, 27 maggio 2025, n. 0. .
Abstract:
Sommario:
Sommario: 1. Premessa:i dati Unioncamere sulle composizioni negoziate della crisi all’1.3.2025. – 2. Il successo della composizione negoziata “in entrata” ed il suo insuccesso “in uscita”. – 3. L’assenza di controlli sull’attività del debitore nel corso della composizione negoziata ed il possibile compimento di illeciti e/o aggravamento del dissesto. – 4. La concessione abusiva di credito e la responsabilità per concorso nell’aggravamento del dissesto nella composizione negoziata. – 5. L’applicabilità delle regole ordinarie ai rapporti bancari in composizione negoziata e l’inesistenza di esimenti alla concessione abusiva di credito. – 6. L’inadeguatezza dell’esimente di cui all’art. 24, comma 5, CCII. – 7. Il credito mantenuto sulla scorta di misure protettive e la nuova finanza prededucibile ai sensi dell’art. 22 CCII. – 8. Conclusioni.
1. Premessa: i dati Unioncamere sulle composizioni negoziate della crisi all’1.3.2025.
All’inizio di marzo del corrente anno, Unioncamere – ente pubblico che rappresenta il sistema camerale italiano nei confronti degli organi di governo territoriale, nazionale ed internazionale – ha diffuso i dati dell’Osservatorio sulla crisi d’impresa aggiornati all’1.3.2025, in particolar modo quanto ai procedimenti di composizione negoziata della crisi.
Il report evidenzia il netto incremento delle istanze sull’intero territorio nazionale, in particolar modo nelle regioni del nord (ma non solo, atteso che al primo posto si trova la Lombardia ed al secondo posto il Lazio, seguiti dall’Emila Romagna e dal Veneto a totalizzare, le quattro, oltre il 53%), e dà conto del numero delle imprese “risanate” (266[1]), nonché dei posti di lavoro “salvaguardati” (oltre 13.500).
Al contempo, tuttavia, per chi volga l’attenzione alla verifica dell’effettiva soluzione – tramite la composizione negoziata – della situazione di crisi o di insolvenza, lo stesso report, purtroppo, offre dati non particolarmente incoraggianti.
A fronte, infatti, di un totale di 1.369 procedimenti conclusi (ossia nei quali l’iter previsto dal Codice della Crisi è giunto a compimento), Unioncamere riferisce delle sole 266 istanze appena citate chiuse con esito favorevole e coincidenti con le imprese che il report definisce “risanate”.
Percentualmente, dunque, il tasso di “successo” della composizione negoziata è solo del 19%, con un elevato tasso di insuccesso dell’81%, all’interno del quale si registrano un 52% riferibile alla conclusione negativa delle trattive[2], un 35% riferibile alla mancanza delle prospettive di risanamento, ed un finale 13% di istanze rinunciate.
Indagando poi all’interno del 19% di istanze chiuse con esito positivo (le 266 imprese “risanate”), si registra una larga prevalenza delle soluzioni contrattuali o con accordo ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. a) e c) CCII, con percentuali rispettivamente al 27% e al 42%; cui si affiancano un 2% di convenzioni di moratoria ai sensi dell’art. 62 CCII ed un 5% di piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII.
Questi istituti sono stati accorpati in quanto hanno la caratteristica di essere sottratti al vaglio dell’autorità giudiziaria, di non essere soggetti a forme di pubblicità se il debitore non intende renderli noti ai terzi e/o non fa ricorso a strumenti (quali le misure protettive o cautelari), che comportino l’iscrizione nel registro delle imprese, ed hanno l’obiettivo istituzionale di fornire soluzioni della crisi o dell’insolvenza che si possono definire “apparenti” o “transitorie”.
Difatti, il contratto ex art. 23, comma 1, lett. a), CCII, è finalizzato, dichiaratamente, alla continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni, senza menzionare la soluzione della crisi; l’accordo ex art. 23, comma 1, lett. c), chiama l’esperto (privo, suo malgrado, di un’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano, come vedremo anche in seguito), ad una sottoscrizione che dia atto che l’accordo “appare coerente”con la regolazione della crisi o dell’insolvenza; la convenzione di moratoria è finalizzata, sempre per volontà del legislatore, a disciplinare “in via provvisoria” gli effetti della crisi; ed infine, il piano ex art. 56 CCII ha un attestatore, ma anche per esso è sufficiente che “appaia idoneo” a consentire il risanamento ed il riequilibrio, senza particolari esigenze di certezza.
Sommando le percentuali di questi istituti, siamo al 74% del 19% degli esiti positivi.
Il rimanente 26%, interno al 19%, è suddiviso tra accordi di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57, 60 e 61 CCII, ed altre procedure di regolazione della crisi, nelle quali entra in gioco il sindacato del tribunale sulla fattibilità del piano ad assicurare gli obiettivi prefissati. Ma il 26% del 19% è il 4,94% del 100%, ossia del totale delle istanze di composizione negoziata.
Con questi numeri, nei quali, dunque, solo il 4,94% dei procedimenti si conclude con soluzioni tendenzialmente stabili, affermare che la composizione negoziata è un istituto di successo è un’opzione difficile da percorrere, e non è un caso che, in tempi recenti, ne abbia dato atto anche la dottrina più autorevole, la quale, proprio commentando i dati Unioncamere, ha espresso l’impressione che l’istituto non stia diventando altro [sempreché, soggiunge chi scrive, non lo sia già diventato, n.d.r.], che un succedaneo del concordato in bianco[3].
Altra cosa che emerge, sempre da questi numeri, è che oggi la composizione negoziata della crisi è lontana dall’offrire al “sistema paese” la soluzione delle crisi e delle insolvenze che vi transitano[4]; ed è anche lontana dal consentire per lo meno la loro emersione anticipata, perché, come abbiamo anticipato e torneremo a dire, l’accesso alla procedura è sottratto ad ogni forma di pubblicità (salvo non si acceda alle misure protettive o cautelari), e si ritiene anche, comunemente, che l’imprenditore possa scegliere i creditori coi quali negoziare e quelli coi quali non avviare alcun dialogo[5], lasciando evidentemente questi ultimi all’oscuro della situazione.
Ad avviso di alcuni, la composizione della crisi sarebbe comunque da valutare con favore, perché l’istituto consentirebbe comunque di attivare il dialogo tra il debitore in crisi e gli stakeholder, e nelle more non disperdere il “bene-impresa”.
