V. supra, nt. 14.

[21] Si pensi al dovere degli amministratori di agire informati stabilito dall’art. 2381, ult. comma, c.c.; dovere previsto anche nel rapporto con soggetti non integrati siccome uffici nella società: v. il dovere di « scambio di informazioni » tra Collegio sindacale e « soggetto incaricato della revisione legale dei conti » di cui all’art. 2409 septies c.c.

[22] Cfr. il principio tracciato dall’art. 4, 2° comma, lett. b), l. n. 366/2001, legge di delegazione della riforma del 2003.

[23] V. pure l’art. 2497, 1° comma, c.c. che attiva la responsabilità per esercizio di attività di direzione e coordinamento di società quando, tra l’altro, si violino i « principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale »; “principi” nei quali si potrebbe ascrivere anche la disciplina sul finanziamento dei soci introdotta con l’art. 2467 c.c.

[24] V., per le associazioni e fondazioni, ultra, nt. 27.

[25] Non essendo qui indispensabile indagare la “natura” del danno subìto dai creditori sociali.

[26] V. supra, nt. 14.

[27] Si allude all’obbligo trascritto nell’art. 30, 6° comma, d.lgs. n. 117/2017 in caso di associazioni e fondazioni qualificate “enti del terzo settore”; obbligo nel quale non a caso manca il referente calibrato su natura e dimensioni dell’impresa.

[28] Si tratta dell’impresa sociale: v. l’art. 10, 2° comma, d.lgs. n. 112/2017, ove il virgolettato nel testo. L’assenza, anche in tal caso, del referente su natura e dimensioni dell’impresa parrebbe da razionalizzarsi giacché l’esercizio dell’attività di impresa è qui funzionalmente orientato e selezionato dovendo l’impresa per qualificarsi “sociale” perseguire un « interesse generale », descritto nell’art. 2 d.lgs. n. 112/2017, e per finalità indicate (« civiche, solidaristiche e di utilità sociale »: così il precedente art. 1), calibrandosi così su quel perseguimento e su queste finalità l’ “adeguatezza” degli “assetti”.

[29] Così la legge di delegazione, l. n. 155/2017, attuata con il d.lgs. n. 14/2019 (c.d. codice della crisi).

[30] Art. 2086, 2° comma, c.c.

[31] Ma, per qualche riflessione, ultra, nel testo.

[32] Richiesta dall’art. 2082 c.c.

[33] Stabilità che caratterizza l’attività di impresa: l’ “abitualità” dell’art. 8 cod. comm. 1882 divenuta nell’art. 2082 c.c. “professionalità”.

[34] Comprese, quindi, le associazioni e fondazioni che in via strumentale quella attività esercitino: v., pure per il riferimento alla stabilità (ed alla prevalenza) del suo esercizio, l’art. 3, 1° comma, lett. d), l. n. 106/2016. Sull’imprenditore non entificato, v. ultra, in questo §, sub C.

[35] Cfr. Gli artt. 12 ss. d.lgs. n. 14/2019.

[36] Del resto, l’obbligo di “assetti” e gli strumenti di allerta presentano testualmente finalità consimili: v. art. 12, 1° comma, d.lgs. n. 14/2019.

[37] Art. 3 d.lgs. n. 14/2019.

[38] Referenti dell’ “adeguatezza” anche negli “assetti” dell’art. 2086, 2° comma, c.c.

[39] Art. 12, 7° comma, d.lgs. n. 14/2019.

[40] V. l’art. 2486, 3° comma, c.c.: il che pone il problema di chi non è soggetto all’obbligo della relativa tenuta.

[41] Al quale l’art. 14, 1° comma, d.lgs. n. 14/2019 esclusivamente si riferisce.

[42] Cfr., ancora, l’art. 14, 1° comma, d.lgs. n. 14/2019.

[43]  Se non, forse e allora indirettamente, nella verifica sul « concreto funzionamento » prevista dall’art. 2403, 1° comma, c.c.: v. supra, § 2, sub E.

[44] V. art. 2484, 2° comma, c.c.

[45] V. supra, nt. 14.

[46] V. supra, § 2, sub G.

[47] Si pensi: (i) alle regole sulle dichiarazioni non finanziarie (d.lgs. n. 254/2016; la cui modificazione, nei sensi dell’estensione, è in itiniere, v. la proposta, del 21 marzo 2021, di direttiva sulla « comunicazione societaria sulla sostenibilità »); (ii) alla società benefit (art. 1, commi 376-385, l. n. 208/2015); (iii) alla rilevanza assegnata al perseguimento del “successo sostenibile” dal Codice di corporate governance (gennaio 2020); e (iv) alla Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese.

[48] Art. 2, lett. a), d.lgs. n. 14/2019.

[49] Cfr. il Principio di revisione internazionale ISA n. 570 e, dei principi di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate, i nn. 3.5., 11.1. e 11.2.

[50] O, se la « durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, nei sei mesi successivi »: così, anche per il virgolettato nel testo, l’art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 14/2019.

[51] Se non altro ai fini dell’accesso alle procedure concorsuali.

[52] V. ancora l’art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 14/2019.

[53] Trib. Roma, 8 aprile 2020, in banca dati De Jure; Trib. Roma, 15 settembre 2020, ivi e in IL CASO.it, http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/25159.

[54] Trib. Roma, 8 aprile 2020. cit.

[55] Trib. Roma, 15 settembre 2020. cit.

[56] Trib. Milano, 16 luglio 2020, in banca dati De Jure.

[57] Trib. Milano n. 9119/2019, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

[58] Ibidem.

[59] Ibidem.

[60] Trib. Roma 24 settembre 2020, in banca dati De Jure, corsivo aggiunto.

[61] Ibidem, corsivo aggiunto.

[62] Ibidem, corsivo aggiunto.

[63] Ibidem.

[64] Benché, nell’argomentazione, non parrebbe chiaro se derivante da “assetti inadeguati” o non.

[65] Trib. Roma 24 settembre 2020, cit.

[66] Trib. Torino n. 5384/2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.