Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Giurisprudenza

Crediti postergati e compensazione: le conclusioni del Procuratore De Matteis.


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Focus

Crediti deteriorati, nuove proposte in Parlamento: prime osservazioni


Data pubblicazione
17 agosto 2023

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La crescita dei tassi di interesse, l’impennata inflazionistica, le restrizioni al credito e l’incertezza sull’andamento economico, si stanno traducendo in rischi di incremento dei crediti bancari deteriorati.

Trattandosi di un fenomeno da circa dieci anni endemico per l’Italia, l’argomento era già stato affrontato, senza successo, nelle precedenti due legislature con una serie di disegni di legge presentati sia alla Camera dei deputati che al Senato da quasi tutti i gruppi parlamentari, tant’è che nella XVIII legislatura il senatore Buccarella aveva proposto alla Commissione finanze, in sede redigente, un testo unificato dei ddl 79-788-128-2098 sul quale la Commissione non ebbe modo di concludere i lavori.

In questa legislatura l’argomento è tornato in auge con i disegni di legge AS 414 (presentato il 16/12/22, primo firmatario Sallemi), AC 843 (presentato il 31/1/23, primo firmatario Congedo) e AS 669 (presentato il 17/4/23, primo firmatario Ancorotti). Quest’ultimo è la replica di una proposta presentata dalla ex senatrice Ruocco in sede di Commissione di inchiesta sulle banche della quale ci siamo approfonditamente occupati nella “Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Primi commenti”, cui si rinvia. (1)

Gli altri due disegni di legge sono uno la copia dell’altro, con trascurabili differenze, e ripropongono un testo già presentato dal senatore Urso nella XVIII legislatura.

Rispetto alle proposte presentate in precedenza la caratteristica di questi ultimi due disegni legge e’ che si limitano ad intervenire solo sui crediti deteriorati già ceduti a terzi e non su quelli ancora presenti nei bilanci delle banche. Invero, poiché dal 2015 ad oggi oltre 200 dei 350 miliardi di crediti deteriorati esistenti sono stati ceduti massivamente dalle banche in operazioni di cartolarizzazione e le banche detengono ormai solo circa 90 miliardi, l’attenzione del legislatore in termini quantitativi sembra opportunamente indirizzata, salvo che, anticipando le conclusioni, le stringenti limitazioni poste ci sembra rendano del tutto inefficaci le promulgande norme, se non altro perché non intercettano il reale e grave problema nascente dalle cessioni massive che producono gravi perdite alle banche e riduzione del gettito fiscale di queste ultime non compensato dalla tassazione sugli ingenti profitti degli investitori cessionari, di norma residenti all’estero. 

Esaminiamo di seguito articolo per articolo il disegno di legge AC 843.

Articolo 1.

Al primo comma si descrive l’obiettivo della norma: agevolare le prospettive di recupero dei crediti in sofferenza e favorire ed accelerare il ritorno in bonis del debitore ceduto. Al secondo comma si descrive l’ambito di applicazione che, in contrasto con il comma precedente dove si parla di “crediti in sofferenza“, viene esteso a tutti i crediti deteriorati, ricomprendendovi quindi oltre alle sofferenze, anche le inadempienze probabili e le esposizioni scadute e/o sconfinate secondo le definizioni della Banca d’Italia, purché cedute a terzi. In realtà non si ha notizia, ne’ si considera tecnicamente fattibile, la cessione di un credito scaduto se non in favore di altra banca. Sarebbe stato meglio evitare una espressione così tecnica ma attinente un perimetro che ha poco a che fare con le cessioni di cui ci si sta occupando.

Aldilà della contraddizione evidente circa la qualificazione oggettiva, la limitazione ai crediti già ceduti ha una portata molto restrittiva rispetto al disegno di legge Buccarella. Quest’ultimo all’ art.1 individuava specificatamente le posizioni deteriorate come quelle classificate a sofferenza o a inadempienza probabile (quindi escludendo i crediti semplicemente scaduti) e prevedeva che sotto il profilo soggettivo i creditori interessati fossero non solo le banche e le società finanziarie ex articolo 106 TUB, ma anche le società di cartolarizzazione ex l.130/99 e le agenzie di recupero crediti ex articolo 115 TULPS, quindi tutti i potenziali acquirenti di crediti bancari non performing.

