Direttori Stefano Ambrosini e Franco Benassi
Focus

Riflessi sull’attività notarile nel novellato art. 120 bis CCII


Gabriele Bezzi
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Riflessi sull’attività notarile nel novellato art. 120 bis CCII


Data pubblicazione
11 giugno 2025

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Gabriele Bezzi


Sommario:  1. Introduzione e collocazione sistematica della norma - 2. Competenza dell’organo amministrativo e liquidatorio - 3. Atto pubblico e funzione notarile - 4. Inderogabilità della “competenza esclusiva” - 5. Controllo dei soci - 6. Controllo ed omologa da parte del Notaio.


1. Introduzione e collocazione sistematica della norma

Il rapporto soci-amministratori trova nel Codice della Crisi di Impresa - il riferimento è alla Sezione VI Bis del Codice rubricata "Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza" (articoli 120 bis - 120 quinquies CCII) - un sistema derogatorio e speciale[1] rispetto a quello tradizionale disciplinato dal Codice Civile.

Prima di entrare nel merito delle varie questioni interpretative, pare utile anticipare che - da un punto di vista sistematico - le norme in oggetto incidono, e non di poco, sulla corporate governance, riconoscendosi in capo a questo nucleo di norme un impatto che pare andare ben oltre alla ratio sottesa all’introduzione delle norme stesse.

Invero, come vedremo, il potere affidato all’organo amministrativo è ultroneo alla semplice esigenza di voler evitare comportamenti ostruzionistici e dilatori da parte dei soci, collocando le norme in oggetto in uno scenario più elevato, che abbraccia più ampi interessi[2]. 

Il quadro che emerge da un’interpretazione sistematica delle norme - che vale tanto per le società di persone quanto per le società di capitali - mostra infatti una compressione quasi totale della competenza dei soci in favore degli amministratori atteso che:

· l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi ed al suo contenuto è deciso “in via esclusiva” dall’organo amministrativo;

· le modificazioni statutarie sono sottratte alla competenza dei soci (fatto salvo quanto si dirà nel prosieguo in merito all’interpretazione dell’art. 120 quinquies CCII);

· la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa, con la precisazione che lo stesso 4^ comma 120 bis statuisce che “non costituisce giusta causa la presentazione di una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi”.

A fronte di questo ridimensionamento del poteri dei soci, fanno da contraltare alcuni diritti riconosciuti in capo ai soci, ossia:

· un diritto di informazione “successivo” (art. 120 bis comma 3);

· un diritto alla proposizione di domande concorrenti, purchè i soci rappresentino almeno il 10% del capitale sociale (art. 120 bis comma 5);

· un diritto di voto in caso di classamento dei soci (art. 120 ter).

 

2. Competenza dell’organo amministrativo e liquidatorio

La novella del 28 settembre 2024[3], se da un lato conferma “in via esclusiva” per gli amministratorila decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, dall’altro lato assegna in modo espresso anche “ai liquidatori”[4] una competenza ex lege circa la decisione di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, superando così definitivamente un problema interpretativo di non poco conto già oggetto di interventi giurisprudenziali prima della riformata norma.

Conformemente poi a quanto statuito negli articoli 40 comma 1^ CCII (…“Per le società, la domanda di accesso … è approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 120 bis”) e 44 comma 1^ CCII (“Il debitore può presentare la domanda di cui all’articolo 40 … riservandosi di presentare la proposta, il piano e gli accordi”), il novellato art. 120 bis conferma la competenza in capo agli amministratori ed ai liquidatori anche per quanto attiene alla domanda di accesso “con riserva”, potendo questi ultimi decidere di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi riservandosi di indicare successivamente il contenuto del piano.

Da un punto di vista sistematico, la volontà del legislatore di affidare all'organo amministrativo (o ai liquidatori) la decisione di scegliere lo strumento più adatto per la regolazione della crisi, si pone in continuità con il principio generale già espresso dall’art. 2086 c.c. a mente del quale "l'imprenditore … ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato … nonché di attivarsi senza indugio … per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale".

Sotto questo profilo appare pregevole il pensiero del legislatore - e ancora prima il suo approccio “civico” - di voler attribuire all’imprenditore (rectius, all’organo amministrativo) un “dovere” e non un “obbligo” di individuare un adeguato assetto organizzativo, riconoscendosi con ciò un principio generale secondo il quale “fare impresa oggi” deve essere ancor prima che un “obbligo” un “dovere sociale”[5].

