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Si è spento Giuseppe Niccolini


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Focus

Le banche nella composizione negoziata delle crisi fra condivisione del rischio e impatto degli strumenti*


Data pubblicazione
26 maggio 2022

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Dino Crivellari

Sommario: 1. La condivisione del rischio: una nuova prospettiva? – 2. L’impatto degli strumenti di composizione negoziale sulle banche.

* Il presente contributo, in una versione priva delle note, è stato già pubblicato sul n. 214 - marzo aprile 2022 di Dirigenza bancaria.


1)        La condivisione del rischio: una nuova prospettiva?

La Direttiva europea 2019/1023 del 20 giugno 2019 è alla base del decreto legge 118/2021 convertito nella legge 147/ 2021. Con questa legge si è passati da una visione fortemente caratterizzata dai sistemi di allerta esterna previsti dal Codice della crisi (D. lgs. 14/2019) ad uno strumento che tiene in maggior considerazione una specifica necessità divenuta evidente con l’evolversi dei sistemi economici a seguito del perpetuarsi degli effetti della crisi finanziaria e dell’economia reale post 2008.

La nostra Legge Fallimentare del ‘42 era essenzialmente fondata sulla necessità di tutelare i creditori di fronte all’incapacità conclamata dell’impresa di adempiere alle proprie obbligazioni. La riforma del 2006 aveva tentato invano di degiurisdizionalizzare le procedure concorsuali e con le varie successive modifiche si era tentato di dare spazio a regole che avrebbero dovuto evitare che per le aziende in difficoltà non ci fosse altra strada che la liquidazione forzata del patrimonio. Ci si era resi conto che non sempre il fallimento poteva costituire   la migliore salvaguardia per gli interessi di creditori e lavoratori[1].

Non tutte le novità introdotte dopo il 2006, a cominciare dal concordato in bianco, si sono rivelate scelte equilibrate nella misura in cui il venir meno della disponibilità, in particolare delle banche, a supportare le aziende in difficoltà ha permesso in molti casi di procrastinare, a danno dei creditori, il momento della conclamata irreversibilità della crisi. Si è preso quindi atto di una verità trascurata. E cioè che, nel momento in cui una banca o un fornitore decide di entrare in relazioni d’affari con una impresa che poi si rivela inadempiente, quella banca e quel fornitore hanno più o meno consapevolmente assunto un rischio tipico della funzione imprenditoriale. Questo rischio, essendo assunto volontariamente e non imposto, deve pur pesare in qualche misura anche su banche e fornitori nel momento in cui il debitore non è più regolare nei pagamenti o, ancor più, se insolvente. La legge deve tener conto di questa compartecipazione al rischio tentando un equilibrato contemperamento degli interessi sia del creditore che del debitore.

Per quanto riguarda le banche ciò è tanto più vero da quando nel nostro Paese, essendo tutte privatizzate e non più istituzioni di natura pubblica (cioè dal 1993 con la legge Amato), esse sono a tutti gli effetti imprese con scopo lucrativo. Questa prospettiva è particolarmente significativa nei sistemi economici bancocentrici come quello italiano, dove il supporto principale allo sviluppo dell’impresa è fornito proprio dal sistema bancario.

La crisi dell’impresa debitrice è un fattore di rischio che fornitori e banche assumono volontariamente ed al solo scopo di ottenere un profitto. Ne deriva che, se il debitore non è più in grado di far fronte, anche i creditori sono tenuti a farsi carico in qualche misura delle conseguenze di aver sottovalutato il rischio assumendo o mal gestito il rapporto di credito.

I legislatori nazionali ed europei si sono però anche, finalmente, resi conto quanto fosse opportuno adottare strumenti che facessero sorgere nel debitore un interesse specifico ad evitare di tacere o trascurare i primi segnali di criticità scaricando il più possibile sui creditori le conseguenze delle sue difficoltà non avendo a disposizione altra soluzione che quella fallimentare, che danneggia comunque i creditori sorpresi dalla crisi del debitore.

Altro elemento su cui i legislatori hanno riflettuto è stato che la crisi di una impresa dovuta prevalentemente a difficoltà finanziarie e non di natura produttiva o di mercato, va evitata perché imporre la liquidazione di un patrimonio aziendale come unica via legale può comportare un danno all’economia complessiva a volte ben superiore a quello che impatta sui suoi creditori.