In mancanza di queste specificazioni di natura soggettiva, il disegno di legge 843 sembra potersi applicare a qualunque cessione a terzi definiti genericamente “società cessionarie”. Per evitare l'estendibilità ad operatori non finanziari, sarebbe bastato individuare i cessionari nelle SPV, le società veicolo di cui alla legge 130/99, i FIA, fondi d’investimento alternativi, e le agenzie di recupero crediti ex art. 115 TULPS, tipici operatori vigilati/legittimati del mercato degli Npls.

Poiché i soggetti cedenti sono specificatamente individuati (banche e intermediari finanziari ex articolo 106 TUB), la norma non si applicherebbe invece alle cessioni delle stesse SPV che stanno alimentando un discreto mercato secondario. Sarà facile eludere la prescrizione trasferendo i portafogli da una prima SPV ad una seconda SPV.

Francamente poco comprensibile risulta la puntuale prescrizione del comma 2 dell’articolo 1 che limita l’applicabilità della norma ai crediti ceduti, ma classificati come deteriorati tra il 1/1/2018 e il 31/12/2021. La ratio della limitazione è misteriosa. Nel disegno di legge gemello AC 414, l’intervallo era stabilito dal 1/1/2015 al 31/12/2021. Da notare che nelle relazioni parlamentari ai due disegni legge si parla sempre dell’intervallo 1/1/2015 - 31/12/ 2018 anche se, come precisato, nell’ AS 843 la previsione è diversa e più restrittiva. Un errore piuttosto marchiamo!

In ogni caso si pongono due temi. il primo: l’ambito di impatto delle norme si ridurrebbe a poche decine di migliaia di casi, incoerentemente con le premesse di scopo politico economico del comma 1 dell’articolo 1 . Il secondo è di natura costituzionale: perché trattamenti diversi tra soggetti che sono nella stessa situazione? Quale condizione particolare dovrebbe giustificare una supposta agevolazione per i debitori le cui posizioni furono classificate in quell’intervallo? Debole la spiegazione contenuta nella relazione dell’ AS 414: “i crediti ceduti devono essere il frutto delle crisi economiche e bancarie degli ultimi anni“, motivazione del tutto scomparsa nella relazione all’ AC 843 di data successiva.

Storicamente le crisi cui si fa risalire la crescita spropositata dei crediti deteriorati in Italia e’ quella finanziaria internazionale del 2007/2008, che da noi è stata seguita da quella del debito sovrano nel 2011/2012, quando l’impennata delle sofferenze ebbe una fortissima accelerazione.

Improbabile sostenere che ci sia una motivazione particolare per identificare un intervallo, motivazione tale da superare l’eccezione di incostituzionalità della norma che verrà eccepita da parte di coloro le cui posizioni siano state classificate prima del 1° gennaio 2015 o del 1 gennaio 2018. Una spiegazione “immaginabile“ è che il termine iniziale del 1° gennaio 2015 coincide con il periodo in cui le cartolarizzazioni hanno ripreso vigore grazie anche agli interventi della BCE ed alla introduzione delle GACS dopo 10 anni di basso profilo. Ma l’intervallo riguarda la classificazione a credito deteriorato e quindi non vi è apparente motivo per escludere delle posizioni classificate prima del termine iniziale, qualunque esso sia.

Nel disegno di legge Buccarella vi era un solo termine finale (31/12/2020) entro il quale i debiti deteriorati dovevano essere stati classificati a sofferenza o inadempienze probabili come risultanti dalla Centrale dei rischi della Banca d’Italia . Indiscutibile elemento di fatto, quest’ultimo, non presente nei due disegni di legge in esame, il che creerà contenzioso in quantità poiché si potrà sempre discutere a quando si dovrà far risalire la classificazione tenuto conto che le procedure delle banche e delle finanziarie non sono uniformi e comunque bisognerà fidarsi delle loro dichiarazioni.