Il monito del legislatore, ovviamente, non deve essere interpretato in modo restrittivo, ma assume invece un più alto profilo interpretativo atteso che il dovere che si rifà il legislatore è un dovere che riflette in sé un più ampio “obbligo” dell’organo amministrativo che, coerentemente con il principio di cui all’art. 2380 bis c.c., è l’organo a cui è affidata la gestione dell’impresa, e quindi, come tale, è obbligato ad esercitare una diligenza che abbraccia in sé una natura ben più ampia e complessa necessaria per tutelare il going concern (e così, gli interessi non sono solamente quelli degli shareholders e dei creditori sociali, ma la tutela si estende ad esempio al mercato, ai lavoratori, al territorio, all’ambiente)[6].

Non è secondario poi collocare questo nucleo di norme all’interno del nostro sistema imprenditoriale, che si caratterizza per imprese di piccole-medie dimensioni, in cui la commistione soci/amministratori spesso è totale ovvero la nomina dell’organo amministrativo è espressione diretta della volontà del socio unico o del socio di maggioranza.

Se pensiamo ad un assetto societario in cui di fatto l’organo amministrativo si immedesima spesso con il socio stesso ovvero risponde direttamente al socio di maggioranza, la lettura sistematica delle norme trova una sua giustificazione ed una sua ratio se viene enfatizzato il profilo proprio della responsabilità.

E così, la ratio stessa delle norme in oggetto pare riflettersi non tanto in un’esigenza di evitare comportamenti ostruzionistici da parte dei soci - interesse senz’altro meritevole di tutela, ma che può essere facilmente annacquato nelle società di piccola-media dimensione - quanto piuttosto in una necessità di volere responsabilizzare sempre più l’organo amministrativo, ampliando i profili della responsabilità civile e penale in capo a questi ultimi.

In questo quadro, dal momento che il legislatore affida all’organo amministrativo  l’individuazione della scelta degli adeguati assetti iniziali dell’impresa, conseguentemente, e coerentemente, il legislatore riconosce nel medesimo organo il soggetto più adatto per attivare ed individuare, nella fase patologica, gli strumenti più adatti per fronteggiare la crisi.

 

3. Atto pubblico e funzione notarile

Avendo la “decisone” dell’organo amministrativo (o liquidatorio) di per sé natura straordinaria, il legislatore conferma la necessità che la stessa venga assunta per il tramite di un pubblico ufficiale (“le decisioni risultano da verbale redatto da notaio”), chiamato a verbalizzare per atto pubblico la decisione dell’organo amministrativo.

Il legislatore, al riguardo, si limita a richiedere una verbalizzazione notarile, senza tuttavia chiarire se il Notaio sia tenuto a verbalizzare unicamente “la decisione” di accesso a uno strumento di regolazione della crisi ovvero debba arricchire la verbalizzazione anche con il contenuto della proposta e delle condizioni del piano, in misura quantomeno sintetica.

Sotto questo profilo la novella del 2024 - rispetto alla precedente versione (“l’accesso…è deciso in via esclusiva dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano”) - non utilizza più l’inciso “unitamente”, bensì stabilisce che “l’accesso…è deciso in via esclusiva dagli amministratori o dai liquidatori, i quali determinano anche il contenuto della proposta e le condizioni del piano”.

Non è indubbio che il Notaio debba verbalizzare la mera decisione di accesso allorquando la domanda sia fatta “con riserva”, atteso che, in questa ipotesi, è lo stesso legislatore a disporre la possibilità di rinviare in un secondo momento il deposito del contenuto e delle condizioni del piano. In questa ipotesi, tuttavia, ci si pone il problema se il Notaio debba o meno essere chiamato, successivamente, ad integrare l’iniziale verbalizzazione con un nuovo atto che abbia per oggetto il contenuto della proposta e le condizioni del piano.

Il medesimo dubbio insorge allorquando l’accesso non sia fatto con riserva, ma sia fin dall’inizio completo in tutti i suoi elementi.

A parere dello scrivente, nonostante la novellata norma attribuisce all’organo amministrativo sia “la decisione di accesso” sia la “determinazione del contenuto della proposta e del piano”, pare potersi affermare che solo “la decisione iniziale” di accesso richieda la forma dell’atto pubblico notarile, e non anche il successivo contenuto della proposta e del piano; a tale conclusione pare potersi giungere se la norma in oggetto viene inquadrata in funzione del sistema pubblicitario. La volontà del legislatore di subordinare la decisione di accesso ad un controllo notarile pare principalmente collegata alla successiva iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese e quindi alla necessità di garantire un’adeguata pubblicità nella fase di accesso a tutela dei creditori e del mercato.

