Giurisprudenza

Omologazione del concordato e privilegio agrario


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Giurisprudenza

Omologazione del concordato e privilegio agrario


Cassazione, Sez. I civile, 19 giugno 2024, n. 16970.

Data pubblicazione
02 luglio 2024

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Cassazione, Sez. I civile, 19 giugno 2024, n. 16970. Pres. Cristiano. Rel. Crolla.

Il creditore che si oppone all’omologazione del concordato è legittimato a provocare un controllo - sulla regolarità della procedura e sulla permanente sussistenza dei suoi presupposti di ammissibilità - di natura non ampliativa rispetto alle verifiche comunque ricadenti tra i doveri del tribunale e, se creditore dissenziente appartenente a una classe dissenziente può, nei limiti di cui all’art 160 comma 4° l.fall. (nel testo applicabile ratione temporis al caso di specie), anche richiedere al giudice di accertare la convenienza del concordato.

Il creditore può, inoltre, far valere doglianze che riguardino l’esistenza, la natura e l’ammontare del proprio credito, ma  solo nei limiti in cui siano funzionali al perimetro del giudizio di omologa costituito dalla conformità della domanda di accesso alla procedura ai paramenti legali sostanziali e processuali. (1)


(1) A seguito dell’omologa del concordato preventivo (con il 69% degli aderenti), Amco-Asset Management Company SpA proponeva reclamo ex art. 183 l.f. chiedendo che la Corte di Appello di Lecce, in riforma del citato decreto di omologazione limitatamente alla parte in cui il Tribunale aveva respinto la richiesta della creditrice Amco di ricollocazione del credito dell’importo di € 738.935,00 (portato da n. 6 cambiali agrarie emesse tutte il 28.1.2016) nella classe dei creditori privilegiati, accertasse che “il credito medesimo deve essere collocato nello stato passivo della proposta e del piano di concordato, classificandolo come credito privilegiato ex art 44 TUB, e ove occorra, con conseguente ridefinizione della procedura concordataria ed eventualmente rinnovazione del voto del ceto creditorio”. Chiedeva infine alla Corte adita, di ordinare al Commissario Giudiziale e/o al Tribunale competente di porre in essere tutti gli atti e provvedimenti idonei.

Si costituiva in giudizio la Società contestando integralmente tutto quanto ex adverso dedotto, e chiedendo il rigetto del proposto reclamo, inammissibile in rito ed infondato nel merito, con vittoria delle spese del procedimento. Più precisamente la resistente eccepiva preliminarmente l’irritualità del reclamo proposto atteso che quanto lamentato dal creditore ricorrente non era la sostenibilità o la fattibilità del piano stesso, bensì la natura del credito fatto valere, ossia se privilegiato o chirografario; rilevava quindi che tale domanda dovesse essere proposta non con reclamo, previsto dal Legislatore per ipotesi differenti da quella concreta, bensì con giudizio ordinario. Rilevava inoltre che la diversa graduazione, qualora anche fosse stata accertata avrebbe potuto essere assorbita da appositi fondi.    

Di talché la Corte avrebbe dovuto respingere il reclamo già in rito dichiarandolo inammissibile, essendo precluso da un lato al creditore Amco, attese le ragioni nella specie vantate, l’utilizzo dello strumento del reclamo, dall’altro alla Corte d’Appello decidere su tale controversia, vertente sulla natura del credito. Tanto più ove si consideri che anche la diversa graduazione del credito in questione, ossia, in accoglimento delle doglianze del relativo titolare, la sua eventuale ricollocazione nella classe “privilegiati” non avrebbe influito minimamente sulla formazione della maggioranza utile ai fini del voto, anzi semmai al contrario, avrebbe portato ad una percentuale di voto favorevole ancora maggiore.

Ora, è pacifico – continua la Suprema Corte - che con l’opposizione all’omologa AMCO si sia limitata ad accampare pretese in merito alla collocazione del credito vantato, chiedendo genericamente che fosse ordinata la rinnovazione della proposta concordataria e la ripetizione delle operazioni di voto, senza tuttavia dedurre in modo specifico se e come l’eventuale, diversa collocazione del proprio credito nella classe dei privilegiati avrebbe influito sulle condizioni di ammissibilità della proposta, sulla regolarità della procedura e sul raggiungimento delle maggioranze previste dalla legge per l’approvazione del concordato.

Inoltre, anche in caso di accoglimento delle doglianze del relativo titolare, la sua eventuale ricollocazione nella classe “privilegiati” non avrebbe influito minimamente sulla formazione della maggioranza utile ai fini del voto, anzi semmai al contrario, avrebbe portato ad una percentuale di voto favorevole ancora maggiore. Correttamente riporta infatti il decreto di omologa “Come chiaramente esposto dal Commissario Giudiziale nella relazione del 16-04-2021, i voti favorevoli hanno raggiunto la percentuale del 69%, mentre quelli contrari rappresentano il 31%”ed ancora “Il Commissario giudiziale nella citata relazione – alla quale si rinvia - ha peraltro precisato che il voto risulta positivo (ed anzi con una maggiore percentuale di voti favorevoli, che passerebbe all’80,55%) anche tenendo conto – per mera ipotesi - delle «richieste formulate dai creditori in disaccordo rispetto ai valori o ai privilegi riconosciuti nel piano dalla ricorrente», che appaiono trovare invece riscontro in dati oggettivi”.

