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Le istanze di composizione negoziata. Dati UnionCamere aggiornati al 15 aprile 2024


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Focus

Relazione conclusiva della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Primi commenti.


Data pubblicazione
24 ottobre 2022

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Dino Crivellari

Sommario: 1. Alcune considerazioni preliminari; 2. I crediti deteriorati; 3. Il ruolo dello Stato nel capitale del sistema bancario; 4. Casi particolari; 5. Fondazioni bancarie, finanza sostenibile e credito cooperativo; 6. Il sistema di segnalazione della commissione; 7. Conclusioni provvisorie.


1)        Alcune considerazioni preliminari

Il 6 ottobre scorso è stata pubblicata la Relazione conclusiva sull’attività svolta dalla Commissione istituita con la legge 26 marzo 2019 n. 28, ma costituita solo un anno dopo, il 6 febbraio 2020. Era stato molto più tempestivo il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando, il 29 marzo 2019, scriveva ai Presidenti di Camera e Senato una non breve lettera che suonava come un warning sulla futura attività della Commissione. In base all’art. 3 della legge istitutiva, si attribuiva alla Commissione “un ampio novero di compiti riguardanti il sistema bancario e finanziario nella sua interezza.“ Il Capo dello Stato, ritenendo evidentemente troppo “ampio“ il campo di indagine, si era preoccupato in particolare che l’attività non sfociasse “ in un controllo dell’attività creditizia, sino a coinvolgere le stesse operazioni bancarie, ovvero l’attività di investimento nelle sue varie forme“, sottolineando “La natura privata degli enti interessati“ garantita dall’art. 41 della Costituzione. Altro punto su cui il Capo dello Stato poneva limiti era il rischio di possibili interferenze in ambiti di competenza di varie autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Consob, Ivass, Covip, Bce) perché “ciò urterebbe con il loro carattere di autorità indipendenti “, ma anche per evitare “incertezze tra gli operatori sottoposti a vigilanza su quale sia l’organismo cui fare riferimento e quali le indicazioni da osservare “. In sintesi un chiaro “altolà” della massima autorità della Repubblica che forse non faceva abbastanza affidamento sullo spirito che poteva animare i commissari e voleva evitare i rischi di potenziale invasività della Commissione su un tema particolarmente sensibile come quello indagato. Non ci risulta che preoccupazioni di questo tipo fossero state esternate in occasione della istituzione della analoga commissione di inchiesta presieduta dal senatore Casini nel corso della 17ª legislatura.

L’ art. 3 della legge istitutiva elenca i punti salienti della ampia attività di indagine. Anticipando le conclusioni è opportuno far presente che molti degli argomenti previsti non sono stati affrontati, mentre, come vedremo, sono state svolte attività che non erano state preventivate. Analiticamente:

 “a) Acquisire e analizzare la documentazione raccolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario finanziario istituita nella 17ª legislatura in previsione di indagini e di accertamenti nell’ambito delle competenze previste ai sensi del presente articolo.” Nella relazione finale si dà atto dell’avvenuta acquisizione, ma non vi è cenno ad alcuna attività di analisi.

 “b) Analizzare e valutare le condizioni al fine di istituire una procura nazionale per i reati bancari e finanziari sul modello della Direzione nazionale antimafia o estendere la competenza della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo all’ambito di indagine relativo ai reati finanziari e bancari quale sistema di efficientamento delle risorse tecniche e culturali delle procure della Repubblica per il più spedito ed efficace contrasto a tale tipologia di criminalità”. Non vi è traccia che questo tema sia stato affrontato.

“c) effettuare un’analisi di diritto comparato tra gli Stati membri dell’Unione Europea e dell’area euro al fine di individuare, caso per caso, le modalità di recepimento e di applicazione agli istituti di credito cooperativo della disciplina europea in materia di vigilanza e i requisiti prudenziali e valutare gli effetti delle medesime modalità di recepimento e di applicazione per le banche popolari e di credito cooperativo italiane “. Come vedremo si affronta il tema delle BCC e delle banche popolari, ma non in termini di diritto comparato europeo.

 “d) analizzare la normativa in materia di incompatibilità e di conflitto di interesse degli esponenti apicali e dei dirigenti delle autorità di vigilanza, in particolare della Banca d’Italia, della Commissione nazionale per le società e la Borsa, dell’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nonché’ verificare l’adeguatezza della relativa applicazione “. Argomento non trattato.

 “e) verificare se e in quale misura il percorso attualmente prefigurato per il progetto di unione bancaria, caratterizzato da una valutazione particolarmente severa per l’esposizione al rischio del credito commerciale e da un’attenzione relativamente scarsa al rischio di mercato, determini una lesione dei principi di concorrenza sulla base del mercato unico “. Argomento non trattato.

“f) analizzare le disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo degli enti creditizi in materia di gestione dei crediti deteriorati e gli effetti delle medesime disposizioni “. Argomento trattato.

 “g) verificare la condizione del risparmio in Italia considerando anche le forme diverse da depositi ed investimenti quali ad esempio le gestioni separate dei fondi per le prestazioni assicurative e previdenziali “. Argomento non trattato.

 “h) Indagare sulle dinamiche di espansione e riassorbimento del prestito sociale quale forma surrogata di risparmio ai fini di un suo necessario reinquadramento nella generale tutela del risparmio “. Argomento solo accennato.

 “i) indagare sul tendenziale cambiamento di assetto del conto economico del sistema bancario dal tradizionale baricentro dell’attività creditizia al crescente peso delle attività di risparmio gestito e servizi “. Argomento trattato.

“l) indagare sulla solidità efficienza e organizzazione del sistema dei confidi e sul rischio di impatto di questi sugli enti pubblici sia in qualità di sottoscrittori sia in qualità di controassicuratori “. Argomento non trattato.

 “m) Esaminare la normativa relativa alla procedura di calcolo delle soglie dei tassi di usura, nonché indagare sul fenomeno dell’anatocismo bancario, in relazione alla normativa vigente in merito negli altri Stati membri dell’Unione europea, anche alla luce della evoluzione giurisprudenziale in materia di usura e di anatocismo della Corte di cassazione. Indagare sul modello e sulla procedura di iscrizione alla Centrale rischi finanziari (CRIF) S.p.A. da parte di istituti di credito “. Argomento non trattato.

 “n) analizzare e valutare il debito pubblico nella componente di esposizione al rischio in relazione alle garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs)”. Argomento trattato.

 “o) analizzare il rapporto costo benefici degli strumenti derivati sottoscritti dallo Stato e dagli enti locali “. Argomento parzialmente trattato.

 “p) analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento compresi quelli coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto e destinatari anche in forma indiretta di risorse pubbliche oppure sottoposti a procedure di risoluzione, verificando in particolar modo: 1) le modalità di raccolta della provvista e i prodotti finanziari utilizzati; 2) i criteri di remunerazione degli esponenti degli organi di amministrazione e di controllo e dei manager nonché la realizzazione di operazioni con parti correlate suscettibili di conflitto di interessi; 3 ) la correttezza del collocamento presso il pubblico, con riferimento ai piccoli risparmiatori ed agli investitori non istituzionali, dei prodotti finanziari, soprattutto di quelli ad alto rischio e con particolare riguardo alle obbligazioni bancarie e alle obbligazioni di società e compagnie commerciali, siano esse in attività o fallite o in liquidazione che abbiano rimborsato I rispettivi titoli agli investitori; 4) le forme di erogazione del credito a prenditori di particolare rilievo compresi gli esponenti degli organi di amministrazione e di controllo degli stessi enti creditizi erogatori o delle società da essi direttamente o indirettamente controllate e la diffusione di pratiche scorrette di abbinamento tra erogazione del credito e vendita di azioni o altri prodotti finanziari emessi dagli enti creditizi e dall’imprese di investimento ad essi collegati; 5) le procedure di smaltimento dei crediti deteriorati tenuto conto delle quotazioni prevalenti sui mercati; 6) la struttura dei costi di ristrutturazione del modello gestionale e la politica di aggregazione e fusione; 7) l’osservanza degli obblighi di diligenza trasparenza e correttezza nell’allocazione dei prodotti finanziari nonché degli obblighi di corretta informazione agli investitori.“ Trattati solo gli argomenti relativi alle operazioni baciate e alla gestione dei crediti deteriorati. Per il resto argomenti non trattati.