Richiedere invece un intervento del Notaio anche in una fase avanzata della procedura non pare essere necessario atteso che il contenuto della proposta e le condizioni del piano sono surrogate con la redazione del piano stesso e con il deposito dello stesso presso il Tribunale. In questa seconda fase, quindi, la funzione di controllo del Notaio sarebbe surrogata dal controllo, peraltro più ampio, del Tribunale, chiamato a vagliare il contenuto e la proposta del piano in funzione degli interessi dei creditori.

 

4. Inderogabilità della “competenza esclusiva”

L’art 120 bis CCII pone all’attenzione dell’operatore una serie di problemi applicativi che meritano alcune riflessioni.

La norma, innanzitutto, opera sia che l’organo amministrativo sia collegiale (Consiglio di Amministrazione) sia che l’organo amministrativo sia unipersonale (Amministratore Unico), e ciò nonostante la norma utilizzi il plurale (amministratori).

Attesa la succitata competenza "esclusiva", deve considerarsi nulla una clausola statutaria che attribuisca ai soci - in luogo dell’organo amministrativo o dei liquidatori - la competenza a decidere in merito all’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi.

Allo stesso modo, deve considerarsi nulla, nella srl, l’attribuzione di un diritto particolare ad un socio avente ad oggetto la decisione circa l'accesso in oggetto. La medesima sanzione di nullità deve riconoscersi anche nel caso in cui il socio, al quale venga attribuito un diritto particolare, rivesta la qualità di amministratore atteso che il diritto particolare è attribuito alla persona in quanto socio e non in quanto amministratore.

Stante il silenzio della norma, la competenza in capo all’organo amministrativo non pare delegabile in favore di un amministratore delegato o di un comitato esecutivo atteso che, diversamente da quanto statuito dall’art. 2381 comma 2^ del codice civile, l’art. 120 bis non apre ad una deroga da parte dello statuto.

Ancora, nelle società di persone o nella srl, risulta incompatibile con il sistema il regime di co-amministrazione (sia essa amministrazione congiuntiva o disgiuntiva) attesa la competenza dei soci a decidere in merito ad un'eventuale opposizione da parte di uno degli amministratori (si ricorda che l’art. 2257 e 2258 c.c., applicabile per rinvio anche alle srl ai sensi dell’art. 2475 comma 3^ c.c., prevede che la maggioranza dei soci decida sull’opposizione).

 

5. Controllo dei soci

A fronte di questo ridimensionamento del ruolo assembleare, il terzo comma dell’art. 120 bis CCII riconosce in capo ai soci un diritto di informazione “successivo” da parte dell’organo amministrativo (o dei liquidatori) nonché un obbligo di un aggiornamento periodico circa l’andamento dello strumento adottato.

Questo diritto di informazione “successivo” riconosciuto in capo ai soci - che non può essere derogato in peius, trattandosi di un diritto a tutela dei soci e quindi inderogabile - può invece essere rafforzato, ben potendosi riconoscer la possibilità che lo statuto sociale introduca un diritto di informazione “anticipato”, con il quale l’organo amministrativo sia tenuto a relazionare i soci prima della decisione circa la scelta dello strumento da adottare per la soluzione della crisi. Questo diritto particolare, tuttavia, non potrebbe dar luogo ad alcun vincolo per l’organo amministrativo atteso che la decisione, ed in specie la responsabilità, ricade pur sempre sull’organo amministrativo e l’assemblea non può esonerare gli amministratori da questa responsabilità.

Allorquando lo statuto nulla dica circa questo diritto di informazione anticipato, deve poi escludersi la possibilità che i soci possano di loro impulso chiedere all’organo amministrativo una consultazione preventiva, neanche con una maggioranza qualificata. Al più, i soci potranno presentare una domanda concorrente ai sensi dell’art. 120 bis comma 5^ CCII.

 

6. Controllo ed omologa da parte del Notaio

Il ridimensionamento del ruolo dei soci all’interno della crisi di impresa trova ancora maggiore enfasi nel procedimento speciale di modifica dello statuto sociale previsto dagli articoli 120 bis 2^ comma e 120 quinquies CCII.

