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Le istanze di composizione negoziata. Dati UnionCamere aggiornati al 15 aprile 2024


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Brevi riflessioni sull’art. 27 Codice della Crisi e dell’Insolvenza: a proposito di Cassazione 9 luglio 2021, n. 19618


Data pubblicazione
11 novembre 2021

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Giuseppe Fauceglia


1. Il caso
Con decreto del 20 ottobre 2020, la Corte di Appello di Bologna[1], decidendo sul reclamo proposto da una società e revocando il provvedimento reso dal Tribunale di Reggio Emilia di ammissione della stessa alla procedura di concordato prenotativo, ha dichiarato la incompetenza per materia di detto tribunale, in favore di quello di Bologna, sede della sezione specializzata in materia di impresa, ritenendo quest’ultimo competente ai sensi dell’art. 27 CCII. Il provvedimento della corte di appello è stata impugnato con regolamento di competenza (qualificato come facoltativo), ritenendo che la competenza restasse radicata presso il Tribunale di Reggio Emilia, in ragione della inapplicabilità del predetto art. 27 CCII, questo presupponendo la già realizzata ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria. Anche il Tribunale di Bologna, ricevuti gli atti a seguito della decisione della Corte di Appello, aveva chiesto d’ufficio il regolamento di competenza, in sostanza proponendo le medesime ragioni della ricorrente. Il Procuratore generale, in adesione alla tesi della Corte di Appello, aveva assunto, invece, la competenza del tribunale di Bologna, ritenendo rilevante l’opzione del legislatore come fondata sul principio di concentrazione degli affari in taluni uffici giudiziari e sulla connessa specializzazione del giudice in materia, “al fine di offrire una risposta – non solo in termini di tempistica, ma anche di qualità e di prevedibilità della decisione – di giustizia efficiente ed efficace”. La sentenza della Corte di Cassazione, aderendo ad un’interpretazione letterale dell’art. 27 CCII, ritiene che la competenza per materia ivi prevista sia esclusivamente da riferirsi alle imprese (già) “in amministrazione straordinaria”, dalla stessa esulando il caso del deposito del ricorso per concordato preventivo prenotativo. La sentenza, che si apprezza per l’eleganza degli argomenti utilizzati, non resta in grado di diradare tutti i dubbi e le incertezze connesse all’interpretazione della norma in oggetto.

 

2. La norma e la presunta rilevanza di un’ interpretazione letterale
Come è noto l’art. 27, comma 1°, CCII, entrato in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d. lgs. 14/2019, modificando il tradizionale criterio determinativo della competenza come previsto nella legge fallimentare, dispone che “per i procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e le controversie che ne derivano relative alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all’art. 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168. Il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma dell’articolo 4 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali”. La finalità della norma resta chiara, il legislatore – in coerenza con i principi della legge delega (art. 2, comma 1°, lett. n) L. n. 155/2017 – ha inteso affidare la gestione delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza relative alle realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni a tribunali specializzati. Si tratta di una competenza per materia “esclusiva” e “funzionale” e come tale inderogabile, pur dovendo riconoscersi che la formulazione della norma risulta alquanto contorta, sì da favorire l’insorgere di equivoci e di opposte interpretazioni, le quali sicuramente non giovano a delineare un quadro di riferimento omogeneo e coerente.

Invero, mentre assolutamente condivisa resta l’opinione secondo la quale il legislatore ha inteso favorire il processo di specializzazione del Giudice, al fine di assicurare l’efficienza e l’efficacia delle procedure che riguardano le imprese di rilevanti dimensioni, nella consapevolezza degli interessi (anche generali) che ne vengono coinvolti, vi è da rilevare, però, che significative differenze si riscontrano in ordine alla perimetrazione della norma, e ciò sotto diversi presupposti.

La sentenza oggetto del presente breve commento interpreta la locuzione imprese “in amministrazione straordinaria” in senso letterale, convogliata in favore della esistenza di una procedura già in atto, con ciò escludendo la possibilità di “manipolare” in via interpretativa il testo della norma processuale, e ciò con particolare riferimento alla tesi che vorrebbe attratta nella predetta competenza le imprese “assoggettabili” alla procedura di amministrazione straordinaria. L’argomento, pur restando nella sentenza oggetto di compiuta ed approfondita motivazione, non può ritenersi preclusivo di una diversa opzione interpretativa, tanto che in letteratura è stato sottolineato che, proprio alla luce della finalità della norma, appare “evidente che l’espressione “imprese in amministrazione straordinaria” va intesa non in senso letterale, ma nel senso di imprese aventi i requisiti dimensionali per essere, in astratto, sottoposte alle procedure di amministrazione straordinaria per le grandi imprese insolventi”.[2]

Occorre, pertanto, analizzare l’art. 27, comma 1, CCII nella sua “interezza”, da ciò poi ricavando i criteri delimitativi dei confini della disposizione. Infatti, il legislatore individua la competenza in oggetto con riferimento sia alle “imprese in amministrazione straordinaria” sia “al gruppo di imprese di rilevante dimensione”, come definito nell’ art. 2, comma 1, lett. i). La ragione dell’inclusione delle due fattispecie nell’unico contesto di una norma determinativa della competenza non può restare ininfluente: in sostanza, il legislatore intende affermare il principio che per la crisi e l’insolvenza di imprese connaturate da caratteristiche assai peculiari deve essere assicurata “la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale, con relativo adeguamento degli organici degli uffici giudiziari” (v. art. 2, comma 1°, lett. n) L. n. 155/2017). Emerge, cioè, un quadro in cui la “specialità” o la “peculiarità” dell’impresa resta determinante al fine di regolare in maniera processualmente “unitaria” tutto il complesso fenomeno della crisi e dell’insolvenza, ivi compresi gli strumenti finalizzati ad evitare l’insorgere della stessa crisi.

