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Giurisprudenza

Impossibilità di svolgere l’attività di impresa e stato non transitorio di impotenza economica: confermato il fallimento del Porto di Imperia


Appello di Genova, 18 maggio 2022.

Data pubblicazione
20 maggio 2022

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Appello di Genova, 18 maggio 2022. Pres. Sanna. Est. Silvestri.

Con questa approfondita decisione, relativa a una delle insolvenze più note e controverse degli ultimi anni, la Corte d’Appello di Genova, in sede di rinvio dalla Cassazione (che aveva riformato la precedente revoca del fallimento), ha sancito con chiarezza lo stato di decozione della Porto di Imperia SpA, ricollegandolo anzitutto alla decadenza dalla concessione demaniale.

La Corte genovese ha affermato, in particolare, che “l'insolvenza in prospettiva dinamica, ovvero valutando il complesso delle operazioni economiche ascrivibili all'impresa, è legata non all'incapienza in sé del patrimonio dell'imprenditore, ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile. L'incapacità dell'impresa di produrre risorse necessarie a fronteggiare il proprio indebitamento risponde a una nozione economico-aziendalistica dell'insolvenza, più che alla nozione giuridicamente rilevante ai fini dell'art. 5 legge fall. Invero, sul piano giuridico, l'insolvenza deve essere valutata sulla base di un preciso quadro normativo, che direttamente discende dalla previsione di legge. E tale profilo si concentra sullo stato in cui versa il debitore che non è "più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni", e di cui vanno ritenuti indici tanto gli "inadempimenti" quanto gli "altri fatti esteriori". Certamente, in termini di approssimazione generale, può condividersi l'assunto (d'altronde prevalente in dottrina) secondo cui l'insolvenza differisce dall'inadempimento, poiché non indica un fatto, e cioè un avvenimento puntuale, ma appunto uno stato, e cioè una situazione dotata di un certo grado di stabilità: una situazione risolta in una "inidoneità" di dare regolare soddisfazione delle proprie obbligazioni. Dacché il principio giurisprudenziale, più volte ribadito, per cui lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, "si realizza in presenza di una situazione d'impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull'imputabilità o meno all'imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all'impresa, così come sull'effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti" (ex aliis Cass. Sez. U n. 115-2001, Cass. Sez. U n. 1997-2003).

Da tanto consegue che ai fini della dichiarazione di fallimento è necessario e sufficiente, sul piano del riscontro oggettivo di quello specifico status, l'accertamento di una situazione d'impotenza economico patrimoniale, idonea a privare il soggetto a fare fronte , con mezzi "normali", ai propri debiti; accertamento ben suscettibile di esser desunto, dunque, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla impossibilità dell'impresa di continuare a operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni.

Sennonché, ammettendo che tutto ciò abbia a tradursi in una situazione di prognosi irreversibile, e non già in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte, è certo che legittimamente la situazione di irreversibilità suddetta può essere desunta, nel contesto dei vari elementi, anche dal mancato pagamento dei debiti (addirittura di un solo debito). Quel che interessa infatti è che l'inadempimento sia sintomatico di un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore, e che quindi sia oggetto di valutazione complessiva. Il riferimento alla necessità di riscontrare l'insolvenza mediante una valutazione delle condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche postula - semmai - che il detto stato non sia escluso - per le società operative - dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. A tutto concedere, invero, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio delle corrispondenti attività, e si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa, che si esprime nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle relative esigenze - prima fra tutte l'estinzione dei debiti.

Nel caso in esame è venuto meno lo strumento necessario all’esercizio dell’attività di impresa (concessione demaniale) e pertanto si è realizzata quella condizione di impotenza funzionale definitiva che impedisce qualsiasi attività idonea alla soddisfazione delle obbligazioni.