Gli articoli 120 bis 2^ comma e 120 quinquies CCII - riformati con la novella sopra citata - disegnano un procedimento del tutto diverso da quello previsto dal Codice Civile, assegnando al Tribunale ed al provvedimento di omologazione un ruolo centrale.

L’art. 120 bis 2^ comma stabilisce che il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto, ivi inclusi aumenti o riduzioni del capitale sociale, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione, ovvero altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.

In questo senso il procedimento di modifica dello statuto è così articolato:

-                     Proposta di modifica statutaria da parte degli amministratori per il tramite del piano

-                     Approvazione del piano (e quindi anche della parte di modifica dello statuto) da parte dei creditori

-                     Provvedimento di omologazione da parte del Tribunale.

In questo quadro possiamo immaginare due scenari:

Se il piano prevede in maniera precisa le modifiche statutarie (e pertanto dovrà essere allegato al piano stesso il nuovo testo dello statuto sociale), sarà il provvedimento di omologa a modificare lo statuto sociale e sarà lo stesso provvedimento di omologa ad essere iscritto nel Registro Imprese, il tutto senza l’intervento né di un organo deliberativo né di un controllo omologatorio notarile. Sotto questo profilo, il novellato art 120 quinquies CCII, in maniera ancora più incisiva, attribuisce alla sentenza di omologazione (e più in generale al procedimento di omologazione) un ruolo sempre più centrale e determinante all'interno dell'intero procedimento atteso che è la stessa sentenza di omologazione a determinare qualsiasi modificazione dello statuto prevista dal piano (ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale). Ciò significa che, se la sentenza di omologa ravvisa nel contenuto del piano l'esistenza e la presenza di tutte le condizioni per addivenire alla modificazione dello statuto sociale, le modifiche saranno rese esecutive direttamente dalla sentenza.

Se invece le modifiche sono solo programmate nel piano, l’esecuzione delle stesse sarà demandata all'organo amministrativo[7] e la deliberazione sarà soggetta a controllo notarile.

In questo caso, pertanto, la modifica statutaria subirà un doppio controllo di omologa, ossia, all’omologa del provvedimento del Tribunale, si aggiunge il controllo omologatorio da parte del Notaio, con una differenza circa il Tribunale competente ai sensi dell’art. 2436 c.c.: se il Notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge per la modifica dello statuto sociale, gli amministratori devono ricorrere al Tribunale che ha omologato il piano (che non corrisponde a quello di cui all’art 2436 c.c.).

Si inserisce quindi nel sistema del Codice della Crisi un “doppio binario” nel quale, al controllo omologatorio del Tribunale, segue il controllo omologatorio da parte del Notaio.

Volendo cercare di fornire a questa disposizione una ricostruzione sistematica, anche per evitare di pensare di essere di fronte ad un controllo di fatto inutile e ripetitivo (da un lato il controllo più ampio del Tribunale chiamato ad omologare nel suo complesso la proposta del piano, e dall’altro altro il controllo del Notaio chiamato a valutare la legittimità delle modifiche statutarie), pare potersi affermare che l’omologa delegata al Notaio assuma una certa importanza e centralità laddove il piano preveda modifiche statutarie od operazioni straordinarie da attuarsi non nell’immediato, ma nel corso del piano.

L’importanza del controllo notarile, e quindi il ruolo del Notaio, pare quindi apprezzarsi in tutti quei casi in cui l’attuazione di una modifica statutaria o di un’operazione straordinaria debba essere attuata ben oltre il primo controllo omologatorio del Tribunale, con ciò evitando che l’organo amministrativo possano dare attuazione a modifiche od operazioni incompatibili con le disposizioni di legge (con inevitabili ripercussioni sulla risoluzione della crisi di impresa e degli interessi coinvolti).

Si pensi ad esempio ad un’operazione di aumento del capitale sociale che debba essere attuata ben oltre l’omologa del Tribunale, ad esempio perché connessa al verificarsi di qualche condizione sospensiva  che necessita di attendere qualche mese, che preveda l’ingresso di un nuovo socio con limitazione parziale del diritto di opzione dei soci.

Ancora, si ipotizzi che il piano preveda una ricapitalizzazione con conversione di crediti in strumenti di partecipazione a capitale e costituzione di una riserva targata ovvero immaginiamo che l’esecuzione del piano preveda l’approvazione di un’operazione di fusione o di scissione.