Non vi è dubbio che il perimetro interessato da provvedimenti straordinari di questo tipo debba essere limitato da un termine finale per evitare comportamenti strumentali dei debitori futuri allettati dall’idea di poter approfittare di norme di vantaggio che ne riducono la propensione alla regolarità dei pagamenti. Ma non ha alcun senso, specie sotto il profilo costituzionale, un termine iniziale tanto più se lo scopo è quello di intercettare il circuito perverso “cessione dei crediti deteriorati-perdite delle banche-riduzione del gettito fiscale-extraprofitti non tassati degli investitori stranieri”.

Ancor più incomprensibile l’indicazione di un “intervallo di tempo“ arbitrariamente individuato se lo scopo è quello del primo comma dell’articolo 1: “contribuire allo sviluppo ed alla competitività del sistema economico produttivo nazionale, anche attraverso misure che favoriscano la ripresa dell’accesso al credito di famiglie, liberi professionisti e PMI”. Forse che non ci siano soggetti meritevoli di tale preoccupazione politica con posizioni deteriorate prima del 1 gennaio 2018? O dopo il 31/12/2020? Secondo quale criterio? Dai testi non è dato comprenderlo.

La condizione posta al punto c) del secondo comma dell’articolo 1, supera il dubbio poco fa espresso che siano soggette alla norma tutte le cessioni in conseguenza della infelice espressione del punto 2 (“cessioni di crediti “non meglio specificate). Qui in effetti si precisa che la posizione debitoria (rectius: “il rapporto giuridico” come meglio definito nel disegno di legge Buccarella) deve essere stata ceduta nell’ambito di una “cessione di portafoglio o di operazioni di cartolarizzazione“.

Se le operazioni di cartolarizzazione sono chiaramente individuate (ma sarebbe stato meglio richiamare la legge 130/99), l’espressione “cessioni di portafoglio“ è estremamente vaga e potrebbe far correre in rischio di annoverarvi anche le cessioni per operazioni di factoring, ad esempio, con conseguenze catastrofiche per il settore, è del tutto incomprensibile la dizione “sia in sede volontaria che nel caso di procedure di risoluzione [di che si sta parlando ?] o di altra procedura concorsuale“.

Perché queste generiche e non necessarie precisazioni ? Le cessioni alle quali era opportuno riferirsi sono solo quelle connesse all’applicazione della legge 130/99 e non altre. Piuttosto sarebbe stato opportuno precisare che deve trattarsi di“ cessioni pro soluto “escludendo (ma così non è nel testo) quelle “pro solvendo“ in cui il cedente resta “garante“ del pagamento del debitore.

L’unico dubbio è che per procedure di risoluzione o altre procedure concorsuali ci si sia voluti riferire alla “risoluzione“ delle banche in default, ma non si vede la ratio di un riferimento del genere. 

Articolo 2.

Al primo comma si rilevano elementi qualificanti. Il “debitore ha il diritto di estinguere“: qui il profilo di incostituzionalità ai fini del principio della tutela dell’autonomia privata ex articolo 41 della Carta è evidente. Al diritto del debitore corrisponde l’obbligo del creditore (la “società cessionaria” che, come sopra scritto, non è qualificata come SPV ex l. 130/99 e quindi può essere qualunque soggetto purché abbia una forma societaria), il quale non può rifiutarsi di accettare il pagamento del debito al prezzo fissato da questa norma che vedremo più avanti.

Sia nel ddl Buccarella che in quelli precedenti ( con esclusione di quello del sen. Urso)ci si era preoccupati di evitare questo tipo di eccezione, talche’ non vi era alcun obbligo per i creditori di accettare la proposta transattiva del debitore formulata in base ai criteri di legge, ma si prevedevano norme fiscali di vantaggio e limitazioni operative per indurre il creditore ad accettare. Erano forme di moral suasion rafforzata che non entravano in contrasto con il principio della tutela della libertà contrattuale tra privati .