Tuttavia, il dialogo è senz’altro encomiabile, ma si rivela del tutto evanescente nell’istante in cui non solo non soddisfa i creditori, ma non risolve nemmeno la crisi o l’insolvenza delle imprese (come attestano i dati di Unioncamere).
In queste situazioni, esso rimane fine a se stesso, quando non si rivela addirittura dannoso, nei termini in cui si protrae per lunghi mesi e si inserisce in una continuità aziendale che aggrava il dissesto, rischiando di propagare l’insolvenza all’esterno e di riversarne gli effetti sui terzi e sulla collettività[6].
Inoltre, nel tempo impiegato nel dialogo possono sorgere, negli stakeholder, seri interrogativi e preoccupazioni.
Se è vero, infatti, che allo stato la composizione negoziata conduce quasi sempre a nessuna soluzione della crisi e dell’insolvenza, e se è vero che, secondo l’id quod plerumque accidit, un debitore in crisi o insolvente, privo di ogni controllo [perché nella composizione negoziata, di regola, controlli non ve ne sono, n.d.r.], è ad elevato rischio di aggravare il dissesto, quando non di commettere altri ed anche più gravi illeciti, è legittimo chiedersi se ed in che termini proprio coloro che partecipano alla composizione negoziata – in particolar modo gli operatori bancari e finanziari[7] – non rischino di essere responsabilizzati per avere, con il loro comportamento, concorso con il debitore, venendo chiamati a risponderne una volta aperta la liquidazione giudiziale.
È l’obiettivo che si cercherà di perseguire nei paragrafi che seguono.
2. Il successo della composizione negoziata “in entrata” ed il suo insuccesso “in uscita”.
Le ragioni per le quali la composizione negoziata ha avuto un incremento esponenziale di istanze possono essere sintetizzate nel fatto che l’accesso è agevole, è riservato, vincola i creditori a trattare, non prevede alcuna verifica sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, non pregiudica la prosecuzione dei rapporti pendenti e consente, per una durata massima di dodici mesi, la continuazione dell’attività d’impresa senza alcun vincolo o controllo, permettendo altresì all’imprenditore, all’occorrenza, di chiedere la concessione di misure protettive o cautelari (che scontano la pubblicità nel Registro delle Imprese), in relazione ad eventuali aggressioni dei creditori nelle more del procedimento; anche, in determinate circostanze, ed almeno secondo parte della giurisprudenza, impedendo temporaneamente l’escussione delle garanzie concesse da terzi[8].
Non è questa la sede per riportare le disposizioni di riferimento, sia perché sarebbe un esercizio di riproduzione di dati normativi che si presumono noti al lettore, sia perché, a tal fine, è sufficiente scorrere gli artt. 12 e seguenti del Codice della Crisi, nei quali il tutto è normato in modo puntuale.
È invece da dire che, con le premesse che precedono, il fatto che l’istituto sarebbe stato ampiamente usato e forse anche abusato era in qualche modo prevedibile, e così infatti si è verificato, come dimostrano i dati Unioncamere menzionati in premessa.
Quest’ultima considerazione induce a rinvenire anche le ragioni per le quali, invece, gli esiti delle composizioni negoziate registrino i dati negativi riportati nel paragrafo che precede.
La prima ragione è l’utilizzo dello strumento da parte di imprenditori in situazione di insolvenza irrimediabile, i quali, “lavorando” sui dati di ingresso, ne fanno ricorso allo scopo di ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale (o di poter accedere al concordato semplificato, con i benefici che ne conseguono), e che, con i sei mesi di durata dell’incarico dell’esperto, prorogabili di ulteriori sei mesi, protraggono la situazione ancora per un anno, mettendo i creditori (salvo eccezioni), in una situazione di sostanziale stand-by.
La seconda ragione, più radicata, è la mai abbandonata attitudine degli imprenditori a ricorrere alle procedure di crisi in modo intempestivo, ossia solo quando la prosecuzione dell’attività è ormai al termine, minata da imminenti aggressioni dei creditori. Già ai tempi dell’amministrazione controllata (abrogata nell’ormai lontano 2006), si notava che quell’istituto, ineccepibile dal punto di vista legislativo, sul versante concreto aveva scarso successo proprio per il ritardo con il quale gli imprenditori prendevano atto della situazione di crisi ed operavano l’accesso alla procedura in uno stato di dissesto ormai non più rimediabile.
3. L’assenza di controlli sull’attività del debitore nel corso della composizione negoziata ed il possibile compimento di illeciti e/o aggravamento del dissesto.
Fra gli insegnamenti che il sistema non è riuscito ad assimilare vi è poi la considerazione che consegnare ad un imprenditore in crisi o in stato d’insolvenza una sorta di “licenza in bianco”, consentendogli di proseguire l’attività ed amministrare l’impresa senza alcun controllo, è foriero di atti pregiudizievoli al patrimonio dell’impresa e all’interesse dei creditori.
Poco più di dieci anni orsono, con il d.l. 83/2012, il legislatore introdusse nell’ordinamento il c.d. “concordato con riserva” (art. 161, commi sesto e seguenti l. fall.), e inizialmente non istituì un controllo efficace[9] sulle attività che il richiedente avrebbe posto in essere nel termine che sarebbe stato assegnato per il deposito della proposta e del piano; termine che poteva durare da un minimo di sessanta ad un massimo di centoventi giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Il numero e la frequenza degli abusi fu tale, che a brevissima distanza dall’entrata in vigore, i tribunali presero a nominare ausiliari per sorvegliare l’attività del debitore, e a meno di un anno di distanza il legislatore comprese di dovere intervenire, cosa che fece con il d.l. 69/2013, introducendo la possibilità di nominare un commissario giudiziale e conferendogli il potere-dovere di riferire su eventuali condotte del debitore rilevanti ai sensi dell’art. 173 l. fall., nel qual caso la domanda sarebbe stata dichiarata improcedibile e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 l. fall., sarebbe stato dichiarato il fallimento.
Il legislatore della composizione negoziata, a distanza di pochi anni[10], non ha fatto tesoro di questa vicenda, e senza prevedere alcun controllo ha previsto la concessione al debitore del doppio dei termini del concordato con riserva della legge fallimentare: centottanta giorni di trattative, prorogabili (pressoché ad nutum), di ulteriori centottanta giorni.