Tali riflessioni hanno portato da ultimo alla Direttiva del 20 giugno 2019[2] “riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione”. Questa Direttiva, per certi versi molto innovativa, mira a garantire “alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l’esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata”.

Le parole chiave sono:

- imprenditore sano in difficoltà finanziarie;

- ristrutturazione preventiva;

- continuare ad operare;

- imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati;

- seconda opportunità;

- esdebitazione;

- riduzione della durata.

 

È evidente la preoccupazione del legislatore europeo di evitare che, specie a seguito della ridotta capacità delle banche e dei fornitori di supportare l’impresa, questa, ancorché condotta da un imprenditore, sano, ma in difficoltà finanziaria ovvero onesto, ma sovraindebitato (se lo è non può che essere anche per responsabilità di banche e fornitori che lo avevano beneficiato di generosi interventi), sia costretta a uscire dal mercato senza poter contare su una seconda opportunità. Per ottenere ciò bisogna mettere l’impresa in condizione di attivare una procedura di ristrutturazione preventiva che, essendo rapida, non faccia danni ulteriori ai creditori perché strumentalmente usata a fini meramente dilatori.

La legge 147/21 ha il medesimo fondamento e tenta di rispondere alla stessa esigenza macroeconomica: “… non buttar via il bambino con l’acqua sporca!”

 

2)        L’impatto degli strumenti di composizione negoziale sulle banche


È rilevante notare che la norma sulla composizione negoziata, una procedura volontaria e di natura prevalentemente stragiudiziale[3], ha ben chiaro il ruolo determinante delle banche, tant’è che al comma 6 dell’articolo 4 stabilisce: “le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato “.

Le banche quindi non possono sottrarsi e non possono essere né recalcitranti né passive. È quasi una novità che dimostra una ricerca di equilibri molto complessi effettuata dal legislatore tra una procedura di negoziazione e alcuni vincoli legali che condizionano l’autonomia delle parti. Basta soffermarsi sul primo comma dell’art.6 ove è previsto che l’imprenditore può chiedere “misure protettive” che, salvi i diritti dei lavoratori, impediscano ai creditori di acquisire diritti di prelazione, di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio di impresa e dell’imprenditore (in questo caso solo limitatamente a quelli utilizzati per l’esercizio dell’impresa.). Manca. ed è, a mio avviso, un errore, la possibilità esplicita di misure protettive a favore dei garanti per la tutela dei quali l’imprenditore potrebbe essere tentato di ritardare l’allerta.

È evidente che i primi destinatari di queste norme sono proprio le banche alle quali si impedisce di esercitare diritti nella loro qualità di creditori per evitare che vengano negativamente condizionate le possibilità di arrivare ad un accordo capace di risanare l’impresa.

Ancor più incidente sui diritti dei creditori, e quindi delle banche, il contenuto del sesto comma dove si prevede che non possono “rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di cui al primo comma”. Tutte queste limitazioni sono efficaci per il semplice fatto che l’imprenditore abbia chiesto la nomina dell’esperto e che quest’ultimo, entro due giorni dalla nomina, l’abbia accettata, anche se non è stato ancora presentato alcun piano di risanamento.

È pur vero che la composizione negoziata dovrebbe durare solo 180 giorni (salvo proroga di altrettanto), quindi dovrebbe essere molto veloce, e che, per le misure protettive di cui sopra, è necessaria la conferma del tribunale, ma è evidente la compressione dei diritti dei creditori. C’è da aspettarsi che le banche vivano queste norme come un incremento del rischio di credito potenziale anche solo per il dilatarsi dei tempi e quindi decidano di rafforzare i loro presidi di monitoraggio e il rigore delle politiche creditizie richiedendo, per esempio, maggiori garanzie collaterali agli imprenditori che potrebbero beneficiare della composizione negoziata sin dalla fase di erogazione dei fidi.

Nella composizione negoziata le banche hanno un ruolo centrale[4]. Poiché la norma attiene ad imprese che possano aspirare al risanamento in quanto non si trovano in condizioni di crisi irreversibile, l’esperto dovrà adoperarsi molto per aiutare l’imprenditore ad individuare i punti di accordo possibile con il ceto bancario e le relative modalità.