Opportuno segnalare che il limite di 25 milioni di debito è esorbitante atteso che i beneficiari sono famiglie, professionisti e PMI . In ogni caso non si comprende la ratio e tantomeno la giustificazione dell’inserimento di questo limite che pone altre questioni di costituzionalità. Ridondante pare la precisazione “singolarmente“ quando il “complessivamente“ sarebbe stato sufficiente.

Il primo comma precisa anche che il pagamento deve essere pari “al prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria aumentato del 20%“. A ben vedere la cessionaria non acquista alcuna “posizione“, ma acquista un credito, cioè un “rapporto giuridico“ esistente tra cedente e debitore. L’utilizzo della parola “posizione“ associata all’acquisto potrebbe indurre l’interprete giudiziario a coltivare dubbi di non facile risoluzione nell’individuare la materia del contendere . La “compravendita di posizioni debitorie“ è un concetto non solo generico e fuorviante, ma estraneo alla nostra tradizione giuridica. Forse l’ estensore ha ritenuto che essendo oggetto della norma anche le inadempienze probabili che di norma non sono semplici crediti, ma articolati rapporti contrattuali ancora in essere, con un “neologismo” avrebbe potuto ricomprenderle. Non condividiamo la scelta.

Ai sensi del primo comma “ il prezzo di acquisto della posizione [sic!] da parte della società cessionaria è determinato dal rapporto percentuale tra valore nominale lordo del credito e prezzo effettivamente pagato per il portafoglio di crediti in cui rientra la posizione debitoria di cui si chiede l’estinzione“.

Rileviamo un contrasto foriero di complicazioni.

Al primo comma dell’articolo 2 si fa riferimento al “prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria” (se si fosse parlato di credito acquistato sarebbe stato molto più chiaro, ma non si sarebbero ricompresi i rapporti contrattuali qualificati come inadempienze probabili) mentre al punto b) del secondo comma si fa riferimento ad altra cosa, cioè al prezzo pagato per il portafoglio in cui rientra la posizione da estinguere.

Si tratta di numeri completamente diversi.

Quando un SPV acquista un portafoglio di crediti deteriorati paga un prezzo complessivo frutto di una propria due diligence che attribuisce quel valore economico al complesso dei crediti acquistati pari alla sommatoria dei prezzi dei singoli crediti . Indipendentemente da quali siano i criteri utilizzati dal cessionario per stabilire il prezzo complessivo del portafoglio e quello dei singoli crediti, ogni singolo credito acquistato ha un proprio valore di iscrizione nel bilancio del cessionario che è necessariamente diverso dal prezzo complessivo pagato quale risultante della sommatoria dei valori economici attribuiti ai singoli crediti che costituiscono il portafoglio acquistato.

Le differenze di valore possono essere molto significative. Un credito chirografario senza garanzie o oggetto di procedura concorsuale può avere un prezzo di acquisto estremamente esiguo (2-10%), mentre un credito assistito da garanzie ipotecarie su cespite di valore può avere un prezzo molto rilevante (60-80%). Ancora più articolato il valore attribuibile ai crediti relativi ad inadempienze probabili per le quali i contratti sottostanti non sono risolti come avviene per le sofferenze.

Poiché la norma si riferisce al prezzo pagato per il portafoglio, se in quel portafoglio ci sono sia crediti ipotecari che chirografi, il 20% di aumento potrebbe penalizzare i debitori chirografari e favorire i debitori ipotecari.

Oltre che una ingenuità dal punto di vista tecnico, questa impostazione può sfavorire in modo iniquo anche il cessionario che potrebbe essere “costretto“ a “estinguere posizioni“ con grave nocumento. Tenuto conto che la richiesta di estinzione ai sensi della promulganda legge è avanzata da singoli creditori e non necessariamente da tutti quelli dello specifico portafoglio, ci potremmo trovare nel caso estremo in cui un portafoglio sia composto da un unico credito ipotecario di grande valore singolo e da una pluralità di singoli crediti chirografari di valori molto modesti. Ne conseguirebbe che il prezzo del portafoglio sarà condizionato più dai valori attinenti i crediti chirografari piuttosto che da quello del credito ipotecario, per cui il debitore ipotecario potrebbe trovarsi ingiustificatamente avvantaggiato nel pagare un valore di estinzione più basso del valore di bilancio che il cessionario ha registrato per quella posizione contabile.