Tale libertà di azione non è stata controbilanciata, nemmeno in termini minimali, con la previsione di un qualche onere di attestazione della veridicità dei dati che il debitore sottopone ai creditori e agli stakeholder con i quali interagisce, informandoli della pendenza della procedura: costoro debbono confidare nelle informazioni che vengono loro fornite, e purtroppo non è una garanzia il dovere dell’imprenditore, previsto dall’art. 16, comma 4, CCII, di “rappresentare la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”: in un contesto del genere, la sollecitazione risulta pressoché teorica, non essendovi alcun soggetto deputato alla sorveglianza dell’attuazione del precetto, e dal punto di vista delle sanzioni non si può immaginare altro che un’azione risarcitoria in una liquidazione giudiziale per violazione della norma di comportamento, che però, come insegna l’esperienza, non è fra le preoccupazioni principali di chi si trovi già in situazione di insolvenza.
Non è stata previsto nemmeno un onere del debitore di sottoporre ai creditori un progetto di piano di risanamento ed un piano finanziario, ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), CCII, assistiti da una verifica di “fattibilità” da parte di un professionista terzo ed imparziale.
Queste ultime due verifiche (veridicità dei dati aziendali e fattibilità del piano), sono anche estranee alle prerogative dell’esperto, che suo malgrado si deve esprimere sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 17, comma 5, CCII, senza alcun supporto esterno[11].
A ciò si aggiunga che, come già detto, secondo un’opinione comune[12], il debitore non ha neanche l’onere di avviare trattative con tutti coloro nei confronti dei quali è obbligato, e tantomeno di informare tutti i creditori della pendenza della composizione negoziata. Questa può essere tenuta celata a molti (e nei fatti, sovente accade), ogniqualvolta non si attivino procedimenti come le misure protettive o cautelari che conducano ad iscrizioni nel registro delle imprese.
In un tale contesto, è elevata la probabilità – inter alia – del sorgere di nuove obbligazioni nei confronti di soggetti anche del tutto ignari della presenza della composizione negoziata e quindi della situazione di crisi, affiancati da altri soggetti invece del tutto consci; soggetti, questi ultimi, che non di rado vengono anche al corrente del compimento, da parte del debitore, di fatti illeciti o comunque pregiudizievoli, o dell’inadempimento anche delle nuove obbligazioni da lui contratte nel corso della composizione negoziata, a dimostrazione del fatto che, al di là dei dati forniti, la continuità aziendale non è in grado di produrre risorse per il pagamento dei debiti pregressi ed anzi ne sta generando di nuovi, determinando l’aggravamento del dissesto.
4. La concessione abusiva di credito e la responsabilità per concorso nell’aggravamento del dissesto nella composizione negoziata.
Questa situazione di consapevolezza riguarda in particolar modo i creditori bancari e finanziari, che sono i primi soggetti usualmente coinvolti nelle composizioni negoziate. A tal punto, viene in rilievo il tema delle responsabilità per concessione abusiva di credito ed aggravamento del dissesto[13], che sempre più di frequente stanno interessando le aule dei tribunali, dopo i noti, recenti, interventi della giurisprudenza di legittimità[14].
Per chiarire la portata dell’indirizzo – che può definirsi sostanzialmente consolidato – va ricordato che la Suprema Corte ha più volte stabilito[15] che “la condotta illecita di chi, in simmetria con il ricorso abusivo al credito, tale credito accordi, qualificata come "concessione abusiva di credito", consiste nell'agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere, incautamente, credito in favore dell'imprenditore che versi in istato d'insolvenza o comunque di crisi conclamata, in violazione dell'obbligo di valutare con prudenza la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare ove in difficoltà economica. Questa erogazione del credito abusiva, perché effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesa in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l'aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell'attività d'impresa. Non integra, invece, abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”.
Sulla scorta di questi principi, gli elementi che devono ricorrere per configurare la concessione abusiva di credito sono tre: (i) la conoscenza della situazione di crisi/insolvenza da parte della banca, (ii) la concessione o la continuazione della concessione di credito in favore del soggetto in crisi o in stato d’insolvenza, e (iii) la violazione dei doveri di sana e prudente gestione nell’assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, o almeno di proficua permanenza dell’impresa sul mercato.
Il primo punto può essere affrontato in poche parole: nella composizione negoziata, la conoscenza da parte del creditore bancario della situazione di crisi o di insolvenza del debitore è in re ipsa, essendo proprio la crisi o l’insolvenza il contesto nel quale il procedimento si apre e si svolge.
Quanto al secondo punto, la condotta di “concedere o continuare a concedere incautamente credito” attiene alla concessione di nuova finanza sia sub specie di accensione di nuovi rapporti creditizi (siano essi finanziamenti, linee di credito o quant’altro), sia nella forma del mantenimento in vita di linee di credito “rotative” (grazie alle quali il cliente compie nuove operazioni e supporta la continuità aziendale con nuove erogazioni di denaro), e verosimilmente include anche la concessione di moratorie sui crediti pregressi, le quali, rendendo temporaneamente inesigibili i crediti cui accedono, consentono, da un lato, di protrarre l’attività nella quiescenza della debitoria bancaria, dall’altro di liberare risorse per poterla proseguire, impiegandole nella normalità dei casi per l’adempimento delle sole obbligazioni connesse alle impellenze della continuità.
Il terzo punto, infine, richiede qualche notazione ulteriore.
Per prima cosa, è da ricordare che i principi di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito costituiscono una regola di condotta la cui inosservanza produce, per giurisprudenza consolidata, la responsabilità risarcitoria dell’istituto creditizio[16], e che trova applicazione (la regola), in tutti i casi nei quali non sia espressamente derogata, al punto da essere stata ritenuta immanente anche nel contesto dei cc.dd. “finanziamenti Covid” con garanzia pubblica, in una recente pronuncia della Suprema Corte che la ha assunta come doverosa anche nei finanziamenti cc.dd. “di fascia bassa”, fino a trentamila euro ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. m), d.l. 23/2020[17], destinati ab origine, ed in modo esplicito, anche alle aziende in difficoltà[18].
Anche nel contesto emergenziale, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto che le regole sulla sana e prudente gestione non andassero disapplicate; ed allora, identica conclusione si impone per il credito concesso – nelle varie forme di cui si è detto – nel contesto della composizione negoziata della crisi, per la considerazione che, scorrendo il Codice della Crisi, non si rinviene nessuna deroga ai principi “sottesi all'art. 5 TUB e ricollegabili alla diligenza qualificata richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c.”[19], tantomeno nella sede di cui ci stiamo occupando.