“q) Verificare la congruità della normativa vigente in materia di fondazioni bancarie con particolare riguardo ai poteri di vigilanza ispettiva e di controllo, anche al fine di formulare le proposte di carattere legislativo più idonee a garantire la tutela del risparmio come previsto dalla Costituzione “. Argomento trattato.

 “r) verificare l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari poste in essere dagli organi preposti, in relazione alla tutela del risparmio alla modalità di applicazione delle regole degli strumenti di controllo vigenti, con particolare riguardo alla modalità di applicazione e all’idoneità degli interventi, dei poteri sanzionatori e degli strumenti di controllo disposti, nonché all’adeguatezza delle modalità di presidio dei rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati“. Argomento parzialmente trattato.

 “s) valutare l’adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare nazionale ed europea sul sistema bancario finanziario nonché sul sistema di vigilanza con particolare riferimento alla qualità ed al carattere degli strumenti utilizzati dall’autorità di vigilanza per verificare il rispetto dei requisiti di patrimonializzazione anche ai fini della prevenzione e della gestione delle crisi del sistema bancario finanziario e del debito sovrano “. Argomento parzialmente trattato.

 “t) Verificare l’efficacia dello strumento di conciliazione dell’arbitrato bancario “. Argomento trattato indirettamente.

“u) verificare l’operato delle agenzie di rating, con particolare riferimento all’affidabilità e all’imparzialità delle stesse al fine di valutare: 1) la realizzazione da parte delle agenzie di rating di meccanismi di insider trading attraverso possibili fughe anticipate e selezionate di notizie riguardanti le modalità e le tempistiche dei declassamenti, condizionando così investimenti e transazioni internazionali; 2) l’impatto delle valutazioni delle agenzie di rating al fine di verificare gli effetti del loro possibile conflitto interno di interessi in relazione ai giudizi emessi, soprattutto nei confronti degli Stati sovrani“. Argomento non trattato.

“v) procedere alle eventuali ulteriori indagini necessarie al corretto svolgimento dei lavori della Commissione in relazione alle competenze previste dal presente articolo “.

Non c’è dubbio: tutti argomenti impegnativi, sensibili e di grande spessore sia tecnico che politico. Comunque di grande ambizione. Ma su 19 punti, 9 non sono stati neanche affrontati (i piu significativi), 4 sono stati trattati e 6 trattati superficialmente o parzialmente.

In effetti, anche in ossequio alle preoccupate raccomandazioni del Presidente della Repubblica, sin dall’inizio la Commissione aveva deciso di limitare la propria attività all’esame dei profili di criticità del funzionamento del sistema bancario e finanziario articolandola in tre punti: “ - il primo è dedicato ad esaminare le problematiche emerse nel rapporto fra le banche e gli altri intermediari finanziari con le rispettive clientele; ⁃ il secondo è riferito alle criticità del sistema bancario, finanziario e assicurativo, relative ai profili gestionali, di assetto proprietario e del sistema dei controlli interni; ⁃ Il terzo strettamente collegato agli esiti dei primi due, concernente l’ analisi degli assetti della vigilanza bancaria e finanziaria e le possibili iniziative di carattere legislativo.“ E’ nostra impressione che questo pur ridotto “canovaccio” non sia stato rispettato alla lettera.

 Alcuni argomenti specifici, attinenti in qualche modo al contenuto dell’articolo 3 della legge istitutiva, invece hanno impegnato non poco la Commissione. In particolare: MPS, Banca popolare di Bari, NPL ed UTP, fondazioni bancarie, BCC, Banca del sud, Gruppo Deiulemar, Bulgarella, super bonus, eccetera.

 

2)        I crediti deteriorati.

La Relazione finale (Parte II - temi) affronta con particolare ampiezza l’argomento senza attardarsi su dati quantitativi peraltro copiosamente disponibili. Sottolineando il rischio che il fenomeno degli Npl possa ulteriormente aggravarsi, la Commissione sostiene apoditticamente che vada promosso in tempi brevi lo sviluppo del mercato coinvolgendo investitori istituzionali “pazienti “come i fondi pensione. Si trascura che il mercato italiano degli Npl è ormai uno dei piu ampi d’Europa con oltre 200 miliardi di crediti ceduti negli ultimi cinque anni. Non viene fatta alcuna analisi delle conseguenze e dei rischi che potrebbero correre i fondi pensione investendo in Npl, ma si perora invece in più passaggi un provvedimento legislativo, a suo tempo già proposto da alcuni studiosi, perché sia consentito alle imprese di allineare i debiti verso le banche presenti nei loro bilanci al valore svalutato (NBV-net book value) che le banche registrano nei propri bilanci. In sostanza il NBV delle banche dovrebbe essere comunicato al cliente-impresa debitrice affinché questi possa riportare nel proprio bilancio un debito dello stesso valore. Lo scopo sarebbe quello di ridurre l’indebitamento delle imprese per “consentire il recupero della capacità di accesso al credito”. L’argomento è suggestivo, ma rischia di avere alcune difficoltà di applicazione. Innanzitutto il merito creditizio di un’impresa non migliorerebbe per il semplice fatto che, apparentemente, ma ope legis, i suoi debiti sono più bassi, a meno che i debiti si riducano perché il creditore rinuncia al credito in tutto o in parte. Ma qui si pone un problema di natura civilistica e regolamentare: quando le banche effettuano accantonamenti in applicazione dell’articolo 2426 cc e delle regole contabili, che impongono che i crediti siano esposti in relazione al probabile valore di realizzo, non hanno rinunciato alla differenza che viene accantonata in appositi fondi del passivo. Tanto è vero che all’attivo il credito risulta nella sua totalità. Questo vale ancora di più da quando il Calendar provisioning e le altre normative di vigilanza prudenziale impongono alle banche degli accantonamenti sui propri crediti anche in bonis che non sempre sono necessariamente coerenti con le aspettative di recupero, di norma maggiori. Da non trascurare poi che le banche non espongono in chiaro il NBV dei singoli crediti se non altro per non facilitare il compito di eventuali potenziali cessionari nella formulazione dei prezzi di acquisto, ma anche per non indurre in moral hazard il cliente inadempiente. La proposta della Commissione è enunciata senza far cenno alle conseguenze di natura fiscale in quanto per rendere efficace un tale provvedimento sarebbe anche necessario che si sterilizzi sotto il profilo dell’imposta sul reddito la sopravvenienza attiva registrata dall’impresa nel ridurre il proprio debito. Una parziale attenuazione della portata di tale provvedimento è prevista riservandone i vantaggi ad imprese che abbiano presentato un piano di ristrutturazione attestato redatto con i profili e limiti previsti dalla vigente disciplina del codice della crisi d’impresa. Ne deriverebbe naturalmente un’ampia aleatorietà applicativa della emananda norma che ne diminuirebbe di molto la portata.

La Commissione non ha invece dubbi che una delle soluzioni da adottare sia quella di costituire una Bad bank che, acquisendo gli NPL delle banche, “le alleggerisca dalle esigenze di maggiore capitalizzazione e consenta il riavvio del canale di nuovi finanziamenti”. Viene specificato che la Bad bank debba essere pubblica. È ovvio che una Bad bank privata non risolverebbe il problema della ricapitalizzazione delle banche quale conseguenza necessaria della svendita a prezzi di mercato dei propri NPL. Anzi, se avesse un ruolo monopolistico peggiorerebbe la situazione rispetto a quella attuale dove gli investitori competono tra loro in termini di prezzo per l’acquisizione dei portafogli ceduti dalle banche. Siamo consapevoli che il ristretto numero di questi operatori (quasi un oligopolio) non permetta il crearsi di un mercato particolarmente efficiente, ma un monopolista privato non appare la soluzione più adatta allo scopo ricercato.