Se l’unico debitore che esercita l’opzione è quello ipotecario, il cessionario potrebbe subire una perdita secca.

Non si può escludere neanche il caso estremo in cui, per un valore particolarmente cospicuo di una singola posizione all’interno di un portafoglio, il singolo debitore potrebbe trovarsi a pagare un valore di estinzione superiore al proprio debito. In ogni caso la formula adottata al punto b), mettendo in relazione valore nominale del singolo credito e prezzo complessivo di acquisto può comportare risultati sfavorevoli per i debitori e favorevoli per il cessionario e viceversa.

In generale e’ ipotizzabile che più sono bassi i prezzi di acquisto dei singoli crediti e quindi il prezzo complessivo del portafoglio e più è alto il valore nominale lordo del singolo credito da estinguere, minore è la probabilità che il singolo debitore abbia utilità ad esercitare l’opzione. D’altra parte, minore è il numero dei debitori che esercitano l’opzione, maggiore è il rischio che il cessionario registri perdite. In conclusione la formula adottata al punto b) è foriera di scarsa efficacia di tutta la norma, oltre che di contenziosi diffusi.

Non si può escludere, anche perché non v’è alcun divieto, che il cessionario, per evitare rischi di perdite, si industri per cedere a sua volta i crediti ristrutturando il portafoglio in modo da cambiare i parametri di calcolo del punto b) a proprio vantaggio. Non sembra di ostacolo, ma un interprete puntiglioso potrebbe sollevare il tema, il termine del 31/12/2022 del punto c) del secondo comma dell’ articolo 1 entro il quale la cessione deve essere avvenuta pena l’inapplicabilità della norma. Il termine, come è evidente, riguarda la prima cessione, tra banca e cessionario. Di altre cessioni la norma non si cura nonostante l’affermarsi del mercato secondario degli Npls anche in Italia. 

Articolo 3.

La cessione deve essere comunicata entro 10 giorni dall’avvento, ma per superare il conflitto tra questa disposizione e quella del punto c) del secondo comma dell’articolo 1, che prevede l’applicabilità alle cessioni avvenute entro il 31 dicembre 2022, l’articolo 4 (Norme transitorie) prevede che questa comunicazione venga fatta entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. In mancanza cedente e cessionario non possono, a pena di nullità, avviare azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

Anche qui un’ altra assurdità giuridica: se l’obbligo è di comunicare l’avvenuta cessione, che senso ha vietare al cedente di avviare azioni esecutive e cautelari ? Il cedente, ceduto il credito, non ha più legittimazione attiva.

La procedura prevede termini molto brevi considerata la complessità di queste operazioni ed il numero elevatissimo delle controparti. Altrettanto brevi quelli imposti al debitore al secondo comma che deve comunicare l’esercizio dell’opzione entro i 30 giorni successivi, con una prescrizione ancora più restrittiva che il pagamento deve avvenire entro 90 giorni successivi, salvo diverso accordo tra le parti. Appare inverosimile che un debitore che per anni non è riuscito a pagare il debito possa procedere con tale celerità, a meno che non sia tra i pochi fortunati che, avendo un credito nominale molto modesto rispetto al valore complessivo del portafoglio possa avvantaggiarsi a fronte di un prezzo del portafoglio particolarmente contenuto. 

Articolo 4.