In termini generali, un’impresa in crisi è priva di merito creditizio quasi per definizione[20]; e si passa allora alla considerazione che, per la giurisprudenza che abbiamo citato in precedenza, la concessione creditizia alle imprese in crisi non è abusiva solo qualora riguardi “un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”.
Il concetto[21] non è dissimile da quello previsto dall’art. 17, comma 5, CCII, per l’avvio ed il seguito della composizione negoziata; e la valutazione delle chances del superamento della crisi diviene, quindi, l’elemento centrale.
Nel contesto della composizione negoziata, quella valutazione è lasciata sic et simpliciter alle analisi degli istituti bancari[22], perché, come più volte accennato, il procedimento non si svolge sotto l’egida dell’Autorità Giudiziaria e non prevede nemmeno un intervento de minimis di un attestatore; per cui – al netto di eccezioni virtuose, nelle quali il debitore ricorre volontariamente all’ausilio di professionisti di primario standing e presenta ai creditori un piano già adeguatamente verificato e revisionato – non vi è presidio ulteriore, rispetto alle valutazioni delle singole banche, che consenta di comprendere il grado di serietà delle prospettive di superamento della crisi o dell’insolvenza asserite dal debitore, e tantomeno se i dati che sta offrendo sulla sua situazione patrimoniale e finanziaria siano veritieri e non siano invece sommari, quando non addirittura frutto (come purtroppo accade), di alterazioni contabili, che nemmeno l’esperto può verificare, almeno finché non si trovi di fronte a palesi segnali di anomalia[23].
In una tale situazione, stabilire quale sia il confine entro il quale la concessione creditizia non risulti abusiva è tutt’altro che agevole, ma una indicazione di massima è fornita proprio dalla giurisprudenza in tema di azioni risarcitorie[24], laddove ha chiarito che la condotta illecita si configura “in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi”.
Se, infatti, è solo in presenza di “concrete prospettive” di superamento della crisi che la condotta bancaria risulta legittima, è solo a fronte di quella presenza che le concessioni delle linee creditizie o il mantenimento di quelle in essere possono avere luogo.
Questo dovrebbe essere sufficiente per concludere che, anche solo in situazioni di incertezza, la determinazione bancaria diligente dovrebbe essere quella del rifiuto del credito.
È poi da ritenere che il diniego vada opposto con fondatezza ancora maggiore ogniqualvolta, o dall’esame dei documenti, o da circostanze che emergano nel corso della composizione negoziata, si palesino segnali che a vario titolo facciano comprendere che, al di là dei tentativi di accreditarli, i dati forniti dal debitore sulla situazione economico-finanziaria non sono veritieri, e/o le prospettive di superamento della crisi sono illusorie, e/o il debitore sta ponendo in essere condotte illecite o comunque pregiudizievoli ai creditori.
La casistica al riguardo – almeno nell’esperienza dello scrivente – è varia, e spazia dall’ipotesi in cui, nonostante la continuità aziendale, l’impresa non riesca a far fronte alle obbligazioni correnti, al caso nel quale, per approvvigionarsi, il debitore ponga in essere atti anomali, quale – come accade non di rado – la de-canalizzazione di effetti commerciali presentati alle banche per l’anticipazione; spazia poi dal fatto che venga prospettato l’intervento di terzi finanziatori o interessati all’azienda che si rivelano inesistenti o inadeguati, al fatto che il debitore non intavoli e coltivi trattative su posizioni debitorie rilevanti, in primis nei confronti dell’erario; spazia dalla percezione di malversazioni, alla constatazione del fatto che il debitore sta dando corso a pagamenti preferenziali, magari a danno dell’erario; spazia dalla limitazione delle trattative ad un numero di creditori che risulti inadeguato per una concreta soluzione della crisi, all’occultamento ai terzi della situazione di dissesto; spazia, infine, dalla previsione di inversioni di tendenza nei risultati operativi non adeguatamente giustificate, alla constatazione che in realtà l’impresa, lungi dal gestire la crisi in modo proficuo, accumula ulteriori passività che non riesce a coprire con le attività correnti.
Le ipotesi potrebbero proseguire, ma per concludere il ragionamento è da ritenere che, a fronte di situazioni del genere, l’operatore bancario, percependo gravi indizi della mancanza proprio di quelle “concrete prospettive” di superamento della crisi che condizionano la legittimità della propria condotta, è tenuto a non concedere il credito (quando non, addirittura, ad abbandonare il tavolo negoziale), se non vuole che le agevolazioni bancarie, nuove o mantenute, o comunque il suo comportamento connivente, vengano qualificati come illegittimi, una volta aperta la liquidazione giudiziale, e in quanto tali forieri di responsabilità risarcitoria.
Questo – sia detto per inciso – valga non solo in relazione al “tipico” (in quanto previsto dall’art. 2486, terzo comma, c.c.), danno da aggravamento del dissesto, ma anche per gli altri potenziali danni ricollegati alle condotte del debitore; ad esempio sul versante dell’esecuzione, con la liquidità concessa dalla banca, di operazioni che risultino prima facie preferenziali o distrattive[25], o per il pregiudizio cagionato a creditori considerati uti singuli, nella misura in cui costoro, sempre per esemplificare, confidando nella apparente normalità della gestione ricollegata anche alla concessione o alla continuazione del credito bancario, ed essendo stati magari tenuti all’oscuro dell’esistenza stessa della composizione negoziata, abbiano contrattato con il debitore maturando esposizioni rimaste, infine, insoddisfatte[26].
5. L’applicabilità delle regole ordinarie ai rapporti bancari in composizione negoziata e l’inesistenza di esimenti alla concessione abusiva di credito.
Si è visto poco più sopra che, nel corso della composizione negoziata, non vi è alcuna deroga al principio della sana e prudente gestione nell’erogazione del credito, non essendovi alcuna norma che ne escluda l’applicabilità; esattamente come non vi era nella legislazione emergenziale – destinata anche ai soggetti in crisi – nel periodo Covid-19[27]. Si è visto anche quali siano le condizioni che devono essere soddisfatte affinché, sulla base della giurisprudenza di legittimità, una concessione creditizia ad un soggetto in crisi non sia qualificabile come abusiva.