In tutti questi casi il controllo notarile appare, per sua intrinseca natura, essenziale a garantire la buona riuscita di un’operazione atteso il controllo di legalità che il legislatore ha voluto, fin dalla riforma del diritto societario del 2003 (e qui confermato nel Codice della Crisi), riconoscere in capo al Notaio.

Analogamente al controllo che il legislatore ha inteso statuire con l’introduzione dell’art. 2436 del codice civile[8], anche in questa sede assistiamo ad un controllo di legalità sostanziale (e non solo formale e documentario) da parte del Notaio, chiamato a condurre un controllo in termini identici a quello dell’autorità giudiziaria.

L’intervento del Notaio rappresenta quindi, anche all’interno del Codice della Crisi, uno strumento in grado di assicurare una maggiore certezza ed affidabilità delle deliberazioni da attuarsi in esecuzione di un piano, in ragione, non da ultimo, della sua qualità di pubblico ufficiale.

Il Notaio, dunque, dopo aver verbalizzato la deliberazione di modifica dell’atto costitutivo, entro trenta giorni, verificato l’adempimento delle condizioni di legge, deve richiedere l’iscrizione nel Registro delle Imprese.

L’ufficio del Registro, verificata la regolarità formale, deve iscrivere la delibera nel Registro.

Conformemente all’art. 2436 c.c., il legislatore ha previsto anche nell’ipotesi di cui all’art. 120 quinques un controllo surrogatorio da parte del Tribunale il quale, a seguito del controllo negativo da parte del Notaio, può essere interpellato da parte dall’organo amministrativo per gli opportuni provvedimenti.

In tal ultimo caso, quindi, sarà lo stesso Tribunale (del luogo in cui è stata incardinata la procedura per la regolazione della crisi) a surrogarsi al Notaio nel giudizio di omologazione attraverso un procedimento che si concluderà con un provvedimento favorevole avente per oggetto l’ordine di iscrizione della deliberazione in oggetto ovvero con un provvedimento di rigetto (con la possibilità, in quest’ultimo caso, di esperire il reclamo).



[1] Circa la necessità o meno di ripensare agli istituti preposti alla composizione della crisi e dell’insolvenza in funzione dell’esistenza o meno di un vero diritto societario della crisi NIGRO, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, Rivista delle Società, 2018, 1207 ss.; SACCHI, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile e dannosa?, in Nuove leggi civ., 2018, 1280 ss.; CAGNASSO, Il diritto societario della crisi tra passato e futuro, in Giur. comm., 2017, I, 33 ss.; PORTALE, Verso un “diritto societario della crisi?”, in Diritto societario e crisi di impresa, a cura di U. Tombari, Torino, 2014, 1 ss.; MONTALENTI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 822 ss

[2] Sul ruolo soci-amministratori, VASTA, I rapporti tra gli amministratori e l’assemblea dei soci nella nuova disciplina del CCII, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, ottobre 2024, 1011 ss; BENEDETTI, Soci e amministratori negli strumenti di regolazione della crisi delle società, in Rivista del Diritto Commerciale e del Diritto generale delle obbligazioni, 2024, n.ro 1, 113 ss; SPOLIDORO, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, Rivista delle Società, fasc. 5-6, 1 ottobre 2022, 1254 ss; GUERRERA, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, Rivista delle Società, fasc. 5, 1 ottobre 2022, 1271 ss; MICHIELI, Il ruolo dei soci nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, in Rivista delle Società, 2021, 830 ss; GUERRERA, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione della crisi, in Riv. dir. soc., 2013, 1114 ss.; FERRI jr, La struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. dir. soc., 2012, 477 ss.; SACCHI, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, in Riv. dir. soc., 2016, 778; BROGI, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fallimento, 2022, 1290 ss.; ROSSI, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Società, 2022, 945 ss; AMBROSINI S., Il sacrificio dei soci sull’altare della ristrutturazione: definitivo tramonto della shareholder’s primacy”, in Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali, Giappichelli, 2024.

[3] L’art. 120 bis è stato riformato con il D.lgs. 13 settembre 2024 n.ro 136, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 27 settembre 2024, entrato in vigore il 28 settembre 2024.