 Nel 2015 il governo italiano, di fronte all’esplosione del fenomeno delle sofferenze bancarie che aveva raggiunto quota 360 miliardi, aveva tentato, sia pure tardivamente rispetto ad altri paesi europei, di ottenere l’accordo delle autorità comunitarie per la creazione di una Bad bank pubblica, ma gli fu opposto il divieto degli aiuti di Stato (nacquero così le GACS). Nonostante oggi le autorità europee abbiano cambiato opinione e spingano i legislatori nazionali a normare la creazione di Asset Credit Manager (ACM, quindi Bad bank), il divieto di aiuti di Stato permane per cui una soluzione potrebbe essere quella di un operatore misto (pubblico - privato). È tuttavia improbabile che una soluzione del genere migliori sensibilmente i prezzi di mercato degli NPL e quindi consenta alle banche di registrare meno perdite da cessione tanto più in una congiuntura di tassi in crescita che non possono che deprimere il valore attuale netto dei crediti da cedere. D’altra parte, nonostante la presenza di un soggetto pubblico nell’azionariato di una Bad bank, se la redditività dell’iniziativa non fosse allineata alle condizioni di mercato ben difficilmente si troverebbero investitori disponibili ad intervenire.

Già oggi Amco, società di gestione dei crediti di proprietà del Mef, può considerarsi di fatto una Bad bank pubblica, tant’è che di recente le è stato affidato il compito di gestire anche i crediti problematici assistiti da garanzie statali sulla base delle norme adottate nel corso della pandemia. Peraltro Amco non può che finanziarsi sul mercato e quindi sotto questo profilo opera esattamente come un soggetto privato. La Relazione conclusiva che stiamo commentando riporta ampiamente le informazioni che l’amministratore delegato di Amco, Marina Natale, ha riferito nel corso delle audizioni, ma la perorazione della Commissione sulla creazione di una Bad bank pubblica non mette in connessione gli argomenti.

 Esprimendo correttamente la preoccupazione che senza affrontare la problematica degli NPL (ormai endemici in Italia),il sistema bancario rischia di rivelarsi inadeguato a sostenere efficacemente l’economia nazionale, la Commissione arriva ad una prima conclusione: “Rivedere, sia in ambito europeo sia in ambito nazionale, la regolamentazione del sistema bancario quantomeno per i seguenti profili: (i) aumentare la capacità del sistema finanziario di erogare credito a famiglie e imprese per favorire il ritorno in bonis delle posizioni NPE, in particolar modo degli UTP; (ii) evitare l’uscita dei debitori dal sistema bancario con conseguenti difficoltà per le imprese ad ottenere la necessaria liquidità ed evitare, pertanto, le possibili ingerenze della criminalità organizzata.“ Conclusione politicamente ineccepibile, ma che appare come una mera affermazione di principio, tra l’altro espressa in modo tecnicamente discutibile.

 La Commissione ha approfonditamente trattato le questioni attinenti alla “normativa europea sul Calendar provvisioning e sulla classificazione delle banche (c.d. “default“)” e la Relazione ne riferisce con ampiezza in una logica meramente descrittiva, ma toccando un punto particolarmente critico quando afferma che “devono essere salvaguardati anche i debitori ceduti, distinguendo quali versino effettivamente in stato di insolvenza e quali invece versano in uno stato di crisi temporanea di liquidità“ peraltro non facendo alcun riferimento alla Direttiva europea insolvenza Insolvency ne’ alla nuova normativa del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza che hanno finalmente focalizzato questo aspetto socio economico di estrema rilevanza.

 Invece, grazie a quanto emerso nel corso dell’audizione della Professoressa Sciarrone Alibrandi a proposito del noto circolo vizioso che si è venuto a creare grazie all’adozione da parte dei Regolatori delle severe norme sugli NPL e delle stringenti regole sul capitale regolamentare delle banche, la Commissione arriva ad affermare che si avranno “Effetti restrittivi sull’offerta di credito“ con la rapida chiusura da parte degli intermediari delle posizioni problematiche e ricorso a procedure giudiziarie in danno di famiglie imprese nonché significativi rischi anche in termini di scalate ostili e di necessari salvataggi pubblici.

 A fronte di questo quadro critico, la Commissione, senza ulteriori necessari approfondimenti, considera come possibili soluzioni quelle contenute in due proposte di legge (AC nn. 3109 e 3110) presentate dalla stessa Presidente della Commissione il 12/5/21, avendo preso atto, e ce ne compiacciamo, che “La cessione degli NPL ad operatori specializzati non sempre significa risolvere i problemi di imprese e famiglie. In molti casi tale scelta ha esclusivamente avviato la fase liquidatoria di imprese che, pur versando temporaneamente in una situazione di deficit finanziario, erano sane in termini soprattutto di posizionamento sui loro mercati di riferimento “.

 Un intero paragrafo (il 2.2) è dedicato all’ illustrazione di queste due proposte di legge. in relazione alle quali, su iniziativa della Presidente, era stato costituito un corposo gruppo di lavoro (23 soggetti tra banche, università, servicer, studi legali, ecc.). A dire il vero il gruppo di lavoro ha sbrigativamente liquidato, considerandola non di suo interesse, la proposta di legge per la “definizione transattiva di crediti bancari in sofferenza” (A.C.3110) ritenendo che la norma potrebbe, tra l’altro, indurre i debitori a comportamenti opportunistici. Poiché su questo tema sono state presentate sia nella 17ª che nella 18ª legislatura diverse proposte di legge (note come “Giubileo bancario”) non particolarmente gradite ai fondi di investimento, la Commissione si è rimessa al dibattito parlamentare.

Viene invece caldeggiata dal gruppo di lavoro la proposta di legge A.C. 3109 denominata “proposta di articolato in materia di Fia immobiliare ESG per famiglie e imprese “che viene addirittura allegata sub 2 alla Relazione conclusiva, evidentemente con particolare soddisfazione della sua Presidente, unica proponente in sede parlamentare.

Il contenuto di questo articolato è bene che venga compiutamente analizzato in quanto, essendo stato elaborato da un gruppo di lavoro particolarmente numeroso, di alto livello e costituito dai principali operatori del settore, che evidentemente lo sponsorizzano, potrebbe essere riproposto alla discussione parlamentare anche nella appena avviata XIX legislatura nonostante la proponente non ne faccia parte.

L’idea di fondo è che si consenta al debitore inadempiente, proprietario di un immobile ipotecato dal creditore, di continuare a possederlo in base ad un contratto di locazione, dopo averne persa la proprietà, ma con la possibilità di riacquistarlo entro la fine della locazione stessa. La struttura ipotizzata è la seguente: un fondo immobiliare, più specificatamente un Fia chiuso e riservato, acquista l’immobile dal proprietario debitore, ma versa il prezzo al creditore che si dichiara soddisfatto. L’ex debitore (ex proprietario) ha la facoltà (che corrisponde ad un obbligo del fondo) di locare l’immobile per un periodo non inferiore a 10 anni avendo la possibilità di riacquistarlo in qualsiasi momento pagando un prezzo pari al valore della vendita originaria al fondo maggiorato del 10%. Questa regola vale per i primi 10 anni di locazione, dopodiché il prezzo sarebbe lasciato alla libera contrattazione delle parti. La struttura è simile a quella del “Repossess parziale” pubblicizzato dal Unicredit credit management bank (UCCMB) oltre 10 anni fa, ma in questo caso riguarderebbe la proprietà intera dell’immobile e non solo una quota e la durata della locazione sarebbe particolarmente lunga e vincolante (evidentemente per garantire al Fia, nel caso, una redditività di lungo periodo).