Qui si deve aggiungere che, in termini più generali, nella composizione negoziata non vi è nessuna deroga ai principi generali sulle responsabilità del debitore, fra le quali, ai nostri fini, emerge in primis l’aggravamento del dissesto dovuto all’indebita prosecuzione dell’attività d’impresa, che secondo l’impostazione accolta dalla Suprema Corte vede come concorrenti le aziende creditizie, nelle ipotesi in cui sia stato agevolato dal credito bancario illegittimamente concesso.
Che il debitore non possa esimersi da responsabilità per fatti commessi nel corso di una composizione negoziata è un principio che non è stato messo in discussione, ed anzi è esplicitato nell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 21 CCII, laddove si è stabilito che “restano ferme le responsabilità dell’imprenditore”[28].
Gli operatori bancari e finanziari hanno quindi percepito, sin dalle prime battute, il rischio di incorrere in responsabilità, in concorso con l’imprenditore, per avere proseguito i rapporti con un soggetto in crisi; in un sistema che, non senza qualche contraddizione, da un lato incentiva le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, ma dall’altro mantiene, per i rapporti bancari, le regole ordinarie sul merito creditizio, senza nemmeno prevedere che il debitore debba fornire dati attestati da qualcuno.
La soluzione è stata tentata con il c.d. “terzo correttivo” al Codice della Crisi (d.lgs. 136/2024), con due interventi additivi: il primo nell’art. 16, comma 5, dedicato al “requisiti di indipendenza e doveri dell’esperto e delle parti”; il secondo nell’art. 18, commi 5 e 5-bis, in tema di misure protettive.
Queste disposizioni, nelle parti di interesse ai fini delle presenti note, e nella versione risultante dalle ultime modifiche, sono le seguenti:
(i) art. 16, comma 5: “La notizia dell'accesso alla composizione negoziata della crisi e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono di per sé causa di sospensione e di revoca delle linee di credito concesse all'imprenditore né ragione di una diversa classificazione del credito. Nel corso della composizione negoziata la classificazione del credito viene determinata tenuto conto di quanto previsto dal progetto di piano rappresentato ai creditori e della disciplina di vigilanza prudenziale, senza che rilevi il solo fatto che l'imprenditore abbia fatto accesso alla composizione negoziata. L'eventuale sospensione o revoca delle linee di credito determinate dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale deve essere comunicata agli organi di amministrazione e controllo dell'impresa, dando conto delle ragioni specifiche della decisione assunta. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca e dell'intermediario finanziario”.
(ii) art. 18, comma 5: “I creditori, ivi compresi le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti, nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore oppure revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell'istanza di cui al comma 1. I medesimi creditori possono sospendere l'adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell'istanza di cui al comma 1 fino alla conferma delle misure richieste. Restano ferme in ogni caso la sospensione e la revoca delle linee di credito disposte per effetto dell'applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario.
(iii) art. 18, comma 5-bis: “Dal momento della conferma delle misure protettive, le banche e gli intermediari finanziari, i mandatari e i cessionari dei loro crediti nei cui confronti le misure sono state confermate non possono mantenere la sospensione relativa alle linee di credito accordate al momento dell'accesso alla composizione negoziata se non dimostrano che la sospensione è determinata dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario”.
Da questa disamina emerge che la notizia dell’accesso alla composizione negoziata e, in caso di misure protettive, il mancato pagamento di debiti anteriori, non costituiscono causa di sospensione o revoca dei rapporti creditizi (o di mantenimento della sospensione in caso di conferma delle misure protettive), e la prosecuzione dei rapporti – vuoi in assenza, vuoi in presenza delle misure protettive – non è “di per sé” motivo di responsabilità della banca e dell’intermediario finanziario[29].
Resta sempre salva, tuttavia, la disciplina della vigilanza prudenziale, la quale consente, ed al contempo impone, la sospensione e/o la revoca degli affidamenti, come pure la diversa classificazione del credito, in presenza di un insieme di segnali (i cc.dd. trigger), che i sistemi informatici della banche rilevano in automatico e che denotano il generale deterioramento della posizione; quali, in via esemplificativa, il ritardo nel deposito dei bilanci, il deposito di bilanci con dati patrimoniali o di EBITDA pesantemente negativi o che evidenzino un significativo incremento dei debiti tributari o altre gravi anomalie, e sul versante interno ai rapporti bancari gli sconfinamenti sul sistema, i ritorni anomali di insoluti, le de-canalizzazioni di effetti commerciali, i mancati pagamenti di rate di mutuo e quant’altro.
Questa, tuttavia – cioè la disciplina di vigilanza prudenziale – non è altro che la traduzione operativa dei più volte citati principi generali ed indefettibili della sana e prudente gestione “sottesi all'art. 5 TUB e ricollegabili alla diligenza qualificata richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c.”[30].
Se è così, tenuto conto degli insegnamenti di legittimità sulla concessione abusiva di credito, la conclusione che si impone è che, anche a valle dell’esame delle disposizioni del Codice della Crisi, non vi è nessuna possibilità di disallineare le regole di comportamento richieste alle banche, durante la composizione negoziata della crisi d’impresa, rispetto a quelle da osservare ordinariamente per evitare di incorrere in responsabilità per concessione abusiva di credito.
6. L’inadeguatezza dell’esimente di cui all’art. 24, comma 5, CCII.
Per verificare il grado di resistenza delle argomentazioni svolte fin qui, è ora da vagliare l’esimente dai delitti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice contenuta nell’art. 24, comma 5, CCII.
La norma, titolata “conservazione degli effetti”, si propone di regolare l’insuccesso della composizione negoziata, e dopo avere sancito, ai commi da 1 a 3, che gli atti autorizzati dal tribunale rimangono validi anche nelle procedure successive, che a determinate condizioni gli atti, i pagamenti e le garanzie non sono revocabili ai sensi dell’art. 166, secondo comma, CCII, e che la revocabilità concorsuale ed ordinaria invece permane in caso di dissenso dell’esperto o di rigetto dell’istanza ex art. 22 CCII, al comma 4 contiene una previsione confermativa delle responsabilità dell’imprenditore anche nei casi disciplinati dai commi precedenti (testualmente, “Nelle ipotesi disciplinate dai commi 1, 2 e 3 resta ferma la responsabilità dell'imprenditore per gli atti compiuti”), ed al comma 5 stabilisce che “Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3, e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'articolo 17, comma 5, purché non siano state effettuate le iscrizioni previste dall'articolo 21, comma 4. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano inoltre ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale a norma dell'articolo 22”.