Già all’articolo 4, comma 6, è previsto che le banche (e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e cessionari di crediti) “sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo ed informato”. Annoverando gli intermediari finanziari, i loro mandatari e cessionari di crediti, il legislatore ha ricompreso tutti i portatori di interessi antagonisti a quelli del debitore tenuto conto che i crediti originati dall’attività delle banche sono ormai oggetto di cessione sul mercato degli NPL e degli UTP e quindi potrebbero essere detenuti da soggetti non bancari.

Sempre al comma 6 si stabilisce che “l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari” ; si vuole così evitare che la reazione tuzioristica della banca alla notizia dell’avvio della composizione negoziata aggravi la situazione del debitore riducendo la possibilità del risanamento, ma ricordiamo che la banca è soggetta a norme anche regolamentari che potrebbero essere in contrasto con questo tipo di disposizioni poiché la revoca dei fidi rischia di diventare necessaria in presenza di un aggravamento della rischiosità. È una dicotomia che creerà parecchio imbarazzo nelle banche.

Al comma 7 dello stesso articolo rileviamo una importante novità: “le medesime parti (tra cui le banche) danno riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata “, tenendo conto che hanno il dovere di “collaborare lealmente ed in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto”. Qui si chiede anche alle banche di abbandonare l’atteggiamento attendista tipico, per esempio, dei negoziati sui piani di risanamento ex articolo 67 lett. d) della Legge fallimentare durante i quali le banche normalmente non avanzano controproposte, ma si limitano a dire se accettano o no le proposte dell’imprenditore.

Nella composizione negoziata si pretende un ruolo proattivo anche da parte delle banche con l’obbligo di motivare le risposte alle richieste di imprenditore ed esperto. Accadrà quindi che le banche potrebbero essere costrette a scoprire le carte che normalmente vengono tenute coperte specie con riferimento al NBV la cui conoscenza diverrà indispensabile per poter stabilire se, per esempio, le misure protettive fossero incongrue o sproporzionate. Sia l’esperto che il giudice potrebbero pretendere il dato (difficile spiegare loro gli effetti del Calendar provisioning).

Tutta la legge 147/21 è ispirata al tentativo di salvare l’impresa che ha la possibilità di risanare i suoi” squilibri patrimoniali o economico finanziari” il che giustifica le misure protettive introdotte con l’articolo 6, primo comma[5], e quindi il divieto di cui al quinto comma di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore. Anche in questo caso l’impatto sui comportamenti delle banche sarà notevole in quanto non potranno privare l’imprenditore del loro supporto creditizio per tutta la durata della procedura di composizione negoziata.

Tempra questa radicale disposizione la previsione di cui al sesto comma dell’articolo 7 che consente ai creditori di presentare istanza al giudice che ha emesso i provvedimenti di conferma, revoca o modifica delle misure protettive (quarto comma), per la revoca o la abbreviazione delle misure protettive stesse e cautelari “quando esse non soddisfino l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti “.

C’è da aspettarsi che di fronte all’immediata efficacia delle misure protettive, che decorre dalla pubblicazione nel Registro delle imprese (articolo 6, primo comma) e dall’invasività delle stesse (diritti di prelazione inibiti, divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive cautelari eccetera) le istanze per attenuarne gli effetti saranno frequenti e non favoriranno speditezza ed efficienza del procedimento di composizione negoziata in quanto si produrranno elementi di incertezza poco compatibili con i 180 giorni nei quali la composizione negoziata dovrebbe concludersi.

All’articolo 10, primo comma, lettera a), si rileva invece un elemento che può favorire comportamenti collaborativi delle banche laddove su richiesta dell’imprenditore il tribunale può autorizzarlo a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’articolo 111 della Legge fallimentare. È norma molto opportuna, già prevista per altri tipi di procedimenti relativi alla crisi di impresa, ma tanto più nella composizione negoziata dove il presupposto è che l’impresa possa superare la crisi e tornare ad operare in continuità una volta risanata.

Di particolare interesse per le banche è la norma dell’articolo 13 relativa a gruppi di imprese.

La possibilità di condurre trattative unitarie per i gruppi, nella sua pur intrinseca complessità, dovrebbe consentire alle banche un significativo miglioramento dei margini di manovra, ma anche solo di comprensione della problematica della articolata controparte.