 Sono presenti previsti alcuni vincoli. Il prezzo a cui il debitore deve vendere l’immobile al fondo non deve essere superiore, alternativamente:

⁃ al valore contabile netto del credito deteriorato registrato nel bilancio del creditore (NBV), evidentemente una banca;

 ⁃ al prezzo di cessione del credito versato dal cessionario al cedente se il credito è stato ceduto a meno che il cessionario non abbia iscritto nel proprio bilancio un valore superiore al prezzo di acquisto;

 ⁃ al valore di vendita in sede d’asta come stimato da un esperto indipendente (articolo 17 decreto MEF 24/5/99 n. 228) nominato congiuntamente da creditore e Fondo (non dal debitore);

⁃ al valore indicato nella c.t.u. disposta dal giudice dell’esecuzione ovvero alla base d’asta dell’incanto previsto per una data immediatamente successiva all’accordo tra il fondo e il debitore.

 Non sembra previsto alcun criterio per la scelta fra le varie opzioni che quindi avverrà in base alla situazione di fatto e all’accordo tra fondo, debitore e creditore. Ne consegue che per un’operazione relativa ad un credito deteriorato ancora nella titolarità della banca e per il quale non sia stata attivata una procedura esecutiva, la soluzione sarebbe univoca: il prezzo non deve essere superiore al NBV aumentato delle spese dell’operazione (quest’ultime non definite: una omissione che favorirà la parte forte della trattativa). Il rischio dal lato del debitore è che l’immobile venga venduto al fondo ad un valore inferiore a quello di mercato. In tal caso il debitore potrebbe preferire vendere l’immobile privatamente e saldare il debito con la banca sempre che non abbia altro patrimonio aggredibile. La banca non avrebbe nulla da eccepire; il Fondo sarebbe escluso. Lato banca l’operazione sarà neutra se il prezzo di vendita al fondo sarà pari al NBV poiché non registrerà perdite aggiuntive rispetto a quelle già stanziate in bilancio con gli accantonamenti. Certo è che la banca avrà interesse ad adottare questa formula il prima possibile per evitare che l’applicazione delle regole del Calendar provisioning riduca progressivamente il NBV con oneri a carico del suo conto economico, ma così facendo incontrerà meno frequentemente la disponibilità del debitore. D’altra parte, se il valore dell’immobile è sicuramente superiore al NBV, la banca non avrà alcun interesse ad accettare l’offerta del fondo, potendo recuperare in sede di esecuzione immobiliare più di quanto iscritto in bilancio. Stessa considerazione farà la banca se il debitore avesse un patrimonio aggredibile superiore al NBV.

 Diverso il caso in cui uno degli attori è un cessionario e non siano state avviate azioni esecutive (raro, ma possibile). Poiché il prezzo di cessione è di norma ben inferiore al NBV del cedente possiamo trovarci di fronte a due scenari:

 ⁃ il valore del bene è superiore al prezzo di cessione: il cessionario non aderirà alla proposta del fondo aspettandosi di ottenere un valore di recupero superiore;

⁃ Il valore del bene è inferiore al prezzo di cessione: il fondo offrirà un importo più basso a cui il cessionario potrebbe aderire solo se si fosse reso conto di aver sbagliato la valutazione del credito in sede di acquisto.

In ogni caso a fare la differenza sarà la capienza o meno del patrimonio ulteriore del debitore. Saremo comunque di fronte a casi marginali: per il cessionario il credito acquistato è un investimento che deve rendere con tassi a due cifre e non può accontentarsi di recuperare solo il prezzo di cessione. Se il cessionario fosse disposto a transigere al prezzo di cessione, ne soffrirebbero di sicuro le GACS eventualmente presenti in quanto il rendimento della specifica operazione sarebbe nullo. Questa fattispecie potrebbe essere interessante solo per il debitore che, aderendo all’operazione, potrebbe tornare proprietario dell’immobile pagando appena il 10% in più del prezzo di acquisto offerto dal fondo anche solo pochi mesi dopo l’operazione e ottenendo una esdebitazione che la procedura esecutiva non gli consentirebbe. Sempre che ne abbia la possibilità finanziaria. Trascurabili i casi in cui il cessionario abbia registrato in bilancio un valore di iscrizione del credito superiore al prezzo di acquisto. Tuttavia per evitare comportamenti opportunistici sarebbe stato meglio non prevedere questa ipotesi.

 La prescrizione che il prezzo di vendita possa essere fissato da una stima condotta da un esperto indipendente nominato dal fondo e dal creditore potrebbe avere applicazione in teoria solo se l’ipotesi di cui ai punti precedenti non consentissero l’accordo. Tale stima dovrebbe individuare i possibili valori di una ipotetica vendita in sede d’asta secondo i criteri indicati dalle linee guida dell’ABI. L’adozione di questa ipotesi potrebbe comportare perdite aggiuntive sia per la banca che per il cessionario i quali aderirebbero solo nel timore che i tempi lunghi dell’esecuzione e le sue dinamiche possano ulteriormente mortificare il valore attuale netto dell’incasso futuro. Improbabile. C’è da chiedersi che interesse avrebbe il fondo ad acquistare l’immobile a meno che il debitore abbia preventivamente rinunciato a detenerlo in locazione per 10 anni e conseguentemente a ricomprarlo. Solo in tal caso il fondo può essere interessato a comprare l’immobile prevedendo di venderlo sul mercato libero, quindi ad un valore maggiore, subito dopo l’acquisto ovvero locarlo ai più remunerativi canoni di mercato. Di sicuro il debitore avrà interesse ad aderire all’operazione solo se la stima dell’esperto è significativamente inferiore al valore che il debitore stesso reputa di attribuire al bene avvantaggiandosi sia dell’esdebitazione per il maggior debito che della possibilità di lucrare la differenza tra il valore di mercato atteso e il prezzo di acquisto maggiorato del 10%. Ma se il valore attribuito al bene dal creditore fosse superiore alla stima dell’esperto, perché mai il creditore dovrebbe accettare?

 Valore della c.t.u. e base d’asta del prossimo incanto sono previsti come ultimi, alternativi, limiti legali del prezzo di acquisto da parte del fondo. Non tanto nel caso della c.t.u., che potrebbe riportare i valori improbabili, quanto la base della prossima asta potrebbe essere un buon punto di incontro tra fondo, creditore e debitore perché di norma è molto più basso del valore di mercato, ma costituisce il più probabile valore dell’incasso per il creditore. Dipende naturalmente da quante aste deserte ci siano già state (a seguito delle quali la base d’asta viene falcidiata) ed ancora una volta del valore di mercato atteso. Certo è che, se il valore sul mercato libero fosse più alto, sia il fondo che il debitore avrebbero interesse a concludere l’operazione. Analogamente per il creditore sempre che il debitore non abbia altro da perdere quindi l’esdebitazione non sia controproducente per il creditore stesso.

Altro limite previsto dagli estensori della dell’articolato è che il valore massimo del NBV sia di 500.000 € per il debitore persona fisica e di 5 milioni per il debitore persona giuridica. Non se ne parla, ma è da ritenere che le imprese individuali siano parificate alle persone fisiche. Questi limiti per le banche soggette a Calendar provisioning fanno sì che con l’andar del tempo anche i crediti all’origine ben più consistenti possono essere interessati all’operazione con il FIA.

Sotto il profilo soggettivo le parti di queste operazioni sono il debitore, le banche, gli intermediari finanziari ex articolo 106 TUB, le società di recupero con licenza ex articolo 115 TULPS, le SPV ex lege 130/99, nonché il Fia, fondo immobiliare chiuso e riservato ex articolo 58 TUF, però costituito da intermediari specializzati e vigilati ex TUF. Anche i partecipanti al Fia possono essere esclusivamente investitori professionali (non meglio qualificati) e investitori individuati dal regolamento di cui all’articolo 39 del Dlgs 58/98.