Sfrondando la disposizione delle parti che non vengono in rilievo ai fini delle presenti note (ossia la previsione dell’inoperatività dell’esenzione quando l’esperto abbia iscritto il dissenso previsto dall’art. 21, comma 4, CCII, e l’estensione della stessa agli atti autorizzati ai sensi dell’art. 22 CCII, di cui ci occuperemo nel paragrafo che segue), la norma esenta l’imprenditore dai delitti di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice per le operazioni compiute successivamente all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, purché siano avvenute “in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'articolo 17, comma 5”.
L’intento del legislatore era, probabilmente, introdurre nella composizione negoziata un’esenzione sulla falsariga di quella prevista dall’art. 324 CCII (e nella legge fallimentare dall’art. 217-bis), a mente della quale “Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell'articolo 80, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli articoli 99, 100 e 101”.
Fra le due norme, tuttavia, vi è una differenza sostanziale.
Nell’art. 324 CCII, l’esenzione è legata ad ormeggi quasi sempre certi, quali l’esistenza di un provvedimento giudiziario di omologazione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di un concordato minore, o l’esistenza di un’attestazione di un piano conforme al disposto dell’art. 56 CCII, o l’emissione di un provvedimento giudiziario di autorizzazione alla stipula di finanziamenti ai sensi degli artt. 99, 100 e 101 CCII.
Nella composizione negoziata, invece, se eccettuiamo gli atti autorizzati ai sensi dell’art. 22 CCII, simili certezze non esistono, ed anzi l’esenzione opera solo se gli atti, a valle dell’insuccesso della soluzione della crisi, risultino essere stati compiuti “in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'articolo 17, comma 5”.
Chi sia chiamato a vagliare la presenza di quei requisiti non può che essere l’autorità giudiziaria, una volta naufragata la composizione negoziata o comunque aperta una liquidazione giudiziale, anche se a valle della conclusione positiva delle trattative.
A tal punto, la coerenza degli atti con l’andamento delle trattative ed il loro inserimento nella prospettiva di risanamento valutata dall’esperto divengono concetti sfuggenti, suscettibili di ampi margini di discussione fra i sostenitori delle tesi giudiziali contrapposte e che non potranno esimersi da un vaglio ampiamente discrezionale del giudice.
Se è così, la conclusione è che, ex ante, nessuno dei soggetti coinvolti è in condizioni di stabilire, con qualche grado di certezza, se l’atto che sta compiendo sarà valutato o meno, in un futuro, come conforme ai precetti voluti dell’esenzione di riferimento.
È utile rammentare, in proposito, che persino nei piani attestati di risanamento la giurisprudenza ha aperto a rivalutazioni dell’esistenza dei presupposti per l’applicabilità delle esenzioni di legge, nelle varie pronunce nelle quali ha sancito che il giudice è tenuto a verificare, con giudizio da compiersi ex ante [ma che inevitabilmente sconta la conoscenza ex post dell’insuccesso dello strumento, n.d.r.], l’attitudine del piano all’attuazione del risanamento[31], chiarendosi inter alia che “la valutazione di ragionevolezza del medesimo presuppone evidentemente, a monte, la veridicità dei dati e la complessiva attendibilità della situazione aziendale, quali elementi sui quali una consimile valutazione non può che fondarsi”[32].
Nella composizione negoziata, come evidenziato a più riprese, “la veridicità dei dati e la complessiva attendibilità della situazione aziendale” non è verificata da nessuno; ed allora, in definitiva, la tenuta dell’esenzione di cui all’art. 24, comma 5, CCII, risulta ancora più aleatoria.
Oltre a tutto questo, vi è anche da considerare che l’esimente in discorso copre, ai nostri fini, il delitto di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto di cui all’art. 323, comma 1, lett. d), CCII, ma non riguarda né il ricorso abusivo al credito di cui al successivo art. 325, né le responsabilità che si possano ricollegare alla concessione abusiva sul versante prettamente civilistico, che se non andiamo errati è proprio l’ambito nel quale si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità citata in precedenza[33].
Anche sotto questo punto di vista l’esenzione prevista dall’art. 324 CCII non risulta – per così dire – “capiente”, in relazione ai possibili coinvolgimenti risarcitori degli operatori bancari e finanziari per avere concorso con il debitore insolvente nei danni provocati al patrimonio dell’impresa, ai creditori e ai terzi, dagli atti da lui compiuti nel corso della composizione negoziata.
7. Il credito mantenuto sulla scorta di misure protettive e la nuova finanza prededucibile ai sensi dell’art. 22 CCII.
Le considerazioni svolte fin qui si fondano, come più volte osservato, sull’assenza nella composizione negoziata di un vaglio sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano di risanamento che il debitore propone ai propri creditori (ed in primis alle banche).
La situazione dovrebbe mutare radicalmente nelle ipotesi in cui il debitore abbia fatto ricorso alle misure protettive di cui all’art. 18 CCII, o all’istituto della nuova finanza prededucibile di cui all’art. 22, comma 1, lett. a), del codice stesso.
Come già accennato, con le misure protettive è possibile ottenere dal Tribunale la riattivazione di linee di credito in essere al momento dell’accesso alla composizione negoziata e sospese, con un procedimento che si svolge ai sensi dell’art. 19 CCII, nel corso del quale, ai sensi del comma 4, il Tribunale chiama l’esperto ad esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative e a rappresentare l’attività che intende svolgere per il superamento della crisi, e può essere nominato un ausiliario del Giudice ai sensi dell’art. 68 c.p.c.
Con la nuova finanza prededucibile, che può avere sia la forma della nuova finanza istantanea tout court, sia quella della nuova finanza rotativa (anche nel senso dell’esecuzione di nuove operazioni creditizie a valere su linee preesistenti), il Tribunale autorizza poi le nuove concessioni creditizie “verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, all’esito di un procedimento che si svolge ai sensi del comma 2 dell’art. 22 CCII, e nel corso del quale può essere sempre nominato un ausiliario del Giudice ai sensi dell’art. 68 c.p.c.
In queste fattispecie, nelle quali, dunque, sulla concessione creditizia o sulla sua continuazione si esprime in termini favorevoli un organo di Giustizia, dopo averne verificata – anche, all’occorrenza, con l’apporto di un ausiliario – la compatibilità con una composizione negoziata alla cui base vi è comunque una valutazione positiva dell’esperto sulla percorribilità della soluzione della crisi (per quanto embrionale), le conclusioni a cui siamo pervenuti devono verosimilmente essere diverse.