Di difficile interpretazione e quindi applicazione la previsione del punto b) del primo comma dell’articolo . Qualora il cessionario, alla data di entrata in vigore della legge, abbia notificato un atto introduttivo del giudizio ovvero un primo atto stragiudiziale (non meglio specificato; quindi anche una semplice messa in mora?) il diritto di opzione da parte del debitore deve essere esercitato entro 30 giorni dalla notifica di detto atto. Senza riferimenti legislativi più precisi si rischia di discutere molto sul significato di “notifica “ così genericamente indicata. Ma questo punto b), invero di scarsa applicabilità poiché almeno un atto stragiudiziale sarà ben stato “notificato“ al debitore dal cessionario per tutte le cessioni realizzate entro il 31/12/2021, serve ad introdurre un aggravamento delle condizioni economiche per l’esercizio dell’opzione previsto al successivo punto c). Qui si prescrive che, se il termine di cui alla lettera b) fosse scaduto o il procedimento giudiziario o la procedura stragiudiziale (espressione oscura) fossero già in corso (questo sarà vero nella stragrande maggioranza dei casi), la maggiorazione del 20% di cui all’articolo 2 primo comma viene elevata al 40%, salvo diverso accordo delle parti.

Una prima osservazione è che con una maggiorazione del genere, anche questa senza alcuna motivazione, ben pochi debitori potranno esercitare l’opzione o saranno interessati a farlo.

Apre una serie di interrogativi l’inciso: “salvo diverso accordo tra le parti“. L’accordo potrebbe essere in diminuzione o in aumento del 40%? Ma l’interpretazione più convincente è che in mancanza di accordo il 40% sia inderogabile. Considerando i termini brevi di tutta la procedura, appare molto improbabile che debitore e cessionario riescano a negoziare utilmente, Quindi o il debitore è disponibile a pagare il sovrapprezzo del 40% oppure l’opzione non potrà essere esercitata. È probabile che questa norma riguarderà la maggior parte dei casi. 

Articolo 5.

“L’avvenuto pagamento del debito ai sensi della presente legge comporta l’automatica cancellazione della posizione debitoria in sofferenza dalla centrale rischi della Banca d’Italia“.

L’espressione “pagamento del debito“ non appare felice perché il debitore non paga il debito, ma ottiene una transazione, cosa diversa dal pagare il debito che resta quello nominale lordo di cui al secondo comma, punto a), dell’art.2. Meglio sarebbe stato riferirsi alla rinuncia al credito da parte del cessionario, l’unico vero atto sostanziale conseguente all’esercizio dell’opzione da parte del debitore.

E’ infatti la rinuncia al debito da parte del cessionario che determina l’automatica (sic!) cancellazione della posizione in sofferenza dalla centrale rischi. L’espressione “automatica“ è inadatta perché dovrà pur sempre essere il cessionario a fare la segnalazione di rito alla centrale rischi della Banca d’Italia. Poiché’, come noto, ancorché estinto il debito, la segnalazione a sofferenza permane per un certo lasso di tempo a beneficio di tutti gli intermediari che usufruiscono della centrale rischi, se qui si vuole affermare che questa regola va disapplicata, Banca d’Italia potrebbe non condividere anche perché si creerebbe una disparità di trattamento rispetto ad altri debitori che abbiano ottenuto transattivamente la liberazione di un debito non ceduto che continuano ad essere segnalati.

Poiché la norma in esame riguarda tutti i crediti deteriorati, quindi non solo le sofferenze, appare una superficialità dell’estensore non aver trattato in questo articolo cosa accadrà in centrale rischi delle posizioni non classificate a sofferenza (ad esempio le inadempienze probabili) oggetto di esercizio dell’opzione.

Non vi è poi alcun riferimento alle numerose centrali rischi private (SIC) che potrebbero continuare a segnalare criticità della posizione. 

Conclusioni.

Il testo proposto avrebbe bisogno di una riscrittura tecnicamente meno approssimativa. In ogni caso l’architettura del provvedimento appare di scarsa efficacia rispetto agli obiettivi di carattere socio economico esposti al primo comma dell’articolo 1.

Il Parlamento dovrebbe riprendere in mano il ddl Buccarella se volesse effettivamente affrontare e tentare di intervenire fattivamente sul fenomeno degli Npls.

Dino Crivellari

(1) In Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, fasc.4/2022, p. 79.