Sotto il profilo oggettivo possono essere considerati ai fini di queste operazioni esclusivamente i crediti deteriorati garantiti da ipoteca (non se ne specifica il grado, il che potrebbe essere un problema) classificati a sofferenza o UTP, erogati da banche e intermediari finanziari ex articolo 106 TUB o acquistati da società di recupero crediti ed SPV. Sono ammessi crediti derivanti da operazioni di leasing. Potrebbe essere una omissione voluta ma non condivisibile, la mancata menzione di crediti garantiti da terzi datori di ipoteca, una fattispecie piuttosto diffusa in Italia. È esplicitamente dichiarato nel testo che i creditori possono far ricorso al Fia per rendere più efficiente ed efficace la gestione dei crediti deteriorati. Formulazione quantomai vaga, ma che potrebbe, in astratto, essere fonte di responsabilità per coloro che non dovessero essere in grado di dimostrare che la singola operazione abbia ottenuto lo scopo indicato dalla legge.

 I benefici fiscali previsti non sono trascurabili:

 ⁃ le imposte indirette sono le stesse che si applicherebbero al debitore proprietario originario dell’immobile;

 ⁃ gli accordi transattivi sono esenti da imposte di bollo e registro;

⁃ I redditi prodotti dalla detenzione delle quote del FIA, anche se cedute a terzi diversi dagli originari partecipanti, sono esenti dall’imposta sul reddito fino alla scadenza del Fia;

 ⁃ la cancellazione delle ipoteche iscritte sugli immobili acquistati dal Fia sono esenti da tassazione anche nel caso di acquisto in sede d’asta o da procedura concorsuale, previo accordo con il debitore in quanto i relativi oneri (teorici?) concorrono alla quantificazione del prezzo. L’espressione non è felice e sarà sicuramente riformulata.

Si rileva intanto un chiaro ed inequivoco effetto di esdebitazione. Una volta che il Fia avrà eseguito il pagamento del prezzo dell’immobile, il creditore è tenuto a comunicare al debitore l’intervenuta estinzione del credito deteriorato. La formula è ambigua in quanto il FIA in effetti viene autorizzato dal debitore ad estinguere il debito girando al creditore un importo pari al prezzo di acquisto dell’immobile. Una sorta di delegazione di pagamento. Quindi dire che il creditore riceve il pagamento del prezzo degli immobili è almeno formalmente non corretto, mentre non sarebbe stato inopportuno precisare che anche i fideiussori del debitore sono comunque liberati. Invece, per quanto superfluo l’estensore ha ritenuto necessario precisare che l’estinzione del credito deteriorato comunicata dal creditore non opera in relazione agli eventuali ulteriori crediti e alle relative eventuali garanzie reali e personali. Sembrerebbe pleonastico.

 Non trascurabili i cosiddetti “effetti contabili” per debitori e creditori che in effetti sono essenzialmente di natura fiscale.

Sembrerebbe superflua la previsione che la comunicazione di estinzione del debito effettuata dal creditore autorizzi il debitore a cancellare dal proprio bilancio la relativa passività. Mentre sicuramente di forte impatto è la previsione che la sopravvenienza attiva conseguente alla cancellazione del debito sia assoggettata ad un’imposta, “sostitutiva dell’imposta sul reddito “, nella misura dello 0,5% dell’importo del debito cancellato. Se non è di immediata comprensione perché si sia voluta dare la qualificazione di “imposta sostitutiva “, è poco comprensibile perché lo 0, 5% debba calcolarsi sull’intero valore del debito cancellato e non soltanto sulla sopravvenienza attiva realizzata. A seconda di quanto sia stato falcidiato il credito, ci si potrebbe trovare in condizioni incomprensibilmente estreme se il prezzo pagato dal FIA fosse pari a gran parte del debito, La sopravvenienza attiva potrebbe essere talmente modesta che l’importo dello 0,5% calcolato sul debito potrebbe sopravanzarla vanificando il beneficio ricercato. D’altra parte non si capisce il senso della previsione tenuto conto che si tratta pur sempre di un’imposta che dovrebbe colpire il reddito, cioè la sopravvenienza attiva, e non il debito. È molto probabile l’incostituzionalità di una tale previsione. Non aiuterebbe a superare la critica la denominazione di “imposta sostitutiva “. Tassare un debito come se fosse un reddito, per quanto ci risulta, non era mai accaduto. Il gettito di questa imposta sostitutiva potrebbe non essere trascurabile e servirebbe a coprire almeno in parte il minor gettito dovuto alla fiscalità di vantaggio riservata al creditore.

 Anche per i creditori infatti è regolato un favorevole impatto fiscale (non “contabile “) laddove si prevede che, se il creditore subisce perdite sul credito netto (NBV), può utilizzarle come credito d’imposta nei cinque anni successivi. È il caso in cui il creditore accetti dal Fia l’acquisto dell’immobile ipotecato ad un prezzo più basso del NBV riportato in contabilità. Si tratta di un beneficio non di poco conto per il creditore bancario che, dopo aver goduto della deduzione integrale delle perdite, dal 2015 l’ha vista gradualizzare dalle leggi finanziarie del 2019 e successive che hanno ripristinato la deducibilità fiscale delle perdite in diverse annualità. Beneficio che potrebbe costare all’Erario non poco e pone problemi di parità di trattamento cui non ci pare faccia velo la “fiscalità di scopo” invocata dai presentatori dell’articolato e neppure lo “scopo sociale” che in vero non si rileva sostenendo che l’ex debitore può continuare a utilizzare l’immobile ceduto sia pur quale inquilino. Tantomeno ci pare reggere questa impostazione mancando del tutto la copertura finanziaria esplicita del beneficio. Sarà interessante vedere quali modalità di attuazione vorrà elaborare l’Agenzia delle entrate cui è demandato questo compito.

È pleonastica (ma non si sa mai!) la prescrizione che, a seguito dell’estinzione del debito, il creditore deve provvedere alle opportune rettifiche segnaletiche presso la Centrale dei rischi della Banca d’Italia e presso quelle private, salvo conservazione di una annotazione contabile separata. Quest’ultima indicazione può solo significare che, in qualche modo, deve restare traccia presso la Centrale rischi della pregressa classificazione a deteriorata della posizione risolta tramite l’operazione con il Fia. Anche quest’ultima prescrizione appare pleonastica quando I regolamenti della Centrale rischi prevedono già che di certe segnalazioni resti traccia per un periodo determinato. Non si vorrà, si spera, peggiorare la situazione. Che resti traccia dell’operazione in Centrale rischi rende inconsistente l’affermazione di coloro che sollecitano l’approvazione di queste norme proprio per ripristinare il merito creditizio del debitore. Non sarà così. Del tutto incongruo invece è che per effetto di questa operazione con il Fia si effettuino rettifiche segnaletiche a valere sulla Centrale d’allarme interbancaria (Caì) che, come noto, tiene traccia per periodi determinati di chi ha emesso assegni a vuoto, degli assegni rubati o smarriti o bloccati, di chi ha utilizzato irregolarmente carte di credito, ecc. La Caì registra fatti già accaduti la cui notizia è bene che resti di pubblico dominio. Non si comprende l’utilità di questa previsione che non è in diretta correlazione con la ratio del provvedimento orientato a rendere più efficiente ed efficace la gestione dei crediti deteriorati.

