Tribunale di Roma, 05 gennaio 2023, n. 0. Giudice per l'Udienza Preliminare.
Abstract:
Sommario:
Con questa puntuale e ampiamente argomentata sentenza (non a caso già
passata in giudicato), il Tribunale penale di Roma ha sancito la piena
correttezza delle condotte tenute sia dai commissari giudiziali, sia
dall’attestatore, con riferimento all’appostazione dei valori medi del compenso
spettante ai primi e alla sussistenza dei requisiti di indipendenza in capo al
secondo (nonché al momento da considerare ai fini di quest’ultima valutazione),
sancendo ripetutamente “l’inconsistenza dell’impalcatura accusatoria” e il
carattere assolutamente fisiologico delle interlocuzioni fra l’organo della
procedura e l’attestatore, coerenti con il principio di prudenza e finalizzate
all’acquisizione delle necessarie informazioni nel precipuo interesse del ceto
creditorio.
In particolare, nella sentenza si legge che “ciò che emerge dalla disamina del
corposo compendio probatorio è una condotta informale (materiale) concretatasi
nella richiesta, inoltrata all’attestatore, di prevedere una appostazione dei
valori medi della tariffa professionale, richiesta costituente estrinsecazione
del dovere di vigilanza proattiva nell’interesse della procedura, posto che si
sarebbe trattato: di stima prospettica non attributiva di alcuna aspettativa di
percezione dei compensi, oggetto di successiva liquidazione da parte del
Tribunale, a prescindere dal giudizio estimativo e prognostico dell’attestatore
ed all’esito dell’apprezzamento dei dati di consuntivo e della valutazione dell’operato
dei commissari; di stima previsionale, ampiamente rientrante nella “forbice”
delle tariffe ministeriali, funzionale ad evitare il sottodimensionamento di
passività, sì da garantire la capienza del patrimonio nell’ottica di
soddisfacimento delle pretese creditorie e a garanzia della continuità
aziendale”
In quest’ottica, il Tribunale afferma che deve “prendersi atto della radicale
insussistenza della materialità del reato di interesse privato, sulla base di
un duplice rilievo:
- carenza di illegittimità della richiesta di appostamento dei valori medi, in quanto non tesa all’ottenimento di un vantaggio indebito ed avente ad oggetto la misura di un compenso rientrante nella “forbice” delle previsioni tariffarie ministeriali;
- assenza di qualsivoglia forma di prevaricazione, pressione, condizionamento o minaccia nella richiesta di appostamento formulata nell’ambito di una interlocuzione fisiologica tra i soggetti coinvolti nell’iter procedimentale del concordato”.
Quanto infine alla configurabilità di un “atto della procedura” a fronte dell’accusa -rivelatasi in concreto inconsistente - di omessa denuncia di una causa di incompatibilità in capo all’attestatore, per il Tribunale “deve correttamente individuarsi nella relazione ex art. 172 L. Fall. la sede elettiva in cui i commissari si esprimono e prendono posizione sulla fattibilità, giuridica ed economica, del concordato e su eventuali criticità riscontrate, tra le quali deve, ovviamente, ritenersi inclusa l’incompatibilità dell’attestatore. Nel caso che ci occupa, emerge per tabulas che il Tribunale non ebbe a richiedere ai commissari alcuna cd pre-opinion, ovvero alcun parere preliminare (precedente al decreto di ammissione) circa la fattibilità del piano e che la relazione ex art. 172 L. Fall. non fu mai resa, a motivo della cessazione dei commissari (chi per rinuncia, chi per revoca per motivi di opportunità) dal loro incarico. Conseguentemente, non è possibile individuare alcun atto dell’ufficio commissariale deviato dalla presa di interessa personale degli imputati”.
In definitiva – afferma il Tribunale – “le risultanze investigative conclamano
sia l’insussistenza della denunciata violazione dell’obbligo di segnalazione
della insorgenza della causa di incompatibilità, sia la inipotizzabilità della
supposta, strumentale ed interessata, conduzione della “istruttoria” informale
di approfondimento del tema della indipendenza dell’attestatore. Sotto
quest’ultimo profilo, vale la pena ulteriormente rilevare che l’operato
approfondimento della tematica della incompatibilità deve collocarsi
strutturalmente nel contesto di fisiologica interlocuzione tra i vari attori
coinvolti nell’iter procedurale, ivi inclusi i giudici fallimentari, non
affatto preclusa dall’attuale assetto normativo e dalla articolata congerie
delle regole e dei principi orientanti le prassi operative, tanto più
allorquando, come nel caso che ci occupa, si avverta la necessità di dirimere
vedute contrapposte ed individuare la soluzione corretta di problematiche
connotate da particolare rilevanza, tenuto conto anche della significatività
dell’impatto della decisione e della connessa risonanza mediatica. Si è
raggiunta prova positiva di un adoperarsi dei commissari e dell’attestatore in
vista della acquisizione di elementi di valutazione atti a supportare una
decisione indipendente, in assenza di pressioni, forzature o promesse o
garanzie di risultato. Ragionare in termini diversi equivarrebbe a privilegiare
una lettura parziale, fuorviante ed ispirata ad un immotivato rigido formalismo,
del tutto avulso dal peculiare contesto procedimentale. Gli imputati devono,
pertanto, essere mandati assolti anche da tale incolpazione con la più ampia
formula terminativa della insussistenza del fatto”.