Una volta emesso infatti, su tali basi, un provvedimento giudiziario ad hoc autorizzatorio della concessione della nuova finanza o impositivo della permanenza degli affidamenti in essere, non solo opera de plano – per la nuova finanza – l’esenzione dai delitti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice di cui all’art. 24, comma 5, ultimo periodo, CCII, a cui abbiamo fatto cenno nel paragrafo che precede, ma deve quantomeno presumersi, in termini più generali, la sussistenza delle “concrete prospettive di superamento della crisi” o “almeno di proficua permanenza sul mercato” dell’impresa, che come abbiamo visto, per la giurisprudenza consolidata, esonerano gli enti bancari e finanziari, anche sul versante prettamente civilistico, dalla responsabilità per la concessione abusiva.
Tutto ciò, salvo che ovviamente non risulti, a provvedimenti emessi, il dolo dell’istante nell’esposizione dei dati, quando la banca ne era a conoscenza al momento rilevante ai fini del sorgere della responsabilità[34], ovvero le prospettive di superamento della crisi, in concreto, ad un certo punto si rivelino illusorie, o sopravvengano circostanze rilevanti ai sensi della disciplina di vigilanza prudenziale; situazioni, queste, che vista l’immanenza della disciplina di vigilanza prudenziale anche in presenza di misure protettive (v. art. 18, comma 5-bis, CCII), dovrebbero determinare de plano un intervento ablatorio dei finanziatori sulle concessioni creditizie in essere.
8. Conclusioni.
Le presenti note non si possono che chiudere, visto quanto esposto sin qui, con la constatazione di un rapporto conflittuale tra la composizione negoziata della crisi d’impresa e la concessione ed il mantenimento dei finanziamenti bancari, nei termini in cui, anche a procedura avviata, continuano ad operare i principi della sana e prudente gestione di cui all’art. 5 TUB e le disposizioni di vigilanza prudenziale che ne rappresentano gli addentellati operativi.
La disciplina del Codice della Crisi, sul punto, difetta di esimenti idonee sia a disattivare quei principi in favore di una più ampia disponibilità del sistema bancario a concedere credito (disponibilità già pregiudicata proprio dalle disposizioni di vigilanza), sia ad evitare che gli operatori vengano coinvolti in azioni risarcitorie per concessione abusiva di credito una volta che la composizione negoziata si sia conclusa con esito negativo (come nella larga maggioranza dei casi, purtroppo, accade), o abbia avuto esito positivo, ma l’approdo raggiunto, il più delle volte temporaneo o apparente, sia comunque sfociato in una liquidazione giudiziale.
Le uniche concessioni creditizie che appaiono dotate di un qualche margine di sicurezza sono quelle relative alle linee creditizie rotative preesistenti oggetto di misure protettive concesse dal tribunale ai sensi dell’art. 18 CCII, e quelle autorizzate sempre dal tribunale ai sensi dell’art. 22 CCII, con queste ultime che godono anche del beneficio della prededuzione.
Al netto di queste, per ogni apporto riconducibile al concetto di “concessione di credito”, nelle sue varie forme, la composizione negoziata lascia agli operatori gli oneri valutativi ed i relativi rischi; senza offrire un vaglio sull’attendibilità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, né una qualche forma di vigilanza sulle attività del debitore, tale da ridurre il pericolo del compimento da parte sua di illeciti, anche solo sub spiecie di un aggravamento del dissesto imputabile in concorso.
La conclusione, dunque, è che l’operatore che sia portato a pensare che il credito concesso nella composizione negoziata sia esente da rischi (a parte quello fisiologico dell’inadempimento), dovrebbe più opportunamente prendere atto che, in mancanza di un previo vaglio giudiziario, le erogazioni di nuova finanza, nelle loro varie forme (e probabilmente anche solo le moratorie sui crediti pregressi), sono foriere di implicazioni in punto concessione abusiva di credito, non diversamente da quanto accade al di fuori del procedimento.
[1] Non consta, peraltro, il numero di quante, fra queste imprese, siano poi risultate incapaci di sopravvivere e siano entrate in liquidazione giudiziale; fenomeno che non di rado si verifica, anche per le composizioni negoziate concluse con esito positivo.
[2] Non si ha peraltro notizia di quante, fra quelle rientranti nel 52% riferibile alla conclusione negativa delle trattative, siano sfociate in un concordato semplificato per la liquidazione dei beni ai sensi dell’art. 25-sexies CCII, che è pur sempre una soluzione della crisi d’impresa o dell’insolvenza, tramite cessazione di attività.
[3] V. Fabiani, Composizione negoziata della crisi: una “storia” di successo?, in Dirittodellacrisi.it, 7.5.2025, pagg. 4, 5 e 7.
[4] Salvo volerla considerare – come molti operatori, purtroppo, sono propensi a considerarla – una sorta di “cavallo di Troia” per la proposizione di un concordato semplificato, dopo avere simulato trattative destinate ab origine a non avere successo, la quale è pur sempre un’opzione, perché quantomeno risolve la crisi e l’insolvenza con la liquidazione e la cessazione dell’attività senza passare per la liquidazione giudiziale.
[5] V. ad es. Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in "Dirittodellacrisi.it, 2.9.2021, Manzini-Carelli, Il ruolo dei creditori nella composizione negoziata, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/manzini-carelli-28-03-2022-RA.pdf, nonché D'Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2024, 43.
[6] Quando si fa riferimento alla collettività si intendono, evidentemente, le nuove passività tributarie e contributive, destinate a gravare sulla generalità dei contribuenti.
[7] In questo contributo esamineremo la posizione delle banche, ma evidentemente il discorso vale per chiunque, inclusi l’esperto e i professionisti.
[8] Da ultimo, v. ad es. Trib. Brescia 17 aprile 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 20 maggio 2025, e Trib. Milano 8 febbraio 2025, https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/32840.pdf. Contra, v. ad es. Trib. Pordenone 26 febbraio 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2 aprile 2025, con particolare riferimento ad una garanzia pubblica con privilegio in surroga.
[9] Tale non era, infatti, l’obbligo delle informazioni periodiche di cui all’art. 161, ottavo comma, l. fall., come si comprese ben presto.