 L’articolato prevede anche norme sanzionatorie a carico dei creditori che non osservino le disposizioni. Si tratta di sanzioni amministrative pecuniarie tra 20.000 e 100.000 € che verrebbero irrogate dalla Banca d’Italia secondo criteri che dovrà adottare. Non si prevedono invece norme sanzionatorie per i fondi, il che è singolare atteso che la maggior parte delle prescrizioni sono dettate per i Fia per quanto riguarda la loro costituzione, il loro funzionamento e le regole da adottare nell’esecuzione delle operazioni. Per i creditori di unici obblighi sono quelli relativi alle segnalazioni nelle centrali rischi pubbliche e private che peraltro al momento non riguardano le agenzie di recupero crediti con licenza ex articolo 115 TULPS, esenti quindi da sanzioni. Singolare omissione, tanto più che nello stesso articolo è prescritto alla Banca d’Italia, fra l’altro, che debba emanare un provvedimento dettando norme di condotta cui dovrebbero attenersi creditori e Fia nelle negoziazioni. Norma imperfetta quest’ultima che avrebbe invece ben meritato un apparato sanzionatorio adeguato, in assenza del quale potrebbero favorirsi a danno del debitore, parte debole, disposizioni contrattuali e comportamenti negoziali penalizzanti.

 Particolarmente singolare la preoccupazione dell’estensore tradita dalla prescrizione che Banca d’Italia dovrebbe stabilire con proprio provvedimento previsioni contrattuali affinché queste operazioni non ricadono nell’ambito di applicazione del patto commissorio ex articoli 1963 e 2744 codice civile. A parte l’incongruità del riferimento all’articolo 1963 dove il divieto del patto commissorio è collegato al contratto di anticresi che nulla ha a che vedere con l’operazione di acquisto del bene ipotecato da parte del Fia (nell’anticresi, come è noto, non si ha una vendita, ma l’impossessamento del bene da parte del creditore perché ne percepisca i frutti imputandoli a deconto del debito), ma il richiamo all’ articolo 2744 c.c. lascia intravedere la consapevolezza del rischio di tenuta dell’intera struttura dell’operazione qualora si profili, per esempio, una significativa “correlazione” tra FIA e creditore. Tanto più vero che immediatamente dopo si prescrive che il regolamento del Fia debba rispettare le previsioni di cui all’IFRS 10 in materia di controllo di fatto della disciplina delle parti correlate nonché in materia di conflitti di interesse. Cosa si vuole evitare? Forse si vuole evitare che quest’operazione si presti ad un inganno. Il creditore potrebbe montare l’operazione con un Fia di comodo (con il quale potrebbe avere sostanziali interessenze) impossessandosi di fatto, sia pure attraverso il FIA “alleato “, dell’immobile ipotecato e aggirando nella sostanza il divieto del patto commissario. I benefici potrebbero essere notevoli, tanto più che l’operazione godrebbe di utilità fiscali non trascurabili. Ci si chiede perché non si sia esplicitamente vietato che il creditore direttamente o indirettamente possa trarre utilità di qualunque natura dall’operatività e dall’esistenza del Fia e si sia invece ricorso ad una circonlocuzione che fa gravare sulla Banca d’Italia la non facile soluzione. Per quanto non ci sia dubbio che i tecnici della Banca d’Italia siano in grado di affrontare con competenza l’argomento, è ben strano che non si sia dato il giusto peso alla circostanza che nella gerarchia delle fonti un provvedimento della Banca d’Italia, tanto più privo di un apparato sanzionatorio se non di carattere amministrativo, abbia un peso sicuramente inferiore in termini di cogenza rispetto ad un esplicito divieto legale accompagnato da sanzioni opportunamente severe.

 In estrema sintesi: a parte il beneficio dell’esdebitazione e del debitore, non vediamo particolari vantaggi né per lui né per i creditori, salvo quello fiscale che interviene solo se la transazione trilaterale porta a quest’ultimo ulteriori perdite. Il vero beneficio lo ottengono i detentori delle quote del Fiat sia per i prezzi di acquisto degli immobili ipotecati, che se non saranno convenienti non porteranno al perfezionamento del contratto, sia per la rendita del 5% assicurata dalla legge, ma anche per il goodwill del 10% sulla vendita all’ex debitore e per gli altri benefici fiscali non trascurabili.

In conclusione, se si vuole cercare di disinnescare per quanto possibile un rischio socio economico collegato all’endemico fenomeno degli NPL con particolare riguardo all’allarme sociale creato dalla numerosità delle esecuzioni immobiliari (che costituiscono uno dei non rarissimi casi in cui sia il creditore che il debitore sono colpiti nei loro interessi economici anche a causa della macchinosità ed esosità di queste procedure), sarebbe consigliabile che si intervenisse con provvedimenti semplificativi che incidano positivamente e direttamente sui fatti economici e patrimoniali delle parti coinvolte senza interposizioni speculative come appaiono quelle del Fia. Immaginare soluzioni basate essenzialmente su parametri di natura finanziaria anziché reale non consentirà di ottenere gli scopi “sociali “auspicati dai promotori.

 Anzi, tenuto conto che per operazioni come quella elaborata nella bozza di articolato de quo, i veri attori e percettori di benefici sono prevalentemente enti finanziari (quindi ne’ i creditori, ne’ i debitori), sarebbe opportuno tener conto del rischio, di particolare gravità, connesso al trasferimento di una parte non trascurabile del patrimonio immobiliare privato del paese dai numerosissimi attuali proprietari a pochi, potenti e speculativi enti finanziari (unici detentori della liquidità adeguata alla realizzazione di certe operazioni), favorendo un fenomeno al quale forse l’italiani non sono neanche culturalmente disponibili: trasformare i cittadini da proprietari a inquilini. L’argomento ed il fenomeno meritano approfondimenti più ampi di quelli fatti dalla Commissione.

 A proposito delle GACS, la Commissione, dopo aver pedissequamente esposto i dati numerici principali di carattere generale, analizza nel dettaglio i benefici effetti di una cartolarizzazione con GACS realizzata dalla Banca Popolare di Sondrio, sicuramente non la più rilevante delle operazioni portate a termine dal 2016, data di entrata in vigore del relativo provvedimento. La conclusione riportata nella Relazione è che, pur accettando che le GACS hanno agevolato la vendita dei crediti deteriorati (non si fa cenno al fatto che la garanzia abbia provocato l’aumento dei prezzi di vendita dei portafogli di NPL) lamenta che l’applicazione del Calendar provisioning, in particolare, e delle altre stringenti norme di gestione degli NPL “(i) limita la capacità del sistema finanziario di erogare - soprattutto in fase di difficoltà o tensioni finanziarie - nuovo credito a famiglie e imprese; (ii) vede lo Stato garantire il rendimento minimo degli investitori che acquistano i crediti deteriorati (ad oggi tali garanzie costano si cittadini 10,5 miliardi di euro); (iii) pone i debitori al di fuori del sistema bancario con rilevanti difficoltà ad ottenere nuova liquidità”. Conclusioni anche queste piuttosto ovvie e ben note a chi si occupa di questa materia.

 

3)        Il ruolo dello Stato nel capitale del sistema bancario.

In questo capitolo la Relazione si sofferma in particolare sulle vicende del Monte dei Paschi di Siena e della Banca Popolare di Bari. Per quanto riguarda il Monte dei Paschi viene fatta una ricognizione puntuale delle vicende che hanno portato il MEF a detenere una cospicua quota del capitale della banca, soffermandosi sulla mancata azione di responsabilità verso gli ex amministratori Alessandro Profumo e Fabio nonostante le pesanti condanne in primo grado, sulle motivazioni che hanno portato al fallimento del tentativo di acquisizione da parte di Unicredit e sui negoziati con le autorità europee per ottenere la proroga dei termini concessi per la cessione della partecipazione in mano allo Stato italiano. La conclusione, ovvia, è che vada individuato un Anchor investor che consenta il rilancio della banca con nuovi assetti proprietari. Francamente ci si aspettava che una commissione parlamentare di inchiesta fosse in grado di formulare, oltreché una più approfondita analisi sulla vicenda e sulle sue origini, anche una proposta più articolata in termini di strategie e soluzioni.