 [4] Ante riforma, con riferimento al vecchio articolo 152 Legge Fallimentare, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 giugno 2023 n.ro 12273, ha escluso che i liquidatori della società di capitali possano, senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, presentare domanda di concordato preventivo anche se finalizzata alla liquidazione della società, in quanto l’attribuzione di tale poteri non può ritenersi implicitamente derivante dall’atto di nomina. Secondo la Suprema Corte, infratti, la posizione dei liquidatori non è affatto identica a quella degli amministratori, i cui poteri si presumono in base alla legge dovendo invece quelli dei liquidatori risultare dalla deliberazione dell’assemblea che li ha nominati.

Con la novella in oggetto, invece, a seguito del riconoscimento espresso anche in capo ai liquidatori del poteri di decidere in merito all’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, la posizione espressa dalla Corte di Cassazione risulta superata, non necessitando più necessaria un’attribuzione specifica di poteri in capo ai liquidatori in sede di nomina.

[5] Per una lettura costituzionalmente orientata AMBROSINI, L’impresa nella Costituzione, 2024, Zanichelli

[6] Meo, “Business Judgement rule” e crisi, in Rivista delle Società, fasc. 4, 2024, 576 ss; FORTUNATO, Assetti organizzativi dell’impresa nella fisiologia e nella crisi, Giurisprudenza Commerciale, fasc. 6, 2023, 901 ss; PORTALE, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fatture e modernizzazione del diritto societario, Rivista delle Società, fasc. 5-6, 2022, 1149 ss;

[7] Sotto questo profilo, l’art. 120 quinques statuisce, nella seconda parte del secondo comma, che “il tribunale demanda agli amministratori l’adozione degli atti esecutivi” senza tuttavia precisare se ciò determini o meno anche uno svuotamento dell’assemblea dei soci.  

In altri termini, se da un lato l’art. 120 quinquies espressamente riconosce all’organo amministrativo il potere di dare attuazione alle modifiche statutarie, dall’altro lato lascia aperta la questione se ciò debba essere interpretato nel senso che la stessa modifica statutaria debba essere deliberata dallo stesso organo amministrativo, come se si trattasse di una delega ex lege in favore dello stesso, ovvero, se l’organo amministrativo si debba far parte attiva per convocare l’assemblea dei soci affinchè sia poi la stessa assemblea a deliberare in merito alle modifiche statutarie.

Qualora si voglia aderire alla soluzione che riconosca pur sempre all’assemblea dei soci la competenza per l’approvazione di una modifica statutaria, l’interprete dovrà sempre tenere ben presente la norma di salvaguardia di cui all’art. 118 CCII atteso che, qualora la stessa assemblea convocata si dovesse rendere inadempiente all’adozione di una modifica statutaria (ad esempio non raggiungendosi il quorum costitutivo o deliberativo sufficiente), il Tribunale può nominare un amministratore giudiziario che eserciti, in luogo dei soci, il diritto di voto in assemblea, surrogandosi così al ruolo degli stessi.

Il tutto, però, necessita di una precisazione: atteso che le modifiche dello statuto devono essere previste all'interno del piano, ma il potere esecutivo dell’organo amministrativo consegue all’omologazione (il Tribunale demanda agli amministratori l'adozione dei atti esecutivi eventualmente necessari), qualora gli amministratori ritengano di dover apportare una modifica allo statuto prima dell’omologazione del piano (art 120 bis comma 2^ CCII… "il piano, anche modificato prima dell'omologazione, può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto"), la modifica, in tal caso, richiederà pur sempre il voto dell’assemblea dei soci, non applicandosi in tal caso la norma di salvaguardia di cui all’art. 118 CCII.

[8] Per un’analisi in merito al controllo notarile ex art. 2436 ss c.c., R. BENASSI, Commento all’art. 2436, in Il Nuovo Diritto delle Societ, a cura di MAFFEI ALBERTI, Cedam, 2005, 1464 ss; ZINELLI, Gli Atti e i Verbali societari, Controlli e Massime Notarili, in Trattato di Diritto Commerciali e di Diritto Pubblico dell’Economia, diretto da GALGANO, Cedam, 2006; MAGLIULO, La riforma della società a responsabilità limitata, Notariato e Nuovo Diritto societario, collana diretta da LAURINI, Ipsoa, 2007; CAVALIERE, Modificazioni dell’atto costitutivo, Commentario alla Riforma delle Società, diretto da Marchetti-BIANCHI-GHEZZI-NOTARI, in Società a Responsabilità Limitata, a cura di BIANCHI.