In sostanza, ciò che pare rilevante non è la già avvenuta ammissione dell’impresa all’amministrazione straordinaria, se così fosse non si comprenderebbe perché con il successivo art. 350 CCII sia stata espressamente modificata la sola competenza ad accertare lo stato di insolvenza di cui all’art. 3 d.lgs. 270/1999, senza che tanto, però, resti idoneo a privare di ogni ulteriore rilevanza il disposto dell’art. 27, che conosce una perimetrazione diversa, facendo riferimento anche ai “procedimenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.[3]

L’art. 27, comma 1°, CCII, infatti, riguarda i “procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e le controversie che ne derivano”. Orbene, mentre per quanto riguarda l’espressione “le controversie che ne derivano”, può ritenersi, in prima battuta, che la stessa intenda riferirsi nel contesto del Codice alla vis actractiva del tribunale per le controversie derivanti – come diretta conseguenza – dalla stessa dichiarazione di insolvenza, ben diversa resta l’individuazione dei “procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza”.

E’ da scrutinare, in questo contesto, se gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo restino strumenti evocabili anche per un’impresa già attratta nella procedura di amministrazione straordinaria ovvero se possano configurarsi, come si trae dal sistema, quali strumenti opportuni per evitare l’insorgere della crisi e la stessa dichiarazione di insolvenza (in tal modo non presupponendo il già intervenuto decreto di ammissione all’ amministrazione straordinaria).

Nessun dubbio, ormai, sussiste sulla circostanza che un’impresa che presenti i requisiti indicati dall’art. 2 d. lgs. 270/1999, possa accedere alla procedura di concordato preventivo o all’ accordo di ristrutturazione dei debiti, ma si tratta pur sempre di una composizione della crisi che precede l’accesso all’amministrazione straordinaria (ciò essendo ancora più evidente nel caso di insuccesso o di declaratoria di inammissibilità della procedura). Del resto, è pacifica la possibilità per queste imprese di usufruire anche del procedimento, tutto negoziale, della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, come disciplinata dal D.L. 24 agosto 2021, n. 118, ora convertito, con modificazioni, nella L. n. 147/2021: anche in tal caso, assumendo ovviamente la mancata dichiarazione di insolvenza o la (già) intervenuta ammissione all’amministrazione straordinaria. Pare illogico, infatti, attribuire al tribunale competente in via generale ed ordinaria la soluzione delle complesse problematiche connesse alle istanze cautelari e protettive previste nel predetto corpo normativo (che richiedono elevata specializzazione ed esigenze di concentrazione). Si tratta nel complesso, per altro, di strumenti non previsti nella disciplina dell’amministrazione straordinaria, ma che presuppongono, nel loro stesso svolgersi, la complessità dell’organizzazione dell’impresa e la stessa sua importanza nel mercato di riferimento. Non pare, cioè, che il compendio della disciplina dell’amministrazione straordinaria individui procedure di preventiva regolazione della crisi, in modo omogeneo a quanto disciplinato nella legge fallimentare e nello stesso CCII.

Orbene, occorre precisare che lo stesso concordato straordinario, come previsto dall’art. 78 d. lgs. 270/1999, se risulta sintonico con l’espressione “regolazione della crisi”, ovvero coerente con l’assunta “compatibilità con il fine conservativo della procedura”, sicuramente si presenta estraneo alle finalità proprie di regolazione della crisi, che, ontologicamente, restano indirizzate ad evitare la inequivoca emersione e dichiarazione dello stato di insolvenza.

Se ciò è vero, resta evidente che allorquando l’art. 27, comma 1°, CCII utilizza, scientemente, l’espressione “procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza” ha inteso riferirsi alle procedure indicate nel Titolo IV (non a caso rubricato “Strumenti di regolazione della crisi”) ed in particolare al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Si presenterebbe, allora, non coerente con l’impianto complessivo dl Codice, ritenere che, proprio in relazione a dette procedure, riguardanti imprese di rilevanti dimensioni, la competenza resti sottratta a quel giudice al quale, per evidente specializzazione, il legislatore ha inteso affidare, nel suo intero complesso, il governo della crisi di impresa. Diversamente, si realizzerebbe un’opzione interpretativa che verrebbe a porsi in contrasto proprio con quelle ragioni di efficienza ed efficacia delle procedure, che il Codice ha inteso valorizzare.



[1] Sul tema cfr., in questa Rivista, F. Casa, 21 settembre 2021.

[2] A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021, p. 64 e p. 545.

[3] M. Farina, La Cassazione e la competenza del Tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di impresa ai sensi dell’art. 27, comma 1, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Una restrittiva interpretazione letterale che non convince, in Judicium, 2021/2.