 Anche per la Banca Popolare di Bari viene esposta una dettagliata narrazione delle vicende degli ultimi anni senza entrare nel merito di responsabilità e cause del dissesto che hanno portato nel 2021 ad un cost/income del 155,5%. In questo caso però la Commissione azzarda una conclusione di prospettiva. Dopo aver fatto preso atto che non si possono ipotizzare interventi del FIR “- Specificatamente diretto ad indennizzare situazioni patologiche di risparmiatori danneggiati da banche ‘risolte’ o in liquidazione coatta amministrativa- perché si tratterebbe di aiuto di Stato “, si spiega che la Banca popolare di Bari potrebbe “assumere un ruolo strategico nel processo di aggregazione delle piccole realtà bancarie del mezzogiorno”. In sostanza la “Banca del sud” che, probabilmente, si pensa, potrebbe convogliare ed implementare la progettualità e i flussi di cassa connessi al PNRR. Non poco! Poiché non risulta che sia stata presentata una relazione conclusiva di minoranza, almeno formalmente, tutte le forze politiche parlamentari si sono trovate d’accordo su questa impostazione politicamente alquanto targata.

 Per quanto riguarda il tema scottante dell’operatività dell’Amministrazione centrale dello Stato con gli strumenti finanziari derivati, le conclusioni della Commissione appaiono almeno deludenti. Dopo aver messo in evidenza e che a dicembre 2021 il mark-to-market registrava una perdita di 23 miliardi di euro e che la copertura “interest rate swap“, coprendo appena il 4% del debito pubblico nazionale, lenirebbe in modo marginale un eventuale (sic!) aumento dei tassi, ci si limita ad auspicare che sia opportuno “avviare apposite iniziative, anche di carattere legislativo, per migliorare la gestione del debito pubblico e l’operatività di strumenti finanziari derivati, anche in termini di strutture tecniche, modelli decisionali e di governance anche alla luce delle significative perdite registrate nei vari anni per il bilancio pubblico”. Insomma una stoccata al MEF, ma niente di più. Più che altro nessun approfondimento di natura tecnica tale da giustificare la “sentenza”.

Con riguardo alle banche popolari venete viene riportata nella Relazione una breve ricostruzione di taglio “giornalistico” delle vicende che hanno portato alla loro liquidazione coatta amministrativa, non trascurando di addossare una responsabilità sia pure indiretta alla BCE e più esplicitamente alla Banca d’Italia, ma senza specifiche motivazioni. Non vengono riportate analisi e valutazioni sull’origine di queste crisi bancarie né tantomeno sugli strumenti legislativi adottati per affrontarle ed in particolare sull’intervento di Banca Intesa.

Partendo da questi casi di specie, la Commissione ha affrontato le problematiche del “risparmio tradito” articolando una narrazione sul FIR, descrivendone scopi, funzionalità e risultati. La Commissione riferisce che per suo merito è stata prorogata al 31/12/2022 l’operatività della Commissione tecnica del Fondo, ma si rammarica perché l’imprevisto scioglimento anticipato della Camere non le ha consentito di costituire un apposito gruppo di lavoro per definire strumenti legislativi finalizzati a rimuovere le criticità emerse nel corso delle varie audizioni. Come vedremo molti dei lavori avviati dalla Commissione si sono interrotti per l’anticipato scioglimento di sei mesi delle Camere, nonostante la legge istitutiva fosse stata promulgata a marzo del 2019 e la commissione avesse iniziato ad operare il 6 febbraio 2020.

 

4) Casi particolari

 Nonostante gli impegni gravosi e gli obiettivi ambiziosi, la Commissione ha voluto occuparsi anche di alcuni casi particolari.

Buon livello di attenzione è stato riservato al caso DEIULEMAR, un gruppo armatoriale della provincia di Napoli, da tempo dichiarato fallito a seguito di avventate ed errate operazioni finanziarie. Il caso è ben noto alle cronache e non se ne capirebbe la rilevanza in quella sede se non per mettere in evidenza una certa distrazione da parte della Vigilanza rispetto all’attività di irregolare raccolta del risparmio con migliaia di persone coinvolte, in gran parte non rimborsate. Che il gruppo DEIULEMAR svolgesse questa attività era abbastanza noto sia nel territorio di insediamento che, dobbiamo ritenere, alle banche che lo hanno improvvidamente sostenuto fino al fallimento seguito da severe condanne penali per i vertici del gruppo. Purtroppo anche in questo caso, a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere, la Commissione non ha potuto completare le audizioni programmate dei curatori fallimentari e quindi concludere l’indagine da cui ci si sarebbe potuto aspettare suggerimenti concreti per evitare il ripetersi di casi di risparmio tradito o comunque l’individuazione più precisa delle origini di questo fenomeno e gli eventuali provvedimenti da adottare per prevenirlo e contrastarlo.

Altro caso particolare che la Commissione ha voluto affrontare è stato quello della “vendita di diamanti” per il tramite di banche commerciali, poi sanzionate dalle autorità di vigilanza. In questo caso la critica verso chi avrebbe dovuto evitare che le banche favorissero l’attività in frode alla clientela è stata più decisa arrivando a sostenere, a nostro avviso correttamente, che provvedimenti legislativi dovrebbero dotare l’autorità di vigilanza di nuovi poteri di indagine. Peraltro ci sembra insufficiente che la Commissione si limiti ad esemplificare il cosiddetto “mistery shopping “, strumento di audit che da più di sessant’anni viene utilizzato ed è addirittura oggetto di una normativa italiana (UNI 11 312). Sarebbe stato più interessante se la Commissione fosse entrata maggiormente nel merito mettendo in evidenza che l’interesse pubblico ad avere un sistema bancario efficiente ed affidabile potrebbe essere meglio tutelato se la Vigilanza non incontrasse un limite nella tutela della iniziativa privata cui si appellano i sostenitori della libertà della banca di fare impresa fino al punto di sostenere che, non essendo la vendita di diamanti un’attività finanziaria, la Banca d’Italia non potrebbe occuparsene. Anche per questo argomento la fine anticipata della legislatura avrebbe impedito alla Commissione di completare i suoi lavori.

Altro tema di dettaglio che ha impegnato la Commissione è quello relativo al rapporto tra “gioco legale e sistema bancario”. La criticità rilevata è che il settore del gioco e delle scommesse, per opportuna decisione della Banca d’Italia, è particolarmente attenzionato ai fini dell’antiriciclaggio. Ne deriva la difficoltà delle imprese del settore di aprire conti correnti presso diverse banche. Appare poco plausibile che la Commissione abbia impegnato le sue risorse su un tema di peso trascurabile e verso una categoria di attività economiche che induce a comportamenti non commendevoli di molti cittadini ed addirittura a favorire patologie ormai ben conosciute come la ludopatia. Ma tant’è, la Commissione, pur rammaricandosi anche qui per non aver potuto completare le attività programmate a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, fa voti perché, con appositi provvedimenti legislativi, sia obbligatorio per gli istituti di credito garantire un rapporto di conto corrente alle imprese del settore. Nessun approfondimento per capire se le preoccupazioni di Banca d’Italia in tema di antiriciclaggio siano o meno fondate.

Appare forse più giustificata l’attenzione riservata dalla Commissione al tema della cessione dei crediti derivanti da bonus fiscali. La disamina riportata nella Relazione conclusiva è molto approfondita, ricca di dati e ben articolata. Se ne parla al punto 2.6 della Prima parte. L’analisi è incentrata sulle frodi denunciate dalla Guardia di Finanza, ma anche sul meccanismo di cessione che si è inceppato sia per il prossimo esaurimento del plafond fiscale delle banche cessionarie, sia per le varie contraddittorie interpretazioni giurisprudenziali relative al soggetto su cui ricadrebbe la responsabilità di omissioni o irregolarità in sede di lavori e applicazione della norma sui benefici fiscali derivanti. In questo caso, nonostante l’anticipato scioglimento delle Camere, la Commissione ha operato in regime di prorogatio e pertanto ha potuto rappresentare possibili interventi che non commentiamo essendo sostanzialmente in linea con i più recenti provvedimenti governativi che hanno almeno parzialmente risolto le criticità e riattivato il meccanismo.