Infatti, continua la Corte, trova allora applicazione il consolidato orientamento di questa Corte, compendiato nell’ordinanza nr. 33345/2018, secondo cui «nella procedura di concordato preventivo, nella quale manca una fase di accertamento del passivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto diritti pretesi da singoli creditori o dal debitore, e che attengono all'esecuzione del concordato, danno luogo a controversie che sono sottratte al potere decisionale del giudice delegato e costituiscono materia di un ordinario giudizio di cognizione, da promuoversi, da parte del creditore e di ogni altro interessato, dinanzi al giudice competente" (cfr. anche Cass. n.208 del 2019, Cass. n. 12265 del 2016, Cass. n. 16598 del 2008 e Cass. n. 23271 del 2006).

Va d’altro canto ricordato che, proprio a causa della mancanza nel concordato della fase di cd. accertamento del passivo, il provvedimento di omologazione da parte del tribunale, "determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull'esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, né sugli altri diritti implicati nella procedura stessa, presupponendone un accertamento non giurisdizionale ma meramente amministrativo, di carattere delibativo e volto al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell'approvazione della proposta, sicché non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti dell'impresa in concordato, il proprio credito ed il privilegio che lo assiste" ((Cass. 13/06/2018 n. 15495, Cass. 25/09/2014 n. 20298, 14/02/2002 n. 2104 e 26/02/2002 n. 2780), credito che, così come accertato in quella diversa sede, costituisce "la base su cui deve operarsi la c.d. falcidia concordataria" (Cass. 22/12/2006 n.27489)»

In altre parole, - continua la Corte- il giudice chiamato a omologare il concordato non ha alcuna competenza funzionale quanto alla domanda di accertamento dell’an, del quantum e della gradazione dei crediti ricompresi nella proposta concordataria.

Pertanto, nella sentenza gravata, la Corte salentina è incorsa in una violazione del medesimo principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, allorquando nulla ha stabilito dinanzi all’eccezione della Resistente di inammissibilità del reclamo, dovendo il creditore dissenziente far valere le sue ragioni creditorie (vertenti sulla natura del credito, se privilegiato o chirografario) mediante un giudizio ordinario e non tramite reclamo, per come proposto.

La corte del merito è, quindi, incorsa in un duplice errore: in primo luogo, ha proceduto a decidere sulla sussistenza del privilegio del credito di AMCO senza averne la competenza funzionale, e in secondo luogo ha annullato il concordato sulla scorta del solo accertamento della prelazione del credito, senza che la creditrice avesse allegato una causa di inosservanza della domanda e del procedimento di concordato rispetto al modello legale o dedotto che il riconoscimento del privilegio avrebbe inciso sulla fattibilità della proposta approvata dai creditori.

Pertanto, in violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 102 c.p.c., - e - in relazione all’art 360 1° comma nr. 5 c.p.c.: la corte distrettuale, nel disporre l’annullamento del decreto di omologazione a fronte di un’opposizione volta unicamente ad ottenere il riconoscimento del privilegio, è incorsa nel vizio di ultrapetizione.

Infatti, secondo i criteri dettati dalle Sezioni Unite di codesta Suprema Corte, che ritiene abnorme l’atto caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli già legislativamente previsti, quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge, che determina un’abnormità strutturale o funzionale. E’ stata riconosciuta l’abnormità strutturale nel caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale è riscontrabile invece nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo.

Ebbene nel caso di specie, non vi è dubbio che ci troviamo dinanzi ad un provvedimento abnorme nel senso sopra richiamato, ravvisandosi entrambi gli elementi, ossia l’abnormità strutturale per le ragioni esposte nei precedenti punti e l’abnormità funzionale atteso che l’adozione del provvedimento qui gravata ha portato ad una stasi del procedimento. La Corte leccese non ha infatti disposto l’apertura del procedimento di fallimento, logica conseguenza dell’annullamento del decreto di omologa (qualora l’annullamento fosse stato pronunciato per le ipotesi tassativamente previste dalla legge); neppure ha rimesso al Tribunale perché, come richiesto dal reclamante, venga disposta la riformulazione del piano concordatario, eventualmente, ove occorra, con una nuova espressione di voto. In pratica i Giudici di seconde cure hanno emesso una pronuncia che non ha alcun seguito ed alcuna utilità, neppure per la parte che l’ha adita. (Luca Calò)