È giusto quindi che l’esperto si aspetti non solo una collaborazione leale e fattiva delle banche, ma anche un atteggiamento concludente poiché le stesse hanno tutto l’interesse a far sì che il risanamento dell’impresa, ove possibile, sia conseguito nel tempo più breve possibile.

Va da sé che, come accade normalmente, le banche dovranno accettare la falcidia dei loro crediti, ma da questo punto di vista vige la regola che, sia l’esperto nella relazione finale, che il giudice quando è chiamato in causa, dovranno pur sempre accertare che le soluzioni proposte non siano peggiori dei risultati conseguenti ad una liquidazione giudiziale.

Se l’imprenditore sarà “onesto” (come previsto nel primo Considerando della direttiva 2019/1023), e, aggiungiamo noi, trasparente, ancorché insolvente e sovraindebitato, è del tutto probabile che si possano superare i pregiudizi che normalmente le banche coltivano quando si debbono sedere al tavolo dei negoziati per affrontare le crisi delle imprese.

Un elemento che l’esperto dovrà considerare è che le banche hanno, non solo delle regole da rispettare, ma anche il complesso psicologico di chi lamenta il tradimento della fiducia accordata al cliente quando non addirittura vivano come una sorta di mortificazione professionale l’aver sbagliato a dargli fiducia.

Sarà quindi estremamente importante la capacità dell’esperto di creare empatia con le banche, cioè di mettersi nei loro panni, anche al fine di rappresentare all’imprenditore il punto di vista delle banche e il loro punto di resistenza.

Ancorché al di fuori della regolamentazione della composizione negoziata, nella legge 147/21 vi sono altre norme[6] che riverberano sulla vicenda delle banche e dei loro clienti critici.

In particolare, la numero 2) dell’articolo 20, primo comma, che va a modificare l’articolo 182 quinquies della Legge fallimentare in tema di rate di mutuo.

Di rilievo anche la modifica prevista al punto e) dello stesso articolo apportata all’articolo 182 septies sempre della Legge fallimentare dove, proprio in tema di banche, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo siano estesi ai creditori non aderenti appartenenti alla stessa categoria.

Alla lettera f) dell’articolo 20 si introduce nella Legge fallimentare l’articolo 182 octies sulla “convenzione di moratoria”, uno degli esiti positivi previsti per la composizione negoziata , dove al terzo comma si specifica che “in nessun caso, per effetto della convenzione, ai creditori della medesima categoria non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi affidamenti“.

L’articolo 20 della legge 147/ 21 introduce nella Legge fallimentare anche l’articolo 182 novies sugli “accordi di ristrutturazione agevolati “ dove è prevista la riduzione alla metà della percentuale di cui all’articolo 182 bis, primo comma, quando il debitore abbia rinunciato alla moratoria di cui all’articolo 182 bis, primo comma lettere a) e b), non abbia presentato il ricorso previsto all’articolo 161, sesto comma ,e non abbia richiesto la sospensione prevista all’articolo 182 bis, sesto comma.



[1] Su questa evoluzione dell’ordinamento v., fra i molti, A. Jorio, Orizzonti prevedibili e orizzonti improbabili del diritto concorsuale, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, 24 ss.; S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2020; A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021.

[2] Cfr., tra gli altri, S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 2019, I, 1259 ss.; P. Vella, I quadri di ristrutturazione preventiva nella Direttiva UE 2019/1023 e nel diritto nazionale, in Fallimento, 2020, 1033 ss.

[3] Sul punto, tra i molti, S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni Aziendali, 23 agosto 2021; R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, ivi, 8 settembre 2021.

[4] Sul rapporto fra l’impresa in crisi e gli istituti di credito v. P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ristrutturazioni Aziendali, 9 settembre 2021.

[5] A. Didone, Appunti su misure protettive e cautelari nel d.l. 118/2021, in Ristrutturazioni Aziendali, 17 novembre 2021; M. Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, ivi, 24 dicembre 2021; A. Carratta, Misure protettive e cautelari e composizione negoziata della crisi, ivi, 18 maggio 2022.

[6] Per un primo commento a tali disposizioni v., in vece di altri, S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del cci, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 901 ss.