Altro argomento su cui la Commissione non ha potuto concludere l’attività avviate a causa dello scioglimento anticipato delle Camere è stato quello del trading online e della finanza digitale. Partendo dalla nota vicenda della trading app “Robin Hood“ che ha notevolmente interferito negli Stati Uniti sull’andamento di Borsa del titolo “GameStop Corp.“, contrastandone le vendite allo scoperto, la Commissione ha inteso brevemente indagare sul fenomeno dei comportamenti speculativi e poco prudenti di molti piccoli investitori che operano sui mercati affidandosi a operatori non indipendenti i quali li inducono ad investire in base al proprio personale/aziendale tornaconto e non tutelando gli interessi di chi affida loro i propri risparmi. La Commissione si sofferma sulla inaffidabilità dei brokers market maker cui vanno preferiti i brokers non market makers. Attenzione è stata dedicata anche al mercato delle cripto valute e del trading online in generale mettendo in evidenza i noti rischi per investitori retail con scarsa competenza finanziaria. La conclusione è stata che vi è la “necessità di definire una cornice normativa comune ed armonizzata per gestire le innovazioni derivanti, dal fin tech per limitare i possibili fenomeni di risparmio tradito nonché eventuali arbitraggi normativi ma al contempo valorizzare le opportunità imprenditoriali sane del settore, scongiurare la fuga di imprese, talenti e capitali”. Anche qui, più che altro, petizioni di principio, ma nessuna profondità di analisi del pur grave fenomeno.

 

5)        Fondazioni bancarie, finanza sostenibile e credito cooperativo.

 Altri argomenti non adeguatamente sviluppati per l’anticipato scioglimento delle Camere.

Sulle fondazioni bancarie la Commissione si è limitata a rilevare scarsa trasparenza su vari aspetti (gestionali ed organizzativi, ricambio dei gruppi dirigenti, remunerazioni, ecc.) auspicando interventi legislativi per rafforzare la trasparenza informativa delle fondazioni e della loro corporata governance. A nostro avviso, dato ormai lo scarso peso che le fondazioni bancarie hanno nel nostro sistema creditizio per effetto delle modifiche degli assetti societari a favore di investitori finanziari specie esteri verificatasi nell’ultimo decennio, forse questo argomento poteva non essere considerato fondamentale a meno che non si fosse approfonditamente esaminato proprio il fenomeno del cambiamento degli assetti societari delle banche. Non è sato così e dobbiamo considerarla un’occasione persa.

Più opportuna appare invece l’attenzione dedicata alla” finanza sostenibile” ed allo Score ESG. Viene rilevato un ruolo trainante di questo comparto in Europa dove sono state effettuate emissioni obbligazionarie ESG per il 50% del totale e dove i fondi residenti vedono investimenti ESG per più dell’80% del dato globale. Il rischio individuato dalla Commissione è che il cosiddetto greenwashing possa essere utilizzato per aumentare l’attrattività delle emissioni a scapito della buona fede dei risparmiatori. Alcune iniziative che, a parere della Commissione, potrebbero a favorire la finanza sostenibile riguardano l’inclusione dei criteri ESG anche nelle gare di appalto pubbliche imponendo il “rating di sostenibilità” ai partecipanti, ma anche una normativa prudenziale premiante in termini di minore patrimonio di vigilanza per gli intermediari che supportano l’economia green. Su quest’ultimo punto facciamo le nostre riserve perché la relazione è tra patrimonio di vigilanza e rischio di controparte che non vediamo come si possa considerare attenuato dalla circostanza che vi sia un elevato rating di sostenibilità. Per tacere delle difficoltà che incontrerebbe un’ipotesi del genere in sede BCE. Piuttosto si potrebbe usare la leva fiscale per favorire l’intervento creditizio delle banche nel sostenere imprese in crisi finanziaria, ma industrialmente ancora valide.

Da ultimo, tra i temi oggetto di indagine, quello relativo alle conseguenze dell’efficienza del nostro sistema creditizio a seguito della riforma delle banche popolari e di quelle di credito cooperativo. Come era facile aspettarsi, la Commissione ha particolarmente insistito sulla circostanza che, a seguito della riforma, quasi tutte le banche di credito cooperativo (le vecchie casse rurali e artigiane) sono oggi soggette alla stringente, invasiva e ben più costosa regolamentazione delle grandi banche nonché alla vigilanza diretta della BCE solo perché partecipanti a gruppi Significant, con un attivo superiore a 30 miliardi di euro. Ne è derivato che, senza alcun rispetto per il criterio della proporzionalità che deve informare le normative di vigilanza europee, banche anche di modestissime dimensioni sono oberate da oneri di compliance e governance del tutto esuberanti che ne influenzano negativamente l’operatività a detrimento della loro capacità di sostenere le economie di prossimità. È questo un tema ormai molto discusso in tutte le sedi competenti, quindi non solo in quelle accademiche. La Commissione ha auspicato che si possa utilmente intervenire in sede di recepimento di “Basilea 3 plus” per ripristinare adeguate logiche di proporzionalità.

 

6)        Il sistema di segnalazione della commissione.

 Particolare impegno e risorse sono stati riservati dalla Commissione all’approntamento di un sistema di segnalazione, operativo da novembre 2021, grazie al quale il pubblico, gratuitamente, ha potuto indirizzare alla Commissione segnalazioni inerenti procedure di finanziamenti, prestiti garantiti dallo Stato, moratorie, gestione da parte di banche, finanziarie, servicer, ecc. Insomma una sorta di Whistleblowing parlamentare atto a contrastare e prevenire violazioni da parte di operatori nel campo finanziario. A questa attività la Commissione ha preposto un team specializzato che ha esaminato più di 350 segnalazioni, prendendone in considerazione 161 e scartandone quasi 120, con “risultati utili ai fini dei lavori”. Nonostante si tratti di un campione esiguo, la Commissione ha ritenuto di doversi occupare di alcuni argomenti specifici sottopostile tramite questo applicativo come il caso Bulgarella e la vicenda dei mutui Barclays bank indicizzati al franco svizzero. Anche per tali indagini l’anticipato scioglimento delle Camere ha impedito la conclusione degli approfondimenti.

 In ogni caso la Commissione spera che questo sistema di segnalazioni così approntato possa essere utilizzato anche in futuro, tant’è che allega alla Relazione conclusiva il “protocollo d’intesa per la cooperazione tra la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario e la Guardia di Finanza “. È alquanto improbabile che lo strumento sopravviva alla Commissione.

 

7)        Conclusioni provvisorie.

 Considerando che, come abbiamo visto, gran parte dei compiti assegnati alla Commissione in base all’articolo 3 della legge istitutiva non sono stati affrontati, forse il nostro giudizio complessivo sui lavori di questo organismo di inchiesta è bene resti sospeso.

 D’altra parte una Commissione parlamentare che si vede recapitare una lettera del Capo dello Stato non può che tenerla, come è ovvio, in massima considerazione e uniformarsi senz’altro alle raccomandazioni in essa contenute.

Osserviamo però che, nonostante la Commissione abbia ritenuto di affrontare argomenti emersi in modo episodico e sorvolare o non affrontarne altri di massimo impatto, stupisce un po’ che tante questioni siano rimaste in sospeso e non definite a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere a pochi mesi dalla scadenza naturale, nonostante 31 mesi di lavoro, circa 770.000 € stanziati e alcune decine di audizioni, anche ripetute, di esponenti di massimo rilievo del sistema economico e finanziario.

 Forse meno carne al fuoco avrebbe potuto consentire risultati più convincenti.