[10] Ricordiamo che la composizione negoziata venne introdotta nell’ordinamento con il d.lgs. 14/2019, meno di sette anni dopo il concordato con riserva e meno di sei anni dopo la precipitosa previsione di quello che, in gergo, sarebbe stato definito il “pre-commissario”.
[11] Per cui, sia in tale fase, sia in quelle successive, sarebbe d’uopo la massima prudenza.
[12] V supra, nota n. 5.
[13] In argomento, su questa Rivista, v. Sebastiano-Ceroni, Il fascino discreto della concessione abusiva di credito dopo il CCII, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/sebastiano-seroni-13-11-2023_RA.pdf
[14] Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/25640, e Cass. 14 settembre 2021, n. 24725, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/25948, nonché le successive Cass. 18 gennaio 2023, n. 1387, https://www.ilcaso.it/sentenze/legittimita/28730, Cass. 27 ottobre 2023, n. 29840, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_editor/29840-23.pdf, e Cass. 4 novembre 2024, n. 28320, in Onelegale.
[15] SI riporta testualmente da Cass. 4 novembre 2024, n. 28320, cit.
[16] Oltre ai precedenti appena citati sullo specifico tema oggetto di discussione, si rammenta l’insegnamento di Cass. SS.UU. 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, 784, che in merito alle regole di condotta ebbe a stabilire – con indirizzo non più rimeditato – che “dalla violazione dei doveri di comportamento che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario discende la responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, per le violazioni in sede di formazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero la responsabilità contrattuale, con relativo obbligo risarcitorio ed eventuale risoluzione del predetto contratto, per le violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione, ma non la nullità di quest'ultimo o dei singoli atti negoziali conseguenti, in difetto di previsione normativa in tal senso”.
[17] Cass. 8 ottobre 2024, n. 26248, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/571.
[18] L’art. 13, comma 1, lett. g-bis, disponeva che i finanziamenti garantiti sarebbero stati concedibili anche a beneficiari che avessero presentato, alla data della richiesta della garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate, purché la predetta classificazione non fosse stata effettuata prima del 31 gennaio 2020. Il problema del rapporto tra la normativa emergenziale e il principio della sana e prudente gestione era stato colto, su questa Rivista, da Sebastiano-Schiavo, L’eccezione di ricorso abusivo al credito nel giudizio di ammissione allo stato passivo, in https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/sebastiano-schiavo-04-05-2023_RA.pdf, 6.
[19] Così, testualmente, Cass. 8 ottobre 2024, n. 26248, cit.
[20] V. sul punto, su questa Rivista, Ambrosini, I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/stefano_ambrosini-04-10-2024-RA-04113.pdf, 13, che. evidenzia come le regole di vigilanza richiedano che l’impresa sia “economicamente sostenibile (vale a dire che la carenza di liquidità risulti temporanea)”, rendendo “estremamente difficoltoso il supporto bancario a un’impresa in crisi”.
[21] Su vedano in argomento, su questa Rivista, Andreani, Verifica del merito creditizio ed abusiva concessione di credito, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/andreani-02-01-2023-RA-77ea1.pdf,14 ss., e Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/delporto-03-10-2022_RA-3946a.pdf, 8.
[22] Sul punto si veda Ambrosini, op. cit., 8, che evidenzia “la necessità che le banche valutino attentamente, caso per caso, se la situazione dell’impresa in difficoltà che è ricorsa alla composizione negoziata ne consenta, in prospettiva, il risanamento”.
[23] Questa particolarità non è di poco momento, perché mentre, sulla fattibilità dei piani, le aziende creditizie ed in una certa misura gli esperti della composizione negoziata hanno, di norma, una qualche expertise, sulla correttezza dei “numeri” che il debitore riferisce loro nulla possono fare, se non affidarsi a dati (come ad esempio i bilanci), formati in ogni caso unilateralmente e non verificati da alcun soggetto “terzo”.
[24] V. supra, nota n. 12.
[25] Si rammenta, tra l’altro, che per insegnamento della Suprema Corte, “In presenza di un'operazione manifestamente anomala, tale da compromettere palesemente l'interesse della società correntista che abbia affidato alla banca i propri depositi stipulando una convenzione di assegno, rientra nei doveri di esecuzione di buona fede gravanti sulla banca quello di rifiutare il compimento dell'operazione o quanto meno di informarne preventivamente gli organi competenti della società”, v. Cass. 31 marzo 2010, n. 7956, Foro it., 2010, I, 3092, e successivamente, nello stesso senso, Cass. 3 novembre 2023, n. 30588, https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/30245.pdf.
[26] È la prospettiva della concessione abusiva di credito “classica”, che crea responsabilità risarcitoria diretta nei confronti dei terzi e per la quale il curatore non ha legittimazione attiva, secondo lo schema tracciato da Cass. SS.UU. 28 marzo 2006, n. 7029, https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/17013.
[27] Cass. 8 ottobre 2024, n. 26248, cit.
[28] Il principio, come vedremo infra, è poi ribadito nell’art. 24, comma 4, CCII, dedicato alla “conservazione degli effetti” degli atti compiuti dopo l’accettazione dell’esperto.
[29] In realtà, la prosecuzione di un rapporto bancario o finanziario, “di per sé”, non è fonte di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario in nessun contesto, per cui la norma, che nelle intenzioni avrebbe dovuto tutelare le finanziatrici dal rischio di azioni risarcitorie per i rapporto proseguiti nella composizione negoziata, in realtà non ha aggiunto nulla.
[30] Cass. 8 ottobre 2024, n. 26248, cit.
[31] Da ultimo, v. Cass. 26 aprile 2023, n. 10944, in Fallimento, 2023, 996, Cass. 3 marzo 2023, n. 6508, https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/29003.pdf, Cass. 6 settembre 2022, n. 26203, in Onelegale, e Cass. 6 settembre 2022, n. 26180, in Onelegale.
[32] Così, Cass. 25 marzo 2022, n. 9743, https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/27452.pdf, in motivazione.
[33] V. supra, nota n. 12.
[34] Con questo mutiamo le cause di esclusione dell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 166, comma 3, lett. d) CCII, e della prededuzione nei finanziamenti di cui agli artt. 99, comma 6, e 101, comma 2, CCII, e precisiamo che la circostanza potrebbe forse disattivare anche l’esimente penale di cui all’art. 24, comma 5, ultimo periodo, CCII.